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preghiera.jpgLa definizione di preghiera per Larry Dossey è comunicazione con l’Assoluto. I suoi studi riguardano l’efficacia della preghiera sulla guarigione degli umani ma anche sugli animali e sulla crescita della piante.

In Medicina Transpersonale, il dr. Larry Dossey cita numerosi studi scientifici sull’efficacia della preghiera. Oggi esistono prove mediche a sostegno della tesi secondo cui la preghiera favorisce il processo di guarigione. Inoltre, alcuni studi documentano i risultati positivi della preghiera tibetana come strumento di intercessione.

Il dr. Dossey ha scritto otto libri, tra cui Il potere curativo della preghiera, ed è direttore esecutivo della rivista “Alternative Therapies in Health and Medicine”. Oggi il dr. Dossey vive a Santa Fe, nel New Mexico. È stato direttore del personale alla Humana Medical City Dallas e co-presidente della Tavola Rotonda degli interventi sul corpo/mente, dell’Ufficio di medicina alternativa e complementare e dell’Istituto Nazionale della Sanità.

Tricycle: Qual è la tua definizione di preghiera?

Larry Dossey: La mia definizione è molto vasta. La preghiera è la comunicazione con l’Assoluto. Tale definizione non scontenta nessuno, e ci spinge a precisare cosa intendiamo con comunicazione e Assoluto (quest’ultimo può prendere la forma di un Dio personale o meno).

Tricycle: Quando preghi, c’è un oggetto?

Larry Dossey: No. Offro la mia preghiera all’Assoluto nel modo più generale immaginabile. Ironicamente, questa è la forma più personale che la mia preghiera può assumere.

Tricycle: Cosa intendi con “Assoluto”? Continue Reading »

Enzo Dal Verme è un fotografo italiano che abita tra Parigi e Milano ed ha ritratto celebrità come Donatella Versace, Williem Dafoe o Bianca Jagger. Il suo lavoro è stato pubblicato sulle pagine di Vanity Fair, Marie Claire, Grazia, L’Uomo Vogue, Elle e di tante altre riviste.

Per lui l’atto di fotografare è una sorta di meditazione attiva, un approccio interiore che ha sviluppato nel corso del tempo. Enzo sostiene che la fotografia gli da l’opportunità di osservare la realtà da diversi punti di vista, il che – a volte – lo spinge fuori dal suo territorio familiare, consueto e confortevole. Qualcosa che può rivelarsi difficoltoso, ma anche molto stimolante.

Il suo approccio mi ha incuriosito ed ho voluto intervistarlo.

Toshan Ivo Quartiroli: La fotografia è una tipica arte che si rivolge all’esterno, dove c’è una separazione tra soggetto ed oggetto e dove l’attenzione viene portata verso l’esterno.  I percorsi di consapevolezza e di autoconoscenza spirituali, invece, e la meditazione stessa, sono arti dell’interiore, dove il soggetto, l’oggetto osservato e la consapevolezza che conosce si fondono. Mi sembra di capire che hai sviluppato una “via della fotografia” dove l’interiore e l’esteriore si uniscono. Puoi dire qualcosa a riguardo?

Enzo Dal Verme: Non è necessario fare una distinzione così drastica tra interno ed esterno, dipende tutto da come osservi e percepisci la realtà. Se io considerassi solo le luci e le ombre, i volumi e l’armonia estetica di un’immagine mentre sto scattando, la separazione fra me e il soggetto sarebbe notevole. Ci sarebbe un fotografo che osserva una persona da fotografare: due entità separate. Però quello che mi attira non sono tanto le forme e il loro impatto estetico, ma la vita che si esprime (anche) nelle forme. In tutte le forme. Il che permette al grado di separazione tra me e le persone che fotografo di assottigliarsi molto. Continue Reading »

(Dopo un aggiornamento del database del sito questo ultimo post era scomparso, lo ripubblico ora. Mi scuso con chi aveva pubblicato dei commenti, a loro volta scomparsi)

Dopo 8 anni di Innernet senza tediarvi di pubblicita’ mi auguro che mi perdoniate qualche parola per  il mio nuovo libro. Passando dall’attenzione verso la tecnologia a quella verso la consapevolezza (andata e ritorno), da quando la tecnologia e’ entrata nelle nostre vite in modo pervasivo, mi sono interessato alla comprensione di come Internet opera sulla nostra mente e sulla dimensione psichica/spirituale e, dall’altro lato della medaglia, al come e perche’ la mente desideri creare strumenti dove si rispecchia e si riproduce all’infinito.

