Innernet: Journey into Awareness
and Anima Mundi

11
Jun
2010
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La Quarta Via nel XXI secolo: una testimonianza

Girard HavenCon 1500 membri e 60 centri sparsi in tutto il mondo, la Fellowship of Friends è attualmente la più grande scuola esistente ispirata agli insegnamenti della Quarta Via (introdotti in Occidente da George Gurdjieff e Peter Ouspensky).

In Italia, è stato pubblicato da Ubaldini il libro del suo fondatore Robert Earl Burton, “Il ricordo di sé”, che a tutt’oggi è l’unico testo dedicato interamente a questa tecnica. La sede della Fellowship è Apollo, in California. Qui vive Girard Haven, il “numero due” dell’organizzazione, oltre che un prolifico autore di libri sulla Quarta Via (sei volumi pubblicati in inglese sull’argomento, disponibili in Amazon), che noi abbiamo intervistato per Innernet.

Vedo che la scuola di cui fai parte ha diversi siti, chiamati “Presenza vivente”, “Essere presenti”, “La via verso la presenza”, “La presenza” (www.livingpresence.com, www.beingpresent.org, www.pathwaytopresence.org, www.la-presenza.it). Puoi spiegare, per favore, cosa vuol dire essere presenti, e perché una persona normale dovrebbe cercare di essere presente?

Essere presenti è l’arte di focalizzare la propria attenzione sul momento presente. Vuol dire essere consapevoli di ciò che si sta facendo, perché e dove lo si sta facendo, i suoi possibili effetti sugli altri e i propri vari scopi, e il suo rapporto con le forze superiori.

Quindi, è possibile pensare al passato o al futuro, o immaginare soluzioni a un problema, restando presenti, ma solo se si riesce a mantenere un’intensa consapevolezza di ciò che si sta facendo e del perché. Senza una tale intensa consapevolezza di se stessi nel momento, la nostra vita ci scivola sopra come un sogno, ed è semplicemente meglio essere svegli che addormentati.

Altre tradizioni spirituali, come il buddhismo e il sufismo, parlano dell’importanza di essere presenti. Cosa distingue la Quarta Via da queste altre tradizioni?

Se le comprendiamo nel modo giusto, tutte le tradizioni spirituali parlano dell’importanza della presenza come ponte tra l’umano e il divino. Le differenze stanno nei metodi e le tecniche usati per sviluppare la presenza. La Quarta Via, e in particolare la Fellowship of Friends, impiega metodi particolarmente adatti all’epoca contemporanea. Read More

31
May
2010
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Tecnologia spirituale

Quando stava per laurearsi in fisica e matematica a Berkley, in California, dove si è trasferito all’età di 18 anni dal Kuwait, si è reso conto che quegli studi non avrebbero potuto soddisfare la sua sete di conoscenza.

Si è invece laureato in psicologia ha esplorato molti altri insegnamenti cominciando ad avere esperienze spirituali profonde.

Oggi Hameed Ali, meglio conosciuto col nome di  Almaas con cui ha firmato dodici libri pubblicati in tutto il mondo, ha 62 anni. La scuola che ha fondato nel 1976 a Berkley, Ridhwan School, coniuga moderne conoscenze psicologiche con antichi cammini spirituali e organizza corsi negli Stati Uniti e in Europa, da pochissimo anche in Italia.

“La psicologia occidentale – ci spiega – si è sviluppata principalmente ignorando la dimensione spirituale, d’altro canto la tradizione spirituale tende a non considerare la vita della mente e come questa possa ostacolare i percorsi dell’anima. Il risultato è che abbiamo conoscenze psicologiche che falliscono nel liberare i nostri cuori e conoscenze spirituali che raramente penetrano le barriere psicologiche.”

Il metodo insegnato si chiama “approccio del diamante” perché prende in considerazione l’essere umano in tutte le sue sfaccettature ed esplora le potenzialità e le qualità nascoste pronte a rivelarsi una volta liberati dai molti “affari irrisolti”. Read More

12
May
2010
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Come trovare un genuino maestro spirituale?

due loto.jpgPochi argomenti nel campo della spiritualità contemporanea suscitano tante difficoltà, controversie e discussioni come il ruolo dell’insegnante spirituale. Grazie a carismatici ciarlatani che scorrazzano nel mondo spirituale, entrando in tutte le case attraverso i periodici a larga tiratura e gli spettacoli televisivi, termini come “guru” e insegnante spirituale sono entrati nel nostro vocabolario di tutti i giorni.

