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Madhukar, come definirebbe il Suo messaggio in poche parole?

Che ogni persona, indipendentemente delle sue circostanze di vita, è libertà e pace.

È allo stesso tempo anche il messaggio fondamentale di Advaita?

Sì, il messaggio di Advaita è: Tu sei Questo! Essere tutt’uno, Essere qui. Il Questo comprende tutto. Nella nostra cultura e nella tradizione cristiana il Questo viene chiamato Dio, l’intero universo. Nella tradizione dell’Advaita il Questo viene descritto con “Sat-Chit-Ananda”. Si traduce generalmente con esistenza-coscienza-beatitudine. Secondo la mia esperienza, anche la beatitudine è solo un’apparenza di corpo e mente.

La pace è verità assoluta: questo è conoscenza vera. Perciò descriverei il Questo con: esistenza-coscienza-pace. Advaita è una direzione filosofica e la filosofia non può mai spiegare realmente l’Essere o l’esperienza dell’Essere, ma può solamente provare a interpretarlo. La verità assoluta è che la Divinità è già qui. Non viene da fuori, ma esiste in ognuno di noi. Non c’è separazione. Solo Essere. Non esiste dualità. Questa è l’essenza dell’Advaita. La parola del Sanscrito indo-germanico significa letteralmente “non-dualità”.

Lei chiede alle persone che L’ascoltano di indagare sé stessi. Cos’è la sostanza dell’autoindagine? Come la si pratica?

Non esigo niente dalla gente. Ma presuppongo che vengono nelle mie riunioni perchè vogliono sentire la verità assoluta, riconoscere chi sono. Perciò consiglio l’autoindagine. Tra l’altro la parola autoindagine secondo me è più adatta che autoricerca, perché la ricerca secondo la nostra comprensione è legata con attività.

Autoindagine significa due cose: per prima cosa tratta del Sé. Il Sé ha sempre a che fare con me stesso. Il Sé viene definito dalla scienza moderna come concetto per descrivere quello che è la nostra coscienza, la consapevolezza conscia. Gli scienziati, i neurologi e psicologi non sanno con certezza, se si tratta di una coscienza personale o se, in realtà esiste una coscienza assoluta, la quale viene percepita solo tramite l’identificazione del corpo e della mente come coscienza individuale. L’Advaita si riferisce al Sé già da millenni di anni.

In secondo luogo, l’autoindagine ha a che fare con la ricerca della sorgente dell’Essere. L’orientamento su questo non lo vedo come ricerca con la mente, ma più come un risveglio permanente dal nostro sogno quotidiano, il sogno di una realtà apparente: arrivare Qui e raggiungere la verità assoluta. Essere qui. La verità assoluta per me è qualcosa di molto naturale. Nella terminologia dell’Advaita chiamiamo questo Sahaja Samadhi, Essere naturale. E siccome so che ciascuno è Questo, è possibile per ognuno conoscerlo.

Nelle antiche tradizioni di saggezza spesso mettevano condizioni per aprirsi ad una via o per praticare una via di saggezza particolare. Come funziona l’autoindagine? La possono fare tutti? Sono necessarie particolari condizioni fisiche, mentali o morali?

Non è compito mio dire alla gente: “Dovete fare questo o quello e soltanto allora potrete riconoscere chi siete”. Non vorrei appesantire nessuno con condizioni morali o etiche. Ciascuno di noi ha già in base alla sua educazione e cultura certi concetti etici e vive conforme a questi o li contravviene. Qui però non si tratta di morale, ma di riuscire a capire, chi “è” realmente presente. Per questo non c’è bisogno di particolari presupposti.

È sufficiente il desiderio ardente di libertà. Se la libertà esiste veramente, deve essere qui e adesso. Se la verità esiste, deve essere qui e adesso. È dimostrato dalla storia che sia uomini non etici, che quelli che erano considerati moralmente superiori, si sono risvegliati, completamente indipendente dalla loro vita precedente.

Se il risveglio li ha resi uomini “migliori” – bene, però questo non è essenziale. Si tratta della conoscenza di se stessi. E questo è possibile, indipendentemente di ogni condizione.

Evidentemente alla maggior parte degli uomini risulta difficile risvegliarsi spontaneamente. Ci sono degli ostacoli. Lei a cosa riconduce che la sola informazione non basta per il risveglio? E secondo Lei cos’è necessario per superare questi ostacoli?

L’ostacolo è l’identificazione con il corpo e la mente. Nel caso di un neonato questa identificazione ancora non c’è. Si potrebbe dire che ci viene insegnata. E più tardi questo insegnamento diventa realtà e gli uomini pensano di essere questa persona, che in realtà non è nient’altro che un collegamento complesso di pensieri e sentimenti.

È utile l’autoindagine con la semplice domanda “Chi sono io?” Erroneamente si pensa che l’autoindagine sia un esercizio per arrivare ad un certo stato o che sia la meta del risveglio. In realtà però è così, che l’autoindagine serve a smascherare gli ostacoli che ci fanno pensare, che non siamo liberi. Inoltre è molto utile il contatto con un risvegliato.

Come si distingue allora la percezione di un risvegliato da una persona normale? Percepisce il mondo che lo circonda in modo diverso?

La differenza è nell’identificazione accennata. Il risvegliato è il Sé. Invece la persona normale si identifica completamente con la sua percezione di corpo e mente, con le sue emozioni e il suo umore. Si potrebbe addirittura dire che è dipendente dai suoi succhi corporei, prigioniera delle reazioni biochimiche del suo cervello. Anche questa persona sorge dal Cuore, però è identificata con il pensiero dell’Io. Invece il risvegliato ha realizzato senza dubbi che è Questo, l’eterno, dove tutto ha luogo. Però, non è che vada per le strade e che mi dica sempre “Sono l’eterno, nel quale tutto succede”, ma l’essere qui è del tutto naturale.
Non c’è una separazione fra l’eterno e le manifestazioni della persona comune.