Successivamente all’esperienza come editore di libri di informatica con Apogeo, e di libri per la consapevolezza con Urra, ho creato Innernet come luogo di divulgazione di conoscenze spirituali e di confronto tra ricercatori. Innernet presenta articoli di ampio respiro, ed e’ per me un modo per restituire alla comunita’ dei ricercatori il supporto che ricevetti dagli stessi quando pubblicavo libri con il marchio Urra.

Unendo la consapevolezza della tecnologia alla consapevolezza della… consapevolezza, ho raccolto le mie riflessioni ed esperienze sul mondo digitale connesso allo sviluppo umano in The Digitally Divided Self: Relinquishing our Awareness to the Internet, ordinabile su Amazon. L’indice, la prefazione ed il primo capitolo sono disponibili su Indranet. Il libro e’ in inglese e non so ancora quando e da quale editore verra’ tradotto in Italiano, ma si sa che gli originali sono sempre meglio delle traduzioni :D Per quanto il mio inglese sia abbastanza buono, il libro e’ stato corretto dalle imprecisioni grammaticali da un editor statunitense.

The Digitally Divided Self tratta degli aspetti storici, sociali, psicologici e spirituali del nostro rapporto con la tecnologia. Nonostante sia stato pubblicato in proprio e io sia sconosciuto nel mondo editoriale anglosassone, sono molto soddisfatto e grato del supporto ricevuto dalle recensioni di filosofi e di personaggi che la tecnologia l’hanno creata, studiata e divulgata, tra i quali Howard Rheingold, Derrick de Kerckhove, Arthur Kroker, Eric McLuhan, Douglas Rushkoff, Federico Faggin, Ervin Laszlo, William Powers, Michael Wesch.

Mi ha fatto anche molto piacere scoprire una sensibilita’ verso la ricerca interiore e intorno agli aspetti psicologici e spirituali della tecnologia da parte degli stessi personaggi, il che fa sperare in un’evoluzione, usando la definizione di Peter Russell, dall’information al consciousness processing.

The Digitally Divided Self: Relinquishing our Awareness to the Internet su Amazon.

L’indice, la prefazione e il primo capitolo sono disponibili su Indranet.

Jack Kornfield è stato monaco buddista in Thailandia, Birmania e India. Dopo essersi iscritto alla facoltà di Studi Asiatici a Dartmouth, nel 1967 è andato in Thailandia con il Corpo dei Volontari della Pace, in cerca di un insegnante buddista. Al ritorno si è laureato in psicologia clinica ed è diventato terapista. Nel 1975 è stato il co-fondatore della Insight Meditation Society, con sede a Barre, nel Massachusetts, che ha molto influenzato la pratica della vipassana nel Nord America.

Nel 1986 ha fondato lo Spirit Rock Meditation Center di Woodacre, in California, dove insegna. Oggi vive vicino Spirit Rock con la famiglia e le sue occupazioni principali sono l’insegnamento e lo sviluppo del centro. Tra i suoi libri, ricordiamo Seeking the Heart of Wisdom, A Path with Hearth e Teachings of the Buddha, After the Ecstasy, the Laundry. Questa intervista si è svolta a Spirit Rock.

Helen Tworkov: Jack, i testi tradizionali parlano del cammino verso l’illuminazione, mentre tu, nel tuo nuovo libro After the Ecstasy, the Laundry, indaghi cosa avviene dopo la prima esperienza di illuminazione. Ciò nasce da un bisogno tutto occidentale di armonizzare il dharma con la psicologia?

Jack Kornfield: Non credo che la pratica del dharma e la psicologia siano contrapposte; la mia sensazione è che stiamo creando una falsa dicotomia. Il mio insegnante Ajahn Chah diceva spesso: “C’è la sofferenza, c’è la causa della sofferenza, e come insegna il Buddha nelle Quattro Nobili Verità, c’è la fine della sofferenza. Ovunque tu sia, quello è il luogo della pratica”. Talvolta la sofferenza giunge attraverso l’attaccamento a un certo dolore emotivo o a fatti particolari; talvolta, attraverso il non-riconoscimento del vuoto, dell’evanescenza della vita, del fatto che nulla può essere definito come io o mio. Lo scopo della pratica del dharma è prestare attenzione al punto in cui c’è sofferenza, scorgere l’attaccamento e l’identificazione, e lasciarli andare per trovare la libertà dell’animo.

