Innernet: Journey into Awareness
and Anima Mundi

8
Aug
2008
0

Essere tutt’uno, vivere con Advaita, intervista con Madhukar

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Madhukar, come definirebbe il Suo messaggio in poche parole?

Che ogni persona, indipendentemente delle sue circostanze di vita, è libertà e pace.

È allo stesso tempo anche il messaggio fondamentale di Advaita?

Sì, il messaggio di Advaita è: Tu sei Questo! Essere tutt’uno, Essere qui. Il Questo comprende tutto. Nella nostra cultura e nella tradizione cristiana il Questo viene chiamato Dio, l’intero universo. Nella tradizione dell’Advaita il Questo viene descritto con “Sat-Chit-Ananda”. Si traduce generalmente con esistenza-coscienza-beatitudine. Secondo la mia esperienza, anche la beatitudine è solo un’apparenza di corpo e mente.

La pace è verità assoluta: questo è conoscenza vera. Perciò descriverei il Questo con: esistenza-coscienza-pace. Advaita è una direzione filosofica e la filosofia non può mai spiegare realmente l’Essere o l’esperienza dell’Essere, ma può solamente provare a interpretarlo. La verità assoluta è che la Divinità è già qui. Non viene da fuori, ma esiste in ognuno di noi. Non c’è separazione. Solo Essere. Non esiste dualità. Questa è l’essenza dell’Advaita. La parola del Sanscrito indo-germanico significa letteralmente “non-dualità”.

Lei chiede alle persone che L’ascoltano di indagare sé stessi. Cos’è la sostanza dell’autoindagine? Come la si pratica?

Non esigo niente dalla gente. Ma presuppongo che vengono nelle mie riunioni perchè vogliono sentire la verità assoluta, riconoscere chi sono. Perciò consiglio l’autoindagine. Tra l’altro la parola autoindagine secondo me è più adatta che autoricerca, perché la ricerca secondo la nostra comprensione è legata con attività.

Autoindagine significa due cose: per prima cosa tratta del Sé. Il Sé ha sempre a che fare con me stesso. Il Sé viene definito dalla scienza moderna come concetto per descrivere quello che è la nostra coscienza, la consapevolezza conscia. Gli scienziati, i neurologi e psicologi non sanno con certezza, se si tratta di una coscienza personale o se, in realtà esiste una coscienza assoluta, la quale viene percepita solo tramite l’identificazione del corpo e della mente come coscienza individuale. L’Advaita si riferisce al Sé già da millenni di anni.

In secondo luogo, l’autoindagine ha a che fare con la ricerca della sorgente dell’Essere. L’orientamento su questo non lo vedo come ricerca con la mente, ma più come un risveglio permanente dal nostro sogno quotidiano, il sogno di una realtà apparente: arrivare Qui e raggiungere la verità assoluta. Essere qui. La verità assoluta per me è qualcosa di molto naturale. Nella terminologia dell’Advaita chiamiamo questo Sahaja Samadhi, Essere naturale. E siccome so che ciascuno è Questo, è possibile per ognuno conoscerlo.

Nelle antiche tradizioni di saggezza spesso mettevano condizioni per aprirsi ad una via o per praticare una via di saggezza particolare. Come funziona l’autoindagine? La possono fare tutti? Sono necessarie particolari condizioni fisiche, mentali o morali?

Non è compito mio dire alla gente: “Dovete fare questo o quello e soltanto allora potrete riconoscere chi siete”. Non vorrei appesantire nessuno con condizioni morali o etiche. Ciascuno di noi ha già in base alla sua educazione e cultura certi concetti etici e vive conforme a questi o li contravviene. Qui però non si tratta di morale, ma di riuscire a capire, chi “è” realmente presente. Per questo non c’è bisogno di particolari presupposti.

È sufficiente il desiderio ardente di libertà. Se la libertà esiste veramente, deve essere qui e adesso. Se la verità esiste, deve essere qui e adesso. È dimostrato dalla storia che sia uomini non etici, che quelli che erano considerati moralmente superiori, si sono risvegliati, completamente indipendente dalla loro vita precedente.

Se il risveglio li ha resi uomini “migliori” – bene, però questo non è essenziale. Si tratta della conoscenza di se stessi. E questo è possibile, indipendentemente di ogni condizione.

Evidentemente alla maggior parte degli uomini risulta difficile risvegliarsi spontaneamente. Ci sono degli ostacoli. Lei a cosa riconduce che la sola informazione non basta per il risveglio? E secondo Lei cos’è necessario per superare questi ostacoli?

L’ostacolo è l’identificazione con il corpo e la mente. Nel caso di un neonato questa identificazione ancora non c’è. Si potrebbe dire che ci viene insegnata. E più tardi questo insegnamento diventa realtà e gli uomini pensano di essere questa persona, che in realtà non è nient’altro che un collegamento complesso di pensieri e sentimenti.

È utile l’autoindagine con la semplice domanda “Chi sono io?” Erroneamente si pensa che l’autoindagine sia un esercizio per arrivare ad un certo stato o che sia la meta del risveglio. In realtà però è così, che l’autoindagine serve a smascherare gli ostacoli che ci fanno pensare, che non siamo liberi. Inoltre è molto utile il contatto con un risvegliato.

Come si distingue allora la percezione di un risvegliato da una persona normale? Percepisce il mondo che lo circonda in modo diverso?