Come sappiamo, ognuno di noi vede il mondo in modo soggettivo e ciò nonostante partiamo da una realtà fissa, esistente e oggettiva. Anch’io percepisco il mondo con le sue bellezze e le sue sofferenze. Ma la coscienza dell’esistenza propria, del Sé, il quale non è influenzabile, è semplicemente più forte. La verità è di una grande chiarezza e naturalezza.

Il risveglio è un processo o un momento? Può descrivere il prima e il dopo della Sua esperienza?

Finché Lei pensa di essere in un processo, sembra come se fosse parte di questo processo. Tra illusione e verità, tra vita quotidiana e realtà, sonno profondo, sogno, stato di veglia, chi lo percepisce? Nel momento in cui Lei si è risvegliato, si rende conto che è sempre stato sveglio, che non è mai stato altro che questa presenza e che aveva solo orientato la Sua attenzione ad apparenze. Vorrei compararlo con la nostra percezione del sole. Come sappiamo, il sole splende sempre. In caso di una giornata nuvolosa però diciamo: “Il sole non c’è”. Peró il sole c’è sempre. Solo che tra noi e il sole si sono messe delle nuvole.

Quando le nuvole scompaiono, si dice: “Il sole splende”. Così diciamo anche al mattino: “Il sole sorge”. Ma in realtà la sera noi ci giriamo dall’altra parte e al mattino ci rivolgiamo di nuovo verso di esso. Anche quello che viene definito risveglio è sempre stato. In realtà non esiste un risveglio. Se esistesse un risveglio, significherebbe che prima non eravamo risvegliati. In realtà la libertà è sempre qui. Lei si rende conto che nella Sua vita è stato sveglio in molti momenti, però che non ha riconosciuto senza dubbio cos’è la realtà. Nessuno Le ha assicurato: la verità è adesso! Il vero Sé è adesso! Se si risveglia, allora riconoscerà che è sempre stato sveglio. Non esiste nient’altro.

Come ha vissuto questo momento del risveglio? Come una conseguenza dei Suoi sforzi? Oppure a cosa ha collegato il fatto che ad un certo momento si è risvegliato?

Io lo riconduco alla grazia. Gli sforzi sono solo apparenti. Per la persona questi sforzi magari sono stati necessari, ma non per Questo che sono io. Quello che sono non ha bisogno di nessun sforzo. Attraverso la grazia ho seguito il desiderio di libertà, ho seguito la chiamata del mio Maestro. Perché quando ho sentito il suo messaggio per la prima volta, è stato riportata da uno yoghi che parlava negativamente di Papaji, che dava un cattivo giudizio di questo Maestro a me ancora sconosciuto. Non mi sono lasciato influenzare da questa opinione, ma dal messaggio di libertà di Papaji: “Sei già libero, non devi fare niente, non devi meditare, nessun Sadhana , nessun esercizio spirituale è necessario”. Fu come un fulmine. Chiarissimo. Potevo solo dire: “Sì, sì, sì!” Perchè?

Anche io come molti altri, mi ero sforzato, come yoghi mi alzavo presto ogni mattina e facevo i miei esercizi, meditavo, per anni, decenni. Ho riconosciuto che tutto questo mi ha portato delle esperienze meravigliose, alle quali aspirano gli uomini spiritualmente interessati, come illuminazione, esplosioni energetiche, stati trascendentali, esperienze di morte, percezioni extracorporee, quindi varie realtà della coscienza, ecc. Però non mi era stato possibile la cognizione vera e propria di sapere chi sono. Ero stanco di esercitare, di tutta questa pratica, di questa ricerca nella cristianità, nello sciamanismo, nel buddhismo, nel tantra, nella filosofia.

Volevo la libertà. E se veramente Lei aspira alla libertà e sente questo messaggio di libertà, allora è un riconoscere immediato. Di conseguenza ho voluto incontrare subito questo guru. Ho preso il primo treno e ho viaggiato per 42 ore attraverso tutta l’India. Arrivato a Lucknow, mi sono reso conto che non sapevo neanche dove abitasse. Conoscevo solo il suo nome, Papaji, che non era il suo nome di famiglia, ma il titolo di onore “Padre venerando”. Ciò nonostante lo trovai in breve tempo, e al nostro primo incontro cadde da me un grande peso, tutto il passato, tutto quello che avevo imparato, tutta l’esperienza spirituale. Non l’ho considerato subito come il mio Maestro, questo diventò così poco a poco, nel praticare quello che mi consigliava, così tutto avvenne come doveva.

Non si potrebbe dire che i Suoi sforzi anteriori sono stati proficui per il Suo risveglio, così come lo descrivono i metodi yoga tradizionali? Nella sua breve biografia ho potuto leggere che ha avuto delle esperienze Kundalini, e tradizionalmente l’illuminazione è vista come punto d’arrivo di queste esperienze.

Nel percorso Yoga Samadhi è la meta. Esperimentare Samadhi è molto raro e meraviglioso, però si tratta ancora di stati. Ci sono dei yoghi potenti che sanno controllare il loro corpo e la loro mente, però non hanno necessariamente riconosciuto chi sono. Sembra come se gli sforzi o le cosiddette vie spirituali avessero portato al risveglio. Però in realtà è grazia e la presenza del Maestro. È ovvio che la via spirituale per molti è solo un rinvio che li ostacola nel riconoscere quello che è già qui! Le persone si sforzano, ma così la verità viene solo rinviata.

