Innernet: Journey into Awareness
and Anima Mundi

14
Nov
2011
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Andiamo oltre il gioco dei generi sessuali

sam keen.jpgUn pioniere del movimento degli uomini chiede di andare oltre il “gioco dei generi sessuali”.

«L’idea della liberazione totale è sbagliata ed estremamente distruttiva», diceva la burbera voce dall’altro capo del telefono, aggiungendo: «Una delle cose che francamente non mi piacciono del vostro giornale è il sostegno a queste persone, apparentemente “nell’assoluto” e totalmente liberate». Anche se il nostro giornalismo di indagine ci aveva spesso portato in territori inesplorati, dovevo ammettere che stavo sentendo qualcosa di nuovo.

Non erano passati nemmeno cinque minuti di quella che doveva essere un’intervista di un’ora e mezza, e già il nostro giornale e l’aspirazione su cui si basava erano sotto accusa. Per fortuna, ho pensato tra me e me, non ho chiamato Sam Keen per chiedere la sua opinione sull’illuminazione. E avendo scoperto di persona che egli non era uomo da usare mezze parole, mi sono sentito tanto più a mio agio nel porre a questo contemporaneo maestro del mito – una delle più influenti figure nel fiorente movimento della spiritualità degli uomini – le domande che avevamo preparato sul ruolo e l’influenza del genere sessuale nella vita spirituale.

Ci eravamo imbattuti nell’opera di Keen solo pochi mesi prima, quando, cominciando la nostra indagine sui rapporti tra il genere sessuale e la spiritualità, avevamo comprato il suo libro Fire in the Belly: On Being a Man (Nel ventre dell’eroe. Viaggio alla scoperta del nuovo maschio). Siamo subito rimasti affascinati da questo libro, una ricca e quasi lirica miscellanea di aneddoti autobiografici e teoria psicologica, che nei primi anni novanta è servito da punto di riferimento per migliaia di uomini desiderosi di liberarsi dai miti della cultura maschile.

Per diverse settimane, la sauna del nostro seminterrato si è trasformata in una specie di capanna sudatoria privata, dove alla sera gli uomini della redazione si riunivano con il nostro maestro spirituale per leggere l’avvincente analisi di Keen sulle influenze sociali e culturali che hanno modellato la psiche maschile alla fine del ventesimo secolo. Poiché tutti conoscevamo solo a grandi linee il movimento degli uomini, spesso le nostre esperienze venivano efficacemente illuminate dall’esplorazione dettagliata di Keen dei riti della guerra, del lavoro e del sesso: i tre campi che, secondo lui, definiscono il concetto di virilità ai giorni nostri.

Usando il suo stesso pellegrinaggio come modello, Keen nel libro si spinge anche a descrivere quella che considera la via futura dell’uomo moderno. Non contento degli slogan popolari del movimento degli uomini, “abbracciare il nostro lato femminile” o “liberare l’uomo selvaggio interiore”, egli mira a una via di mezzo tra questi due estremi, per riindirizzare “le fiere energie del guerriero… coltivate per secoli dagli uomini… verso la creazione di un futuro più promettente e consapevole”.

Nella sua “nuova visione della virilità” c’è poco spazio per l’eterna indagine su di sé che molti associano alle cose da uomini; piuttosto, egli invoca la nascita di una nuova razza di uomini eroici, appassionati e “maschi” che si assumano la responsabilità di affrontare le crisi ecologiche e sociali dei nostri tempi. Read More

15
Oct
2011
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Preghiera e guarigione: la forza delle parole

preghiera.jpgLa definizione di preghiera per Larry Dossey è comunicazione con l’Assoluto. I suoi studi riguardano l’efficacia della preghiera sulla guarigione degli umani ma anche sugli animali e sulla crescita della piante.

In Medicina Transpersonale, il dr. Larry Dossey cita numerosi studi scientifici sull’efficacia della preghiera. Oggi esistono prove mediche a sostegno della tesi secondo cui la preghiera favorisce il processo di guarigione. Inoltre, alcuni studi documentano i risultati positivi della preghiera tibetana come strumento di intercessione.

