Innernet: Journey into Awareness
and Anima Mundi

19
Jun
2012
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Se mai ebbi un nome, sarebbe Gratitudine. Intervista a Byron Katie

Alcune domande a chi ha fatto delle domande – quattro in particolare – un espediente illuminante per risvegliarti alla realtà, per rompere la catena della sofferenza causata non tanto dagli eventi in se’, quanto – come Byron Katie chiaramente espone – dai nostri pensieri su tali eventi. Pensieri a cui puntualmente diamo credito.

Byron Katie, che con il suo risveglio ha sviluppato il metodo chiamato Il Lavoro, ed è autrice, tra gli altri, dei libri Amare ciò che è e I mille nomi della gioia, sarà per la prima volta in Italia – a Bellaria – per un evento il 21 giugno. La sua visita, iniziativa dell’intervistatrice, è organizzata da Diapasonbooking e Macrolibrarsi.

Una intervista a Byron Katie a cura di Elsa Nityama Masetti.

Qual è la differenza – se c’è – tra “amare ciò che è” e “prenderla con leggerezza” (easy)?

C’è una grande differenza. È facile “prenderla easy” quando le cose vanno come vuoi. È facile “andare con il flusso” quando la corrente va nella direzione dove tu pensi debba andare. Ma che cosa accade quando ti arrabbi, o sei triste, o frustrato, o infastidito? A quel punto puoi continuare a dire a te stesso “prendila con leggerezza” finché diventi livido, ma non può funzionare.

Perché? Perché stai affrontanto l’effetto, non la causa. Lo stress (rabbia, tristezza, frustrazione) è sempre l’effetto che segue all’atto di credere a un pensiero non vero. Prima arriva il pensiero che “ti mette in ginocchio”, poi ci credi, poi senti l’emozione negativa. Read More

12
Jun
2012
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Memorie di Anandamayi Ma

AnandaMayi Ma7.jpgNarra la leggenda che una sera, nel bel mezzo di un festival del canto religioso, la Madre Divina Anandamayi Ma all’improvviso si alzò e abbandonò il suo ashram. Ai due discepoli che la seguirono ansiosamente chiedendole dove stesse andando, rispose soltanto: «Sarnath», il nome di una città a molti chilometri di distanza.

Un treno postale su cui salì fece misteriosamente una fermata fuori programma in quella città. Quindi lei si diresse senza esitazioni verso un albergo sconosciuto, passò davanti al direttore ed entrò direttamente nella stanza di una discepola che, all’insaputa di tutti, era giunta là qualche ora prima senza un soldo, piangendo e pregando disperatamente Anandamayi Ma. Il resto della notte passò tra risa e battute sull’ansia e la paura della discepola, ora piena di gioia.

Nata in un villaggio del Bengala orientale (ora Bangladesh), Anandamayi Ma era, al momento della morte nel 1982, una delle sante più riverite di questo secolo. Bastano le fotografie per dimostrare la sua luminosa bellezza e la sua potentissima esaltazione divina. Esistono innumerevoli racconti sui suoi miracoli, guarigioni e predizioni. Sebbene fosse praticamente analfabeta, col tempo intorno a lei si formò una complessa teologia.

Era ritenuta un’avatar, un’incarnazione divina illuminata dalla nascita. Si raccontava che le sue azioni fossero il risultato del suo kheyal, la sua ispirazione divina, e si pensava che non avesse motivazioni proprie. Infatti, dopo i ventotto anni, cessò di nutrirsi e doveva essere imboccata dai discepoli come una neonata.

Anandamayi Ma viaggiò incessantemente, creando una rete di ashram in tutta l’India. Tra i suoi ammiratori, vi erano insigni personalità come il Mahatma Gandhi, Indira Gandhi e Gopinatha Kaviraj, uno dei più importanti eruditi indiani; quest’ultimo, quando la vide, sentì che lei, una donna ignorante, aveva finalmente risposto a tutte le sue domande spirituali.

Arnaud Desjardins e Daniel Roumanoff furono tra i primi discepoli occidentali di Anandamayi Ma. Entrambi la incontrarono in India nel 1958 e furono suoi studenti per molti anni; nei due articoli seguenti raccontano la loro vita con lei. I loro racconti ci danno un vivido ritratto di un’esuberante santa moderna, offrendoci un’idea di cosa significasse esserle vicino.

