Innernet: Journey into Awareness
and Anima Mundi

8
Aug
2008
0

Essere tutt’uno, vivere con Advaita, intervista con Madhukar

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Madhukar, come definirebbe il Suo messaggio in poche parole?

Che ogni persona, indipendentemente delle sue circostanze di vita, è libertà e pace.

È allo stesso tempo anche il messaggio fondamentale di Advaita?

Sì, il messaggio di Advaita è: Tu sei Questo! Essere tutt’uno, Essere qui. Il Questo comprende tutto. Nella nostra cultura e nella tradizione cristiana il Questo viene chiamato Dio, l’intero universo. Nella tradizione dell’Advaita il Questo viene descritto con “Sat-Chit-Ananda”. Si traduce generalmente con esistenza-coscienza-beatitudine. Secondo la mia esperienza, anche la beatitudine è solo un’apparenza di corpo e mente.

La pace è verità assoluta: questo è conoscenza vera. Perciò descriverei il Questo con: esistenza-coscienza-pace. Advaita è una direzione filosofica e la filosofia non può mai spiegare realmente l’Essere o l’esperienza dell’Essere, ma può solamente provare a interpretarlo. La verità assoluta è che la Divinità è già qui. Non viene da fuori, ma esiste in ognuno di noi. Non c’è separazione. Solo Essere. Non esiste dualità. Questa è l’essenza dell’Advaita. La parola del Sanscrito indo-germanico significa letteralmente “non-dualità”.

Lei chiede alle persone che L’ascoltano di indagare sé stessi. Cos’è la sostanza dell’autoindagine? Come la si pratica?

Non esigo niente dalla gente. Ma presuppongo che vengono nelle mie riunioni perchè vogliono sentire la verità assoluta, riconoscere chi sono. Perciò consiglio l’autoindagine. Tra l’altro la parola autoindagine secondo me è più adatta che autoricerca, perché la ricerca secondo la nostra comprensione è legata con attività.

Autoindagine significa due cose: per prima cosa tratta del Sé. Il Sé ha sempre a che fare con me stesso. Il Sé viene definito dalla scienza moderna come concetto per descrivere quello che è la nostra coscienza, la consapevolezza conscia. Gli scienziati, i neurologi e psicologi non sanno con certezza, se si tratta di una coscienza personale o se, in realtà esiste una coscienza assoluta, la quale viene percepita solo tramite l’identificazione del corpo e della mente come coscienza individuale. L’Advaita si riferisce al Sé già da millenni di anni.

In secondo luogo, l’autoindagine ha a che fare con la ricerca della sorgente dell’Essere. L’orientamento su questo non lo vedo come ricerca con la mente, ma più come un risveglio permanente dal nostro sogno quotidiano, il sogno di una realtà apparente: arrivare Qui e raggiungere la verità assoluta. Essere qui. La verità assoluta per me è qualcosa di molto naturale. Nella terminologia dell’Advaita chiamiamo questo Sahaja Samadhi, Essere naturale. E siccome so che ciascuno è Questo, è possibile per ognuno conoscerlo.

Nelle antiche tradizioni di saggezza spesso mettevano condizioni per aprirsi ad una via o per praticare una via di saggezza particolare. Come funziona l’autoindagine? La possono fare tutti? Sono necessarie particolari condizioni fisiche, mentali o morali?

Non è compito mio dire alla gente: “Dovete fare questo o quello e soltanto allora potrete riconoscere chi siete”. Non vorrei appesantire nessuno con condizioni morali o etiche. Ciascuno di noi ha già in base alla sua educazione e cultura certi concetti etici e vive conforme a questi o li contravviene. Qui però non si tratta di morale, ma di riuscire a capire, chi “è” realmente presente. Per questo non c’è bisogno di particolari presupposti.

È sufficiente il desiderio ardente di libertà. Se la libertà esiste veramente, deve essere qui e adesso. Se la verità esiste, deve essere qui e adesso. È dimostrato dalla storia che sia uomini non etici, che quelli che erano considerati moralmente superiori, si sono risvegliati, completamente indipendente dalla loro vita precedente.

Se il risveglio li ha resi uomini “migliori” – bene, però questo non è essenziale. Si tratta della conoscenza di se stessi. E questo è possibile, indipendentemente di ogni condizione.

