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almaas5.jpgUn’intervista ad Almaas sulla maturazione dell’anima da parte di Toshan Ivo Quartiroli. Tra i temi dell’intervista, quali gli strumenti esteriori e interiori che catalizzano la crescita dell’anima, come la mente può essere volta a questo scopo, i possibili ruoli di fattori esterni quali le sostanze neurochimiche o i mezzi tecnologici, quando e se la ricerca di noi stessi arriva a un termine e il ruolo della sessualità sul cammino.

Toshan Ivo: Vorrei farti qualche altra domanda sul tema dell’oggettività – soggettività nella nostra cultura. Cartesio ha detto che se l’uomo fosse liberato dalla prigione del corpo, troverebbe l’idea di Dio in se stesso. Sembra che la nostra cultura occidentale si basi sulla convinzione che ciò che è soggettivo e dotato di un corpo sia viziato all’origine; apparentemente, perdiamo la nostra natura divina quando diventiamo “personali” e soggettivi. Nella teologia cristiana, il male e il peccato sono attributi del libero arbitrio dell’essere umano, almeno originariamente. Dunque, secondo questa convinzione, quando gli uomini fanno le loro scelte soggettive, vanno contro la volontà di Dio. Mi chiedo se per molto tempo la nostra cultura non ha riconosciuto il valore della soggettività a causa di questa e altre convinzioni storiche, o se lo sviluppo dell’anima per sua natura richiede stadi in cui non assegniamo alla verità soggettiva il giusto valore.

Hameed Ali: Innanzitutto, non sono sicuro che in Occidente la pensino come te sulla concezione occidentale del personale e del soggettivo. In realtà, è l’Oriente che storicamente ha diffidato del personale e del soggettivo, dando più importanza all’impersonale. In Occidente sembrano essere esistite due concezioni sovrapposte: una diffidente del personale e del corporeo, come osserviamo nel pensiero greco e in seguito nel Cristianesimo; l’altra che esalta il personale, il corporeo e il soggettivo, come vediamo nell’arte e nella letteratura occidentale. La nostra scienza è più influenzata dalla prima corrente, come dimostra il tentativo di Cartesio di separare il soggetto dal mondo, per poter studiare quest’ultimo oggettivamente.

La mia opinione è che il punto di vista della scienza sul soggettivo è esatto, ma incompleto. È esatto nel senso che la nostra soggettività tende a oscurare le nostre percezioni e la nostra conoscenza, a causa delle inclinazioni e convinzioni personali. La psicologia moderna ha ampiamente confermato ciò tramite lo sviluppo dato da Freud alla nozione dell’inconscio, il quale influenza i nostri sentimenti, comportamenti e azioni senza che ce ne accorgiamo. In questo senso, penso che le varie tradizioni che hanno diffidato del soggettivo, sia occidentali sia orientali, hanno avuto un’intuizione profonda della soggettività dell’umanità.

In ogni caso, si tratta di un’intuizione incompleta della soggettività umana, perché se è vero che essa valuta correttamente la consapevolezza ordinaria dell’individuo, è anche vero che non tiene conto del potenziale della soggettività umana. Tale concezione non considera che questa soggettività prevenuta è la soggettività dell’ego, e che l’anima umana può essere libera dall’ego. La cultura occidentale apprezza l’individuale, il personale e anche il soggettivo, come vediamo nelle arti, nelle scienze e nella vita quotidiana degli occidentali. Ciò potrebbe considerarsi il risultato di un riconoscimento profondo, ma inconscio, del potenziale della soggettività umana. Tuttavia, non vediamo la presenza di una soggettività così aperta e bilanciata se non in stadi molto profondi di realizzazione, in cui l’anima non soltanto è connessa alla sua natura spirituale, ma ha portato avanti questa integrazione fino a sviluppare una persona reale ed essenziale.

Possiamo ipotizzare che sia l’Oriente sia l’Occidente avevano diffidato del personale e del soggettivo perché la gente aveva di essi una conoscenza prevenuta e non autentica. Ciò che è davvero soggettivo e personale – ovvero, il proprio essere autentico al di là delle influenze provenienti dall’esterno – è uno sviluppo raro e dunque prezioso. Ecco perché gli antichi insegnamenti si riferiscono a esso come alla perla senza prezzo.

Toshan Ivo: Il Diamond Approach valorizza la mente ordinaria in quanto strumento per l’«inquiry», l’indagine. Quali sono le altre tradizioni che usano la mente in questo modo, e perché molti cammini mistici e spirituali considerano la mente un ostacolo alla verità e al raggiungimento di stati più elevati?