La differenza è nell’identificazione accennata. Il risvegliato è il Sé. Invece la persona normale si identifica completamente con la sua percezione di corpo e mente, con le sue emozioni e il suo umore. Si potrebbe addirittura dire che è dipendente dai suoi succhi corporei, prigioniera delle reazioni biochimiche del suo cervello. Anche questa persona sorge dal Cuore, però è identificata con il pensiero dell’Io. Invece il risvegliato ha realizzato senza dubbi che è Questo, l’eterno, dove tutto ha luogo. Però, non è che vada per le strade e che mi dica sempre “Sono l’eterno, nel quale tutto succede”, ma l’essere qui è del tutto naturale.
Non c’è una separazione fra l’eterno e le manifestazioni della persona comune.

Come sappiamo, ognuno di noi vede il mondo in modo soggettivo e ciò nonostante partiamo da una realtà fissa, esistente e oggettiva. Anch’io percepisco il mondo con le sue bellezze e le sue sofferenze. Ma la coscienza dell’esistenza propria, del Sé, il quale non è influenzabile, è semplicemente più forte. La verità è di una grande chiarezza e naturalezza.

Il risveglio è un processo o un momento? Può descrivere il prima e il dopo della Sua esperienza?

Finché Lei pensa di essere in un processo, sembra come se fosse parte di questo processo. Tra illusione e verità, tra vita quotidiana e realtà, sonno profondo, sogno, stato di veglia, chi lo percepisce? Nel momento in cui Lei si è risvegliato, si rende conto che è sempre stato sveglio, che non è mai stato altro che questa presenza e che aveva solo orientato la Sua attenzione ad apparenze. Vorrei compararlo con la nostra percezione del sole. Come sappiamo, il sole splende sempre. In caso di una giornata nuvolosa però diciamo: “Il sole non c’è”. Peró il sole c’è sempre. Solo che tra noi e il sole si sono messe delle nuvole.

Quando le nuvole scompaiono, si dice: “Il sole splende”. Così diciamo anche al mattino: “Il sole sorge”. Ma in realtà la sera noi ci giriamo dall’altra parte e al mattino ci rivolgiamo di nuovo verso di esso. Anche quello che viene definito risveglio è sempre stato. In realtà non esiste un risveglio. Se esistesse un risveglio, significherebbe che prima non eravamo risvegliati. In realtà la libertà è sempre qui. Lei si rende conto che nella Sua vita è stato sveglio in molti momenti, però che non ha riconosciuto senza dubbio cos’è la realtà. Nessuno Le ha assicurato: la verità è adesso! Il vero Sé è adesso! Se si risveglia, allora riconoscerà che è sempre stato sveglio. Non esiste nient’altro.

Come ha vissuto questo momento del risveglio? Come una conseguenza dei Suoi sforzi? Oppure a cosa ha collegato il fatto che ad un certo momento si è risvegliato?

Io lo riconduco alla grazia. Gli sforzi sono solo apparenti. Per la persona questi sforzi magari sono stati necessari, ma non per Questo che sono io. Quello che sono non ha bisogno di nessun sforzo. Attraverso la grazia ho seguito il desiderio di libertà, ho seguito la chiamata del mio Maestro. Perché quando ho sentito il suo messaggio per la prima volta, è stato riportata da uno yoghi che parlava negativamente di Papaji, che dava un cattivo giudizio di questo Maestro a me ancora sconosciuto. Non mi sono lasciato influenzare da questa opinione, ma dal messaggio di libertà di Papaji: “Sei già libero, non devi fare niente, non devi meditare, nessun Sadhana , nessun esercizio spirituale è necessario”. Fu come un fulmine. Chiarissimo. Potevo solo dire: “Sì, sì, sì!” Perchè?

Anche io come molti altri, mi ero sforzato, come yoghi mi alzavo presto ogni mattina e facevo i miei esercizi, meditavo, per anni, decenni. Ho riconosciuto che tutto questo mi ha portato delle esperienze meravigliose, alle quali aspirano gli uomini spiritualmente interessati, come illuminazione, esplosioni energetiche, stati trascendentali, esperienze di morte, percezioni extracorporee, quindi varie realtà della coscienza, ecc. Però non mi era stato possibile la cognizione vera e propria di sapere chi sono. Ero stanco di esercitare, di tutta questa pratica, di questa ricerca nella cristianità, nello sciamanismo, nel buddhismo, nel tantra, nella filosofia.

Volevo la libertà. E se veramente Lei aspira alla libertà e sente questo messaggio di libertà, allora è un riconoscere immediato. Di conseguenza ho voluto incontrare subito questo guru. Ho preso il primo treno e ho viaggiato per 42 ore attraverso tutta l’India. Arrivato a Lucknow, mi sono reso conto che non sapevo neanche dove abitasse. Conoscevo solo il suo nome, Papaji, che non era il suo nome di famiglia, ma il titolo di onore “Padre venerando”. Ciò nonostante lo trovai in breve tempo, e al nostro primo incontro cadde da me un grande peso, tutto il passato, tutto quello che avevo imparato, tutta l’esperienza spirituale. Non l’ho considerato subito come il mio Maestro, questo diventò così poco a poco, nel praticare quello che mi consigliava, così tutto avvenne come doveva.

Non si potrebbe dire che i Suoi sforzi anteriori sono stati proficui per il Suo risveglio, così come lo descrivono i metodi yoga tradizionali? Nella sua breve biografia ho potuto leggere che ha avuto delle esperienze Kundalini, e tradizionalmente l’illuminazione è vista come punto d’arrivo di queste esperienze.

