Zen e Sessualità
Sin dall’inizio, il buddismo ha sottolineato, nei suoi insegnamenti sul desiderio, che se desideriamo e non otteniamo l’oggetto del nostro desiderio, sperimentiamo l’infelicità. Se desideriamo e otteniamo ciò che vogliamo, all’inizio sperimentiamo la gioia, ma poi diventiamo ansiosi quando ci aggrappiamo all’oggetto del desiderio. E quando lo perdiamo (come è inevitabile, data l’impermanenza), sperimentiamo un’infelicità ancora maggiore.
Qual è il rapporto tra la sessualità di una persona e la sua pratica? Lo zen insegna che ogni cosa è parte di un essere universale, interconnesso e interdipendente. Questo essere è perfetto e completo in quanto tale. Inoltre, secondo lo zen tutti condividiamo questa perfezione, qui e ora. Se accetto ciò, devo ritenere che il mio valore è completo e incondizionato. “Incondizionato” vuol dire senza alcun “se” (condizione).
Il mio valore non dipende dal fatto che mia mamma lo riconosce, gli altri mi approvano, non mi arrabbio, non ho desideri sessuali né, tanto più, inclinazioni sessuali atipiche ecc. Il mio valore non dipende da ciò che dico e nemmeno da ciò che faccio. A prescindere da tutto il resto, il mio essere fondamentale è già il Buddha (l’illuminato). La mia pratica serve a risvegliarmi a questo.
In altre parole, “praticare” vuol dire realizzare la mia integrità presente e la natura non-duale del Buddha, quindi liberarmi dall’autoalienazione o da quel doloroso dualismo chiamato samsara. Per praticare in modo costruttivo, occorre coinvolgere tutto il proprio essere. Se ho un rapporto negativo o mi sento alienato dalla mia sessualità, non sto dando tutto me stesso alla pratica, tanto meno sto accettando il mio valore incondizionato di Buddha.
Nella ricerca della verità, l’importante non è con chi sto facendo o meno l’amore, ma se riconosco sempre il valore incondizionato mio e del mio partner. L’accettazione incondizionata rappresenta l’amore e la morale perfetti.