Hameed Ali: Nemmeno in questo caso la verità è così semplice. Le tradizioni spirituali in generale diffidano della mente individuale, perché quest’ultima tende a ostacolare l’apertura spirituale. La mente ordinaria è solitamente il supporto dell’ego, in quanto quest’ultimo è fondamentalmente un costrutto mentale basato sulle convinzioni e le conoscenze della mente. Ciononostante, la maggior parte degli insegnamenti spirituali impiega la mente nel tentativo di comprendere la condizione umana. Non direi che il Diamond Approach è il solo a usare la mente ordinaria; infatti, anche la maggior parte degli insegnamenti spirituali la usa, ma generalmente non estensivamente come fa il Diamond Approach. Quindi, penso che sia una questione di gradi. Anche la tradizione Zen, che è la più radicale e diretta per quanto riguarda l’eliminazione della mente ordinaria, la usa quando si tratta di parlare e comunicare.

Credo che la situazione sia più complessa di quanto appaia. La mente ha molte parti e qualità. Alcune di queste ultime sono indispensabili per la comprensione, la comunicazione e la sopravvivenza. Ma certe parti e qualità della mente contribuiscono alla creazione e al mantenimento dell’ego stesso. Alcuni insegnamenti tendono ad aggirare, evitare o eliminare la mente, a causa della sua connessione all’ego. Tuttavia, non possono fare a meno di usarla quando si tratta di pensare e comunicare. Alcune tradizioni usano la mente anche perché fanno ricorso alla logica e alla ragione, come certe scuole buddiste, induiste e cristiane.

Nel Diamond Approach usiamo la mente in modo più esteso, perché la nostra tecnica è quella dell’indagine sull’esperienza di ogni giorno. Nel tentativo di comprendere tale esperienza, abbiamo bisogno della ragione e della razionalità della mente. Inoltre, poiché in questo processo ci imbattiamo in una grande quantità di materiale dal passato, abbiamo bisogno di usare la memoria della mente e i suoi ricordi del passato.

La concezione del Diamond Approach è che la mente è una facoltà neutrale e che dipende da noi usarla come un sostegno all’apertura spirituale o come un ostacolo a quest’ultima. Inoltre, la mente normale è l’espressione esteriore di una profonda e fondamentale facoltà dell’anima, il suo intelletto o “nous”. Il nous, quello che chiamiamo la Guida di Diamante, è l’intelletto autentico, la facoltà di discernere che l’anima umana possiede in potenza. Più questo profondo elemento della nostra anima è attivo e integrato, più esso guida e permea il funzionamento della nostra mente normale. L’inquiry è una tecnica finalizzata allo sviluppo e la concretizzazione di questa possibilità.

Toshan Ivo: I bambini che non ricevono amore e affetto sviluppano quasi sempre problemi fisici e cognitivi. La verità può considerarsi un bisogno primario allo stesso modo dell’affetto? Non mi riferisco alla verità assoluta, ma anche alla semplice verità di tutti i giorni. Per esempio, Gregory Bateson riconobbe il problema del “double bind”, il doppio vincolo che può contribuire a provocare disturbi mentali, nei casi in cui una persona riceveva un messaggio ambiguo, specialmente se quest’ultimo includeva aspetti emotivi. Poiché la verità libera, in che modo l’anima viene deformata quando la verità non è presente nella società e nella famiglia?

Hameed Ali: L’assenza della verità nell’infanzia è una delle ragioni fondamentali per cui lo sviluppo normale della consapevolezza viene dominato dall’ego. L’assenza della verità consiste fondamentalmente nell’ignoranza e nella mancanza di esperienza da parte dei genitori della vera natura e delle sue varie qualità. È la mancanza di autenticità nella presenza e nel comportamento dei genitori che esercita un’influenza negativa sul bambino. Ma ciò non vuol dire che i genitori devono raccontare al bambino la verità così come la conosce un adulto, perché ciò potrebbe creare confusione. Si tratta più che altro della necessità da parte dei genitori di essere autentici e sinceramente affettuosi. Talvolta, ciò può voler dire che la verità in tutto o in parte non viene comunicata, perché per un bambino sarebbe troppo.

Ma l’abitudine di mentire ai bambini finirà con l’avere un impatto negativo. Alcuni psicologi ritengono che, a seconda dello stadio di sviluppo, i bambini hanno bisogno di alcune illusioni per riuscire a sopravvivere. Penso che molte di queste cosiddette illusioni sono in effetti vere, ma gli psicologi le considerano illusioni. Per esempio: la condizione della prima infanzia in cui il bambino si sente connesso alla madre, come se formassero un campo continuo di esperienza, quella che viene chiamata unità duale… Gli psicologi credono che si tratti di un’unione illusoria, non autentica, ma per chi sa vedere essa non è un’illusione, bensì l’esperienza effettiva del neonato, e le cose stanno così anche per la mente non modellata dall’ego e dalle sue convinzioni.