La verità è già qui. Perchè dobbiamo fare esercizi per questo? Perchè? Perchè pensiamo che ci sia un’impurezza nel corpo o nella mente, che questa o quella relazione debba essere ancora chiarita, che questo o quello dell’infanzia o del rapporto genitori-figli debba essere aggiustato, ecc? Fatto è: il Sé non è mai stato toccato da relazioni o esperienze. Il Sé è assolutamente intatto, assolutamente puro. Sempre qui, sempre adesso.

Ci può essere ancora uno sviluppo per la persona quando ha riconosciuto Questo?

Per la persona potrà esserci uno sviluppo, per il Sé no.

Che cosa vuole dire per Lei sviluppo?

Io penso a due saggi che hanno vissuto molto vicino, Sri Ramana Maharshi e Sri Aurobindo. Avevano realizzazioni simili, ma nella loro dottrina, se nel caso di Ramana si può parlare di una dottrina, Ramana ha vissuto il Sé come statico, mentre Aurobindo dopo il Nirvana ha riconosciuto ulteriori livelli di sviluppo della coscienza.

Sri Aurobindo pensa che il divino venga dall’alto, scenda verso livelli di coscienza inferiori e risalga poi di nuovo. Presuppone quindi un processo. La mia cognizione non è così, perché la verità assoluta non conosce questo processo, solo corpo e mente conoscono processi. Sarà servito a Sri Aurobindo e ai suoi praticare questo. È verità assoluta? Verità è che il divino è già qui e non viene da fuori, ma è in ognuno di noi.

La via spirituale viene spesso paragonata con un affinamento della personalità. Avviene un cambiamento nella psiche, nella mente, quando uno si è risvegliato?

Non si può generalizzare. Ci sono delle forme diverse: persone che dopo il loro risveglio si sono ritirate totalmente. Altri hanno trascurato il loro corpo e vissuto come selvaggi. Ramana Maharshi invece si è messo a disposizione 24 ore al giorno per le persone che venivano da lui e ha condotto una vita molto pura. Secondo la mia esperienza, se qualcosa si deve raffinare o cambiare, succede da solo. Specialmente se è ancorato nell’autoindagine.

Il mio Maestro mi diceva: “You don’t need to change anything” (Non devi cambiare niente). Lo sforzo di essere una persona migliore è sicuramente nobile, ma purtroppo non garantisce il risveglio. Esiste un detto di Buddha: “Per riposare nel Sé è più benefico il tempo che una formica richiede per camminare dalla punta alla radice del naso che tre vite piene di buone azioni.” Quindi anche il fondatore del buddismo, per il quale comprensione e buone azioni sono fondamentali, dichiara che il soffermarsi nel Sé è la cosa più importante.

Qual è la sua motivazione per comunicare? Lei comunica attraverso le Sue riunioni o Satsang che hanno una struttura precisa; vorrei quasi dire che sono un rito. Perché proprio in questo modo? Ha preso questo dal suo Maestro? Le sembra efficace?

È efficace! La grande gratitudine che molti mi esprimono per ciò che gli succede, dimostra senza ombra di dubbio: gli incontri sono benefici. Io non ho motivazione. Tutto succede semplicemente. Avvolte dico scherzando: “Io sono uno schiavo del mio Maestro”. Forse posso spiegarlo con il concetto d’onore delle antiche tradizioni di indiani e germani: se una persona ti ha salvato la vita, gli eri obbligato per tutta la vita. Originariamente non avevo il desiderio di vivere ed agire come lo sto facendo adesso.

Quando andai da Sri Poonjaji, avevo solo il desiderio concreto di essere libero. Tutto il resto è capitato da solo. Dopo due anni, Papaji mi ha predetto in un Satsang che molte persone, “tutto il mondo” come diceva lui, sarebbero venute da me. Se ci penso, devo dire che all’epoca mi sembrava irreale – e neanche attraente. Cos’è successo alcuni anni più tardi? Sono stato invitato a tenere Satsang da gente che si sentiva attratta da me, e ho accettato gli inviti. Così si sono sviluppate sempre di più queste tournée annuali di incontri, e migliaia di persone condividono queste riunioni con me. E mi piace così com’è.

Per quanto riguarda la forma del Satsang non vedo nessun motivo di cambiarla. La forma non è così importante. Quello che si rivela nel Satsang, quello che succede, è l’essenziale: meraviglioso e indescrivibile. La forma invece è molto semplice: da una parte il silenzio e dall’altra il dialogo. Il dialogo serve a chiarire domande e dubbi. È bene se le persone chiariscono i loro dubbi. La chiarezza è meravigliosa. La chiarezza è la chiave per il paradiso. Perchè il silenzio è una componente importante delle riunioni? Solo nel silenzio la verità si può rivelare.

Inoltre esprimo all’inizio del Satsang, secondo una tradizione antichissima, il desiderio del Gayatri-mantra: che tutta l’umanità, che tutte le creature trovino la pace. Nonostante che da migliaia di anni vediamo che il mondo non è in pace, continuiamo a desiderarlo. Prima di tutto intono un OM. Questo mantra già mi rallegrava e affascinava quando 25 anni fa venni in India per la prima volta. Secondo la sapienza vedica in questo suono si manifesta l’intero universo.

Nell’attuale cultura giovanile questa lettera, il logo di questo mantra, è molto popolare. Anche il mio Maestro ha cantato l’OM e ha parlato del suo grande effetto. Questo mantra è un suono universale, che suona anche nella religione cristiana in forma di un amen e nel buddismo come aum, nell’islam come amin.

Per il resto la forma del satsang è abbastanza libera. Certe volte può essere molto divertente e abbastanza sciolta e avvolte invece l’atmosfera è più sacra. Si balla con musica leggera, si ride, si piange, dipende. Però: un buon vino gusta meglio bevuto da un bicchiere di cristallo che da un bicchiere di plastica. Anche se la forma non è prioritaria, viene percepita superficialmente per prima. In realtà si tratta di qualcos’altro, cioè della conoscenza di sé stessi in chiarezza e amore.