Il dr. Dossey ha scritto otto libri, tra cui Il potere curativo della preghiera, ed è direttore esecutivo della rivista “Alternative Therapies in Health and Medicine”. Oggi il dr. Dossey vive a Santa Fe, nel New Mexico. È stato direttore del personale alla Humana Medical City Dallas e co-presidente della Tavola Rotonda degli interventi sul corpo/mente, dell’Ufficio di medicina alternativa e complementare e dell’Istituto Nazionale della Sanità.

Tricycle: Qual è la tua definizione di preghiera?

Larry Dossey: La mia definizione è molto vasta. La preghiera è la comunicazione con l’Assoluto. Tale definizione non scontenta nessuno, e ci spinge a precisare cosa intendiamo con comunicazione e Assoluto (quest’ultimo può prendere la forma di un Dio personale o meno).

Tricycle: Quando preghi, c’è un oggetto?

Larry Dossey: No. Offro la mia preghiera all’Assoluto nel modo più generale immaginabile. Ironicamente, questa è la forma più personale che la mia preghiera può assumere.

Tricycle: Cosa intendi con “Assoluto”? Read More

2
Oct
2011
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Fotografarsi dentro

Enzo Dal Verme è un fotografo italiano che abita tra Parigi e Milano ed ha ritratto celebrità come Donatella Versace, Williem Dafoe o Bianca Jagger. Il suo lavoro è stato pubblicato sulle pagine di Vanity Fair, Marie Claire, Grazia, L’Uomo Vogue, Elle e di tante altre riviste.

Per lui l’atto di fotografare è una sorta di meditazione attiva, un approccio interiore che ha sviluppato nel corso del tempo. Enzo sostiene che la fotografia gli da l’opportunità di osservare la realtà da diversi punti di vista, il che – a volte – lo spinge fuori dal suo territorio familiare, consueto e confortevole. Qualcosa che può rivelarsi difficoltoso, ma anche molto stimolante.

Il suo approccio mi ha incuriosito ed ho voluto intervistarlo.

Toshan Ivo Quartiroli: La fotografia è una tipica arte che si rivolge all’esterno, dove c’è una separazione tra soggetto ed oggetto e dove l’attenzione viene portata verso l’esterno.  I percorsi di consapevolezza e di autoconoscenza spirituali, invece, e la meditazione stessa, sono arti dell’interiore, dove il soggetto, l’oggetto osservato e la consapevolezza che conosce si fondono. Mi sembra di capire che hai sviluppato una “via della fotografia” dove l’interiore e l’esteriore si uniscono. Puoi dire qualcosa a riguardo?

Enzo Dal Verme: Non è necessario fare una distinzione così drastica tra interno ed esterno, dipende tutto da come osservi e percepisci la realtà. Se io considerassi solo le luci e le ombre, i volumi e l’armonia estetica di un’immagine mentre sto scattando, la separazione fra me e il soggetto sarebbe notevole. Ci sarebbe un fotografo che osserva una persona da fotografare: due entità separate. Però quello che mi attira non sono tanto le forme e il loro impatto estetico, ma la vita che si esprime (anche) nelle forme. In tutte le forme. Il che permette al grado di separazione tra me e le persone che fotografo di assottigliarsi molto. Read More

26
Sep
2011
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The Digitally Divided Self

(Dopo un aggiornamento del database del sito questo ultimo post era scomparso, lo ripubblico ora. Mi scuso con chi aveva pubblicato dei commenti, a loro volta scomparsi)

Dopo 8 anni di Innernet senza tediarvi di pubblicita’ mi auguro che mi perdoniate qualche parola per  il mio nuovo libro. Passando dall’attenzione verso la tecnologia a quella verso la consapevolezza (andata e ritorno), da quando la tecnologia e’ entrata nelle nostre vite in modo pervasivo, mi sono interessato alla comprensione di come Internet opera sulla nostra mente e sulla dimensione psichica/spirituale e, dall’altro lato della medaglia, al come e perche’ la mente desideri creare strumenti dove si rispecchia e si riproduce all’infinito.