Toshan Ivo: Lavorando sul mio condizionamento, e condividendo con altre persone sulla Via, noto che talvolta i condizionamenti collettivi e storici di una certa nazione o di un certo tipo possono essere più radicati di quelli individuali. Le due forme di condizionamento sono intrecciate, ma quello collettivo sembra più inconsapevole e difficile da cogliere. I due tipi di condizionamento vanno affrontati allo stesso modo o quello collettivo richiede un approccio particolare?

Hameed Ali: Il condizionamento collettivo non è solitamente più radicato di quello individuale, a meno che non siamo di fronte a circostanze insolite, come nel caso di una società che stia attraversando una lunga guerra. Ma ordinariamente anche il condizionamento culturale è parte di quello individuale, ovvero accade attraverso la consapevolezza individuale e fa parte del condizionamento di quest’ultima.

Il condizionamento culturale è solitamente sottile e fa da sfondo a quello individuale. Questo è il contesto emotivo e mentale in cui il bambino vive e cresce, e viene assorbito senza alcun riconoscimento consapevole. È più difficile da riconoscere e osservare, perché si ha la tendenza a considerarlo parte della realtà. Di solito, non occorre lavorare sul condizionamento culturale in modo particolare, né c’è bisogno di mettersi a cercarlo. Lavorando sul condizionamento individuale, la dimensione culturale comincia ad affiorare da sé, poiché fa parte dell’impalcatura del condizionamento individuale. Ordinariamente, essa non si presenta fino a quando non si è profondamente liberi dal proprio condizionamento individuale.

In particolare, per affrontare il condizionamento culturale, raccomando una cosa: viaggiare in culture molto diverse e fare esperienza direttamente e personalmente delle differenze.

Toshan Ivo: Sin dall’antichità, sembra che l’umanità abbia espresso il bisogno di andare “oltre”, non solo attraverso pratiche spirituali, ma anche attraverso l’uso di sostanze psichedeliche. Le persone che percorrono quest’ultimo cammino in un contesto sacro o talvolta anche profano, parlano di stati che sembrano molto vicini a quelli mistici, come la fusione con il tutto. Secondo te, quali sono le differenze tra gli stati prodotti dal lavoro spirituale e quelli generati dall’uso di sostanze? Esistono rischi connessi a queste ultime?

Hameed Ali: In generale, le sostanze psichedeliche alterano il cervello in modo da permettere di sperimentare le cose senza i filtri consueti, oppure di avere esperienze più intense e acute. Ciò vuol dire che le esperienze spirituali generate da quelle sostanze sono uguali a quelle provocate dalla pratica spirituale; in effetti, la sostanza compie il lavoro della pratica.

Una prima differenza non sta nel tipo di esperienza, ma nel fatto che essa accade nonostante i propri filtri, senza aver lavorato su di essi. Ciò dà una sensazione di maggiore perdita di controllo o di scelta, e può rendere l’esperienza molto più emotivamente intensa ed esplosiva.

Penso che un primo, possibile rischio è quello della dipendenza dalla sostanza. Usando quest’ultima, non esercitiamo né sviluppiamo i muscoli dell’anima. Ci apriamo senza diventare spiritualmente maturi, e ciò può avere conseguenze serie per il proprio cammino spirituale.

I rischi più noti sono i danni fisiologici al cervello o al sistema nervoso, che possono insorgere in caso di uso prolungato di alcune sostanze.

Toshan Ivo: Il Diamond Heart si basa sull’osservazione e include l’interiorità nel processo di inquiry. È possibile un nuovo metodo scientifico che includa sia l’approccio soggettivo sia quello oggettivo? Un metodo che, operando sui dati, fornisca conclusioni valide come quelle del metodo scientifico tradizionale?

Hameed Ali: Penso che questa sia una cosa su cui lavorare. Non c’è una risposta semplice alla tua domanda. Questo nuovo metodo può richiedere molto tempo per venire sviluppato. So che l’aiuto che la guida di diamante può darci in termini di ricerca, indagine, discernimento, analisi, sintesi e così via può essere molto utile in qualsiasi campo di ricerca; ma perché questo avvenga, il ricercatore deve integrare questa facoltà spirituale nel suo lavoro. Non importa l’area di studio, perché stiamo parlando di una migliore intelligenza, discriminazione, chiarezza, penetrazione, sintesi ecc.: tutte qualità che possono trovare applicazione in qualsiasi ramo della scienza.

Integrare questa facoltà richiede chiarezza e oggettività personali, ovvero bisogna riconoscere in che modo i nostri pregiudizi soggettivi influenzano le osservazioni e i pensieri. Non è facile, comunque, integrare questa facoltà in modo completo o profondo; sono necessari maturità spirituale e un lavoro costante per applicare questa facoltà.