Lavora consapevolmente con una forma di energia che trasmette alle persone? Lei guarda a lungo negli occhi. Ci sono molti momenti di silenzio. Esiste un impulso consapevole in direzione delle persone per aiutarle? Riconosce se qualcuno si risveglia? Succede consapevolmente qualcosa in Lei?

Noi tutti siamo energie. Se sa questo, non c’è più bisogno di lavoro. Aiuto e grazia scorrono senza interruzione. Non c’è l’illusione che sono io quello che aiuta. Impulsi e riflessioni sono possibili e utili per riconoscere a che “punto” si trova la persona che è davanti a me. Però sono utili per venire incontro individualmente alla persona. In realtà tutto succede da sé. Il silenzio è il mezzo migliore. In questo silenzio tutto succede da sé. Questo amore è senza forma e pure così tangibile.

Il sito di Madhukar è www.madhukar.org

261 Responses to “Essere tutt’uno, vivere con Advaita, intervista con Madhukar”

  1. doghen ha detto:

    Torno nel blog, e trovo questa splendido discorso di Sakshin. Bene, mi dico, si viaggia a livelli molto alti!
    Ora, caro Sakshin, siccome anche tu hai “studiato” spiritualità (credo che ne avrai letta di roba), sai che le parole sono aria.
    Aria molto potente, ma aria.
    Dunque, ti chiedo cortesemente: potresti fare degli esempi pratici in cui hai visto/sperimentato/certificato la Fiducia di cui parli?
    Vorresti, gentilmente, rendere più partecipi i tuoi “compagni di viaggio”?
    Ognuno è libero di esprimere ciò che vuole, ma lanciare sassi nello stagno crea onde…..

  2. (Y)am ha detto:

    Sak: Cambierai solo maschera-nick e lo rifarai, come già visto. Mi sa che sei il più dipendente di tutti da questi giochi vituali.

    (Y)am: Caro Sak ho sempre avuto un solo nick…. di profonda infamia hanno il sapore queste tue parole,
    di lotta sleale.
    Non voglio confronti su questo piano meschino….
    Sapessi quante volte mi sono divertito a vedere che scambiavate qualcuno per me, l’ultima Leyda…che ben altro nome Reale porta…
    Ora magari pensi io sia Doghen, pensavi fossi Sorrydi e cc. ecc….Sak quelli sono i tuoi diavoli, i tuoi fantasmi, quelli che vedrai nell’ora della Tua Morte.
    Amen

    Comunque vedo che sei gia’ ripartito con i sermoni…..
    senza di quelli, cioe’ senza questo continuo ripeterti le cose, non andresti lontano..cosi i tuoi altri compari e compare.

    …Dice la Tradizione:

    L’amore più profondo è l’amore nascosto. La poesia dice: “Alla mia morte dal mio fumo conoscerai il mio amore, mai espresso e tenuto celato nel mio cuore”. Chi esprime il suo amore prima di morire, non ama profondamente. Solo l’amore che rimane celato fino alla morte è infinitamente nobile. Sono convinto che sia sublime amare fino alla morte.

    Ora vado che mi devo alzare alle tre.
    Un abbraccio a tutti, belli e brutti.

  3. eckhart ha detto:

    Dice Yam:Solo l’amore che rimane celato fino alla morte è infinitamente nobile.
    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
    Certo che per uno che per anni ha seminato cattiverie d’ogni genere per i forum..
    suona tutto così ipocritamente ,pateticamente, melodrammatico e commovente..
    Magari ambiva ad essere un bel canto del cigno..

    Praticamente senza parole.
    Spero si concludano qui tali sequele sull’argomento.
    Amen

  4. Gianni De Martino ha detto:

    Ciao. Namastè.

    Scusate se m’intrometto dopo l’ Amen… Non sono io, ke co sto caldo sarei in vacanza al mare “un attimino” fra i pedalò e “quant’altro” :-), ma un vecchio hippie stagionato che vuota il sacco e, a lampade spente, restituisce i gioielli e dice:

    PACE, AMORE & FIORI

    O tu che da giovane piantavi tanti fiori,
    come mai ora vedi crescere tanti carciofoni innerconnessi ?

    Radiosa purezza primordiale e carciofoni sono indivisibili,
    come facce di una stessa medaglia.

    Qui non puoi avere l’una senza gli altri.

    I nobili carciofoni sulla via di una cultura del risveglio
    sono nello stesso tempo spontaneamente presenti
    e primordialmente puri: questa è la natura ultima di carciofoni & fiori.

    Sembrano dotati di esistenza propria,
    ma in realtà non sono molto diversi da un sogno.

    Oh meraviglia! Non è eterna la pace, i fiori non sono sempre freschi,
    e il nostro amore non dura che il tempo di un imperfetto abbraccio !

    Chissà perché gli amori degli altri appaiono sempre ignobili
    e gli innamorati debbono isolarsi !

    Ascolta, citrullino mio:

    L’Amore non è la discoteca o un blog che chiude all’alba:
    Quello che sembrava perso nei tombini è qui –
    celato nel grande abbraccio della vita.

    Qui chi l’angoscia dei contrari ha affranto vien guarito
    dalla brama d’amore di dakini profumate –
    mai più rivolgerà le guance nella polvere.

    Tu pensi che sian vivi, o credi che sian morti ?
    Gli amanti, nell’amore, colgono la gioia
    e smarriscono la strada a se medesimi.

    Guardali, ti prego, con pietà.