Helen Tworkov: Ma in gran parte del buddismo tradizionale, portare l’attenzione sul dolore emotivo (e sulle vicende personali dietro di esso) viene considerata una pratica “altra” rispetto all’attività spirituale.

Jack Kornfield: Beh, spesso i tradizionali testi buddisti si concentrano sul raggiungimento della perfetta illuminazione e sul vivere in modo assolutamente puro e libero dopo di essa. Ma oggi non esistono molte persone che possiamo descrivere con queste parole, inclusi i grandi, rispettati a amati insegnanti come il Dalai Lama o il venerabile Mahahosananda, il Gandhi della Cambogia. Questi maestri contemporanei affermano: “Sto ancora lottando contro questo o quello, o queste sono le cose su cui sto lavorando oggi tramite la pratica”. Non parlano da uno spazio di libertà assoluta. Quindi, ai nostri tempi, anche i maestri più anziani si chiedono: “Come facciamo a vivere il dharma, a metterlo in pratica in modo continuo nella nostra vita quotidiana, e a non considerare più gli insegnamenti solo dal punto di vista archetipico o assoluto?”. Continue Reading »

In occasione dei 30 anni di Merigar, Il primo nucleo della Comunità internazionale Dzogchen, fondato nel 1981 dal professore tibetano Namkhai Norbu,presentiamo questo insegnamento di Norbu.

Da un Insegnamento del Maestro Namkhai Norbu, dato il 10 novembre 2004 al centro dzogchen Tashigar del Norte (http://www.tashigarnorte.org/), Isola Margarita, Venezuela

Una delle pratiche più importanti è essere consapevoli, essere presenti e quindi integrare corpo, voce e mente nello stato naturale. Inoltre quando siete presenti si manifestano i segni in maniera concreta: non sentite che la vita è pesante. Vedete, alcuni sentono di avere sempre molti problemi e tensioni. Altri mantengono tensioni accumulate da molti anni. Poi vi aggiungono più tensioni e covano dentro una specie di rabbia. Ciò è molto negativo.

Dovete liberarvene. Liberarvi significa sapere qual è la vostra vera condizione. Viviamo nel samsara, e Buddha ha spiegato che il samsara è irreale. Ha detto che non esiste nulla di reale. Cammino, saggezza, realizzazione… Nulla è reale, lo dicono anche gli insegnamenti sutra. Sono cose che sappiamo a livello intellettuale, ma non in pratica. E se non sappiamo che cosa significano praticamente, tutta la nostra conoscenza intellettuale non ci aiuta. Continue Reading »

Grof.quando accade l’impossibile.jpgUno degli aspetti più straordinari della nostra esperienza con Swami Muktananda e con il Siddha Yoga fu l’eccezionale incidenza di sincronicità nella vita dei seguaci di Muktananda. Ne abbiamo avuto notizia da amici e conoscenti legati al movimento Siddha Yoga: i ritiri intensivi offerti dagli ashram davano continuamente risalto a oratori che raccontavano storie eccezionali di incontri con Baba, e questi racconti contenevano descrizioni di fantastiche coincidenze simili a quelle che erano capitate a me. Tratto da “Quando accade l’impossibile” di Stanislav Grof – Urra ed.

Il guru nella vita dei suoi devoti

Il Siddha yogi è un burattinaio cosmico?

Una storia esemplare è quella di un uomo che aveva trascorso molto tempo in una città fantasma australiana, alla ricerca di avanzi di gemme nelle miniere abbandonate. Viveva da solo in una capanna sgangherata e durante le lunghe serate cercava di leggere al lume di candela. Uno degli abitanti precedenti aveva lasciato sulla parete della capanna la fotografia di uno strano uomo dalla pelle scura con in testa un cappellino da sci rosso, che teneva in mano una bacchetta fatta di penne di pavone: era il ritratto di Swami Muktananda, anche se sulla fotografia non vi era alcuna scritta che lo identificasse come tale.