Nel percorso Yoga Samadhi è la meta. Esperimentare Samadhi è molto raro e meraviglioso, però si tratta ancora di stati. Ci sono dei yoghi potenti che sanno controllare il loro corpo e la loro mente, però non hanno necessariamente riconosciuto chi sono. Sembra come se gli sforzi o le cosiddette vie spirituali avessero portato al risveglio. Però in realtà è grazia e la presenza del Maestro. È ovvio che la via spirituale per molti è solo un rinvio che li ostacola nel riconoscere quello che è già qui! Le persone si sforzano, ma così la verità viene solo rinviata.

La verità è già qui. Perchè dobbiamo fare esercizi per questo? Perchè? Perchè pensiamo che ci sia un’impurezza nel corpo o nella mente, che questa o quella relazione debba essere ancora chiarita, che questo o quello dell’infanzia o del rapporto genitori-figli debba essere aggiustato, ecc? Fatto è: il Sé non è mai stato toccato da relazioni o esperienze. Il Sé è assolutamente intatto, assolutamente puro. Sempre qui, sempre adesso.

Ci può essere ancora uno sviluppo per la persona quando ha riconosciuto Questo?

Per la persona potrà esserci uno sviluppo, per il Sé no.

Che cosa vuole dire per Lei sviluppo?

Io penso a due saggi che hanno vissuto molto vicino, Sri Ramana Maharshi e Sri Aurobindo. Avevano realizzazioni simili, ma nella loro dottrina, se nel caso di Ramana si può parlare di una dottrina, Ramana ha vissuto il Sé come statico, mentre Aurobindo dopo il Nirvana ha riconosciuto ulteriori livelli di sviluppo della coscienza.

Sri Aurobindo pensa che il divino venga dall’alto, scenda verso livelli di coscienza inferiori e risalga poi di nuovo. Presuppone quindi un processo. La mia cognizione non è così, perché la verità assoluta non conosce questo processo, solo corpo e mente conoscono processi. Sarà servito a Sri Aurobindo e ai suoi praticare questo. È verità assoluta? Verità è che il divino è già qui e non viene da fuori, ma è in ognuno di noi.

La via spirituale viene spesso paragonata con un affinamento della personalità. Avviene un cambiamento nella psiche, nella mente, quando uno si è risvegliato?

Non si può generalizzare. Ci sono delle forme diverse: persone che dopo il loro risveglio si sono ritirate totalmente. Altri hanno trascurato il loro corpo e vissuto come selvaggi. Ramana Maharshi invece si è messo a disposizione 24 ore al giorno per le persone che venivano da lui e ha condotto una vita molto pura. Secondo la mia esperienza, se qualcosa si deve raffinare o cambiare, succede da solo. Specialmente se è ancorato nell’autoindagine.

Il mio Maestro mi diceva: “You don’t need to change anything” (Non devi cambiare niente). Lo sforzo di essere una persona migliore è sicuramente nobile, ma purtroppo non garantisce il risveglio. Esiste un detto di Buddha: “Per riposare nel Sé è più benefico il tempo che una formica richiede per camminare dalla punta alla radice del naso che tre vite piene di buone azioni.” Quindi anche il fondatore del buddismo, per il quale comprensione e buone azioni sono fondamentali, dichiara che il soffermarsi nel Sé è la cosa più importante.

Qual è la sua motivazione per comunicare? Lei comunica attraverso le Sue riunioni o Satsang che hanno una struttura precisa; vorrei quasi dire che sono un rito. Perché proprio in questo modo? Ha preso questo dal suo Maestro? Le sembra efficace?

È efficace! La grande gratitudine che molti mi esprimono per ciò che gli succede, dimostra senza ombra di dubbio: gli incontri sono benefici. Io non ho motivazione. Tutto succede semplicemente. Avvolte dico scherzando: “Io sono uno schiavo del mio Maestro”. Forse posso spiegarlo con il concetto d’onore delle antiche tradizioni di indiani e germani: se una persona ti ha salvato la vita, gli eri obbligato per tutta la vita. Originariamente non avevo il desiderio di vivere ed agire come lo sto facendo adesso.

Quando andai da Sri Poonjaji, avevo solo il desiderio concreto di essere libero. Tutto il resto è capitato da solo. Dopo due anni, Papaji mi ha predetto in un Satsang che molte persone, “tutto il mondo” come diceva lui, sarebbero venute da me. Se ci penso, devo dire che all’epoca mi sembrava irreale – e neanche attraente. Cos’è successo alcuni anni più tardi? Sono stato invitato a tenere Satsang da gente che si sentiva attratta da me, e ho accettato gli inviti. Così si sono sviluppate sempre di più queste tournée annuali di incontri, e migliaia di persone condividono queste riunioni con me. E mi piace così com’è.

Per quanto riguarda la forma del Satsang non vedo nessun motivo di cambiarla. La forma non è così importante. Quello che si rivela nel Satsang, quello che succede, è l’essenziale: meraviglioso e indescrivibile. La forma invece è molto semplice: da una parte il silenzio e dall’altra il dialogo. Il dialogo serve a chiarire domande e dubbi. È bene se le persone chiariscono i loro dubbi. La chiarezza è meravigliosa. La chiarezza è la chiave per il paradiso. Perchè il silenzio è una componente importante delle riunioni? Solo nel silenzio la verità si può rivelare.