    Se potesse mai sapere che valichi montani
    gli amanti hanno varcato per cogliere l’essenza,
    anche il tuo cuore celerebbe la fragile felicità che resta
    nell’amarezza e il miele e l’amen che è nel fondo
    in un suono più intenso del silenzio.:-)

  5. eckhart ha detto:

    Gianni,è vero
    gli amanti sono un Sogno
    e quei fiori c’hai piantato
    -li hai visti?
    son secchi da decenni.
    C’è però l’Amore
    Quel che allaga
    anche i tombini
    e che tiene insieme
    fiori e carciofini
    Quello è l’Abbraccio..
    È Quello che non muore..

    O Tu
    Viandante
    Che da qui passi
    Abbi pietà
    Di chi cerca
    Come Te

    e di chi rimane
    A sorvegliar la Posta.

    Namastè :-)

  6. atisha ha detto:

    contro il logorio della vita moderna…
    …bevete un cynar

    (è il massimo che mi pè venuto come pensiero dopo pasto.. scusate)

    vi sorrido e Amo

  7. paritoshluca ha detto:

    Quand’ero giovane..catturato dalla tranquillità del gioco degli scacchi..mi iscrissi ad un circolo..sperando di aver trovato lo sport educato e soft che andavo cercando per secondare la mia natura contemplativa..
    Ma appena arrivai..venni fatto oggetto di offese e aggressioni..e vidi che mentre i giocatori si scambiavano i pezzi..le loro bocche si scambiavano insulti..sfottò..offese e cattiverie
    Mi allontanai da quel luogo disgustato..
    Dopo aver letto i libri di Osho raggiunsi un “centro”..sperando di aver trovato discepoli del Vero..preoccupati solo della propria Consapevolezza..
    Ma presto vidi che arrivismi..giochi di potere..antipatie ed odi albergavano in quei luoghi..e dopo aver preso il mala fuggii..come un cane dopo aver addentato la bistecca..
    Allora mi misi a vivere da solo..sperando di trovare pace e tranquillità..ma da solo..i mie pugni si levavano contro quei maledetti aerei che mi disturbavano con le loro scie..
    Alla fine ho capito che l’odio e le offese non vanno fuggite..ma sono il nostro terreno di “meditazione”..
    perchè ci aiutano ad abbandonare le illusioni del mondo..e trovare conforto in quella Verità che brilla dentro di noi solo se guardata..
    ma le offese e l’odio ci impediscono di guardarla..
    perchè nei contrasti ci leghiamo agli altri ..al mondo..mentre nella meditazione ci leghiamo a noi stessi..
    Advaita è capire che il negativo ci sarà sempre..come l’odio e le offese…e allora..perchè preoccuparsene..?
    Se qualcosa esiste sempre..potremo prenderci confidenza..
    e più veniamo derisi..e più ci ricordiamo di noi..e più veniamo rispettati..e più ci dimentichiamo..
    Una bella meditazione..!
    Anche qui..prepariamoci a meditare..in mezzo a offese..cattiverie..odii…
    Con una differenza però rispetto al mondo esterno..che qui..l'”identificazione” è vietata.. pena non l’offesa..ma l’essere considerati ..a ragione..dei semplici fessi…

  8. eckhart ha detto:

    Dice Paritosh:
    Anche qui..prepariamoci a meditare..in mezzo a offese..cattiverie..odii…
    Con una differenza però rispetto al mondo esterno..che qui..l'”identificazione” è vietata.. pena non l’offesa..ma l’essere considerati ..a ragione..dei semplici fessi…

    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

    Mah..offesa o fessaggine,… per me poco cambia,son problemi dell’ego:
    sempre d’identificazione di tratta,che non distingue tra i due mondi..virtuali..
    Per la Realtà è comunque tutto ottimo terreno di Lavoro,certo..
    Sia i sorrisi nel condividere,che gli insulti per allenare.
    (E ringrazio sempre il nemico di turno.)

  9. doghen ha detto:

    Paritosh,
    il male proprio non esiste. Tutto si trasforma.
    Prendiamo un gelato. Lo scegli, lo mangi, lo gusti….è buonissimo. E’ veramente il bene incarnato!!. Dopo un ora ti comincia a fare male lo stomaco, ti prendono dei dolori….devi andare al gabinetto! Hai la diarrea! E allora?
    Male e bene sono solo misure momentanee, passaggi necessari…il “male” serve ad individuare il “bene”, e viceversa. Ma ….tutto cambia e i due si trasformano….
    Non si possono cercare cose statiche, non ci sono cose statiche…il Buddha lo dice con “tutto è impermanente”.
    Non bisogna neanche creare queste categorie “illusione” e “satori”, perchè il satori diventa illusione e l’illusione, satori.
    Dobbiamo andare al di là…..delle categorie, dei dualismi….non voler pretendere di afferrare, congelare, cristallizzare il mondo, le cose, le idee…è più saggio lasciare la presa.
    Visto che poi anch’io ho bazzicato un pò nel mondo di Osho, ti dirò…..Osho è indubbiamente un grande. Ci sono delle pagine bellissime, ma….c’è un problema. E’ un problema di identità.
    Il cosiddetto “mondo di Osho” è dispersivo, confuso, oserei dire “mondano”, senza con questo voler giudicare male la mondanità….per carità, anche la mondanità è necessaria, ma…..non ci può essere solo quella!
    Quello che uno non si aspetta dal “mondo della meditazione e della spiritualità” è proprio quello che è necessario! Cioè, uno crede che diventare “spirituali”, voglia dire lasciarsi andare, liberarsi, sentirsi spontanei….magari c’è anche quello, ma la cosa migliore è affrontare l’argomento “spirtualità” come tutte le cose di questo mondo: teoria e pratica. Quindi studiare e praticare. Un Maestro, studio e pratica.
    Tutta la bellezza della spontaneità, del satsang, delle belle parole (come sembrerebbe proporre anche questo Madhukar), la magia di ciò che accade al momento, ecc, dura poco. Dura troppo poco.
    Saluti.