Durante una delle sue sere solitarie, il cacciatore di gemme alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e fu catturato dal volto dell’uomo nella fotografia. Mentre focalizzava la sua attenzione sugli occhi del ritratto, sentì come un fulmine che emanava dalle pupille dell’uomo e lo colpiva in mezzo agli occhi. La cosa suscitò in lui una potente ondata emotiva e una forte risposta fisica. Queste esperienze continuarono nei giorni seguenti: nelle due settimane successive, una serie di eventi condusse l’uomo all’ashram di Baba a Melbourne. Si iscrisse a uno dei ritiri intensivi dei fine settimana, dove imparò lo shaktipat e i differenti modi che può assumere e, da allora, rimase un fedele seguace di Baba.

Una nostra amica, una delle Swami più anziane di Muktananda, ci raccontò la storia seguente, che risale ai suoi primi anni come devota. Una delle cose che Muktananda amava di più era dare agli occidentali nomi spirituali indiani: Yamuna, Sadashiva, Durghananda, Shivananda, Lakshmi, e così via. I suoi studenti e seguaci solitamente ricevevano i loro nuovi nomi durante il darshan, che dava modo ai discepoli di avere brevi contatti con il guru, scambiare qualche parola, fare un’offerta (prasad).

La nostra amica, a quel tempo zelante studentessa e aspirante novizia, stava nella coda del darshan con un’amica, aspettando di ricevere il nome spirituale da Swami Muktananda. Era un po’ nervosa e cercava di incanalare l’ansia scherzando e facendo battute: “Io penso di sapere che nome ci darà Baba,” disse ridacchiando: “Ci chiamerà Creepa e Creepie.” Con suo stupore, il nome che ricevette soltanto pochi minuti dopo fu Kripananda, ovvero “la felicità della grazia”, e da allora tutti la chiamano così.

Tra le centinaia di storie raccontate durante i ritiri intensivi, una merita un’attenzione particolare. Si riferisce a un veterinario di Malibu, chiamato a prendersi cura di uno dei cani di Baba. Poiché Swami Muktananda viaggiava per tutto il mondo, uno dei suoi collaboratori aveva il compito di cercare un alloggio temporaneo adeguato per i ritiri. Spesso a questo scopo si sceglievano edifici fatiscenti in quartieri mal tenuti: venivano restaurati per creare ashram temporanei nella convinzione che fosse un esempio di karma yoga lasciarli in una condizione migliore di quanto fossero inizialmente. Continue Reading »

dali Sleep.jpgLe dipendenze, le compulsioni e gli attaccamenti sono stati di coscienza contratti mentre la trascendenza vede una espansione della consapevolezza. Un’approfondita analisi delle dipendenze dalle sostanze e delle vie per la trascendenza.

A un osservatore della natura umana privo di pregiudizi può sembrare che la dipendenza, la compulsione e gli attaccamenti siano una componente normale e inevitabile della vita umana. Questo stesso osservatore (forse un visitatore da un altro pianeta) penserebbe probabilmente che anche la ricerca della trascendenza, degli stati espansi o alterati di consapevolezza sono attività umane ugualmente diffuse e naturali. Gli scopi di questo articolo sono: 1) definire le dipendenze, vista la loro natura fissa e ripetitiva, come stati contratti di consapevolezza; 2) contrastarle con la trascendenza, ovvero con un’espansione della consapevolezza, consistente certe volte in un’esperienza mistica o visionaria.

Cos’è la dipendenza? La prima cosa vorrei dire è che la dipendenza e la compulsione (intese nel senso più generale possibile) sono espressioni patologiche o esagerate del comportamento umano naturale e normale. La maggior parte delle persone (se non tutte) hanno una tendenza alla compulsione o alla dipendenza. Quando il comportamento diventa tanto abituale da dominare la vita dell’individuo, a detrimento delle relazioni e del lavoro, abbiamo la diagnosi clinica di dipendenza.

Milioni di persone si sono riconosciute dipendenti da una cosa o l’altra, e questa definizione della compulsione come una condizione o una “malattia” è stata certamente salutare e terapeutica per molti individui. Ma, come tutte le metafore, anche quella della malattia ha i suoi limiti, ed è stata giustamente criticata da alcuni perché suggerisce l’idea che la dipendenza sia una condizione fissa e immutabile. D’altra parte, se consideriamo la dipendenza clinica semplicemente come un estremo dello spettro del comportamento umano, imparare a riconoscere, identificare e affrontare le proprie tendenze compulsive diventa un processo normale dello sviluppo dell’uomo, una sorta di maturazione o crescita.