Inoltre esprimo all’inizio del Satsang, secondo una tradizione antichissima, il desiderio del Gayatri-mantra: che tutta l’umanità, che tutte le creature trovino la pace. Nonostante che da migliaia di anni vediamo che il mondo non è in pace, continuiamo a desiderarlo. Prima di tutto intono un OM. Questo mantra già mi rallegrava e affascinava quando 25 anni fa venni in India per la prima volta. Secondo la sapienza vedica in questo suono si manifesta l’intero universo.

Nell’attuale cultura giovanile questa lettera, il logo di questo mantra, è molto popolare. Anche il mio Maestro ha cantato l’OM e ha parlato del suo grande effetto. Questo mantra è un suono universale, che suona anche nella religione cristiana in forma di un amen e nel buddismo come aum, nell’islam come amin.

Per il resto la forma del satsang è abbastanza libera. Certe volte può essere molto divertente e abbastanza sciolta e avvolte invece l’atmosfera è più sacra. Si balla con musica leggera, si ride, si piange, dipende. Però: un buon vino gusta meglio bevuto da un bicchiere di cristallo che da un bicchiere di plastica. Anche se la forma non è prioritaria, viene percepita superficialmente per prima. In realtà si tratta di qualcos’altro, cioè della conoscenza di sé stessi in chiarezza e amore.

Lavora consapevolmente con una forma di energia che trasmette alle persone? Lei guarda a lungo negli occhi. Ci sono molti momenti di silenzio. Esiste un impulso consapevole in direzione delle persone per aiutarle? Riconosce se qualcuno si risveglia? Succede consapevolmente qualcosa in Lei?

Noi tutti siamo energie. Se sa questo, non c’è più bisogno di lavoro. Aiuto e grazia scorrono senza interruzione. Non c’è l’illusione che sono io quello che aiuta. Impulsi e riflessioni sono possibili e utili per riconoscere a che “punto” si trova la persona che è davanti a me. Però sono utili per venire incontro individualmente alla persona. In realtà tutto succede da sé. Il silenzio è il mezzo migliore. In questo silenzio tutto succede da sé. Questo amore è senza forma e pure così tangibile.

Il sito di Madhukar è www.madhukar.org

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261 Responses

  1. “Date alla vostra pecora o vacca un ampio, spazioso pascolo: è il modo migliore per controllarla”.
    – tratto da “Mente Zen, mente da principiante” di Shunryu Suzuki – ed. Ubaldini.


    «Conoscete questo libro ? Mi pare che maestro Suzuki, che a differenza dell’ottimo Alan Watts di “Beat Zen” non si faceva l’acido, suggerisca di prendere l’universo come base della propria sicurezza. »

    «… BEEEE..!… MUUUUUUUU..!»

    «Sí, giusto, ma è un vero peccato parlare dell’universo transpsichico!»

    «Peccato ?… Tranpsicché ? … Pensi forse che la nostra stessa natura originaria, ignota e inconcepibile, incomba su di noi come un vuoto minaccioso ?»

    « MUUUUUUU…! Muggire, fuggire…mi sembra di cadere in un abisso… creato dal pensiero!»

    «BEEEE..! Se il pensiero crea un abisso, pecore e mucche, essendo vuote, guarda come lo scavalcano !»

    «Vuoi dire che non c’è tanto l’abisso in cui stiamo cadendo quanto piuttosto la base incommensurabile su cui noi agiamo e viviamo, pensiamo e sentiamo, parliamo e scriviamo muggendo e sfuggendo ?»

    «Sì, giusto, ma attenzione a non morire in un attimo di distrazione… è un vero peccato rivelare questo magico Nulla assoluto.»

    «C’est la vie! Nel nascere come nel morire, nel creare come nel disfare, nell’accettare come nel fuggire il Nulla che io sono, la vita manifesta/nasconde sempre il suo magico, meraviglioso e terribile non-sense, che lo vogliamo o no. »

    «Ben detto: TAT TVAM ASI … BEEEE..!… MUUUUUUUU…!» :-)

  2. Mentre stavo rispondendo ad Atisha riguardo alle sua domanda 135 chiedendole se la sua consapevolezza fosse talmente espansa che non riesce più a vedere sotto al suo naso, ancor prima di poter inviare il messaggio… laptop… morto, perlomeno ho recuperato i dati! Me lo dicevano sempre… scherza con i fanti ma non con i santi haha. Rieccomi dopo una certa pausa, nel frattempo vedo che non siete stati con le mani in mano.

  3. dalle varie interviste che ho fatto ad Almaas, parte delle sue risposte sul tema della descrizione degli stati spiritual, che in qualche modo credo c’entrino con il fatto di poter comunicare l’illuminazione
    ………………………………..
    Lo sviluppo del pensiero occidentale, per varie ragioni (buone e cattive) ha diviso il fondamento del sapere ”“ l’essere o la presenza ”“ dalle forme che tale fondamento manifesta. A quel punto, generalmente parlando, questi due elementi si sono sviluppati in due ambiti diversi. Il fondamento dell’essere è diventato l’oggetto della metafisica, della religione e del misticismo; le forme sono diventate l’oggetto delle scienze appena nate. La religione e il misticismo hanno cominciato a sottolineare che il fondamento dell’Essere (o, monoteisticamente, la presenza divina) è misterioso e intrinsecamente inconoscibile. E che la sua esperienza è antitetica alla logica e all’indagine scientifico-sperimentale.
    Dal versante della scienza e del positivismo, del fondamento della consapevolezza e del sapere è rimasto semplicemente il conoscitore individuale, l’io con la sua mente che conosce. Le forme della conoscenza sono divenute oggetti staccati, non direttamente collegati al conoscitore. E il sapere si è trasformato nell’osservazione, da parte dell’io separato, degli oggetti di conoscenza. Come hai detto tu, l’idea si è evoluta grazie a Renato Cartesio, secondo cui le forme esistono in sé e possono essere conosciute per ciò che sono, quando l’io le osserva da lontano e non interferisce in esse con la propria soggettività. Per cui, la conoscenza oggettiva è venuta a significare la conoscenza degli oggetti senza le distorsioni soggettive dell’io o del ricercatore.