Ella catapultò entrambi gli uomini dentro profonde esperienze spirituali, sfidando allo stesso tempo il loro amore e la loro devozione verso di lei. Tuttavia, le conclusioni finali che ognuno dei due ne trasse sono radicalmente diverse. Mentre il primo vide solo l’imperscrutabile e profondo gioco del Divino, l’altro avvertì limiti profondi nell’insegnamento e nelle azioni di Ma. Considerati nel loro insieme, i loro articoli sollevano affascinanti interrogativi su questa influente Madre Divina indiana. Read More

16
May
2012
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Liberare la sessualità

statua donna estatica.jpgMiranda Shaw ha conseguito un dottorato in Studi buddisti alla Harvard University, è vincitrice di una borsa di studio Fullbright e attualmente è ricercatrice in Studi buddisti nel Dipartimento di Religione all’Università di Richmond. Il suo libro, Passionate Enlightenment: Women in Tantric Buddhism, spiega quanto fosse importante il ruolo delle donne nell’insegnamento e nella pratica tradizionali tantriche.

Il Tantrismo è un ramo non-monastico e non-casto della pratica buddista indiana, himalayana e tibetana, che cerca di inserire ogni aspetto della vita quotidiana, incluse l’intimità e la passione, nel cammino verso la liberazione. Gli storici hanno quasi sempre pensato che nelle pratiche tantriche le donne fossero subordinate, quando non addirittura sfruttate e degradate. Miranda Shaw sostiene il contrario.

Oltre alle interviste e al lavoro sul campo condotto per due anni in India e in Nepal, la Shaw ha scoperto quaranta opere inedite di donne del periodo Pala (dall’ottavo al dodicesimo secolo d.C.), grazie alle quali ha riscritto la storia del buddismo tantrico nei primi quattro secoli. La Shaw sostiene che in quel periodo il Tantrismo promuoveva un’ideale di relazione tra uomo e donna basato sulla cooperazione e la liberazione reciproca, assegnando alle donne il ruolo di sorgente dell’intuizione e del potere spirituali. Segue una intervista.

Ellen Pearlman: Esistono dei principi fondamentali nella letteratura sulla sessualità tantrica,?

Miranda Shaw: Sì. I Tantra, o i testi sacri tantrici, affermano chiaramente che lo scopo della relazione è l’illuminazione di entrambi i partner. Non può essere la gratificazione egoica di una sola persona. Questo scopo deve essere assolutamente chiaro e concordato esplicitamente da entrambi. Un altro principio che può impedire il tipo di sfruttamento avvenuto in occidente è che nel Tantra la donna prende sempre l’iniziativa. Sempre.

Ellen Pearlman: È possibile che l’uomo chieda e la donna acconsenta

Miranda Shaw: Sarebbe una rottura delle regole, perché l’iniziativa è nelle mani della donna. Ma se egli fa un approccio, cosa inusuale, deve usare delle convenzioni stabilite nei testi tantrici. Deve essere estremamente rispettoso e usare gesti segreti non verbali per comunicare con lei. Innanzitutto, cerca alcuni segni ben precisi per determinare se lei è una praticante tantrica, poi dimostra di essere un degno compagno tantrico usando quei gesti e rendendo quelle forme di omaggio che ci si aspetta da lui. Queste forme di omaggio sono elencate negli Yogini Tantra, che i tibetani definiscono i “testi madre” del Tantra.

Egli deve prostrarsi davanti a lei, girarle attorno e usare una forma di etichetta chiamata “condotta della sinistra”, in cui lui sta alla sinistra di lei quando camminano, fa il primo passo con la gamba sinistra e le porge offerte con la mano sinistra. Quando mangiano insieme, deve sempre servire lei per prima. Questi atteggiamenti dimostrano che egli non cerca una relazione per l’appagamento del suo ego, ma che è abbastanza civilizzato e raffinato da diventare il suo compagno spirituale e da comprendere che questa relazione sarà al suo servizio.

Ellen Pearlman: E questo avviene tra insegnante e discepolo? Read More

24
Apr
2012
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L’ego transpersonale: esiste una nuova formazione?

Riflettendo a fondo sul tema quanto mai affascinante (“Cos’è l’ego?”), un pomeriggio, un pensiero interessante si è affacciato nella mia mente curiosa: è possibile che in questa epoca di trasformazioni, nel fertile campo dell’emergente paradigma spirituale del nuovo millennio, sia emersa una nuova struttura, ovvero l’ego transpersonale?