Tuttavia, nonostante le campagne pubblicitarie New Age, restiamo avvolti nella confusione e nell’ignoranza per tutto quello che riguarda il valore e la funzione dell’insegnante spirituale. Mentre prima, giustamente, affrontavamo l’argomento dei maestri spirituali con la dovuta cautela, oggi tutti pensano di sapere che cos’è un guru o un maestro spirituale, e come relazionarsi a lui o lei.

La varietà dei cosiddetti maestri spirituali è grande. A un estremo abbiamo individui capaci di guadagnare 50.000 dollari per un fine settimana in cui insegnano alle coppie pratiche sessuali tantriche vecchie di quattromila anni (Asra Nomani, Naked Ambition, “The Wall Street Journal”, 7 dicembre 1998); dall’altro, grandi maestri e leader spirituali di indiscutibile onestà come il Karmapa, il Dalai Lama e santi orientali e occidentali meno conosciuti.

Ma i ricercatori spirituali alle prime armi etichettano tutti come “guru” e nutrono per essi un’adorazione infantile o un grande scetticismo. Tali giudizi derivano per lo più da informazioni molto superficiali raccolte nell’ambiente sociale, nei media o in chiesa.

Uno dei nostri principali compiti di ricercatori spirituali è imparare l’esercizio della discriminazione. Potremmo pensare che il nostro primo compito sia svuotare la mente, rilassarci nella beatitudine onnipresente e prendere dimora nel Sé autentico, ma se affrontiamo il cammino spirituale con serietà, comprendiamo presto di avere altre priorità. Arrancando nelle paludi dell’ego, una delle qualità più preziose è imparare a distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è.

Prima di imparare a discriminare tra un insegnante falso e uno autentico, è necessario sapere cosa vogliamo da un insegnante. Se vogliamo imparare a rilassare la mente o a migliorare la relazione con il coniuge o i figli, probabilmente qualsiasi psicoterapeuta spirituale andrà bene.

Se vogliamo percorrere un cammino tradizionale con un certo grado di rigore e serietà, avremo bisogno di una guida o un insegnante di buona preparazione e onestà. Se quello che vogliamo è realizzare il nostro potenziale più elevato di esseri umani, allora non dobbiamo trovare solo un insegnante: dobbiamo trovare qualcuno che sappiamo (ai limiti delle nostre possibilità) essere capace e disponibile ad aiutarci in questo scopo. Read More

28
Apr
2010
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Sono un maestro tantrico

barry long.gif“Si può dire che sono stato istruito dal principio divino della donna. Esso mi ha guidato, mi ha crocefisso e certamente mi ha amato. Io sono un prodotto di quell’amore, così come lo è il mio insegnamento.”

“Sto bene e mi farebbe piacere passare un po’ di tempo con te a settembre, se mi fai sapere la data al più presto. Potremmo lasciare da parte l’Assoluto e parlare dell’amore tra uomo e donna, che sembra così problematico?” Questo mi ha scritto Barry Long la scorsa estate…

Sarebbe stato il mio secondo incontro con Barry Long, insegnante spirituale e maestro tantrico per sua stessa definizione, che vive sulla costa nord del New South Wales,in Australia, con Sara, “la sola donna con cui ora [nel 1998, al tempo dell’intervista ndt] fa l’amore”.

Avevo sentito parlare di Barry Long in modo intermittente negli ultimi dieci anni, ma l’ho incontrato per la prima volta un anno fa, nella sua casa di campagna di Byron Bay, dove mi trovavo per insegnare. Il nostro primo incontro, cordiale e rispettoso, era stato voluto da me, visto che da molto tempo avevo la curiosità di conoscere questo enigmatico insegnante.

Ogni volta che due insegnanti si incontrano, c’è sempre un’atmosfera di grande attenzione, perché entrambi si esaminano a vicenda con lo scopo di accertare l’autenticità dell’altro. In questo incontro, non c’è mai stato un momento di scortesia o anche solo un accenno di competizione.