Evidentemente alla maggior parte degli uomini risulta difficile risvegliarsi spontaneamente. Ci sono degli ostacoli. Lei a cosa riconduce che la sola informazione non basta per il risveglio? E secondo Lei cos’è necessario per superare questi ostacoli?

L’ostacolo è l’identificazione con il corpo e la mente. Nel caso di un neonato questa identificazione ancora non c’è. Si potrebbe dire che ci viene insegnata. E più tardi questo insegnamento diventa realtà e gli uomini pensano di essere questa persona, che in realtà non è nient’altro che un collegamento complesso di pensieri e sentimenti.

È utile l’autoindagine con la semplice domanda “Chi sono io?” Erroneamente si pensa che l’autoindagine sia un esercizio per arrivare ad un certo stato o che sia la meta del risveglio. In realtà però è così, che l’autoindagine serve a smascherare gli ostacoli che ci fanno pensare, che non siamo liberi. Inoltre è molto utile il contatto con un risvegliato.

Come si distingue allora la percezione di un risvegliato da una persona normale? Percepisce il mondo che lo circonda in modo diverso?

La differenza è nell’identificazione accennata. Il risvegliato è il Sé. Invece la persona normale si identifica completamente con la sua percezione di corpo e mente, con le sue emozioni e il suo umore. Si potrebbe addirittura dire che è dipendente dai suoi succhi corporei, prigioniera delle reazioni biochimiche del suo cervello. Anche questa persona sorge dal Cuore, però è identificata con il pensiero dell’Io. Invece il risvegliato ha realizzato senza dubbi che è Questo, l’eterno, dove tutto ha luogo. Però, non è che vada per le strade e che mi dica sempre “Sono l’eterno, nel quale tutto succede”, ma l’essere qui è del tutto naturale.
Non c’è una separazione fra l’eterno e le manifestazioni della persona comune.

Come sappiamo, ognuno di noi vede il mondo in modo soggettivo e ciò nonostante partiamo da una realtà fissa, esistente e oggettiva. Anch’io percepisco il mondo con le sue bellezze e le sue sofferenze. Ma la coscienza dell’esistenza propria, del Sé, il quale non è influenzabile, è semplicemente più forte. La verità è di una grande chiarezza e naturalezza.

Il risveglio è un processo o un momento? Può descrivere il prima e il dopo della Sua esperienza?

Finché Lei pensa di essere in un processo, sembra come se fosse parte di questo processo. Tra illusione e verità, tra vita quotidiana e realtà, sonno profondo, sogno, stato di veglia, chi lo percepisce? Nel momento in cui Lei si è risvegliato, si rende conto che è sempre stato sveglio, che non è mai stato altro che questa presenza e che aveva solo orientato la Sua attenzione ad apparenze. Vorrei compararlo con la nostra percezione del sole. Come sappiamo, il sole splende sempre. In caso di una giornata nuvolosa però diciamo: “Il sole non c’è”. Peró il sole c’è sempre. Solo che tra noi e il sole si sono messe delle nuvole.

Quando le nuvole scompaiono, si dice: “Il sole splende”. Così diciamo anche al mattino: “Il sole sorge”. Ma in realtà la sera noi ci giriamo dall’altra parte e al mattino ci rivolgiamo di nuovo verso di esso. Anche quello che viene definito risveglio è sempre stato. In realtà non esiste un risveglio. Se esistesse un risveglio, significherebbe che prima non eravamo risvegliati. In realtà la libertà è sempre qui. Lei si rende conto che nella Sua vita è stato sveglio in molti momenti, però che non ha riconosciuto senza dubbio cos’è la realtà. Nessuno Le ha assicurato: la verità è adesso! Il vero Sé è adesso! Se si risveglia, allora riconoscerà che è sempre stato sveglio. Non esiste nient’altro.

Come ha vissuto questo momento del risveglio? Come una conseguenza dei Suoi sforzi? Oppure a cosa ha collegato il fatto che ad un certo momento si è risvegliato?

