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Ramesh Balsekar afferma che non vi è né nascita né morte, non c’è né un ricercatore né tantomeno alcunché da ricercare, non è mai accaduto nulla, non vi è mai stata alcuna creazione e le persone sono “organismi corpo-mente”.

Negatività? No, piuttosto la nobile via della negazione, neti neti, non questo, non questo. Tagliare, togliere e scavare il falso fino ad arrivare al nucleo inalterabile: “Tutto ciò che c’è, è Coscienza”, il messaggio che Ramesh non si stanca di ripetere.

Ramesh Balsekar è uno degli ultimi rappresentanti della corrente dell’Advaita Vedanta, la filosofia mistica indiana della non-dualità. L’Advaita Vedanta, pur di origini antiche, ha ritrovato un forte interesse negli ultimi decenni, in particolare tra i ricercatori occidentali.

La linea da cui proviene Ramesh Balsekar è pura Advaita. Il suo maestro era Nisargadatta Maharaj, a sua volta discepolo di Ramana Maharshi. Il curatore e compilatore, nonché editore americano di La coscienza parla è Wayne Liquorman, alias Ram Tzu, nome con cui ha firmato il suo primo libro.

Wayne, americano, è stato affascinato e catturato dagli insegnamenti di Ramesh dopo diciannove anni di alcoolismo. Questi anni Ramesh li ha definiti la sua molto particolare sadhana.

Dopo un periodo di intensa vicinanza a Ramesh, Wayne si è illuminato ed ora è un maestro riconosciuto da Ramesh che tiene a sua volta satsang e insegnamenti pubblici. L’Advaita, come con altri maestri indiani (in particolare con Poonja), si è diramata in occidente ed è ora rappresentata da autentici maestri locali.

La coscienza parla è scritto nella forma di domande e risposte. Uomo di grande cultura e di sofisticate capacità comunicative, Ramesh è in grado di rivolgersi anche alle menti più esigenti. Tuttavia, l’essenza del suo messaggio è sorprendentemente semplice: “Una cosa che mi ero sempre preoccupato di assicurare ai partecipanti dei seminari e dei ritiri è che non voglio vendere niente né nessuno.

Poi, di colpo, capii che non è vero. In realtà vendo una cosa che non è niente, nell’interesse dell’Entità Divina che di fatto è una non entità, e quindi di nuovo niente. L’assurdità è che vendo questo niente a voi, che siete tutti niente! Questa è la burla. Ma, finché la burla non è vista come tale, può essere una faccenda realmente tragica.”

Suona un po’ come Matrix? Beh, non è finita qui. Ramesh afferma che non vi è né nascita né morte, non c’è né un ricercatore né tantomeno alcunché da ricercare, non è mai accaduto nulla, non vi è mai stata alcuna creazione e le persone sono “organismi corpo-mente”. Negatività? No, piuttosto la nobile via della negazione, neti neti, non questo, non questo. Tagliare, togliere e scavare il falso fino ad arrivare al nucleo inalterabile: “Tutto ciò che c’è, è Coscienza”, il messaggio che Ramesh non si stanca di ripetere.

Secondo Ramesh il cercatore non deve interferire con il processo di trasformazione, non deve cercare di correggere né alterare la sua vita. Deve continuare come ha sempre fatto. L’enfasi qui è sull’attitudine del cercatore che, nel processo stesso di ricerca, rafforza la stessa entità individuale che è l’ostacolo alla “sua” liberazione.

I messaggi dell’Advaita, pur profondi ed affascinanti, sono una medicina per cavalli. Facilmente possono essere interpretati e impossessati dall’ego che, all’udire che non esiste un responsabile delle proprie azioni e che queste semplicemente accadono, potrebbe giustificare in modo acritico e passivo i propri e altrui comportamenti.

Ogni messaggio di verità e di trasformazione verrà incanalato dall’ego a suo comodo (l’ego non mollerà mai di sua spontanea volontà e tenterà sempre di cambiare le carte in tavola); i particolari concetti dell’Advaita, se innestati nel nostro inconscio collettivo che ha portato spesso alle strade senza uscita del cinismo e del nichilismo, potrebbero deresponsabilizzare il ricercatore non maturo.

Ma Ramesh è ben lontano dal fatalismo o dal nichilismo; se le azioni “semplicemente accadono” senza che vi sia colui che agisce, ma solo reazioni del cervello agli stimoli esterni, da una parte ci provoca le vertigini togliendoci l’identificazione con la nostra illusione di essere artefici delle nostre azioni, ma dall’altra ci dice che siamo a nostra volta Coscienza.

Analogamente, sentirsi dire che siamo già illuminati e che non vi è nulla che si possa fare per produrre lo stato di illuminazione, potrebbe incoraggiare una fine prematura della ricerca nell’illusione di essere già arrivati. Ritengo verosimile che i tempi siano particolarmente fertili per la ricerca di sé, ma talvolta non posso fare a meno di nutrire un certo scetticismo di fronte al numero di neo-illuminati (prevalentemente dalla tradizione advaita) a cui assistiamo negli ultimi anni.

Mi sembra di sentire Ramesh affermare che il mio meccanismo corpo-mente è stato semplicemente progettato per portare un certo grado di scetticismo in questa fase della mia ricerca. E’ possibile, ci sono buoni motivi “meccanici” per ciò: se aggiungo i condizionamenti cristiani sul libero arbitrio, a quelli della società capitalista sull’essere identificati con il “fare”, a quelli di una società che dà valore alle scelte e alla libertà individuali (spesso individualistiche) e infine a quelli sociali-politici sul voler migliorare attivamente il mondo, non mi stupisco di sentire un certo disagio.

Le parole di Ramesh rimuovono nientemeno che l’individuo dal palco in cui si svolgono le azioni. Il disagio forse è “solo” il rifiuto dell’ego che non accetta di essere sminuito nel suo “fare” e nel suo decidere “liberamente”.

Comunque sia, parto da dove mi trovo, qui e ora. Questo meccanismo corpo-mente che scrive, in questa particolare situazione geografica e storica, considerando i suoi condizionamenti personali e collettivi, sente che la nostra epoca necessita di agire nel mondo “là fuori”, tanto quanto “qui dentro” e teme che Ramesh possa venire equivocato portando a una non-azione fatalistico. Mentre scrivo mi rendo conto che la distinzione del “fuori” e “dentro” ha senso solo nello stato di dualità. C’è poco da fare, cercare di mettersi con l’Advaita a parole è come pigiare sull’acceleratore quando si ha la macchina impantanata.

L’incontro con la Consapevolezza, il riconoscere i nostri condizionamenti meccanici, ci pone al di là degli stessi e ci porta ad un livello di consapevolezza più profondo (o più elevato per preferisce il “su” al “giù”). In questi lampi di intuizione possiamo avvicinarci a ciò che afferma Ramesh: Tutto ciò che c’è, è Coscienza.

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Ramesh Balsekar. La coscienza parla. Astrolabio. 1996. ISBN: 8834012038

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