Da parte di quest’uomo, il cui insegnamento era ovviamente molto diverso dal mio, ho sentito solo rispetto e una tenerezza profonda, segno di una persona il cui cuore era stato toccato in modo definitivo da qualcosa di infinitamente più grande di lui. Nel nostro primo incontro, abbiamo passato la maggior parte del tempo a cercare di conoscerci, parlando solo in generale dei nostri diversi approcci al più delicato dei compiti: avere il coraggio di insegnare agli altri il mistero della liberazione. Sapevo che, nell’insegnamento di Barry, la pratica spirituale principale era “fare l’amore correttamente”, il che costituiva l’approccio unico ed estremamente originale di Barry all’antica via tantrica “della mano sinistra”. Read More

17
Apr
2010
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La scienza della consapevolezza collettiva

universo.jpgOggi che sempre più persone parlano di consapevolezza collettiva, viene naturale chiedersi: “Esiste una ricerca scientifica a sostegno di tale idea?”. La risposta sembra, ogni giorno di più, sì.

Ormai molte ricerche sostengono non solo che tra gli esseri umani esiste un campo di consapevolezza e intelligenza, ma anche che attraverso di esso ci influenziamo reciprocamente.

Come lo Spock di Star Trek creato da Gene Roddenberry, che poteva entrare nella mente degli altri, oggi molti di noi si accorgono di poter intuire i pensieri e le emozioni degli altri, arrivando a pensare e creare insieme senza comunicare attraverso i cinque sensi. L’esistenza di una consapevolezza collettiva diventa più evidente analizzando la nostra capacità di percepire e lavorare con il “campo energetico” emotivo, mentale, spirituale degli altri.

Già da molto tempo la scienza ha ammesso l’esistenza dei campi gravitazionali, elettrici e magnetici; oggi, ricerche importanti nella scienza di frontiera conosciuta come parapsicologia, o studio dei fenomeni psichici (“psi”), mostra come possono esistere anche altri tipi di campi, inclusi i campi del pensiero.

Un fenomeno psi fondamentale è la percezione o influsso extrasensoriale, forse reso possibile dall’apparente capacità della consapevolezza di operare al di là dei limiti dello spazio e del tempo. Esempi di ciò sono, tra gli altri, la telepatia e la vista remota. L’esistenza dello psi (o della “tele-prensione”, come la chiama Ken Wilber) è stata convincentemente dimostrata da numerosi studi scientifici condotti da Marilyn Schlitz, Dean Radin e altri. Read More

3
Apr
2010
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La via dello Zen di Alan Watts

Alan Watts.La via dello zen.jpgAlan Watts usa, come un maestro Zen, le parole come forma di energia e come un ponte verso il silenzio della mente. “La Via dello Zen” ha divulgato lo Zen in occidente ispirando intere generazioni di giovani verso la ricerca interiore.

Pare che “Zen” sia diventata una parola che fa tendenza. Nomi di aziende e marchi registrati con la parola Zen al suo interno si sprecano, per non parlare della produzione libraria degli ultimi anni, dove lo Zen è stato associato ad ogni attività umana, dal fare carriera all’essere genitori, dal sesso alla cucina. La nostra cultura ha l’incredibile capacità di omogeneizzare, e quindi di rendere digeribile al mercato, ogni passione ed aspetto dell’animo umano. Le capacità della “società dello spettacolo”, come l’avevano definita i situazionisti alla fine degli anni ’50, non erano ancora così raffinate nel 1957, data della prima edizione americana di La via dello Zen, o nel 1960, anno della traduzione italiana, pubblicata dall’editore Feltrinelli. Zen era ancora una parola oscura all’occidente, ed a portarla alla luce ci pensarono Alan Watts e D.T. Suzuki.

La via dello Zen. WattsErano gli anni in cui in occidente i giovani iniziavano ad esplorare nuovi percorsi filosofici, esistenziali e spirituali. Da lì a poco i primi viaggi in oriente, la psichedelia e la ricerca di un significato alla propria vita al di fuori dei canoni tradizionali. La liberazione dell’individuo e la liberazione della/dalla società. La filosofia dello Zen, con la sua enfasi verso la spontaneità, verso il superamento dei condizionamenti e delle identificazioni sociali, ha potuto dunque innestarsi su un fertile terreno storico. Oggi lo Zen in Occidente, grazie anche ad Alan Watts, è una presenza viva e matura.

La prima parte del libro tratta della storia dello Zen, la seconda parte ne descrive la pratica. Animato dalla passione di esplorare le religioni orientali e i percorsi che conducono all’illuminazione, traccia la via dello Zen dalle primissime radici Indiane e Cinesi, quindi ci conduce verso le influenze Taoiste dello Zen le quali, combinate con il Buddismo indiano Mahayana, portano lo Zen alla fioritura dal dodicesimo secolo in poi nella cultura giapponese.