Successivamente all’esperienza come editore di libri di informatica con Apogeo, e di libri per la consapevolezza con Urra, ho creato Innernet come luogo di divulgazione di conoscenze spirituali e di confronto tra ricercatori. Innernet presenta articoli di ampio respiro, ed e’ per me un modo per restituire alla comunita’ dei ricercatori il supporto che ricevetti dagli stessi quando pubblicavo libri con il marchio Urra.

Unendo la consapevolezza della tecnologia alla consapevolezza della… consapevolezza, ho raccolto le mie riflessioni ed esperienze sul mondo digitale connesso allo sviluppo umano in The Digitally Divided Self: Relinquishing our Awareness to the Internet, ordinabile su Amazon. L’indice, la prefazione ed il primo capitolo sono disponibili su Indranet. Il libro e’ in inglese e non so ancora quando e da quale editore verra’ tradotto in Italiano, ma si sa che gli originali sono sempre meglio delle traduzioni :D Per quanto il mio inglese sia abbastanza buono, il libro e’ stato corretto dalle imprecisioni grammaticali da un editor statunitense.

The Digitally Divided Self tratta degli aspetti storici, sociali, psicologici e spirituali del nostro rapporto con la tecnologia. Nonostante sia stato pubblicato in proprio e io sia sconosciuto nel mondo editoriale anglosassone, sono molto soddisfatto e grato del supporto ricevuto dalle recensioni di filosofi e di personaggi che la tecnologia l’hanno creata, studiata e divulgata, tra i quali Howard Rheingold, Derrick de Kerckhove, Arthur Kroker, Eric McLuhan, Douglas Rushkoff, Federico Faggin, Ervin Laszlo, William Powers, Michael Wesch.

Mi ha fatto anche molto piacere scoprire una sensibilita’ verso la ricerca interiore e intorno agli aspetti psicologici e spirituali della tecnologia da parte degli stessi personaggi, il che fa sperare in un’evoluzione, usando la definizione di Peter Russell, dall’information al consciousness processing.

The Digitally Divided Self: Relinquishing our Awareness to the Internet su Amazon.

L’indice, la prefazione e il primo capitolo sono disponibili su Indranet.

4
Aug
2011
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L’imperturbabile redenzione dell’animo, intervista a Jack Kornfield

Jack Kornfield è stato monaco buddista in Thailandia, Birmania e India. Dopo essersi iscritto alla facoltà di Studi Asiatici a Dartmouth, nel 1967 è andato in Thailandia con il Corpo dei Volontari della Pace, in cerca di un insegnante buddista. Al ritorno si è laureato in psicologia clinica ed è diventato terapista. Nel 1975 è stato il co-fondatore della Insight Meditation Society, con sede a Barre, nel Massachusetts, che ha molto influenzato la pratica della vipassana nel Nord America.

Nel 1986 ha fondato lo Spirit Rock Meditation Center di Woodacre, in California, dove insegna. Oggi vive vicino Spirit Rock con la famiglia e le sue occupazioni principali sono l’insegnamento e lo sviluppo del centro. Tra i suoi libri, ricordiamo Seeking the Heart of Wisdom, A Path with Hearth e Teachings of the Buddha, After the Ecstasy, the Laundry. Questa intervista si è svolta a Spirit Rock.

Helen Tworkov: Jack, i testi tradizionali parlano del cammino verso l’illuminazione, mentre tu, nel tuo nuovo libro After the Ecstasy, the Laundry, indaghi cosa avviene dopo la prima esperienza di illuminazione. Ciò nasce da un bisogno tutto occidentale di armonizzare il dharma con la psicologia?

Jack Kornfield: Non credo che la pratica del dharma e la psicologia siano contrapposte; la mia sensazione è che stiamo creando una falsa dicotomia. Il mio insegnante Ajahn Chah diceva spesso: “C’è la sofferenza, c’è la causa della sofferenza, e come insegna il Buddha nelle Quattro Nobili Verità, c’è la fine della sofferenza. Ovunque tu sia, quello è il luogo della pratica”. Talvolta la sofferenza giunge attraverso l’attaccamento a un certo dolore emotivo o a fatti particolari; talvolta, attraverso il non-riconoscimento del vuoto, dell’evanescenza della vita, del fatto che nulla può essere definito come io o mio. Lo scopo della pratica del dharma è prestare attenzione al punto in cui c’è sofferenza, scorgere l’attaccamento e l’identificazione, e lasciarli andare per trovare la libertà dell’animo.