In alternativa al modello della malattia, alcuni definiscono la dipendenza come la ricerca dell’appagamento esclusivamente nel mondo esterno, materiale. In questo caso è possibile contrastare la dipendenza con la consapevolezza, l’interiorità o la crescita spirituale, ovvero dirigendo l’attenzione a stati ed esperienze interiori, lontano dal mondo esterno. Anche questa è una definizione molto vasta, che farebbe della dipendenza una componente normale dell’esperienza umana.

Infatti, l’estroversione, la tendenza ad acquistare e consumare beni materiali, vengono generalmente considerate caratteristiche dominanti della consapevolezza collettiva dell’umanità occidentale (se non di tutto il mondo). Nelle tradizioni spirituali asiatiche, incluso lo yoga, il vedanta hindu e le varie scuole del buddismo, l’«attaccamento», la brama e il desiderio vengono considerati processi basilari della consapevolezza umana, oltre che gli ostacoli principali alla “liberazione”, l’«illuminazione» o “auto-realizzazione”. “La fonte della sofferenza è il desiderio”, recita la seconda della Quattro Nobili Verità del Buddha, dopo la prima, che sostiene l’universalità e l’ineluttabilità della sofferenza. Continue Reading »

Se la luna, mentre completa il suo eterno viaggio intorno alla terra, ricevesse il dono dell’autocoscienza, sarebbe certamente convinta di stare viaggiando secondo la propria decisione lungo la sua strada con la forza di una decisione presa una volta per tutte. Allo stesso modo un Essere dotato d’intuizione superiore e una più perfetta intelligenza, che osservasse l’uomo e le sue azioni, sorriderebbe dell’illusione umana che lo spinge a credere di poter agire secondo il proprio libero arbitrio. (Albert Einstein)

Tutti gli esseri animati e inanimati di cui è composto l’universo, che ha la forma di un cerchio ininterrotto, sono permeati dal Brahman che è al di là di questi. M’inchino a questa suprema realtà. OM (Skanda Purana)

Il significato del termine religioso è: riunire tutte le proprie energie per comprendere la natura del pensiero, riconoscerne i limiti e andare oltre. (J. Krishnamurti)

Immaginate che l’oceano sia la vita, e che i singoli individui siano le onde. Allo stesso modo in cui l’uomo s’identifica con la personalità, la mente e il corpo come qualcosa di separato dalla vita e dal cosmo, immaginiamo che l’onda sia dotata di autocoscienza e percepisca se stessa come individualità separata dall’oceano. Percependosi come onda si rende conto della propria piccolezza rispetto all’immenso oceano e attraverso la riflessione sarà spinta prima o poi a confrontarsi con il problema della morte.

Lo spazio che la separa dalla costa finirà nel tempo, perché il suo moto tende inesorabilmente verso la riva che rappresenta la sua fine ineluttabile. Sa che un giorno andrà a sfracellarsi contro la scogliera, dopo di che sarà risucchiata dalla risacca che distruggerà la sua forma e la farà scomparire nell’ignoto, oppure si dovrà dissolvere in una morte prematura prima ancor di aver raggiunto la riva, per una bonaccia inaspettata. Continue Reading »

Il dialogo fra uno scienziato occidentale, diventato monaco buddista, e di un buddhista orientale, diventato scienziato… la scienza e la spiritualità rischiarano entrambe la vita degli uomini: non potrebbero essere complementari? Sono davvero troppo estranee l’una all’altra perché il loro confronto possa essere diverso da un dialogo tra sordi?

L’universo ha un inizio? La sorprendente sintonia dell’universo è forse un segno che, nel nostro mondo, è all’opera un “principio della creazione”? E in tal caso, significa che esiste un Divino Creatore? L’interpretazione radicale della realtà offerta dalla fisica quantistica è conforme al concetto di realtà buddhista, o no?

Matthieu Ricard (ex ricercatore biologo del prestigioso Isitituo Pasteur, e da trent’anni monaco buddhista in Nepal) e Trinh Xuan Thuan (astrofisico, professore all’università della Virginia) dimostrano che questo antagonismo, quando è animato da sincero desiderio di comprensione reciproca, pian piano si dissolve a profitto delle convergenze e di una riconciliazione durevole.

Ha senso un dialogo tra la scienza e il buddhismo? Può il buddhismo portare un contributo valido là dove i limiti della scienza lasciano un vuoto da colmare? Ed è in grado la fisica moderna di fornire al buddhismo degli elementi per la sua esplorazione della realtà?