  10. eckhart ha detto:

    Doghen:liberarsi, sentirsi spontanei….magari c’è anche quello, ma la cosa migliore è affrontare l’argomento “spirtualità” come tutte le cose di questo mondo: teoria e pratica.

    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

    Il liberarsi non contraddice la teoria e la pratica.
    L’errore sono le aspettative in queste.
    Liberarsi è liberarsi dall’idea di liberazione.
    Ciò che conta,in fondo,è sempre il “come” non il “cosa”.

  11. Sakshin ha detto:

    Doghen:
    … Un Maestro, studio e pratica.
    ***
    Visto che hai la formula, allora dimmi quale maestro, quale pratica, quale studio e per chi?
    Dato che ti chiami Doghen e forse alludi al Grande Maestro Dogen fondatore dello Zen-Soto il quale parla sempre di pratica zazen… allora ecco Sak – Rinzai che riporta all’Essenza dello Zen, la quale va oltre lo studio e pratica…. alla Comprensione diretta, come nell’Advaita. Questa è la “mia” Via.

    Nella sua essenza lo Zen è l’arte di vedere nella propria natura. Esso indica la via che dalla servitù conduce alla libertà.
    Facendoci attingere direttamente alla fonte della vita, esso ci emancipa dai gioghi sotto i quali noi, quali esseri finiti, di solito soffriamo in questo mondo.
    Può dirsi che lo Zen libera tutte quelle energie naturalmente immagazzinate in ciascuno di noi che nelle circostanze normali sono contratte e deviate, tanto da non trovare un modo adeguato di esplicazione.
    Il nostro essere lo si può paragonare ad una batteria elettrica che racchiude, allo stato latente, un potere misterioso.
    Quando non è portato all’atto in modo conveniente questo potere intristisce, ovvero, alterandosi, va a manifestarsi in forme anormali.
    Ora, lo scopo dello Zen è di preservarci sia dalla follia che da una interna mutilazione.
    Ciò io intendo per libertà: dar libero giuoco a tutti gli impulsi creativi e benefici insiti nel nostro animo.
    In genere, siamo ciechi di fronte al fatto che noi possediamo le facoltà necessarie per essere felici e per amarci gli uni con gli altri.
    Tutte le lotte che vediamo intorno a noi derivano da siffatta ignoranza.
    Perciò lo Zen vuole che in noi un terzo occhio – come i buddhisti lo chiamano – si apra su quella regione insospettata da cui siamo esclusi a causa della nostra ignoranza.
    Quando la nube dell’ignoranza si dissipa, si manifesta l’infinito dei cieli e per la prima volta noi scorgiamo la vera natura dello stesso essere.
    Allora noi conosciamo il significato della vita, comprendiamo che essa non è un cieco tendere, né un mero dispiegamento di forze brute; pur non conoscendone esattamente lo scopo ultimo, sentiamo in essa qualcosa che ci rende infinitamente felici di viverla, che ci fa restare contenti in ogni sviluppo di essa di là da ogni problema e da ogni dubbio pessimistico.
    Finché siamo pieni di attività e non ancora desti alla conoscenza della vita possiamo non sentire la serietà di tutti i conflitti che essa racchiude e che sul momento sembrano essere risolti per essere in uno stato di quiescenza.
    Ma prima o poi verrà il tempo in cui dovremo metterci senz’altro faccia a faccia con la vita e sciogliere i suoi enigmi più incalzanti e preoccupanti. Quel momento è sempre ora!

  12. doghen ha detto:

    Sakshin,
    anche se troviamo la formula della liberazione e ce la diciamo, è inutile.
    Io credo che si tratti di camminare senza fretta ma con coraggio e impegno. Allora quello che deve venire viene. Quello che c’è da affrontare si affronta.
    Attenzione ad andare in giro a declamare la verità o a mostrare i muscoli (spirituali)! Ci prendono per pazzi!
    Ciao :)

  13. eckhart ha detto:

    Doghen:anche se troviamo la formula della liberazione e ce la diciamo, è inutile.
    Io credo che si tratti di camminare senza fretta ma con coraggio e impegno

    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

    Nessuna formula,certo.
    Il coraggio e l’impegno tu dici..
    Non contraddico,ma aggiungo:con l’umiltà del vedere ..
    ..E si sciolgono pure i “muscoli”…
    Ciao :-)

  14. Sakshin ha detto:

    Doghen:
    Attenzione ad andare in giro a declamare la verità o a mostrare i muscoli (spirituali)! Ci prendono per pazzi!
    ***
    Attenzione e consapevolezza, certo… ma nemmeno paura…
    Un pò pazzi lo siamo tutti, noi ricercatori spirituali…
    Ho poi Fiducia nel discernimento di chi ci conosce… in realtà, soprattutto.
    So che non mi prende e non mi ha ma preso nessuno per pazzo, anzi!
    Certe cose non le dico in giro e a vanvera, ma in spazi che presumo aperti… come credo sia anche questo.
    Ciao ;-)

  15. Gianni De Martino ha detto:

    GELATI & NON-DUALITA’

    Un maestro non nichilista e in possesso di tutte le sue facoltà mentali della scuola buddhista vajrayana, il defunto Geshe Rabten Rimpoche, insegnava che la nostra mente ha la radicata predisposizione ad attribuire una natura propria ad ogni fenomeno, circostanza, individuo, io, tu, lui, lei, gruppo, organizzazione, istituzione, linguaggio, eccetera. E che questo condiziona il nostro porci in relazione con noi stessi, con gli altri e con il mondo o il blog – che non viene compreso nella sua dinamicità di rapporti d’interdipendenza in continuo mutamento.