Helen Tworkov: Ma in gran parte del buddismo tradizionale, portare l’attenzione sul dolore emotivo (e sulle vicende personali dietro di esso) viene considerata una pratica “altra” rispetto all’attività spirituale.

Jack Kornfield: Beh, spesso i tradizionali testi buddisti si concentrano sul raggiungimento della perfetta illuminazione e sul vivere in modo assolutamente puro e libero dopo di essa. Ma oggi non esistono molte persone che possiamo descrivere con queste parole, inclusi i grandi, rispettati a amati insegnanti come il Dalai Lama o il venerabile Mahahosananda, il Gandhi della Cambogia. Questi maestri contemporanei affermano: “Sto ancora lottando contro questo o quello, o queste sono le cose su cui sto lavorando oggi tramite la pratica”. Non parlano da uno spazio di libertà assoluta. Quindi, ai nostri tempi, anche i maestri più anziani si chiedono: “Come facciamo a vivere il dharma, a metterlo in pratica in modo continuo nella nostra vita quotidiana, e a non considerare più gli insegnamenti solo dal punto di vista archetipico o assoluto?”. Read More

8
Jul
2011
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Il samsara è irreale

In occasione dei 30 anni di Merigar, Il primo nucleo della Comunità internazionale Dzogchen, fondato nel 1981 dal professore tibetano Namkhai Norbu,presentiamo questo insegnamento di Norbu.

Da un Insegnamento del Maestro Namkhai Norbu, dato il 10 novembre 2004 al centro dzogchen Tashigar del Norte (http://www.tashigarnorte.org/), Isola Margarita, Venezuela

Una delle pratiche più importanti è essere consapevoli, essere presenti e quindi integrare corpo, voce e mente nello stato naturale. Inoltre quando siete presenti si manifestano i segni in maniera concreta: non sentite che la vita è pesante. Vedete, alcuni sentono di avere sempre molti problemi e tensioni. Altri mantengono tensioni accumulate da molti anni. Poi vi aggiungono più tensioni e covano dentro una specie di rabbia. Ciò è molto negativo.

Dovete liberarvene. Liberarvi significa sapere qual è la vostra vera condizione. Viviamo nel samsara, e Buddha ha spiegato che il samsara è irreale. Ha detto che non esiste nulla di reale. Cammino, saggezza, realizzazione… Nulla è reale, lo dicono anche gli insegnamenti sutra. Sono cose che sappiamo a livello intellettuale, ma non in pratica. E se non sappiamo che cosa significano praticamente, tutta la nostra conoscenza intellettuale non ci aiuta. Read More

18
Jun
2011
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Quando accade l’impossibile

Grof.quando accade l’impossibile.jpgUno degli aspetti più straordinari della nostra esperienza con Swami Muktananda e con il Siddha Yoga fu l’eccezionale incidenza di sincronicità nella vita dei seguaci di Muktananda. Ne abbiamo avuto notizia da amici e conoscenti legati al movimento Siddha Yoga: i ritiri intensivi offerti dagli ashram davano continuamente risalto a oratori che raccontavano storie eccezionali di incontri con Baba, e questi racconti contenevano descrizioni di fantastiche coincidenze simili a quelle che erano capitate a me. Tratto da “Quando accade l’impossibile” di Stanislav Grof – Urra ed.

Il guru nella vita dei suoi devoti

Il Siddha yogi è un burattinaio cosmico?

Una storia esemplare è quella di un uomo che aveva trascorso molto tempo in una città fantasma australiana, alla ricerca di avanzi di gemme nelle miniere abbandonate. Viveva da solo in una capanna sgangherata e durante le lunghe serate cercava di leggere al lume di candela. Uno degli abitanti precedenti aveva lasciato sulla parete della capanna la fotografia di uno strano uomo dalla pelle scura con in testa un cappellino da sci rosso, che teneva in mano una bacchetta fatta di penne di pavone: era il ritratto di Swami Muktananda, anche se sulla fotografia non vi era alcuna scritta che lo identificasse come tale.