Toshan Ivo: La neuroscienza e le conoscenze sul cervello si stanno espandendo. Lo stesso Dalai Lama è attivamente impegnato nello studio dei punti di contatto tra le neuroscienza e gli antichi insegnamenti tibetani sulla mente e la meditazione. Nel tuo libro The Inner Journey Home scrivi: “È anche possibile che la vita biologica sia uno degli stadi dello sviluppo dell’anima: è necessario, ma è solo uno stadio”. Hans Moravec immagina un incontro tra informatica, nanotecnologia e bioscienza in grado di cambiare la nostra definizione dell’essere umano. Prevedi che un giorno sarà possibile fare il lavoro su noi stessi con l’ausilio di sostanze biochimiche e “neurosupporti” tecnologici (per esempio, la versione futura di apparecchiature già oggi in grado di alterare le frequenze del cervello)? Lo sviluppo dell’anima può essere facilitato o guidato dalla tecnologia? Quali prevedi che saranno gli stadi della crescita?

Hameed Ali: Perché no? L’anima umana, che è la sede della consapevolezza e delle sue facoltà, opera attraverso il corpo, e dipende dalla condizione di quest’ultimo per funzionare. Non vedo ragioni per sostenere che il miglioramento della condizione del corpo attraverso la tecnologia non possa aiutare lo sviluppo dell’anima. Non ho idea degli stadi della crescita a questo proposito: dipenderanno dal tipo di miglioramento che le tecnologie apporteranno e da quanto incideranno sul normale funzionamento fisico. È più probabile che gli stadi saranno gli stessi, ma l’anima potrebbe riuscire ad attraversarli con più facilità, ricevendo più sostegno.

A ogni modo, non mi piace l’idea che la mia realizzazione accada senza che io eserciti i miei muscoli spirituali, in quanto gran parte della gioia del lavoro spirituale sta nel lavoro stesso. Sono le scoperte senza fine a costituire la vera gioia della vita e l’entusiasmante estasi del viaggio.

Toshan Ivo: Apparentemente, la sessualità non costituisce un “capitolo a sé” negli insegnamenti del Diamond Approach, ma sembra inclusa del modello generale dell’anima. In che modo questa potente energia – che può avere molti diversi effetti sull’anima – viene trattata nell’insegnamento, e perché a essa non viene data molta importanza?

Hameed Ali: Forse avrai osservato che il Diamond Approach non dà un’importanza speciale a nessuna area particolare della vita. Esso affronta i fondamenti dell’esperienza, a prescindere dalle varie aeree della vita. La sessualità, il lavoro, la creatività ecc., sono aree particolari della vita, e anche se lavoriamo con esse, non è normale per noi sottolinearne una anziché un’altra.

Gli insegnamenti che mettono in evidenza la sessualità, in realtà mettono in evidenza l’energia sessuale, e a un livello più fondamentale la dimensione dell’energia. La sessualità è un modo di lavorare con l’energia. Nel Diamond Approach c’è una parte dell’insegnamento dedicata alla dimensione dell’energia, quella che chiamiamo la dimensione “shakti”. In essa troviamo insegnamenti su come sperimentare, riconoscere e lavorare con la shakti, affrontando tutti gli argomenti correlati. La maggior parte degli studenti non ha familiarità con questa parte dell’insegnamento.

Il Diamond Approach contiene anche un insegnamento tantrico, ma è piuttosto avanzato e non è ciò che la maggior parte della gente intende per tantra. Esso include la sessualità, ma non si identifica esattamente con il sesso.

Toshan Ivo: Nel corso del “lavoro”, del cammino di auto-scoperta, possono esserci stadi in cui ci si sente lontani dall’insegnamento e dalle pratiche. Esistono insegnanti spirituali, soprattutto nell’area neo-advaita, secondo i quali “non c’è bisogno di praticare o cercare”, perché siamo già “a casa”. C’è uno stadio in cui la ricerca termina davvero? Se sì, come possiamo sapere che questa è davvero la fine della ricerca e non un trucco dell’ego per la propria sopravvivenza?

Hameed Ali: Nel Diamond Approach c’è uno stadio in cui la ricerca finisce. Sappiamo che quella è la fine della ricerca, perché c’è il riconoscimento certo di essere arrivati a casa. Una delle conseguenze di tale arrivo è il riconoscimento che la ricerca è finita: non c’è più bisogno di cercare alcunché, né c’è più qualcuno che stia cercando.

Questo in genere non accade spontaneamente; senza pratica, di solito non arriviamo a questi livelli. Può succedere, ma per la maggior parte delle persone, senza la pratica, è solo una vana speranza. È vero che questa è la nostra casa primordiale e che in un certo senso siamo già in essa, ma la nostra anima non ne è consapevole, né può esserlo se non matura. Senza maturazione, è possibile avere un bagliore della casa, ma non dimorare in essa. Conosco bene alcuni insegnamenti neo advaita, e penso che molti di essi semplicemente non conoscono il nostro potenziale spirituale. Di solito, essi colgono una dimensione della natura autentica e parlano come se essa esaurisse tutta la realtà, senza riconoscere la ricchezza del nostro potenziale. Per esempio, questi insegnamenti non conoscono o riconoscono la natura dell’anima, così come noi la intendiamo nel Diamond Approach.