    In questo quadro i rapporti con noi stessi e con gli altri tendono ad arroccarsi dietro concezioni definite sulla base delle caratteristiche fisse e immutabili che attribuiamo a noi stessi e ai fenomeni. A queste condizioni, il flusso di energia della nostra vita viene persa in uno stagno di inautenticità, rivelando così una natura problematica e dolorosa.

    Cogliere un lampo di “non dualità” è facile. Più difficile è imparare a vivere con se stessi e con gli altri. Per liberarsi da un giro senza fine di inautenticità, occorre che qualcuno ci svegli all’immediatezza dell’esperienza esistenziale. A metterci “in crisi” può essere un avvenimento imprevisto. L’incontro con gli insegnamenti che la vita ci riserva, per esempio, così come l’incontro con un maestro autentico. In entrambi i casi, l’incontro comporta sempre un trauma.

    La critica, quando non è un mero gioco intellettuale, non pare qualcosa di inutile, da buttare… E’ un’attività orientata verso la scoperta della verità, che in genere non si dà mai d’un sol colpo, ma “affiora” attraverso prove ed errori, riscontri; e si giova del rapporto sincero con l’altro e di un dialogo in cui si pongono vere domande alla ricerca di vere risposte tra “crisi” e giudizio.

    L’accordo, la concordia, la pace tra le persone avviene attraverso il comune riconoscimento di un significato. La critica orientata verso una verità significativa e condivisibile si svolge quindi fra “crisi” e “giudizio”.

    L’essenziale si dà in una relazione, con il maestro e con gli altri, e consiste nella trasmissione di ciò che è utile al mondo: diminuire l’attaccamento all’io e al mio, aprirsi alla gioia condivisa in un reale più largo e accogliente per tutti. Insomma, vogliamo dire l’Amore ?

    Per arrivare al modo “non-duale” di esistenza delle cose non occorre impazzire al punto da negare il mondo convenzionale. Comprendere l’identità della “natura ultima” dei fenomeni e dell’esistenza empirica è di grande importanza, perché il rischio psicologico, a questo punto, è di credere che tutto sia uguale a tutto e che male e bene non esistano affatto. Ma il mondo convenzionale esiste, sia pure relativamente, e non c’è nessun altro mondo se non quello momentaneamente stabile di cui facciamo esperienza ad ogni istante, ogni giorno – in vista di una crescita spirituale.

    Questa situazione non è eterna, anche se appare stabile. E’ quindi importante non sprecare il tempo. In sintesi, si potrebbe dire che la pratica consiste nell’essere sinceri con se stessi e leali con gli altri – fino a cogliere e condividere con gli altri l’essenza dell’esperienza della vita – non tanto la felicità, la fragile felicità, che è termine astratto, ma la gioia.

    Profondamente sepolta nel nostro sistema nervoso e nell’ “anima”, la gioia affiora come l’ essenza dell’esperienza. Le si danno molti nomi. Ananda, per esempio, o anche sukkha. Padre Theillard de Chardin la chiamava ” Cristo nella materia”, eccetera… Gli aspetti dell’essere sono molteplici, così come le relazioni di causa-effetto fra le cose e fra le azioni delle creature che costituiscono l’esperienza della vita. Viene anche detto che chi giunge a una comprensione intuitiva e fuori linguaggio, ma non mortifera, della non-dualità – che non è niente di speciale o di sacro – compie le proprie azioni con grande scrupolo e assennatezza per non macchiarsi del più piccolo errore relativo alla propria etica.

    Mentire, per esempio, oppure rubare, uccidere oppure disturbare la mente degli altri rubando la ragazza o il ragazzo a qualcuno, sono “errori” che non solo non rafforzano, ma fanno degenerare la pratica spirituale. ( Per non dire delle piattole, le orribili piattole, o peggio, che ci si può beccare andandosene in giro a cuccare un po’ questo e un po’ quella per discoteche che chiudono all’alba e darkroom, sia pure con tessera ARCI – ma lasciamo stare… forse non è il caso di chiamare in causa anche certi miei amici, conoscenti e vicini di casa , mettendoli in una parentesi d’imbarazzo…).

    Non è neanche da escludere che in base alle azioni compiute tramite il pensiero, la parola ( l’energia) e il corpo, ci si possa ritrovare in paradiso o all’inferno – entrambi, pare, stati relativamente stabili in un flusso di continuo mutamento anche nell’aldilà, stati che possono durare un minuto, un secolo o un eone.

    I Tibetani, come tutti noi picchiatelli sappiamo, lo chiamano “bar-do”, letteralmente l’intervallo tra un momento di coscienza e l’altro, e una vita e l’altra; e i sufi lo chiamano “barzak”. Sarebbe alla confluenza di due mari: il mare dei significati spirituali e il mare degli oggetti sensoriali. Le cose sensoriali non sono significati e i significati non sono sensoriali. Ma il mondo Immaginale dà forma corporea ai significati. Il mondo Imaginale (amtal) è uno dei concetti piú significativi dell’opera di Ibn Arabi… Il bar-do o barzak accade quando spenti gli ultimi lampioni, dopo che la razionalità sempre sulla difensiva ha chiuso gli occhi, la vita sulla terra perde confini e nitidezza. Individui che durante il giorno erano separati, cominciano a spogliarsi di unicità e tratti distintivi, fondendosi un una specie di ensemble ovattato, in un’eterea comunità virtuale, oppure mentale – come nell’ultimo romanzo di Murakami Haruki, “Afterdark”. Insomma, forse sto divagando e come nella canzone di Jim Morrison: ” non so se questa scala mi porta giù all’inferno o in paradiso”.