Durante una delle sue sere solitarie, il cacciatore di gemme alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e fu catturato dal volto dell’uomo nella fotografia. Mentre focalizzava la sua attenzione sugli occhi del ritratto, sentì come un fulmine che emanava dalle pupille dell’uomo e lo colpiva in mezzo agli occhi. La cosa suscitò in lui una potente ondata emotiva e una forte risposta fisica. Queste esperienze continuarono nei giorni seguenti: nelle due settimane successive, una serie di eventi condusse l’uomo all’ashram di Baba a Melbourne. Si iscrisse a uno dei ritiri intensivi dei fine settimana, dove imparò lo shaktipat e i differenti modi che può assumere e, da allora, rimase un fedele seguace di Baba.

Una nostra amica, una delle Swami più anziane di Muktananda, ci raccontò la storia seguente, che risale ai suoi primi anni come devota. Una delle cose che Muktananda amava di più era dare agli occidentali nomi spirituali indiani: Yamuna, Sadashiva, Durghananda, Shivananda, Lakshmi, e così via. I suoi studenti e seguaci solitamente ricevevano i loro nuovi nomi durante il darshan, che dava modo ai discepoli di avere brevi contatti con il guru, scambiare qualche parola, fare un’offerta (prasad).

La nostra amica, a quel tempo zelante studentessa e aspirante novizia, stava nella coda del darshan con un’amica, aspettando di ricevere il nome spirituale da Swami Muktananda. Era un po’ nervosa e cercava di incanalare l’ansia scherzando e facendo battute: “Io penso di sapere che nome ci darà Baba,” disse ridacchiando: “Ci chiamerà Creepa e Creepie.” Con suo stupore, il nome che ricevette soltanto pochi minuti dopo fu Kripananda, ovvero “la felicità della grazia”, e da allora tutti la chiamano così.

Tra le centinaia di storie raccontate durante i ritiri intensivi, una merita un’attenzione particolare. Si riferisce a un veterinario di Malibu, chiamato a prendersi cura di uno dei cani di Baba. Poiché Swami Muktananda viaggiava per tutto il mondo, uno dei suoi collaboratori aveva il compito di cercare un alloggio temporaneo adeguato per i ritiri. Spesso a questo scopo si sceglievano edifici fatiscenti in quartieri mal tenuti: venivano restaurati per creare ashram temporanei nella convinzione che fosse un esempio di karma yoga lasciarli in una condizione migliore di quanto fossero inizialmente. Read More

27
May
2011
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Dipendenze e trascendenza come stati alterati di consapevolezza

dali Sleep.jpgLe dipendenze, le compulsioni e gli attaccamenti sono stati di coscienza contratti mentre la trascendenza vede una espansione della consapevolezza. Un’approfondita analisi delle dipendenze dalle sostanze e delle vie per la trascendenza.

A un osservatore della natura umana privo di pregiudizi può sembrare che la dipendenza, la compulsione e gli attaccamenti siano una componente normale e inevitabile della vita umana. Questo stesso osservatore (forse un visitatore da un altro pianeta) penserebbe probabilmente che anche la ricerca della trascendenza, degli stati espansi o alterati di consapevolezza sono attività umane ugualmente diffuse e naturali. Gli scopi di questo articolo sono: 1) definire le dipendenze, vista la loro natura fissa e ripetitiva, come stati contratti di consapevolezza; 2) contrastarle con la trascendenza, ovvero con un’espansione della consapevolezza, consistente certe volte in un’esperienza mistica o visionaria.

Cos’è la dipendenza? La prima cosa vorrei dire è che la dipendenza e la compulsione (intese nel senso più generale possibile) sono espressioni patologiche o esagerate del comportamento umano naturale e normale. La maggior parte delle persone (se non tutte) hanno una tendenza alla compulsione o alla dipendenza. Quando il comportamento diventa tanto abituale da dominare la vita dell’individuo, a detrimento delle relazioni e del lavoro, abbiamo la diagnosi clinica di dipendenza.