Per maggiori informazioni su libri e articoli di Almaas, http://www.ahalmaas.com/
Il sito della scuola Ridhwan: http://www.ridhwan.org

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Almaas. Essenza. Il nucleo divino nell’uomo. Crisalide. 1999. ISBN: 8871830873

Almaas. Il cuore del diamante. Elementi del reale nell’uomo. Crisalide. 1999. ISBN: 8871830776

Almaas. L’elisir dell’illuminazione. Crisalide. 2002. ISBN: 887183125X

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Almaas. Inner Journey Home: The Soul’s Realization of the Unity of Reality. Shambhala. 2004. ISBN: 1590301099

Almaas. Diamond Heart Book 2 The Freedom to Be. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713046

Almaas. Diamond Heart Book 3: Being and the Meaning of Life. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713054

Almaas. Diamond Heart Book 4: Indestructible Innocence. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713119

Almaas. Facets of Unity: The Enneagram of Holy Ideas. Diamond Books. 2000. ISBN: 0936713143

Almaas. Luminous Night’s Journey: An Autobiographical Fragment. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713089

Almaas. Spacecruiser Inquiry: True Guidance for the Inner Journey. Shambhala. 2002. ISBN: 1570628599

Almaas. The Pearl Beyond Price: Integration of Personality into Being, an Object Relations Approach. Shambhala. 2000. ISBN: 093671302X

Almaas. The Point of Existence: Transformations of Narcissism in Self-Realization. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713097

Almaas. The Void: Inner Spaciousness and Ego Structure. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713062

Almaas. Work on the Superego. Diamond Books.1992. ASIN: 0936713070

Traduzione di Gagan Daniele Pietrini
Copyright: Innernet.

91 Responses to “Strumenti per la maturazione dell’anima”

  1. atisha ha detto:

    Paritosh:
    … il Testimone..è appeso per decorazione e tradizione..
    e mi rifiuto di toglierlo ..perchè sono una persona per bene..

    Non devi toglierlo, ma ciò accade solo nel riconoscimento che anche ciò che stai Testimoniando Sei Tu stesso.
    Però questo accade… per mezzo della Grazia, improvvisamente, come un lampo nel cielo buio.
    Allora il Testimoniare, senza soggetto testimoniante, ti offrirà il senso di Unità, il Risveglio.

  2. paritoshluca ha detto:

    38eckhart
    Paritosh:sta come torre ferma, che non crolla

    ——————
    Chissà..se invece,non è buona idea lasciarla crollare…
    Chi la tiene ferma..forse la paura di crollare..di non trovare più nulla?

    NB Come vedi,per evitare incomprensioni, evito certo ermetismo poetico-filosofico e vado al succo.. :-)
    …………….
    La Torre è il Testimone…e se crolla..si apre la dissoluzione senza ritorno..
    Stiamo attenti a dire di abbandonare tutto..
    qualcosa non va abbandonato..ed è l’Essenza..che addirittura si riscopre e disvela..
    Spostiamo l’attenzione al Centro..che poi tutto può crollare..sicuri che non saremo travolti..nella pattumiera cosmica..

  3. eckhart ha detto:

    Scusa ma mi sono perso tra le metafore..
    se è così..non ci pò essere il rischio che crolli o che la si abbandoni..

  4. paritoshluca ha detto:

    41atisha
    dimenticanza:
    paritosh: ma nel nome di Testimone acquista natura Essenziale..ed è il tronco a cui tenersi forte..

    atisha: se è natura Essenziale è forse necessario “tenersi forte”?
    …………..
    Tenersi forte al Centro..al Testimone..è non disperdere energia nelle illusioni..nell’impermanenza..
    nelle emozioni..nella mente…
    Vincere la forza d’inerzia..implica sforzo..ma poi..lo sforzo cede..e diventa naturale ciò che prima sembrava difficile..e la “forza” viene riequilibrata..
    E intanto raccontiamo le fiabe..davanti al fuoco magico….e chi mi presta diecimila lire..?

  5. eckhart ha detto:

    Paritosh:Tenersi forte al Centro..al Testimone..è non disperdere energia nelle illusioni..nell’impermanenza..
    nelle emozioni..nella mente…
    Vincere la forza d’inerzia..implica sforzo..ma poi..lo sforzo cede..e diventa naturale ciò che prima sembrava difficile..e la “forza” viene riequilibrata..
    —-
    Bene..concordo assolutamente..

  6. paritoshluca ha detto:

    43eckhart
    Scusa ma mi sono perso tra le metafore..
    se è così..non ci pò essere il rischio che crolli o che la si abbandoni..
    ……………….