    Ebbene, nel Diamond Approach concordiamo su questa definizione della conoscenza oggettiva: essa è la conoscenza libera dalle contaminazioni delle distorsioni soggettive di colui che conosce. Ma non condividiamo l’opinione di Cartesio secondo cui l’oggettività si raggiunge sterilizzando l’esplorazione, rimuovendo il soggetto dal dominio di esplorazione. Innanzitutto, sappiamo dalle nostre conoscenze fondamentali sul sapere che non siamo in grado di separare completamente il soggetto che conosce dall’oggetto conosciuto. Non possiamo, perché il soggetto conoscente non è altro che la ricaduta del dominio della presenza e della consapevolezza in un io conoscente. Sappiamo anche che questi oggetti di conoscenza non sono altro che la reificazione di forme che sorgono in questo dominio, e inseparabili da esso. Per questo, la formula di Cartesio vale solo come approssimazione, e non può essere applicata in modo assoluto. Penso che la teoria quantica ha già scoperto questo limite nella formulazione del principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo cui, semplicemente, non possiamo isolare completamente l’osservatore dai fenomeni osservati.
    La formula di Cartesio ha funzionato come efficace approssimazione, e in quanto tale è ancora utilizzata nella maggior parte delle ricerche scientifiche, perché queste ultime non possono penetrare in quelle regioni dove tale approssimazione decade. In realtà, possiamo dire che la filosofia della scienza di Cartesio era un’approssimazione efficace allo stesso modo in cui la classica teoria della fisica di Newton lo era per le leggi della fisica. Oggi sappiamo che la fisica newtoniana collassa ai due estremi della scala delle misurazioni fisiche, ovvero alla dimensione macroscopica e a quella microscopica, dove è stata sostituita da due teorie più esatte, rispettamene quella generale della relatività e quella quantica.
    L’approssimazione di Cartesio si rivela inadeguata anche quando si tratta di comprendere la consapevolezza, la natura dell’anima e Dio. Il misticismo ha sempre compreso queste cose, e sapeva che la conoscenza autentica delle realtà spirituali può avvenire soltanto grazie all’esperienza diretta, alla conoscenza da parte dell’essere, all’identità tra conoscitore e conosciuto. Ma il misticismo e la maggior parte degli insegnamenti spirituali ritenevano che la logica e la conoscenza razionale erano opposte a tale conoscenza mistica o gnosi, che gli hindu hanno chiamato “jnana” e i tibetani “yeshes”. Quindi, da molto tempo ormai si pensa che la conoscenza spirituale mistica o diretta può solo essere vaga, intuitiva, misteriosa, non-concettuale, incomunicabile e così via. Ciò, secondo me, è dovuto alla stessa divisione: credere che le forme specifiche e precise sono separate dal fondamento dell’essere e della conoscenza, e che prestare attenzione a tali specificità ci allontanerà dall’esperienza mistica.