Io lo riconduco alla grazia. Gli sforzi sono solo apparenti. Per la persona questi sforzi magari sono stati necessari, ma non per Questo che sono io. Quello che sono non ha bisogno di nessun sforzo. Attraverso la grazia ho seguito il desiderio di libertà, ho seguito la chiamata del mio Maestro. Perché quando ho sentito il suo messaggio per la prima volta, è stato riportata da uno yoghi che parlava negativamente di Papaji, che dava un cattivo giudizio di questo Maestro a me ancora sconosciuto. Non mi sono lasciato influenzare da questa opinione, ma dal messaggio di libertà di Papaji: “Sei già libero, non devi fare niente, non devi meditare, nessun Sadhana , nessun esercizio spirituale è necessario”. Fu come un fulmine. Chiarissimo. Potevo solo dire: “Sì, sì, sì!” Perchè?

Anche io come molti altri, mi ero sforzato, come yoghi mi alzavo presto ogni mattina e facevo i miei esercizi, meditavo, per anni, decenni. Ho riconosciuto che tutto questo mi ha portato delle esperienze meravigliose, alle quali aspirano gli uomini spiritualmente interessati, come illuminazione, esplosioni energetiche, stati trascendentali, esperienze di morte, percezioni extracorporee, quindi varie realtà della coscienza, ecc. Però non mi era stato possibile la cognizione vera e propria di sapere chi sono. Ero stanco di esercitare, di tutta questa pratica, di questa ricerca nella cristianità, nello sciamanismo, nel buddhismo, nel tantra, nella filosofia.

Volevo la libertà. E se veramente Lei aspira alla libertà e sente questo messaggio di libertà, allora è un riconoscere immediato. Di conseguenza ho voluto incontrare subito questo guru. Ho preso il primo treno e ho viaggiato per 42 ore attraverso tutta l’India. Arrivato a Lucknow, mi sono reso conto che non sapevo neanche dove abitasse. Conoscevo solo il suo nome, Papaji, che non era il suo nome di famiglia, ma il titolo di onore “Padre venerando”. Ciò nonostante lo trovai in breve tempo, e al nostro primo incontro cadde da me un grande peso, tutto il passato, tutto quello che avevo imparato, tutta l’esperienza spirituale. Non l’ho considerato subito come il mio Maestro, questo diventò così poco a poco, nel praticare quello che mi consigliava, così tutto avvenne come doveva.

Non si potrebbe dire che i Suoi sforzi anteriori sono stati proficui per il Suo risveglio, così come lo descrivono i metodi yoga tradizionali? Nella sua breve biografia ho potuto leggere che ha avuto delle esperienze Kundalini, e tradizionalmente l’illuminazione è vista come punto d’arrivo di queste esperienze.

Nel percorso Yoga Samadhi è la meta. Esperimentare Samadhi è molto raro e meraviglioso, però si tratta ancora di stati. Ci sono dei yoghi potenti che sanno controllare il loro corpo e la loro mente, però non hanno necessariamente riconosciuto chi sono. Sembra come se gli sforzi o le cosiddette vie spirituali avessero portato al risveglio. Però in realtà è grazia e la presenza del Maestro. È ovvio che la via spirituale per molti è solo un rinvio che li ostacola nel riconoscere quello che è già qui! Le persone si sforzano, ma così la verità viene solo rinviata.

La verità è già qui. Perchè dobbiamo fare esercizi per questo? Perchè? Perchè pensiamo che ci sia un’impurezza nel corpo o nella mente, che questa o quella relazione debba essere ancora chiarita, che questo o quello dell’infanzia o del rapporto genitori-figli debba essere aggiustato, ecc? Fatto è: il Sé non è mai stato toccato da relazioni o esperienze. Il Sé è assolutamente intatto, assolutamente puro. Sempre qui, sempre adesso.

Ci può essere ancora uno sviluppo per la persona quando ha riconosciuto Questo?

Per la persona potrà esserci uno sviluppo, per il Sé no.

Che cosa vuole dire per Lei sviluppo?

Io penso a due saggi che hanno vissuto molto vicino, Sri Ramana Maharshi e Sri Aurobindo. Avevano realizzazioni simili, ma nella loro dottrina, se nel caso di Ramana si può parlare di una dottrina, Ramana ha vissuto il Sé come statico, mentre Aurobindo dopo il Nirvana ha riconosciuto ulteriori livelli di sviluppo della coscienza.