Milioni di persone si sono riconosciute dipendenti da una cosa o l’altra, e questa definizione della compulsione come una condizione o una “malattia” è stata certamente salutare e terapeutica per molti individui. Ma, come tutte le metafore, anche quella della malattia ha i suoi limiti, ed è stata giustamente criticata da alcuni perché suggerisce l’idea che la dipendenza sia una condizione fissa e immutabile. D’altra parte, se consideriamo la dipendenza clinica semplicemente come un estremo dello spettro del comportamento umano, imparare a riconoscere, identificare e affrontare le proprie tendenze compulsive diventa un processo normale dello sviluppo dell’uomo, una sorta di maturazione o crescita.

In alternativa al modello della malattia, alcuni definiscono la dipendenza come la ricerca dell’appagamento esclusivamente nel mondo esterno, materiale. In questo caso è possibile contrastare la dipendenza con la consapevolezza, l’interiorità o la crescita spirituale, ovvero dirigendo l’attenzione a stati ed esperienze interiori, lontano dal mondo esterno. Anche questa è una definizione molto vasta, che farebbe della dipendenza una componente normale dell’esperienza umana.

Infatti, l’estroversione, la tendenza ad acquistare e consumare beni materiali, vengono generalmente considerate caratteristiche dominanti della consapevolezza collettiva dell’umanità occidentale (se non di tutto il mondo). Nelle tradizioni spirituali asiatiche, incluso lo yoga, il vedanta hindu e le varie scuole del buddismo, l’«attaccamento», la brama e il desiderio vengono considerati processi basilari della consapevolezza umana, oltre che gli ostacoli principali alla “liberazione”, l’«illuminazione» o “auto-realizzazione”. “La fonte della sofferenza è il desiderio”, recita la seconda della Quattro Nobili Verità del Buddha, dopo la prima, che sostiene l’universalità e l’ineluttabilità della sofferenza. Read More

24
Apr
2011
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La ricerca di sé e gli inganni dell’io

Se la luna, mentre completa il suo eterno viaggio intorno alla terra, ricevesse il dono dell’autocoscienza, sarebbe certamente convinta di stare viaggiando secondo la propria decisione lungo la sua strada con la forza di una decisione presa una volta per tutte. Allo stesso modo un Essere dotato d’intuizione superiore e una più perfetta intelligenza, che osservasse l’uomo e le sue azioni, sorriderebbe dell’illusione umana che lo spinge a credere di poter agire secondo il proprio libero arbitrio. (Albert Einstein)

Tutti gli esseri animati e inanimati di cui è composto l’universo, che ha la forma di un cerchio ininterrotto, sono permeati dal Brahman che è al di là di questi. M’inchino a questa suprema realtà. OM (Skanda Purana)

Il significato del termine religioso è: riunire tutte le proprie energie per comprendere la natura del pensiero, riconoscerne i limiti e andare oltre. (J. Krishnamurti)

Immaginate che l’oceano sia la vita, e che i singoli individui siano le onde. Allo stesso modo in cui l’uomo s’identifica con la personalità, la mente e il corpo come qualcosa di separato dalla vita e dal cosmo, immaginiamo che l’onda sia dotata di autocoscienza e percepisca se stessa come individualità separata dall’oceano. Percependosi come onda si rende conto della propria piccolezza rispetto all’immenso oceano e attraverso la riflessione sarà spinta prima o poi a confrontarsi con il problema della morte.

Lo spazio che la separa dalla costa finirà nel tempo, perché il suo moto tende inesorabilmente verso la riva che rappresenta la sua fine ineluttabile. Sa che un giorno andrà a sfracellarsi contro la scogliera, dopo di che sarà risucchiata dalla risacca che distruggerà la sua forma e la farà scomparire nell’ignoto, oppure si dovrà dissolvere in una morte prematura prima ancor di aver raggiunto la riva, per una bonaccia inaspettata. Read More