    Nel Diamond Approach siamo più vicini alle idee degli antichi Greci, come Pitagora, Platone e Plotino, secondo i quali il fondamento dell’essere, il nous, è il fondamento delle idee platoniche, delle varie forme di manifestazione. In altre parole, riteniamo che la conoscenza mistica diretta e la conoscenza precisa delle forme specifiche possono essere unite, perché in origine erano una cosa sola, non-duale. Questo vuol dire che possiamo avere una conoscenza mistica (cioè la conoscenza da parte dell’identità) precisa, chiara, specifica e dettagliata.
    Ciò ha due conseguenze che forniscono la risposta alla tua domanda. La prima: è possibile una conoscenza scientifica di tipo diretto; ovvero, una gnosi precisa e dettagliata di forme di manifestazione. In essa non esiste divisione, e quindi siamo al di fuori dell’approssimazione di Cartesio. Di fatto, poiché non ci basiamo sull’approssimazione, ma sulla realtà, la nostra conoscenza può essere totalmente precisa e chiara. Essa è in grado di penetrare regioni inaccessibili al tipo di indagine fondato sull’approssimazione cartesiana. Tutto ciò è necessario per comprendere la consapevolezza, l’esistenza, l’anima, Dio, lo spirito e così via. È come per le dimensioni microscopica e macroscopica delle misurazioni scientifiche, ma nel campo della psicologia e della metafisica.
    E che dire dell’oggettività? Come possiamo essere sicuri della sua esistenza o del fatto che le nostre distorsioni soggettive non alterano questa conoscenza?
    Penso che la tesi di molti insegnamenti spirituali secondo cui l’esperienza mistica è antitetica alla mente e alla ragione espone tale esperienza alle distorsioni soggettive. E questa è stata la critica degli scienziati e dei filosofi della scienza a tale tipo di esperienza. Comunque, ricorrere all’approssimazione di Cartesio non è di aiuto, perché essa ci allontana dall’elemento mistico, quello dell’esperienza diretta o della conoscenza da parte dell’essere.
    Ma esiste un’altra via, quella che il Diamond Approach adotta in modo molto efficace: includere nella nostra esplorazione non solo ciò che sperimentiamo o conosciamo, ma anche lo stesso polo soggettivo. Includiamo l’osservazione del soggetto conoscente, l’io, nell’esplorazione sullo spirito, Dio o come preferisci chiamarlo. La nostra esplorazione non è mai rivolta soltanto a ciò che sperimentiamo, ma anche ai nostri atteggiamenti e reazioni alla nostra esperienza. In tal modo, diventiamo consapevoli delle nostre distorsioni soggettive e del modo in cui influenzano la nostra esperienza. Guardando al di là di queste distorsioni soggettive, la nostra conoscenza di ciò che sta succedendo diventa gradualmente più oggettiva.
    A mano a mano che scorgiamo i nostri pregiudizi, convinzioni, desideri, punti di vista e così via, essi cominciano a dissolversi, soprattutto perché la nostra esplorazione è guidata dall’amore per la verità fine a se stessa. Dal momento che vogliamo davvero conoscere ciò che sta succedendo, desideriamo abbandonare le nostre distorsioni, perché siamo in grado di vedere subito come esse oscurano la verità che amiamo. Quando la nostra conoscenza si fa più profonda, la nostra obiettività si espande.
    Via via che le distorsioni soggettive vengono scorte e abbandonate, la nostra obiettività si espande. Questo è un processo che continua per tutto il cammino dell’esplorazione dell’esperienza, dove la verità di quest’ultima si manifesta gradualmente man mano che le nostre distorsioni vengono portate alla luce e abbandonate.

    Esistono diversi gradi di oggettività, ognuno dei quali è oggettivo all’interno della cornice soggettiva con cui lavoriamo. In altre parole, se usiamo la cornice secondo cui nel mondo ordinario siamo individui separati, la verità oggettiva sarà diversa da quella che vedremo all’interno di una cornice sprovvista di tale assunto sull’individualità separata. Di nuovo, oggettività ha un significato diverso se consideriamo l’esistenza e la non-esistenza due opposti antitetici o due realtà inseparabili e coemergenti.
    …………………………………………………

    Sempre da Almaas, dal libro “The point of existence” (mi scuso per chi non sa l’inglese) The view that spiritual experience “can’t be described” was made commonly popular in rather naive spiritual circles, such as those interested in Zen in the 1960s. Zen masters were interested in the direct and immediate experience of self-realization, and not in describing it conceptually. Their particular method is to precipitate the experience by the transcendence of all conceptualization. And since discrimination, for the conventional dimension of the self, is bound to bring up concepts from personal history, their methods did not use nor emphasize, but actively avoided and shunned, the conceptualization of experience. This does not mean that the experience of self-realization is not capable of discrimination, as the study of many of the authoritative spiritual texts of the major spiritual teachings, like those of Tibetan Buddhism, the various Hindu yogas, Sufism, the Kabala, and so on, will testify.

  4. IVO: Sempre da Almaas, dal libro “The point of existence” (mi scuso per chi non sa l’inglese) The view that spiritual experience “can’t be described” ..

    anzichè scusarti potresti tradurre…. :P

  5. Bipo

    Ci provo io, anche se un po’ liberamente (in termini di modalità di traduzione, ovviamente), ché magari Ivo mi offre un lavoro come traduttore.

    L’opinione che l’esperienza spirituale “non può essere descritta” fu resa diffusamente popolare da certi circoli spirituali piuttosto semplicistici, come alcuni interessati allo Zen durante gli anni 60. I maestri Zen erano interessati nell’esperienza diretta ed immediata dell’auto-realizzazione, e non nel descriverla concettualmente (*). Il loro metodo particolare consiste nell’accelerare l’esperienza per mezzo della trascendenza di qualsiasi concettualizzazione. E dato che la discriminazione, per la dimensione convenzionale del sé, si limita ad avere a che fare con concetti tratti dalla storia personale, i loro metodi non usavano né enfatizzavano, ma attivamente evitavano ed eliminavano, la concettualizzazione dell’esperienza. Ciò non significa che non si possa discriminare l’esperienza di auto-realizzazione, come testimonierà lo studio di molti autorevoli testi dei maggiori insegnamenti spirituali, come quelli del Buddismo Tibetano, i vari yoga Hindu, il Sufismo, la Kabala e così via.

    (*) Nota di Bipo: vedasi come esempio concreto l’ostinazione di Sak ad evitare qualunque affermazione e descrizione della propria auto-realizzazione.

  6. Bipo

    Caro Ivo, io ho una domanda, che non voglio spiegare più di tanto anche se sa di giudizio. Davvero mi sembra che mi esca da qualche posto profondo, forse mentale istintuale, beh proprio non lo, ma comunque la domanda c’è ed è la seguente:

    Perché Madhukar?

  7. La questione della trasmissione dell’Esperienza e dell’affidabilità degli insegnanti pare questione troppo seria per essere lasciata ai Buddha in sedicesimo e ai loro fondi di commercio new age.

    L’approccio di Almaas, citato da Ivo, sembra sintetizzare, per così dire, tradizioni “metafisiche” orientali e psicologia occidentale, proponendo un metodo quasi alla monsieur Gurdjeff, molto ben articolato e altamente differenziato.