    Invece il re può vivere come un mendicante ..e pur potendo vivere nel castello..nei saloni e nelle stanze..si relega in uno sgabuzzino..da dove sbirciare ciò che avviene al piano di sopra..dove i servi hanno ottenuto l’affrancamento e bisbocciano..
    Ma il re..per riconquistare il “regno” deve prima ricordarsi di essere stato re..e come Ulisse..infilzare i proci..
    spodestare chi con l’inganno si spaccia per potente..mentre è solo servo..e solo nel servire trova pace..
    Per questo soffriamo..che il servo dentro di noi vorrebbe essere comandato..e invece lo lasciamo nel ponte di comando a tribolare..inquieto..insicuro..
    Eccolo..il Testimone..il Re..al suo passaggio i servi si inchinano..e il vascello..avendo trovato il suo vero capitano..può veleggiare verso l’Infinito..e gli angioletti volteggiano tra le vele..

  7. eckhart ha detto:

    Sempre belle le tue metafore letterarie,Paritosh..
    Però poco aiutano,secondo me, al disidentificarsi dal dualismo dell’ego..dal Sogno della lotta ,dello sforzo per uscire dalla sofferenza,dal buio..
    E ”˜ chiaro che invece ,come dice Qualcuno: ”il Regno di Dio è già in mezzo a voi.”. (Luca 17-21)
    Non c’è nessun buio da cui dipende,da cui liberarlo (come si pensa l’ego,ad esempio).
    Mi sembra la fatica di Sisifo…ma così è..
    Namastè.

  8. sakshin ha detto:

    Eccolo..il Testimone..il Re..al suo passaggio i servi si inchinano..e il vascello..avendo trovato il suo vero capitano..può veleggiare verso l’Infinito.

    ***
    Pur assumendole come metafore… sono immagini, secondo me, fuorvianti: perchè il Testimone non passa da nessuna parte, dato che è immobile come uno specchio.
    Non ha servi perchè appartiene alla dimensione del Non Essere e non veleggia verso l’infinito perchè lo E’.
    Se si ha riconosciuto realmente ciò che è chiamto “Testimone” non si può aver paura di perderlo.
    Se invece è solo la mente osservante… quella va e viene.
    Dunque il Testimone-Essenza non ha bisogno di protezione, di difendersi dal sogno che che riflette.

  9. gianni de martino ha detto:

    … Naturalmente la mente si muove continuamente, mentre la sakshin la “vede” è sempre allo stesso posto, o meglio non-posto, in quanto il “Testimone” trascende spazio, tempo, mente e individualità.
    Quando il “Testimone” viene confuso con la mente o con psiche, allora sembra che si muova.Tradizionalmente, la sakshin, il “Testimone”, viene paragonata a una lampada che illumina la scena. Se passo la mano davanti al fascio di luce, sembra che la luce si muova…

    Non c’è modo di afferrare il “Testimone”, in quanto luce per la quale si vede verso l’interno. Pertanto si dice, paradossalmente, “luminosa tenebra”, “questa è conoscenza per ciechi”, il “cieco illuminato”, eccetera.

    Ma volevo dire qualcosa su Sisifo… L’ho dimenticato… Ah, ecco, pensavo a Camus, quando dice qualcosa del genere “Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”.
    Il nostro eroe, Sisifo, si crede superiore al suo destino. Più precisamente, non crede di dover far combaciare la vita e un destino che non dipendono da lui: La vita gli sembra assurda e lui vuole “scegliere” il proprio destino.

    Bisogna immaginare Sisifo non solo felice, ma anche con un pullover nero alle Juliette Greco, mentre ascolta jazz in una cava di Parigi, oppure – mentre rotola pietre su e giù, e poi di nuovo su – canta una canzone di Edith Piaf:

    “Non ! Je Ne Regrette Rrrien…eccetera”.

    Sisifo si crede superiore al suo destino. Un destino, peraltro, da lui stesso creato “scegliendo” (con gergo esistenzialista, ma qui ci allontaniamo dalla prospettiva metafisica), le passioni della terra e il disprezzo degli dei.

    La vittoria del Sisifo esistenzialista sarebbe nell’aver scelto suo destino di terrestre, il suo dolore.

    In questo consiste la grandezza umana, secondo il mito di Sisifo riscritto da Camus ( uno dei miei autori preferiti, se una tale preferenza, non del tutto soggettiva, può interessare a qualcuno… ) :-)

  10. doghen ha detto:

    Gianni,
    se si digita il tuo nome su Google ti si trova definito come un “gay cattolico”.
    Ora, premesso che le categorie ti stanno sicuramente strette, mi chiedo: come fai a conciliare tutte le tue “anime”?
    Pace e bene :-)

  11. eckhart ha detto:

    Uno dei miei autori preferiti è invece Andre Gide (francese pure lui e dello stesso periodo di Camus e
    -questa è per doghen-qual è il problema, gay e di formazione cattolica…)
    Alcune sue frasi celebri che a vent’anni mi abbagliarono:

    “Ogni creatura indica Dio,nessuna la rivela.
    Sopprimere l’idea di merito;racchiude un grande ostacolo per lo spirito.
    L’importante sia nel tuo sguardo,non nella cosa guardata.”