Lo Zen, come altri percorsi orientali, si trova a proprio agio nel vuoto e nella non-mente, mentre la nostra cultura basata sulla produzione e sull’intrattenimento mentale continuo lo teme più di ogni altra cosa. Se mai si può parlare di metodo (o non-metodo) nello Zen, il termine che più si avvicina è paradosso. Watts ha la sconcertante capacità di esprimere ciò che è molto difficilmente esprimibile a parole. E lo realizza in modo semplice ma rigoroso.

Alan Watts. La via dello Zen
La prima edizione italiana del 1960

Watts spiega la funzione dei koan (domande formulate dal maestro per i praticanti) usando la metafora del “rilassamento muscolare che si basa sull’aumento della tensione dei muscoli in modo da avere una chiara percezione di cosa non si deve fare. In questo senso l’uso del koan iniziale può essere vantaggioso come mezzo per intensificare l’assurdo sforzo della mente di afferrare se stessa”. Con genialità didattica riconduce il satori, spesso circondato da un alone mistico, ad ordinarie esperienze dove “in realtà designa il modo subitaneo e intuitivo di penetrare qualcosa, sia esso ricordare un nome dimenticato o discernere i più profondi principi del buddismo. Si insiste a cercare, ma non si trova. Si rinunzia, e la risposta viene da sé.” Tutti quanti sperimentiamo piccoli e grandi satori nella propria vita e nel percorso che porta all’illuminazione.

Watts usa, come un maestro Zen, le parole come forma di energia e come un ponte verso il silenzio della mente, perché, come scrive, “i filosofi non riconoscono facilmente che v’è un punto dove il pensiero – come la bollitura di un uovo – deve arrestarsi.”

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Alan Watts. La via dello Zen. Feltrinelli, 1996. ISBN: 8807806320

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23
Mar
2010
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Il cervello del Buddha. Dharma e neuroscienze

buddha3.jpgChiunque studi la mente ben presto si imbatte in una fondamentale tensione fra le descrizioni dell’attività cognitiva in prima persona e quelle in terza persona. Da un lato abbiamo un chilo e mezzo di materia grigia che si è sviluppata in cima a una colonna vertebrale post-scimmiesca – una massa di carne di cui si possono tracciare mappe, in cui si possono inserire elettrodi e il cui funzionamento si può modificare chimicamente.

Dall’altro abbiamo il nostro flusso di impressioni, pensieri, sensazioni e ricordi, un flusso di coscienza che può comprendere anche pensieri come “il flusso di coscienza è un’illusione”. Come possiamo integrare questi due mondi? Ha senso tentare di farlo?

Famosi studiosi del cervello come Daniel Dennett e Paul e Patricia Churchland sono riluttanti ad attribuire all’interno della coscienza o dell’esperienza un sostanziale peso esplicativo e ritengono che descrizioni oggettive della coscienza siano di gran lunga più utili per capire come la mente effettivamente funziona. Essi sostengono che, benché la soggettività eserciti un innegabile richiamo intuitivo, la nostra esperienza è inattendibile come fonte di informazioni: è un pantano di illusioni e miti che oscurano la ricerca di una descrizione della realtà.

Al contrario il celebre neuroscienziato Francisco Varela sostiene nel suo libro La via di mezzo della conoscenza. Le scienze cognitive alla prova dell’esperienza, scritto nel 1991 in collaborazione con Evan Thompson ed Eleanor Rosch, che l’esperienza è una componente irriducibile dello studio della mente. “Negare la verità della nostra propria esperienza nello studio scientifico di noi stessi non è solo insoddisfacente, bensì dissolve l’argomento stesso che ci proponiamo di studiare.”

Varela e collaboratori ritengono che, mentre la scienza cognitiva continua a scavare nei fondamenti materiali della conoscenza, è importante che ai modelli che risultano da questo studio faccia da contrappeso una “disciplinata e trasformativa analisi” dell’esperienza stessa: analisi rappresentata, nel loro caso, dalla meditazione e dalla filosofia buddista. Serio studente di Chogyam Trungpa, nonché organizzatore di vari incontri istituzionali fra il Dalai Lama e scienziati occidentali, Varela ritiene che il buddismo possa offrire un raffinato strumento introspettivo che l’Occidente ha finora ignorato. Read More

12
Mar
2010
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Il sesso secondo il buddismo: niente di speciale

coppia tantra statua.jpgHo visto un film di Neil Simon in cui un simpatico vecchietto insegnava al nipote quella che chiamava la “filosofia della battuta di baseball”.