Sri Aurobindo pensa che il divino venga dall’alto, scenda verso livelli di coscienza inferiori e risalga poi di nuovo. Presuppone quindi un processo. La mia cognizione non è così, perché la verità assoluta non conosce questo processo, solo corpo e mente conoscono processi. Sarà servito a Sri Aurobindo e ai suoi praticare questo. È verità assoluta? Verità è che il divino è già qui e non viene da fuori, ma è in ognuno di noi.

La via spirituale viene spesso paragonata con un affinamento della personalità. Avviene un cambiamento nella psiche, nella mente, quando uno si è risvegliato?

Non si può generalizzare. Ci sono delle forme diverse: persone che dopo il loro risveglio si sono ritirate totalmente. Altri hanno trascurato il loro corpo e vissuto come selvaggi. Ramana Maharshi invece si è messo a disposizione 24 ore al giorno per le persone che venivano da lui e ha condotto una vita molto pura. Secondo la mia esperienza, se qualcosa si deve raffinare o cambiare, succede da solo. Specialmente se è ancorato nell’autoindagine.

Il mio Maestro mi diceva: “You don’t need to change anything” (Non devi cambiare niente). Lo sforzo di essere una persona migliore è sicuramente nobile, ma purtroppo non garantisce il risveglio. Esiste un detto di Buddha: “Per riposare nel Sé è più benefico il tempo che una formica richiede per camminare dalla punta alla radice del naso che tre vite piene di buone azioni.” Quindi anche il fondatore del buddismo, per il quale comprensione e buone azioni sono fondamentali, dichiara che il soffermarsi nel Sé è la cosa più importante.

Qual è la sua motivazione per comunicare? Lei comunica attraverso le Sue riunioni o Satsang che hanno una struttura precisa; vorrei quasi dire che sono un rito. Perché proprio in questo modo? Ha preso questo dal suo Maestro? Le sembra efficace?

È efficace! La grande gratitudine che molti mi esprimono per ciò che gli succede, dimostra senza ombra di dubbio: gli incontri sono benefici. Io non ho motivazione. Tutto succede semplicemente. Avvolte dico scherzando: “Io sono uno schiavo del mio Maestro”. Forse posso spiegarlo con il concetto d’onore delle antiche tradizioni di indiani e germani: se una persona ti ha salvato la vita, gli eri obbligato per tutta la vita. Originariamente non avevo il desiderio di vivere ed agire come lo sto facendo adesso.

Quando andai da Sri Poonjaji, avevo solo il desiderio concreto di essere libero. Tutto il resto è capitato da solo. Dopo due anni, Papaji mi ha predetto in un Satsang che molte persone, “tutto il mondo” come diceva lui, sarebbero venute da me. Se ci penso, devo dire che all’epoca mi sembrava irreale – e neanche attraente. Cos’è successo alcuni anni più tardi? Sono stato invitato a tenere Satsang da gente che si sentiva attratta da me, e ho accettato gli inviti. Così si sono sviluppate sempre di più queste tournée annuali di incontri, e migliaia di persone condividono queste riunioni con me. E mi piace così com’è.

Per quanto riguarda la forma del Satsang non vedo nessun motivo di cambiarla. La forma non è così importante. Quello che si rivela nel Satsang, quello che succede, è l’essenziale: meraviglioso e indescrivibile. La forma invece è molto semplice: da una parte il silenzio e dall’altra il dialogo. Il dialogo serve a chiarire domande e dubbi. È bene se le persone chiariscono i loro dubbi. La chiarezza è meravigliosa. La chiarezza è la chiave per il paradiso. Perchè il silenzio è una componente importante delle riunioni? Solo nel silenzio la verità si può rivelare.

Inoltre esprimo all’inizio del Satsang, secondo una tradizione antichissima, il desiderio del Gayatri-mantra: che tutta l’umanità, che tutte le creature trovino la pace. Nonostante che da migliaia di anni vediamo che il mondo non è in pace, continuiamo a desiderarlo. Prima di tutto intono un OM. Questo mantra già mi rallegrava e affascinava quando 25 anni fa venni in India per la prima volta. Secondo la sapienza vedica in questo suono si manifesta l’intero universo.

Nell’attuale cultura giovanile questa lettera, il logo di questo mantra, è molto popolare. Anche il mio Maestro ha cantato l’OM e ha parlato del suo grande effetto. Questo mantra è un suono universale, che suona anche nella religione cristiana in forma di un amen e nel buddismo come aum, nell’islam come amin.