    D’altra parte, resta vero che nella nostra cultura esiste una resistenza di fondo, di cui tener conto nella trasmissione: ” Il rifiuto di una potenza antropologica avvertita – come notava lo psicoanalista Elvio Fachinelli – come incompatibile e dissolvitrice.”

    Il risveglio, chiamiamola esperienza mistica ( sebbene quella mistica sia solo una delle sue forme ), è avvertita come una delle cose più pericolose del mondo. “Per chi non può reggerla – avvertiva Alan Watts negli anni Sessanta, ma forse si riferiva all’acido – è come fargli passare 1.000.000 di volt attraverso il rasoio elettrico”.

    Nel corto circuito vengono coinvolti strati percettivi, cognitivi, emotivi molto sottili, percepiti perlopiù come un’area di frontiera, “pericolosa dal punto di vista dell’affermazione di un io personale – di tipo cartesiano, aggiungerei – ben differenziato”.

    Proprio per questo gli strati sottili sono stati per così dire messi da parte nel corso dell’evoluzione dell’uomo cosiddetto civilizzato.

    Sarebbe però ingiusto irridere un tale accantonamento, in quanto si tratta di una necessità per la maggior parte degli uomini e delle donne che crediamo d’essere. Per Elvio Fachinelli, l’autore, fra l’altro, della “Mente estatica”, risultavano insopportabili, negli anni Ottanta, ma forse potrebbe essere vero ancora oggi, ” sia i sostenitori o deprecatori, il che è lo stesso, della civiltà della tecnica, come gli apologeti della saggezza orientale.”

    Sia agli “occidentali” che agli orientali puri, “sfugge quel movimento molecolare che è in atto, e che lentamente cambia il ‘nostro’ paesaggio umano.”

    Può darsi che l’estasi sia girato l’angolo. La non-dualità, niente di speciale. Santa, invece, la mente che la coglie. Ma l’illuminazione – dove non fondata su una corretta relazione con se stessi e l’insegnante, e non vivificata da uno spirito di ripresa – potrebbe “illuminare” di una luce troppo cruda i nostri continui travestimenti multipli in un giro senza fine.
    Un giro, naturalmente, tra illuminazione “e” abbaglio.:-)

  8. doghen

    Bene.
    Data la natura sfuggente dell’illuminazione direi che possiamo soprassedere dal volerla acchiappare (alcuni dicono che bisogna lasciare la presa !!!).
    Poi ognuno se la vedrà con questo argomento nei modi e nei tempi suoi. Diceva un maestro zen ” Una cosa certa della nostra vita è che non possiamo scambiare neanche una scurreggia con un altro”. Insomma, nonostante il linguaggio restiamo dei perfetti sconosciuti.
    E nonstante il linguaggio “il tao di cui si può parlare non è il vero tao”.
    Forse, però, si può parlare delle “ricadute” dell’illuminzione. Cioè, c’è un “effetto illuminazione” nel quotidiano?
    Visto che Atisha ha così amabilmente descritto un processo d’illuminazione, chiederei a lei : ci sono delle ricadute? C’è un messaggio per il mondo? C’è un messaggio per noi? Qualcosa da dire all’umanità? C’è un meglio e un peggio? Insomma ci sono delle ricadute sociali, culturali, economiche, ideologiche, politiche, ecc?

  9. doghen

    Vorrei anche dire che ci sono tropi illuminati!!
    Nella mia zona ci sono due tipi che vendono intensivi di 5 giorni per il “risveglio”!!
    E’ una specie di multilevel marketing. C’è uno che si illumina, che riconosce un altro, i quali riconoscono altri, ecc….una catena di sant’antonio, insomma.
    Non ho capito chi è l’illuminato capo, ma mi pare uno di quelli che girano l’europa in eterna tournee. Uno di quelli del libro “Che cos’è l’illuminazione” della Macro Edizioni.
    Operazioni di svilimento, crollo di valori, semplificazione eccessiva?
    Ecco che mi dedico allo za-zen SENZA ASPETTATIVE…..almeno loro hanno 1500 anni di tradizione…..oggi come oggi la tradizione è una garanzia, la modernità, il nuovo è bullshit.
    Proprio oggi riflettevo…..fino ai 20 anni siamo affascinati da ciò che è “nuovo”, ciò che è nuovo è “buono”.
    Con il passare degli anni si apprezzano le cose stagionate….

  10. Bipo

    Gianni, cosa intendi con “Buddha in sedicesimo”? Questa proprio non l’ho capita, oppure fai riferimento a qualche dotta citazione che mi manca…

  11. Bipo

    Quando credevo di essere un illuminato, avevo pensato questa frase:

    l’illuminazione è una balla colossale inventata da coloro che l’hanno hanno sperimentato che essa è realmente possibile.

  12. Sakshin

    Anche se in trentadueisimo, Buddha sempre siamo.
    Un Buddha può essere esteriormente un’orchidea o un fiorellino di campo, ma fiore sempre è. L’essenza è la stessa.

    E’ nella forma che molti si cercano e si perdono.
    Soprattutto gli intellettuali.

    Namastè a tutti! ;-)

  13. Bipo

    Fatemela riscrivere, va’, sapete che sono un perfezionista…

    L’illuminazione è una balla colossale inventata da coloro che hanno sperimentato che essa è realmente possibile.