Matthieu: È impressionante che tu sia passato dal Vietnam a una vita da astrofisico negli Stati Uniti. Che cos’è che ti ha spinto verso la scienza?

Thuan: Gli anni Sessanta sono stati l’età d’oro dell’astrofisica. La radiazione fossile (il calore residuo del big bang) e i quasar (astri di una favolosa luminosità situati ai confini dell’universo, che emettono l’energia di una galassia intera in un volume poco più grande di quello del sistema solare) erano appena stati scoperti. Al mio arrivo negli Stati Uniti l’esplorazione del sistema solare grazie ai satelliti spaziali aveva raggiunto il culmine. […] Al centro di questo fermento intellettuale, era inevitabile che diventassi astrofisico. […]

E tu? Che cosa non ti soddisfaceva nella tua carriera scientifica? Lasciare un laboratorio di biologia a Parigi per un monastero tibetano in Nepal è perlomeno un percorso insolito!

M. – Per me, questa evoluzione si è svolta in una continuità naturale, nel corso di una ricerca sempre più entusiasmante del senso dell’esistenza. […]

Come condurre la mia esistenza? Come vivere in mezzo agli altri? Che cosa mi è possibile conoscere? Sono i tre interrogativi sui quali l’umanità si è arrovellata nel corso dei secoli. L’ideale sarebbe vivere in modo da conseguire un senso di pienezza che ispiri ogni istante e ci consenta d’essere senza rimpianti al momento della morte. Vivendo in mezzo agli altri dovremmo sviluppare un senso di responsabilità universale. Il nostro sapere dovrebbe rivelarci la natura del mondo che ci circonda e quella della nostra mente.

Questi stessi interrogativi sono al centro della scienza, della filosofia, della politica, dell’arte, dell’azione sociale e della spiritualità. Chiudere in modo artificiale in compartimenti stagni queste attività, come accade spesso ai giorni nostri, significa inevitabilmente restringere la nostra visione dell’esistenza. […] Continue Reading »

Viviamo in una giungla, e la vita spirituale non fa eccezione. Davvero pensiamo che solo perché qualcuno ha meditato cinque anni, o fatto yoga dieci anni, sarà meno nevrotico di un altro? Nel migliore dei casi, sarà solo un po’ più consapevole delle sue nevrosi. Appena un po’.

È per questa ragione che ho trascorso gli ultimi quindici anni della mia vita a studiare e scrivere sull’importanza del discernimento nelle aree più insidiose del cammino spirituale – potere, sesso, illuminazione, guru, scandali, psicologia, nevrosi – nonché sulle vere motivazioni, talvolta confuse e inconsapevoli, che ci spingono su tale cammino. Io e il mio partner (lo scrittore e insegnante Marc Gafni) stiamo creando una nuova serie di libri, corsi e pratiche finalizzati a portare più chiarezza su questi temi.

Molti anni fa, ho lavorato per un’estate in Sud Africa. Sin dall’arrivo, mi resi conto della cruda realtà: ero nel Paese con il più elevato tasso di omicidi al mondo, gli stupri erano all’ordine del giorno e metà della popolazione (uomini e donne, gay ed etero indifferentemente) era positiva all’HIV.

Poiché grazie al mio lavoro e ai miei viaggi ho conosciuto centinaia di maestri e migliaia di praticanti spirituali, ho osservato che le nostre idee, concezioni ed esperienze spirituali si “infettano” con “contaminanti concettuali” – non ultimo un rapporto confuso e immaturo con complessi principi spirituali – sempre allo stesso modo e con la medesima facilità con cui un’invisibile e insidiosa malattia sessualmente trasmessa si diffonde.

Le seguenti dieci categorie non vanno intese come definitive, ma solo come uno strumento per diventare consapevoli di alcune delle più comuni malattie spiritualmente trasmesse.

1.   La spiritualità “fast-food”: Coniuga la spiritualità a una cultura che celebri la velocità, il multitasking e la gratificazione istantanea, e il risultato più probabile sarà la spiritualità “fast-food”. Quest’ultima è il prodotto dell’illusione, comune e comprensibile, che la liberazione dal dolore proprio della condizione umana possa essere facile e immediata. Tuttavia, una cosa è certa: la trasformazione spirituale non si può ottenere in un batter di occhi.

