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peccato originale.jpgIl peccato, buddista o cristiano, non è solo un sinonimo del male. Il suo significato specifico è un’azione che viola una legge sacra o minaccia le fondamenta stesse della nostra umanità. Nel cristianesimo è Dio che stabilisce l’ordine morale del mondo; quindi, chi viola questo ordine viola la volontà divina. È un atto di slealtà, se non di tradimento, verso il proprio creatore. Nel buddismo non esiste un simile creatore, ma è presente un ordine morale predeterminato associato al karma.

Mentre la teologia cristiana ha scrupolosamente classificato i peccati secondo una dettagliata gerarchia, l’approccio buddista è stato molto più limitato. Nel buddismo esistono cinque azioni principali che possono veramente definirsi peccati mortali o efferati. Esse sono: uccidere il proprio padre, uccidere la propria madre, versare il sangue di un Buddha, distruggere l’armonia di un ordine monastico (il sangha), uccidere un santo buddista (arhat) e/o distruggere statue e sculture buddiste.

Nel buddismo mahayana, uccidere un insegnante del dharma e un maestro dei precetti sono considerati peccati cardinali tanto quanto gli altri cinque. Nel buddismo tradizionale, si dice che commettere uno di questi cinque o sette peccati condanni una persona all’ultimo e peggiore dei regni infernali.

Possiamo aggiungere a questi peccati cardinali la violazione di uno qualsiasi dei cinque precetti generali, ovvero: non fare del male agli esseri senzienti, non rubare, non mentire, non indulgere in atti sessuali impropri o nell’uso di sostanze intossicanti. Con questi, il buddismo annovera fino a dieci o dodici peccati.

Uno dei fattori che può distinguere la concezione del peccato buddista da quella cristiana è l’insegnamento cristiano secondo cui l’umanità è nata nel peccato (originale), mentre il buddismo insegna che siamo nati nella sofferenza. Ma anche il karma agisce come una sorta di peccato originale, in quanto si dice che ciascun individuo nasca con un certo karma a causa dei suoi peccati passati.

Tuttavia, mentre il cristianesimo insegna che gli esseri umani sono troppo degenerati per salvarsi dal peccato senza l’aiuto di Dio, la maggior parte delle scuole buddiste sostiene che lo possiamo fare da soli.

Di certo, uno degli aspetti prioritari che distingue il peccato buddista da quello cristiano è il fatto che nessun Dio chiede ai buddisti di intraprendere crociate morali per salvare gli altri dai loro peccati, come invece avviene per i cristiani. Ciò vuol dire che nel mondo poche persone sono state danneggiate dalla concezione buddista del peccato, a differenza di quanto avvenuto con quella cristiana.

Per comprendere invece l’approccio zen al peccato, bisognerebbe notare che esistono, in genere, tre diversi atteggiamenti religiosi verso il peccato e la salvezza. Il primo afferma che io vengo salvato nonostante continui a commettere peccati: è il punto di vista del cristianesimo “disimpegnato” e del buddismo della “terra pura” (Jodo Shin Shu). Il secondo sostiene che vengo salvato e non commetterò più peccati: è l’approccio del cristianesimo “rigido”. Il terzo dice che vengo salvato perché, in primo luogo, i peccati non esistono. Questo è l’approccio dello zen illuminato.

Ciascuno di questi punti di vista presenta problemi di natura filosofica, metafisica e anche morale. Il primo e l’ultimo, in particolare, comportano rischi morali più grandi del secondo. Troppo spesso è possibile usarli per giustificare comportamenti molto egoisti. La debolezza umana, in sé, non è un peccato; sfruttarla deliberatamente, in se stessi o negli altri, è un peccato.

Molti occidentali vengono attratti dallo zen perché quest’ultimo crede che siamo intrinsecamente buoni; quindi, nello zen non esistono prediche sul peccato. Ma lo zen cerca di chiarire che, finché non si è raggiunta la piena illuminazione (satori) e non si è abbastanza maturi per affrontare il concetto dell’inesistenza del peccato, è moralmente più sicuro assumere che, in primo luogo, il peccato è reale.