  14. Sakshin

    Bipo:
    L’illuminazione è una balla colossale inventata da coloro che hanno sperimentato che essa è realmente possibile.

    °°°
    Direi invece:
    La ricerca dell’illuminazione è un bolla colossale che scoppia quando realizzi che sei sempre stato illuminato… ah ah ah!

  15. Bipo, perché Madhukar? Ho ricevuto qualche mese addietro una proposta da qualcuno del suo giro per questa pubblicazione. Perché no? Non l’ho mai incontrato personalmente e anche ho avuto poche informazioni dirette, qualcuna “di rimbalzo”. Mi sembrava interessante presentare un rappresentante di quello che a volte viene chiamato come neo-advaita. Pur tra tutte le controversie è un fenomeno importante di questi tempi, su cui personalmente non ho elaborato un parere ben definito. Come Innernet ho voluto presentare anche questo “percorso di consapevolezza”. Tutto qui. Grazie per la traduzione, ma per il lavoro come traduttore… mi dispiace ma il budget per Innernet è finito da taaaaanto tempo.

    Ed ecco che mi sono beccato un’altra bacchettata da Atisha… come diceva Tosh San, maestro Zen del 12esimo secolo, “Mica tutto si può sempre tradurre, chi si accontenta gode e se le parole sono un ostacolo, che siano in inglese o turco poco cambia” :-)

  16. doghen: Visto che Atisha ha così amabilmente descritto un processo d’illuminazione, chiederei a lei : ci sono delle ricadute? C’è un messaggio per il mondo? C’è un messaggio per noi? Qualcosa da dire all’umanità? C’è un meglio e un peggio? Insomma ci sono delle ricadute sociali, culturali, economiche, ideologiche, politiche, ecc?

    atisha: atisha ha descritto ciò che conosce come processo individuale.. poi se altri ne riconoscono i passaggi o ne aggiungono di altri, va tutto bene…
    quanto a ciò che chiedi, caro doghen (sento una vena ironica, per cui ti risponderò nello stesso modo), parlavi di “ricadute”?
    beh mi par ovvio che le prime ricadute avvengano sulla propria testa, ricadute benefiche, cambiamenti mentali, pacatezze e altro che iniziano a manifestarsi nel piccolo mondo intorno… procurando senso di rilassatezza intorno e capacità di discernimento che certamente prima mancava..
    Messaggio per il mondo? beh.. è quello che si fa tra, sopra e sotto le righe, quello ridicolizzato di continuo, per intenderci…. nel continuo battibecco, che mai però si svilisce…. direi che il messaggio è Silente.. dev’essere captato e non urlato sulla piazza..
    Poi da ciò che ho visto ogni “realizzato” è un metodo a sè.. è un mistero vivente che completa la propria conseguenza d’illuminazione…
    Le ricadute sul sociale e sulla massa, sono secondo me parimerito al numerodi risvegliati.. solo che c’è troppa “premura” in giro e spesso questi risvegliati, come ho già espresso, anzichè starsene un po’ con noi nei forum a scambiare energie e considerazioni, se ne vanno in giro ad aprir mercati di tutti i generi.. compresi quelli dell’illuminaizone “passaparola” (vedi Diksha che mi pare tu hai già nominato).. ma è un mio appunto.. perchè se tale movimento si espande avrà in sè il suo perchè da un punto di vista più alto…. :))) tutto fa e tutto serve…
    Nel Ristorante del “Buon Sorriso” c’è bisogno di tanti individui.. del lavapavimenti, del lavacessi costante, del cameriere di sala, dello chef, del sottocuoco, del servitore, del cassiere… e del direttore celato..
    e tutti insieme soddisfano un numero sempre più crescente di clientela…
    ti ha soddisfatto la risposta?

    ………………….

    Grazie della traduzione Bipo… :-)

  17. James

    AHAHAH! AVETE FATTO QUESTA FINE DI MERDA! ERAVATE UN SITO “PROFESSIONALE” (SI FA PER DIRE) E ADESSO VI SIETE RIDOTTI A UN BLOGGHETTO DA QUATTRO SOLDI. MA DEL RESTO E’ MEGLIO COSI’: FATE ONORE ALLE CAZZATE CHE DITE!
    AHAHAHAH!!!!!!!!!!!!!

  18. ivo: come diceva Tosh San, maestro Zen del 12esimo secolo, “Mica tutto si può sempre tradurre, chi si accontenta gode e se le parole sono un ostacolo, che siano in inglese o turco poco cambia”

    ati: ad Ati Sha matriarca Zen del 19esimo secolo venne posta una domanda da un pellegrino: “sono tanto assetato, ho bisogno del tuo aiuto.. ”
    la matriarca rispose: “hai già bevuto del mio miglior vino, come fai a dire che non ti sei neanche bagnato le labbra?”

    ;-)

  19. Sakshin

    Caro Ivo, lo dico scherzando: almeno per questo ci dovresti ringraziare. Noi mattacchioni dell’illuminazione ti stiamo portando il numero di commenti per un post a livelli da record. eh eh eh!
    Non trovi?

  20. Naa naa Sakshin, più aumentano sti commenti più rallenta il tutto. Ho messo ora per gioco il badge con il numero totale dei commenti. Siamo a 1660, tra un po’ ci avviciniamo alle date dell’era moderna. Anzi facciamo così, metto un nuovo articolo giusto per continuare i commenti. Visto che non si riesce a rallentare il ritmo… perlomeno che non rallenti il server.