Per il resto la forma del satsang è abbastanza libera. Certe volte può essere molto divertente e abbastanza sciolta e avvolte invece l’atmosfera è più sacra. Si balla con musica leggera, si ride, si piange, dipende. Però: un buon vino gusta meglio bevuto da un bicchiere di cristallo che da un bicchiere di plastica. Anche se la forma non è prioritaria, viene percepita superficialmente per prima. In realtà si tratta di qualcos’altro, cioè della conoscenza di sé stessi in chiarezza e amore.

Lavora consapevolmente con una forma di energia che trasmette alle persone? Lei guarda a lungo negli occhi. Ci sono molti momenti di silenzio. Esiste un impulso consapevole in direzione delle persone per aiutarle? Riconosce se qualcuno si risveglia? Succede consapevolmente qualcosa in Lei?

Noi tutti siamo energie. Se sa questo, non c’è più bisogno di lavoro. Aiuto e grazia scorrono senza interruzione. Non c’è l’illusione che sono io quello che aiuta. Impulsi e riflessioni sono possibili e utili per riconoscere a che “punto” si trova la persona che è davanti a me. Però sono utili per venire incontro individualmente alla persona. In realtà tutto succede da sé. Il silenzio è il mezzo migliore. In questo silenzio tutto succede da sé. Questo amore è senza forma e pure così tangibile.

Il sito di Madhukar è www.madhukar.org

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261 Responses

  1. eck: E’ il vero Ascolto dell’Altro,che in Unità, diventa l’Attenzione impersonale a cu fa riferimento Atisha.
    Può accadere anche in un blog,perchè no..se vi sono quelle giuste premesse e facendo i conti con l’ego.

    ati: esattamente! [… grazie eck per la traduzione :-)))) ]

    Bipo: PS Ati il flag di cui parla Ivo sta proprio sotto il pulsante “submit comment” che si preme quando si vuole postare un commento.

    ati: grazie mille!…. cercavo da tutt’altra parte…
    questo è il classico esempio del vedere e non Guardare…

    :-)

  2. sorrydi

    Diciamo Eck,che l’arrocco mentale,è sempre in aguato e presente,e il suo trampolino di lancio è l’intrattenimento,che non ha nulla di male a livello terreno,quindi una volta lanciato in pista,diventa difficile per un saggio alle prime esperienze,planare dolcemente,e smorzare la critica su critica.
    Tu ed io non siamo Krishnamurti,ne Bohm.
    Comunque questa non è una critica alla tua persona sia chiaro,ma alla globalita’ della nostra esperienza.

  3. Bipo

    – Biphokar, come definirebbe il Suo messaggio in poche parole?

    – Che ogni persona, indipendentemente delle sue circostanze di vita, è stronzaggine ed infelicità.

    – È allo stesso tempo anche il messaggio fondamentale di Advaita?

    – Sì, il messaggio di Advaita è: eeee l’Advaita, l’Advaita, e l’Advaita l’è bela, l’è bela, basta avere l’umbraila, l’umbraila, ed è subito festaaaa!

    – Lei chiede alle persone che L’ascoltano di indagare sé stessi. Cos’è la sostanza dell’autoindagine? Come la si pratica?

    – Intanto “se stessi” si scrive senza l’accento, gnurànt, se fosse solo stato “sé” senza dopo “stessi” sarebbe stato corretto, ma se dopo c’è “stessi” l’accento non si mette…
    L’autoindagine è molto semplice. Tutti hanno commesso un crimine, per cui basta scegliere un crimine che abbiamo commesso e poi indagarsi; quando si hanno prove schiaccianti, allora ci si presenta in questura e ci si fa arrestare.

    – Nelle antiche tradizioni di saggezza spesso mettevano condizioni per aprirsi ad una via o per praticare una via di saggezza particolare. Come funziona l’autoindagine? La possono fare tutti? Sono necessarie particolari condizioni fisiche, mentali o morali?

    – Beh, intanto dovete essere belli e paciosi come Madhukar o come me, ed in particolare assomigliare un po’ a quell’attore che ha fatto “natural born killers” e “proposta indecente”, di cui in questo momento mi sfugge il nome… Nient’altro.

    (continua – forse)

  4. Bipo

    Ciao sorrydi, sei il ridi del vecchio innernet, vero?