    In ogni caso, pare che lo scopo della pratica sia guarire se stessi e possibilmente l’innumerevole esistere di creature anch’esse “ferite” – se non dal male ( come… diarrea e altri penosi incidenti karmici ) perlomeno dalla disperazione – in modo da accedere in vita, così come anche in astrale, a uno stile di vita meno fisso e contratto, più libero e più felice – nonostante tutto.

    Naturalmente se non si vuole prendere una diarrea, sarebbe buono e giusto non essere ingordi, o perlomeno dare un’occhiata all’etichetta con la data di scadenza del prodotto …invece di dare la colpa al samsara e aggrapparsi alla “non dualità”…:-)

    P.s. “Aggrapparsi”? Ma non lo faceva anche Leopardi? L’infinito ? Sì, va’ Leopardi!… Non so perché – nello sciogliere un po’ i muscoli – mi è venuto in mente il nostro Leopardi… forse perché morì, pare, per una indigestione di gelati, dei sorbetti di cui era molto ghiotto, che si faceva comprare dal Ranieri in una gelateria napoletana. D’altra parte va anche detto che con questa storia dell’aggrapparsi romanticamente all’ Infinito, il nostro gobetto o “nanaruottolo” ( come con epitoto garbatamente malevolo lo chiamavano i vicini di casa e i giocatori di scacchi a Torre Annunziata ) si è reso memorabile e resta un grande poeta italiano, medio-italiano. Lo prendevano per pazzo o mezzo-pazzo. Che importa? Il suo fu, perlomeno, un naufragio “dolce”. :-)

  16. doghen ha detto:

    Gianni,
    un ottimo pezzo da gionalista. Grandi capacità intellettuali.
    Però mi sembra uno di quei discorsi che ti lasciano con quel sapore in bocca tipo: “e allora?, che famo?”. Risposta: “famoce du spaghi!”.
    E morta lì.
    Lo scopo della pratica lo impareremo da soli facendola.
    Mi piacciono di più i libri dei maestri zen (con tutto il rispetto per te, ovvio, Maestro Beat!) Ciao :-)

  17. eckhart ha detto:

    Doghen:e allora?, che famo?”. Risposta: “famoce du spaghi!”.
    E morta lì.
    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
    Morta lì? Ma questo è un koan zen! )))
    Una risposta sovrarazionale ci può sbalzare fuori dal sogno,come il battere di mani del Maestro zen,a chi gli chiedeva del come far uscire l’oca fuori dalla bottiglia..
    Gianni indica come via , traumi necessari..non li nego,ma io direi che è in qualsiasi esperienza che ci ribalti dalla mente pensante e la sua logica,in qualsiasi risposta che dissolva la domanda stessa.
    E nell’ attimo di massima tensione intellettuale,in un solo bagliore oltre lo spazio e il tempo ,la consapevolezza
    ci offre… du spaghi!
    Quale miglior Resa al ciò che è! ))

    Ciao :-)

  18. paritoshluca ha detto:

    Ottimo pezzo quello del nostro Gianni..va giù come un bicchier d’acqua..e mostra sinceramente quell’anelito alla “fusione”..che è il fine della nostra ricerca..
    E dal momento che l’anelito è sincero..non suscita invidia o malumore..non provoca atteggiamenti irrispettosi o sufficienti..non si dice che è tutto un bla bla bla..come certi interventi del forum giustamente sanzionati in nome di un bla bla bla uguale e contrario..
    Che dire..?
    Un discorso non è necessario che si capisca tutto..anzi..alle volte può succedere che neanche lo scrivente capisce tutto..succede spesso..la bellezza di una frase oscura il significato..che si realizza solo nella forma..che ..come la “giustizia” per i magistrati..diviene sostanza..con il fine però di mandare in galera qualcuno..invece di disporlo al bene..
    Allora lo scrivere diventa ricerca attiva della Verità..
    se si capisce che solo il Vero è anche bello..e buono e giusto..e il brutto e pesante..è segnale e simbolo di aggrovigliamenti mentali..
    Dentro di noi ci sono due nodi..quella della verità e quello della menzogna..
    i pigri si fermano al secondo..ma chi “scava” trova il primo..
    e una volta trovato.. può dedicarsi al secondo con più tranquillità..che tanto..tempo per le sciocchezze si trova sempre..è il tempo per le cose vere che manca..

  19. eckhart ha detto:

    Paritosh:Dentro di noi ci sono due nodi..quella della verità e quello della menzogna..
    i pigri si fermano al secondo..ma chi “scava” trova il primo..

    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

    Non è solo per pigrizia che ci si ferma al secondo..
    Comunque sia…altra cosa è la conquista di una certa semplicità (la verità è sempre semplice,ma proprio per questo non balza agli occhi),quella che si spalanca oltre i concetti e va sempre al dunque ,e che all’ego puzza di banalità.
    ..Ma i piatti succulenti piacciono, si sa.
    Godiamoceli allora.
    Non è dunque detto però,che ciò che ci piace,di questo nutrimento pieno di spezie e pigmenti di polvere colorata,sia ciò che ci abbisogna.
    Perché il nodo (verità o menzogna..è lo stesso nodo in fondo…)
    sta da un’altra parte…
    e quello non andrebbe nutrito molto..
    Questo almeno ci tocca saperlo.

  20. paritoshluca ha detto:

    La verità non è mai banale..banale invece è la menzogna che si crede verità..e non raggiunge quello che Gurdjieff chiama il “centro magnetico”..che poi sarebbe ciò che nutre il Se…e non le Sue identificazioni…
    Il sapore della verità è sempre lo stesso..qualsiasi argomento si tratti..perchè va oltre la mente..in quell’Intuizione che ci fa riconoscere il dentro dal fuori..il centro dalla periferia..
    Che poi sarebbe il vero esoterismo..l’incomunicabile..
    che si può solo vivere…nella perenne scelta se Essere o apparire..per chi può scegliere..