È possibile che in seguito alla disillusione provocata dalla caduta di tantissimi maestri e guru “illuminati”, l’autorità in fatto di questioni spirituali sia stata, lentamente ma saldamente, usurpata dagli psicologi con un amore profondo per lo spirito, gli psicologi transpersonali che oltre a essere esperti del loro campo, hanno una comprensione teorica delle conquiste più elevate della ricerca spirituale?

Aspetta un po’ – ho pensato – questo è da approfondire: è in corso la nascita di una nuova formazione dell’ego perenne? Un ego che sa più cose su se stesso, sulla sua nascita, la sua evoluzione, la sua natura vuota e addirittura la sua morte, di tutte le altre formazioni dell’ego mai create? A quel punto, è sorta l’inevitabile domanda: è possibile che questo tipo di straordinaria conoscenza di sé sia per l’ego, dal punto di vista dell’illuminazione, il più sofisticato e involontario meccanismo di difesa mai esistito nella storia del genere umano? Dovevo scoprirlo!

Per questo chiamai Kaisa Puhakka, psicologa, praticante zen, teorica transpersonale, direttrice della Facoltà Clinica all’Istituto di Psicologia Transpersonale e gigante intellettuale che da sola ha trasceso e incluso la teoria del tutto di Ken Wilber, nella conferenza del 1997 all’Istituto californiano di studi integrali intitolata Ken Wilber e il futuro dell’esplorazione transpersonale.

Le risposte di Puhakka alle mie domande sulla “nuova formazione” rivelano quanto è difficile cercare di trascendere l’io-mente e allo stesso tempo essere esperti dell’argomento. Comunque, Puhakka ha detto di desiderare che il lettore capisse chiaramente che, secondo lei, qualsiasi attaccamento o “punto di vista” era di per sé un limite, e che forse io, nella mia posizione di insegnante spirituale, nel porre queste domande stavo cadendo vittima della stessa condizione che stavo evidenziando negli altri. Chi lo sa?

Ciò che segue è un’indagine provocatoria, e si spera divertente, in risposta alla domanda: Esiste una nuova formazione sull’orizzonte spirituale? Read More

21
Mar
2012
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Lo zen della gravità zero

story musgrave.gifNella vita dell’astronauta Story Musgrave si fondono lo spazio e lo spirito, la natura e la tecnologia, una grande concretezza e una concezione trascendentale della vita sulla Terra.

Alla soglia di sessanta anni, l’astronauta F. Story Musgrave aveva passato nello spazio più tempo di qualsiasi altro americano: cinque missioni per un totale di 858 ore. All’apparenza, sembrerebbe che tutta la sua vita sia passata a preparare questo mese e sei giorni di magia.

“È un cammino splendido e adatto a me”, dice, “Ma avrei percorso qualsiasi altro cammino con lo stesso senso estetico e spirituale. In tutti i casi, mi sarei sempre chiesto: qual è il nostro posto nell’universo e cosa vuol dire essere un uomo? Ho usato tutto ciò che ho fatto nella vita per rispondere a questa domanda”.

Il dr. Story Musgrave è tanto impressionante dal vivo quanto sulla carta: scienziato-astronauta, chirurgo, dottore aerospaziale e fisiologo; laureato in chimica, matematica, informatica e lettere; esperto in 160 tipi di velivoli, tra cui jet, aliante e paracadute. Calvo, portamento da marine, un impeccabile blazer della marina e pantaloni grigi, egli non passa inosservato in mezzo alla folla.

Lo zen della gravita zero 1.gifHo incontrato Story Musgrave a un party per gli astronauti dello Hubble, allo “Space Telescope Science Institute” (Istituto Scientifico Telescopio Spaziale). Per esperienza, anzianità di servizio e profondità della ricerca intellettuale, Story è nello Space Program colui che più si avvicina al capitano di Star Trek Jean-Luc Picard. Ma, saggiamente, egli dà l’impressione di un semplice pilota collaudatore militare, tranquillo e imperturbabile, con una strascicata pronuncia del Kentucky e l’immancabile «understatement».