Rev. Vajra è un insegnante di Zen Dharma all’International Buddhist Meditation Center, www.ibmc.info, per gentile concessione.
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini.
Copyright per l’edizione italiana: Innernet.

3 Responses to “Peccato e salvezza nel buddismo e nel cristianesimo”

  1. pietrochag ha detto:

    Il peccato è servito molto alla chiesa per tenere a bada
    i ribelli o gli incontrollabili. E’ sempre stato un argomento utilizzato per sottomettere, più che per dare un senso alla propria morale.
    Nel buddhismo, in generale, l’Etica è una costante. Non c’è un’idea di peccato, ma un’idea di negatività, che mette una certa distanza tra un peccato che non è possibile correggere, ed una negatività che può essere affrontata con la propria volontà. Sembrerebbe che tra peccato e negatività ci sia una differenza non da poco, e per me, è così. Il karma che ci portiamo appresso, non è un peccato, ma una forza che ci permette di trasformare la negatività in positività. L’Etica, la morale, è la forza che possiamo utilizzare. Nel peccato, anche se si utilizzano queste qualità, sembra che non ci sia soluzione, in quanto è necessario attendere che altri, Dio, si prenda cura di noi.
    Articolo interessante. Grazie.

  2. watts ha detto:

    lo Zen non predica, non moralizza, non rimprovera come il profetismo giudaico-cristiano. Il buddismo non nega l’esistenza di una sfera relativamente limitata in cui la vita umana può essere migliorata dall’arte e dalla scienza, dalla ragione e dalla buona volontà. Ma considera questa sfera di attività altrettanto importante, seppur subordinata, della sfera comparativamente illimitata nella quale le cose sono come sono, come sono sempre state e come sempre saranno, una sfera completamente al di là delle categorie del bene e del male, del successo e del fallimento, della salute individuale e della malattia : questa è la sfera del grande universo.
    Guardandole di notte noi non facciamo confronti fra stelle giuste e sbagliate, né fra costellazioni collocate bene o male. Eppure la sfera nel suo insieme ha uno splendore e una meraviglia che qualche volta ci fa rabbrividire di timoroso rispetto!

  3. Medusa ha detto:

    E’ stato interessante leggere questo confronto sui concetti di peccato, la cosa che mi lascia dubbiosa è che l’approccio utilizzato è stato del solo confronto con la teologia del Cattolicesimo e non del Cristianesimo. Infatti per il Cristianesimo, soprattutto con il protestantesimo, il concetto di Peccato è stato ripresentato all’umanità . Noi siamo peccatori perché abbiamo rotto il nostro rapporto con il Dio creatore, ma la salvezza non si ottiene per meriti o per un processo, ma per la sola grazia di Dio, accettando il dono del sacrificio di Cristo. Con l’accettazione di tale sacrificio l’essere umano resta peccatore di natura, ma cerca di approfondire il suo rapporto personale con Dio e per questo cercherà  di vivere una vita lontana dal peccato. Questo è ben diverso dalla qui presentata lista di peccati o della pretesa delle “crociate morali” che sono il solo frutto della manipolazione, e non certo dell’insegnamento biblico di Cristo che ci esorta a rispettare il comandamento più grande “amatevi gli uni gli altri…”. Se in questa vita avremo accettato questo sacrificio, non ci sarà  bisogno di una continua reincarnazione per aspirare alla salvezza, durante la vita sulla terra il nostro percorso con Dio ci porterà  ad essere la versione “migliore” di noi stessi che mai potremmo essere, utilizzando al massimo le nostre potenzialità  ed aiutando gli altri a fare altrettanto. Il nostro futuro sarà  poi per l’eternità  alla Gloria di Do!

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