    No, perché a me quelli che si nascondono dietro ai nick mi fanno ribollire il sangue.

  5. L’autoindagine
    L’autoindagine è un esame interiore che consente di scoprire la nostra vera natura basata sulla consapevolezza oltre la mente ed oltre il corpo, ed è un processo molto diverso dall’indagine psicologica che è di per sè un’indagine svolta sulla nostra individualità personale, cioè nell’esamimanre la mente nell’atto di pacificare e risolvere le nostre paure e desideri.
    L’autoindagine è un sentiero che seppur parte quasi sempre dall’indagine psicologica, va oltre… è il sentiero spirituale diverso per ogni persona, che varia a seconda della propria intima natura.
    Nella sostanza è il Sè che viene autosservato, cioè la coscienza consapevole presente, in fase embrionale, negli esseri umani ma presente anche nelle piante, negli animali ed ovunque, oltre la fisicità tangibile.
    L’autoindagine va in profondità e presenta molte sottigliezze che richiedono grande astuzia, dedizione e concentrazione, per essere comprese..
    Il miglior modo per eseguire l’autoindagine è il ritiro, la solitudine.. ed il silenzio.

  6. sorrydi

    Pensa che io mi sono preoccupato,ultimamente mi sono iscritto,con i vari sinonimi possibili,poi ho pensato,e se qualcuno non ci atrriva che sono la stessa persona….Ridi,sorrydi,sorrydente,sorridoni,Sorridetti,Sorrisi,Sorrisetti,
    Sogghigni,ei “SON SEMPRE IO”…IO CHI?QUELLO! beh dipende dai giorni ……hhaa hhaa .

  7. Bipo

    Vorrei chiarire (magari vi interessa, magari no), perché mi diletto a scrivere “cazzate” come quelle di sopra.

    Qualche anno fa, ho partecipato ad un gruppo di meditazione chiamato “who am I?”, “chi sono io?”. Il gruppo, ovviamente ispirato alla pratica Zen, era tenuto da una donna a mio avviso straordinaria, una sannyasin di oshana tradizione chiamata Sudha. Sudha è morta (o ci ha lasciato, o ha lasciato il corpo, come si preferisce) poche settimane fa, e la cosa mi ha intristito parecchio, anche se la dura corazza ha cercato di fare finta di nulla.

    Ad ogni modo, il gruppo consisteva in sessioni di inquiry: ci si sedeva uno di fronte all’altro, a turno, uno chiedeva all’altro “chi sei tu?” e l’altro rispondeva. Avanti così per tutto il giorno, con brevi pause, e senza la possibilità di interagire altrimenti.

    Alcuni “progredivano” durante il gruppo, nel senso che parlottavano con Sudha la quale a volte cambiava loro il koan. Io sono rimasto fermo al “chi sono io?”, e mi sono sentito “inferiore” per questo.

    Ho pensato un milione di volte di andarmene, la cosa era estenuante. A volte urlavo per la disperazione, a volte nelle pause piangevo senza un apparente motivo.

    Sudha non mi ha mai rivolto la parola, tranne in un’occasione. Ad un certo punto, seduto di fronte ad una ragazza, ho cominciato a sparare cazzate. La persona che ascoltava doveva solo ascoltare, guardando negli occhi il parlante ma senza reagire. Io ne ho sparate talmente tante che ad un certo punto è scoppiata a ridere… A quel punto è intervenuta Sudha che, prima di mettermi “in castigo” seduto di fronte al muro, mi ha detto “questa che è venuta fuori è la tua energia: indaga questa energia, e forse qualcosa succederà”.

    Ecco, avevo voglia di raccontarlo.

  8. eckhart

    Sì ,secondo me è un metodo potente:è l'”intensivo di meditazione” giusto?.
    E’ vero:stava uscendo la tua energia..stava funzionando secondo me,forse doveva durare più giorni,e dovevi crederci di più,e sicuramente sarebbe venuto fuori anche dell’altro.
    (Chiaramente è solo una mia impressione..e non ho mai fatto un gruppo..)

  9. Bipo

    Beh, qualcosa, forse, era successo. Credo di averlo già raccontato in passato.