  12. doghen ha detto:

    Eckart,
    la domanda era per Gianni.
    Gianni viene definito “gay cattolico” e a me va benissimo. Però scrivendo in questo blog, Gianni rivela molte anime: esistenzialista, advaitin, ecc. E anche questo mi va benissimo.
    Chiedo solo se si riesce a essere tutto ciò, a tenersi insieme…e come si fa…..

  13. eckhart ha detto:

    la mente può essere tante cose,ci si può pure giocare (mi sembra quel che fa pure Gianni con molta ironia)senza per questo doversi identificare troppo con tutti questi pensieri..
    Sei troppo serioso e giudicante,mio caro doghen :-))))

  14. doghen ha detto:

    Che caro che sei, Eckart.
    In ogni caso quello che non mi vedrai mai fare è cercare di acchiappare i moscerini con una rete da farfalle, come è d’uso per alcuni in questo blog…..:)

  15. gianni de martino ha detto:

    doghen: “Gianni,se si digita il tuo nome su Google…”.

    I riferimenti personali, specialmente se falsi, m’imbarazzano… Comunque si tratta di una “definizione” non veritiera, messa in giro da un mitomane e provocatore notorio.

    Se proprio vuoi saperlo è lo stesso troll la cui coda è spuntata anche su Innernet qualche mese fa, come rilevato anche da Ivo, il nostro anfitrione ( “… poche settimane addietro sono stati scritti messaggi fortemente diffamatori nei confronti di altri frequentatori del sito. Qualcuno, come purtroppo era già successo nel passato, ha usato il sito per i suoi scopi personali. Non parlo dei normali conflitti che avvengono nei commenti, i personaggi in questione avevano già una vertenza legale aperta per situazioni simili”).

    Se fai una ricerca nel web, trovi anche di peggio: nome e cognome e poi “ladro”, “assassino”, “agente della massoneria”, “falso contestatore”, possessore di “accendini magici & paralizzanti, come quelli in dotazione a U.E.”, ed altre farneticazioni del genere paranoico-vampirico tipo il film “l’invasione degli ultracorpi”…

    Il venticello della diffamazione via internet soffia ovviamente per irritare …e in effetti ci scompiglia un po’ i capelli :-)…fa cioè sorgere un “io” fisso & contratto, un individuo sulla difensiva, una vera e propria appuntita foresta di difese… quando sarebbe meglio rilassarsi, pensare a cose più importanti, se non proprio slacciare le cinture di sicurezza ed essere, per così dire, aperti e accoglienti.

    Naturalmente l’open source è illimitato, e qualsiasi cosa ne dica Rousseau in giro non c’è solo bella gente. La si può incontrare nei boschi & sottoboschi del web, persino all’Advaita bar e nella hall dell’hotel Diamond… E dire che la nonna me lo diceva sempre, di non dare confidenza agli sconosciuti! ( Beh, ancora un passo, e sarei Cappuccetto rosso !).

    Ecco una piccola rogna – dovuta, è il caso di dirlo ? – al karma, forse anche a quello collettivo : un karma originato presumibilmente da un inconscio italiano, medio-italiano, che magari pensavamo rizomatico e desiderante, e invece potrebbe rivelarsi piuttosto meschino e polipesco.:-)

    Le osservazioni, a partire da un singolo caso, piuttosto banale, si potrebbero generalizzare. Penso, per esempio, alle stupende pagine di Leopardi ( che i vicini chiamavano, con garbata malevolenza, il “nanaruottolo” ) sul costume degli italiani…
    Ma non vorrei fare come quel cinese, al quale fu chiesto un filo d’erba, e quello portò l’intero prato.

    ” Se si digita il tuo nome su Google…”. Vabbè, come dice quel proverbio arabo ? ” I cani abbaiano, la carovana passa”.

    namastè ( dopo essermi aggiustati i capelli, “un po'” scompigliati, e – se non salvata l’anima – parato perlomeno, per così dire, il kulo ? ) :-)

  16. doghen ha detto:

    Gianni,
    ti ringrazio. E scusa se sono stato inopportuno. Tu puoi essere quello che ti pare, figuriamoci.
    Era anche per fare due chiacchiere….sai a fare “l’acchiappa-illuminazione”, dopo un pò mi annoio…
    Ossequi. :)

  17. gianni de martino ha detto:

    Doghen : 56.

    IL DELFINO CURIOSO

    Direi che, per quanto mi riguarda, dottor Doghen non ha niente di cui scusarsi.:-)

    Volendo amplificare, aggiungerei che saremmo quello che ci pare, ma in genere siamo, per così dire, anche quello che pariamo agli altri. Anzi, l’essere sociale si dà inizialmente proprio nello sguardo degli altri – si “costruisce” a partire dallo sguardo della madre, del padre, degli amici & compagni, della società eccetera. Anche Internet comincia a giocare un certo ruolo nella faccenda identitaria.