Da quando sono cominciate le missioni spaziali con equipaggio umano, molti astronauti hanno vissuto trasformazioni spirituali di cui hanno parlato volentieri. Dopo vari tentativi andati a vuoto di intervistare uno di loro, ho ricevuto una risposta entusiasta da Story, ma l’istante successivo egli fu risucchiato da un’altra attività. Read More

14
Feb
2012
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Il sutra del battito del cuore

frattale farfalle.jpgTanto nel buddismo Vajrayana quanto nella teoria del caos, per la trasformazione viene usato ciò che si ha sotto mano: divinità feroci vengono utilizzate per dissipare la negatività, o impulsi irregolari verso il cuore vengono usati per curare battiti cardiaci irregolari. Entrambe le discipline considerano i sistemi aperti e suscettibili di cambiamento a ogni istante.

La teoria del caos, il karma e altre fluttuazioni.

La prima volta che ho parlato di buddismo con il “Dr. Caos” era una sera di gennaio di due anni fa, in California. Eravamo seduti sul pavimento della casa di un amico, a Big Sur, a sessanta metri sul mare. Da quel punto si potevano vedere e sentire le onde infrangersi. Mentre ascoltavamo e guardavamo, l’acqua si stendeva all’orizzonte come un grande specchio, e il sole invernale tramontava lentamente diffondendo una splendida luce di colore magenta, ambra e scarlatto: uno di quegli scenari naturali che per bellezza e profondità lasciano senza parole lo spettatore, al punto che ci prese una sorta di vertigine.

«Sai, non ho mai guardato un tramonto in vita mia, non fino in fondo», disse il dr. Caos quando l’oscurità si alzò dall’oceano coprendoci.

«Come mai?», chiesi, scioccata dal fatto che qualcuno avesse potuto lasciarsi sfuggire quello spettacolo per cinquanta anni. Di sicuro, anche un fisico nascosto nella Stanford University e nei laboratori Lawrence Livermore sarà stato lontano dai computer il tempo sufficiente per imbattersi ogni tanto in un tramonto.

«Perché mi faceva sentire troppo solo», rispose. «Non riuscivo a guardarlo in solitudine, era uno spettacolo troppo forte». Read More

8
Jan
2012
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Dall’Homo Sapiens all’Homo noeticus

Leonardo. Proportions of Man.jpgQuando immaginiamo il futuro della Terra, ci troviamo di fronte a un paradosso: da un lato è difficile pensare che l’«Homo sapiens» non continuerà a essere l’unico padrone del pianeta Terra, ma dall’altro è ugualmente difficile immaginare, data la vastità delle distruzioni in atto, quale sarà il futuro della Terra se continuerà il dominio dell’Homo sapiens.

Nel corso della nostra indagine per scoprire se e come l’illuminazione può risolvere la crisi attuale, ci siamo imbattuti in un affascinante pensatore che ha osato spingere la sua immaginazione al di là di questo paradosso, arrivando a una soluzione nientedimeno che evolutiva.

Secondo il ricercatore della consapevolezza John White, benché tutte le tendenze siano contrarie, la Terra e l’umanità possono davvero avere un promettente futuro insieme. Ma l’essere umano che parteciperà a questo futuro sarà un primate molto diverso da quello che conosciamo oggi. White lo chiama “homo noeticus”: il gradino successivo dell’evoluzione.

Chiamato alla vita spirituale nel 1963 da un’esperienza spontanea di ciò che egli chiama “la realizzazione di Dio”, John White non ha mai avuto difficoltà a dire di essere illuminato, salvo precisare, subito dopo, “ma solo un po’”. E negli ultimi ventisette anni, quel “solo un po’” è stato ciò che ha alimentato il suo insaziabile interesse verso l’esplorazione del potenziale umano più elevato. Chiedetegli dei suoi risultati in questo campo, e l’ultima cosa che vi sentirete raccontare è l’esperienza di illuminazione che ha dato il via al suo cammino. Prima sentirete parlare della sua amicizia con l’astronauta dell’Apollo 14 Edgar Mitchell, la cui esperienza spirituale nella capsula spaziale lo ha portato a fondare, insieme a White, l’Istituto di Scienze Noetiche, oggi noto in tutto il mondo.