    Ad un certo punto, mentre ascoltavo una persona che parlava, ho cominiciato a fare attenzione, senza un preciso atto di volontà od un qualche “sforzo”, ai commenti che la mia mente faceva su quello che l’altra persona diceva. Dopo qualche istante, la vista ha cominiciato a fare strane cose, mi sembrava che tutto esplodesse, ed ho avuto paura. Sono quasi caduto dalla sedia, ed in quel momento ho chiesto di interrompere l’inquiry… Chissà, forse un breve “satori”.

    Ad ogni modo, quando “sparo cazzate” nei miei commenti, cerco di osservare quell’energia che mi fa “creare le cazzate” e che mi fa ridere da solo mentre scrivo e prefigurare (o sperare), le risate di chi legge.

    PS: credo che l’intensivo di meditazione sia un’altra cosa, ma francamente non lo conosco
    PS 2: chissà, forse non sarebbe una cattiva idea mettersi a fare queste sessioni di inquiry nel virtuale, ognuno risponde alla domanda “chi sono io?”, nessuno può commentare cosa qualcuno scrive, ecc.

  10. Bipo: Ad ogni modo, quando “sparo cazzate” nei miei commenti, cerco di osservare quell’energia che mi fa “creare le cazzate” e che mi fa ridere da solo mentre scrivo e prefigurare (o sperare), le risate di chi legge.

    atisha: il gatto che si morde la coda… in un cerchio senza fine.
    Il cerchio a mio parere va spezzato e non contiuamente osservato con autocompiacenza.

    esistono tecniche? beh si.

  11. Sakshin

    Ho fatto nel 1980 a Poona ho fatto un gruppo che si chiamava “Intensive Enlightenment”, il quale era, più o meno, come quella che ha descritto Bipo.
    Era un gruppo quasi obbligatorio per i principianti e faceva parte di un percorso di crescita, incoraggiato dai terapisti dell’Ashram e dallo stesso Osho.
    Veniva fatto con centinaia di persone sedute in posizione del loto o similari, l’une di fronte alle altre. Ognuna di esse, per qualche minuto chiedeva a chi gli stava di fronte: “Tell me, who are you?” ( Dimmi chi sei?). E poi doveva solo ascoltare, guardando negli occhi, l’interlocutore del momento senza dire niente, senza interferire su nessuna risposta. Essere solo uno specchio. E si continuava a ripetere questa cosa fino al cambio di ruolo, in cui si doveva rispondere alla stessa domanda. Poi si cambiava continuamente partner. Succedeva così per tutto il giorno e per tre giorni consecutivi, fra semi digiuni e meditazioni varie. E’ chiaro che saltavano fuori deliri ed emozioni di ogni genere.
    Questo gruppo, teoricamente, avrebbe dovuto aumentare la consapevolezza, evidenziando quasi tutte le nostre identificazioni di cui in genere non siamo coscienti. In realtà è un metodo che per me non va fondo, per tanti motivi che non sto ad elencare.
    Ho avuto anch’io le mia catarsi, quasi forzate dall’esterno, dai group leader… implacabili nel loro restar fuori da qualsiasi dinamica identificativa e consolatoria. Ma di Insight significativi molto pochi.
    Oggi, che so Chi Sono, trovo quel metodo non efficace, inutilmente stressante. Non lo consiglerei a chi cerca veramente se stesso.
    L’autoindagine è una faccenda più seria e profonda. E anche, se vogliamo, più leggera. Ci sono altre strade, almeno per me, più dirette. Infatti da quei gruppi non è mai uscito un individuo che sapesse chi era realmente. Aveva solo sfogato tensioni, catartizzato energie… ma nulla di più.
    Ci sono voluti anni… e poi l’incontro virtuale con i Maestri Advaita per cogliere il punto e comprendere, non solo di testa.
    Ecco perchè sono favorevole alla loro diffusione e propagazione.
    Ti aiutano ad andare diritto al centro essenziale, al Cuore della faccenda spirituale, alla scoperta di Chi Sei, veramente.