    In taluni casi, saremmo quello che pariamo nell’occhio dell’invidioso, tecnicamente si chiama “malocchio”. Il “malocchio” esiste e in certi casi può portare un soggetto ad annodarsi “tra le stelle di Dio e gli abissi dell’Accusatore” – come dice il poeta.

    Però non sono una fattucchiera diplomata, non porto amuleti nella giarrettiera… Beh, non vorrei che qualcuno mi pensasse o sognasse come un dissociato in carriera !

    Per la verità, non si potrebbe essere altro da quello che realmente si è. Saperlo, questo è il problema in corso da perlomeno ventimila anni !

    In ogni caso, qualsiasi onesto ricercatore oggi può andare da Google o altro motore di ricerca per acchiappare quel che gli pare. Poi la curiosità fa il resto. Si sa, a fare “l’acchiappa-illuminazione”, dopo un po’ ci si annoia, allora si va per la rete ad acchiappar citrulli e citrullate varie…Diversivi.

    A volte succede anche a me. E scagli la prima pietra chi non ha mai acchiappato nella rete qualche citrullo ! ( niente di fallico, piuttosto di fallace: ah, questo mondo delle parole che crede di creare il mondo delle cose !).

    Insomma, la curiosità non mi sembra un male, anzi se spinge alla ricerca della verità può essere il motore d’interessanti scoperte, talvolta di qualche sorpresa.

    Volendo continuare a fare due chiacchiere, perché no?, direi che la ricerca della verità è compiuta da persone sessuate – un aspetto che non è tenuto in conto dall’Advaita, metodo diretto, ma dal Diamond Approach sì. E questo credo sia uno dei punti a suo favore, a favore di un metodo forse più adatto agli occidentali.

    Non a caso la saggezza popolare occidentale, mediterranea più precisamente, ha sintetizzato efficacemente la teoria energetico-pulsionale, che è anche di Freud, nel poetico proverbio : ” tira più un pelo di figa ( nel caso gay, un pelo di
    ben altro) che un carro di buoi”.

    Quindi direi che dottor Doghen non è stato inopportuno, solo incuriosito da quel che si dice in giro. Anche nei bar e, perché no?, in qualche pisciatoio Galassia…
    Anch’io, come tanti altri su un percorso di consapevolezza, sarei sanamente curioso di sapere perlomeno come sono… “fatto”, come sono… “fatti” gli altri e l’Altro – che
    probabilmente non è per niente “fatto” ( oh, no! Ancora il delfino curioso..!).
    Miracolo del gossip all’Advaita bar.

    EHEH! bella li…con… osservanza :-)

  18. atisha ha detto:

    Considera soltanto ciò che gli altri pensano di te, non ciò che dicono… (G.I.Gurdjieff)

    sorrisi… :-)

  19. doghen ha detto:

    Gianni,
    grazie degli splendidi articoletti.
    Parafrasando Woodi Allen de”Provaci ancora, Sam”, direi “Scrivili ancora, Gianni”!!!
    Buonanotte :-) :-)

  20. paritoshluca ha detto:

    Esistono due identità..quella esteriore..che è ciò che pensano gli altri di noi in relazione ai loro modelli….e quella interiore..che è ciò che pensiamo noi di noi stessi in relazione al nostro modello..
    E poi esiste la miscela tra le due cose..quando tra il sonno e la veglia siamo un po’ rincitrulliti..
    Per questo Osho diceva di prendere il mala.. cosa schifata da molti perchè inessenziale..
    in realtà.. punto di contatto tra noi e gli altri..
    il luogo da dove è possibile elevarsi..perchè reale ..esistente..concreto..e non solo ipotesi concettuale..
    Essere sannyasin è identità vera..oggettiva..e la nostra Consapevolezza è il metro di un giudizio slegato dall’apparire mondano..e più gratificante se corrisponde ai nostri desideri..cioè se i desideri non tirano più come il pelo succitato..ma si sono trasformati in Centro..
    Ma aimè..se la Consapevolezza stagna..e l’apparire mondano è scarso..si genera una brutta tenaglia..
    dove non siamo né carne e né pesce.. non siamo del mondo..e neanche del Cielo..siamo bastardi..
    doppi..ambigui..nè di quà ..né di là..
    quasi ignavi..quasi…se non ci ricordassimo di essere sannyasin..nel deserto…con dentro quella speranza che ci rende delle vere “pellacce”..
    Chi non è sannyasin avrà qualche altra cosa..ma deve essere un oggetto concreto..che viene dall’altro mondo..una prima pietra..su cui edificare il Palazzo sulla roccia..

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