L’espressione scherzosa aveva un fondo di serietà, in quanto naturalmente c’è qualcosa di molto profondo nel riuscire a colpire una palla velocissima. Profondo nel modo in cui può esserlo qualsiasi cosa cui diamo un’attenzione sufficiente.

Per il sesso vale la stessa cosa, almeno per quanto riguarda il pensiero buddista. Fare l’amore non è un argomento importante nei testi buddisti; di fatto, al riguardo non viene detto quasi nulla. Questo è sorprendente, se pensiamo allo spazio riservato all’argomento dalle religioni occidentali. L’ebraismo contiene numerose proibizioni su chi può fare l’amore, con chi, come e quando.

Il cristianesimo aggiunge a tutto ciò le nozioni sui rapporti tra il sesso, l’amore e il matrimonio. Platone e Aristotele hanno scritto opere profonde sull’amore e l’amicizia; in particolare, Platone nel Simposio si è arrischiato a immaginare quello che potrebbe essere il legame tra il desiderio sessuale e l’amore spirituale.

Da questa opera, e dalle riflessioni cristiane sul tipo di amore insegnato da Gesù, si è sviluppato il vasto corpus occidentale di testi sulla filosofia sessuale. Personalmente, ritengo che sull’argomento D. H. Lawrence rappresenti il punto di arrivo più elevato per l’occidente. Le sue opere esplorano la sessualità e ne analizzano il ruolo nel matrimonio con una precisione senza confronti. Invece, nel buddismo non esistono norme generali su nessuno di questi temi. Fare l’amore (secondo l’espressione che ci piace usare) non è in sé un’attività più profonda delle altre. Read More

2
Mar
2010
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Risvegliarsi al presente: intervista a padre Thomas Keating

Padre Thomas Keating è un monaco cistercense del monastero di San Benedetto a Snowmass, nel Colorado. È noto per essere un fautore della preghiera “di centratura”, una pratica individuale di silenzio contemplativo attraverso l’uso di una parola sacra (come “Dio”, “Gesù”, “pace”, “silenzio”, “apertura” o “presenza”) oppure un’immagine sacra (ad esempio, il riposo nelle braccia del Signore). Diversamente dal mantra, la parola o l’immagine non vengono ripetute continuamente, bensì considerate come punto focale al quale fare riferimento quando il consueto clamore dei pensieri diventa troppo insistente.

Padre Keating è anche l’autore di diversi libri, tra i quali Il mistero di Cristo e Invito all’amore. Nella metà degli anni Ottanta gettò le basi del programma Contemplative Outreach, il cui fine era dare informazioni sulla vita contemplativa non solo agli ordini monastici, ma a tutti i cristiani. Ciò veniva offerto attraverso ritiri intensivi della preghiera di centratura a Snowmass e in altri centri regionali affiliati.

Uno di questi centri è Chrysalis House, vicino al villaggio di Warwich, in mezzo alle colline boscose a circa ottanta chilometri a nord-ovest di New York. Proprio lì ha avuto luogo questa intervista, un pomeriggio degli ultimi giorni di ottobre.

Cynthia Bourgeault: Nel libro Il mistero di Cristo parli del fatto che viviamo in due diversi tipi di tempo, quello ordinario e quello eterno. Potresti spiegarci cosa intendi con questa distinzione?

Thomas Keating: Il tempo eterno implica i valori dell’eternità, che trascendono il tempo ordinario, interrompendo il tempo lineare. Al di là del mondo tridimensionale del tempo e dello spazio, c’è la sua fonte originaria, che è sempre presente anche come fondamento di ogni realtà. E i suoi valori comprendono e uniscono l’eternità in un eterno abbraccio. In tal modo, per la persona o il ricercatore che ha interiorizzato questi valori, tutta l’eternità è presente in ogni istante.

Cynthia Bourgeault: Il momento in sé si posiziona all’interno del tempo cronologico?

Thomas Keating: Sì, il tempo cronologico continua a scorrere. In questo contesto potremmo anche immaginarlo come un tempo circolare. Il tempo cronologico è una delle concezioni preferite in occidente, mentre il tempo “circolare”, forse più aderente ai cicli naturali, gode di maggiore considerazione nelle religioni orientali. Ma in ambedue i casi, sia che lo si concepisca come circolare o lineare (e quindi diretto verso un punto finale), il tempo eterno è presente in tutti gli istanti, dal momento che trascende il continuum spazio-temporale. E questo è ciò che rende straordinario ogni momento del tempo ordinario. Read More