  12. Sakshin

    P.S. Mi dimenticavo di sottolineare che in quei tre giorni di gruppo, ci si alzava presto e subito si faceva una meditazione dinamica. Si stava in silenzio tutto il giorno; non c’era alcun scambio di parole con nessuno. A parte la sola domanda. “Tell me, who are yoy?” e le varie risposte date ogni partner che si incontrava e che si cambiava dopo pochi minuti. In quell’occasione i partener erano circa un centinaio. Imaginate voi che situazione poteva esserci. E’ stata una forte esperienza che mi ricordo ancora bene.
    Ma da lì a scoprire Chi Sono ne è passata di acqua sotto i ponti.
    C’è voluta la grazia dell’incontro cscienziale con dei Risvegliati neo Advaitin, post Osho.

  13. Bipo

    Il gruppo descritto da Sak era identico a quello cui ho partecipato, se non per il fatto che c’era un po’ meno gente (credo circa la metà) e le domande e le risposte si facevano in italiano…

    Ad ogni modo, a parte l’efficacia di questa indagine, mi interessa capire la differenza tra il chiedersi il più continuamente “chi sono io?” e l’autoindagine, o l’autoosservazione, o la “consapevolezza del corpo interiore”, come la chiama Tolle, o l’attenzione al pensiero, o alla sensazione, “io sono”.

    Dovrei lasciarmi cadere, Ati? Ho collegato questo tua frase a quello che mi ha detto lo psichiatra l’ultima volta, in cui mi ha invitato ad entrare intenzionalmente, senza “strappi” improvvisi, in situazioni che giudico pericolose, che mi fanno paura, es. tirare un po’ meno sul lavoro, dire di no, limitare gli orari e dedicarmi degli spazi, rischiare di essere additato dall’autorità (dai miei capi) come un incompetente, o un fannullone, invece che cercare sempre la perfezione come faccio.

    Sak, Ati, ho una serie di domande “becere” da farvi, cui ovviamente non siete obbligati a rispondere: come vi guadagnate da vivere? siete “benestanti”, o comunque siete soddisfatti del vostro tenore di vita? fate un lavoro che vi piace o qualcosa che fate così per guadagnare il pane, o addirittura controvoglia?

  14. Bipo

    PS volevo dire: “a parte l’efficacia di questo gruppo”, non “di questa autonidagine”.

  15. Hai collegato bene Bipo…

    Quanto a me/noi (parlo per me) mi dichiaro soddisfatta del mio semplice tenore di vita.. tenore che ho consapevolmente scelto e portato avanti, pianificandolo di passo in passo…
    Tutto ciò che faccio è scelto coscientemente. Non sono benestante.. ma posso dire di aver scartato quella possibilità sempre consapevolmente.. e di aver scartato innanzitutto la “perfezione”.
    Ad un punto della vita si può scegliere.. se seguire se stessi o la posizione.. la machina bella.. le vacanze due volte l’anno.. i vestiti griffati e tre paia di scarpe a stagione più altro.. ed io ho scelto me.. e sono serena, anche se del domani non v’è certezza… questo per chiunque però .. ed i tempi sono duri per tutti..
    Camminare nel Presente comunque non escude un occhio aperto verso il domani..

  16. Sakshin

    Bipo:
    …come vi guadagnate da vivere? siete “benestanti”, o comunque siete soddisfatti del vostro tenore di vita? fate un lavoro che vi piace o qualcosa che fate così per guadagnare il pane, o addirittura controvoglia?
    ***
    Pur essendo domande legittime in un altro spazio… invece qui, rispetto al tema che è in questione – Chi sono io ? – le trovo un pò superficiali, fuorvianti, esteriori… mera curiosità dell’ego, alle quale non do soddisfazione. Sono fatto così. magari ad altri piace raccontare…
    La ricerca spirituale effettiva punta piuttosto a ben altro comprendere, caro Bipo.
    Si può essere benestanti o poveri, fare qualsiasi lavoro, ma riguardo al “chi siamo essenzialmente”, queste dimensioni contano ben poco. Credi per caso che un benestante – cosa che io non sono, tra l’altro – sia favorito nella ricerca e nella scoperta del Sè?
    Perchè qui stiamo parlando di questo: Essere tutt’uno, vivere con l’Advaita ( non dualità).
    Non con è che con i soldi o meno, con un lavoro che piaccia o no, si vive in questo stato di Consapevolezza. Questo è sempre oltre nonostante sia immerso nel regno di Maya. Non è importante solo il film che si vede e di cui ci si sente attori – a causa dell’identificazioni – ma, soprattutto, è importante conoscere Colui che lo vede.
    Ciao :-)