Poi sentirete parlare del manoscritto ricevuto nel 1974 da un giovane scrittore che faticava ad affermarsi, Ken Wilber, intitolato The Spectrum of Consciousness. Il libro fece una tale impressione su White che egli fece di tutto per pubblicarlo, cosa che gli riuscì trentatré editori e quattro anni dopo, dando l’avvio all’ascesa di Wilber, che oggi è uno dei più autorevoli pensatori spirituali dell’era moderna. Read More

13
Dec
2011
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Peccato e salvezza nel buddismo e nel cristianesimo

peccato originale.jpgIl peccato, buddista o cristiano, non è solo un sinonimo del male. Il suo significato specifico è un’azione che viola una legge sacra o minaccia le fondamenta stesse della nostra umanità. Nel cristianesimo è Dio che stabilisce l’ordine morale del mondo; quindi, chi viola questo ordine viola la volontà divina. È un atto di slealtà, se non di tradimento, verso il proprio creatore. Nel buddismo non esiste un simile creatore, ma è presente un ordine morale predeterminato associato al karma.

Mentre la teologia cristiana ha scrupolosamente classificato i peccati secondo una dettagliata gerarchia, l’approccio buddista è stato molto più limitato. Nel buddismo esistono cinque azioni principali che possono veramente definirsi peccati mortali o efferati. Esse sono: uccidere il proprio padre, uccidere la propria madre, versare il sangue di un Buddha, distruggere l’armonia di un ordine monastico (il sangha), uccidere un santo buddista (arhat) e/o distruggere statue e sculture buddiste.

Nel buddismo mahayana, uccidere un insegnante del dharma e un maestro dei precetti sono considerati peccati cardinali tanto quanto gli altri cinque. Nel buddismo tradizionale, si dice che commettere uno di questi cinque o sette peccati condanni una persona all’ultimo e peggiore dei regni infernali.

Possiamo aggiungere a questi peccati cardinali la violazione di uno qualsiasi dei cinque precetti generali, ovvero: non fare del male agli esseri senzienti, non rubare, non mentire, non indulgere in atti sessuali impropri o nell’uso di sostanze intossicanti. Con questi, il buddismo annovera fino a dieci o dodici peccati. Read More

2
Dec
2011
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Chi era il Buddha?

Chi era il Buddha 1.jpgSiddharta Gautama nacque intorno al 567 A.C. in un piccolo regno ai piedi dell’Himalaya. Suo padre era un capo del clan Shakya. Si dice che dodici anni prima della sua nascita, i brahmini profetizzarono che sarebbe diventato o un monarca universale o un grande saggio. Per impedirgli di diventare un asceta, il padre lo tenne rinchiuso nel palazzo.

Gautama crebbe in un lusso principesco, riparato dal mondo esterno, intrattenuto da ballerine ed educato da brahmini; inoltre, era esperto nel tiro con l’arco, nell’arte della spada, nella lotta, nel nuoto e nella corsa. Quando diventò maggiorenne, sposò Gopa, che partorì un figlio. Come diremmo oggi, aveva tutto.

Ciononostante, non era abbastanza. Qualcosa – qualcosa di persistente come la sua ombra – lo condusse nel mondo, oltre le mura del castello. Là, nelle strade di Kapilavastu, incontrò tre semplici cose: un malato, un anziano e un cadavere che veniva portato al forno crematorio. Niente, nella sua vita di agi, lo aveva preparato a questa esperienza. E quando il suo auriga gli disse che tutti gli esseri sono soggetti alla malattia, alla vecchiaia e alla morte, non seppe darsi pace.

Tornando al Palazzo, si imbatté in un asceta itinerante che camminava tranquillamente lungo la strada, indossando la tunica e portando niente altro che la ciotola dei sadhu; allora decise di lasciare il Palazzo per cercare la risposta al problema della sofferenza. Disse silenziosamente addio alla moglie e al figlio, senza nemmeno svegliarli, e cavalcò fino al limite della foresta. Qui si tagliò i lunghi capelli con la spada e scambiò le sue lussuose vesti con le semplici tuniche di un asceta.

Con tali azioni, Siddharta Gautama si unì a un’intera classe di uomini che avevano lasciato la società indiana per trovare la liberazione. Esisteva una grande varietà di metodi e insegnanti, e Siddharta condusse la sua ricerca presso molti di questi ultimi: atei, materialisti, idealisti e dialettici. Tanto la fitta foresta quanto l’affollato mercato risuonavano di migliaia di voci che discutevano opinioni e argomenti diversi, e in ciò quell’epoca non era diversa dalla nostra. Read More