2.    La finta spiritualità. La finta spiritualità consiste nella tendenza a parlare, vestirsi e comportarsi come immaginiamo farebbe una persona spirituale. È una sorta di spiritualità imitativa che mima la realizzazione spirituale, così come la finta pelle leopardata imita quella autentica.

3.    Motivazioni confuse. Benché il nostro desiderio di evolverci sia puro e genuino, spesso è contaminato da motivazioni secondarie come il desiderio di essere amati, di appartenere a un gruppo, di riempire il nostro vuoto interiore; la speranza che il cammino spirituale elimini la nostra sofferenza e la nostra ambizione spirituale stessa; il desiderio di essere speciali, migliori, straordinari.

4.   Identificazione con esperienze spirituali. In questa malattia, l’ego si identifica con la nostra esperienza spirituale e la considera come sua; cominciamo a credere di essere la personificazione vivente di certe intuizioni sorte in noi in determinati momenti. Nella maggior parte dei casi, tale malattia non dura all’infinito, benché tenda a prolungarsi maggiormente in coloro che si ritengono illuminati e/o si comportano da insegnanti spirituali.

5.   L’ego spiritualizzato. Questa malattia si verifica quando la struttura stessa della personalità egoica si imbeve di idee e concetti spirituali. Il risultato è una struttura egoica “a prova di proiettile”. Quando l’ego si spiritualizza, siamo impermeabili a ogni aiuto, a nuove idee o feedback costruttivi. Diventiamo esseri umani impenetrabili e la nostra crescita spirituale si blocca (in nome della spiritualità stessa).

6.    Produzione di massa di insegnanti spirituali. Vi sono molte correnti spirituali alla moda che sfornano una dietro l’altra persone che si ritengono a un livello di illuminazione spirituale ben al di là di quello effettivo. Questa malattia funziona come una sorta di nastro trasportatore spirituale: assorbi questa luce, abbi quell’intuizione e – bam! – sei illuminato e pronto a illuminare gli altri allo stesso modo. Il problema non è tanto che tali persone insegnino, quanto che si presentino come maestri spirituali.

7.    Orgoglio spirituale. L’orgoglio spirituale sorge quando il praticante, attraverso anni di sforzi intensi, ha effettivamente raggiunto un certo livello di saggezza, ma usa questo risultato per chiudere le porte a qualsiasi nuova esperienza. La sensazione di “superiorità spirituale” è un altro sintomo di questa malattia spiritualmente trasmessa. Si manifesta sottilmente attraverso la sensazione “Io sono migliore, più saggio e superiore agli altri, perché sono spirituale”.

8.   Mentalità di gruppo. Anche nota come pensiero di gruppo, mentalità settaria o malattia degli ashram, la mentalità di gruppo è un virus insidioso che contiene molti elementi tradizionali della co-dipendenza. Un gruppo spirituale decide in modo invisibile e inconscio quali siano i modi giusti di pensare, parlare, vestirsi e comportarsi. I gruppi e gli individui infettati dalla “mentalità di gruppo” rifiutano le persone, gli atteggiamenti e le circostanze che non rispettano le regole, spesso tacite, del gruppo.

9.   Il complesso degli Eletti. Il complesso degli Eletti non riguarda solo gli ebrei. Consiste nella convinzione che “il nostro gruppo è il più spiritualmente evoluto, potente e illuminato; in poche parole, è il migliore di tutti”. C’è una grande differenza tra il pensare di avere scoperto la via, l’insegnante o la comunità migliori per sé, e il pensare di aver scoperto “il meglio in assoluto”.

10.    Il virus mortale: “Sono arrivato”. Questa malattia è tanto potente da essere potenzialmente mortale per la nostra evoluzione spirituale. Consiste nella convinzione di “essere arrivati” alla fine del cammino spirituale. Il progresso spirituale termina ogni qual volta questa convinzione si cristallizzi nella nostra psiche, poiché quando pensiamo di aver raggiunto la fine, ogni ulteriore crescita è impedita.

“L’essenza dell’amore è la percezione”, insegna Marc Gafni, “quindi l’essenza dell’amore di sé è la percezione di sé. Puoi innamorarti solo di qualcuno che riesci a vedere chiaramente, e questo vale anche per te stesso. Amare vuol dire avere occhi per vedere. È solo quando vedi chiaramente te stesso che cominci ad amarti”.

Nello spirito degli insegnamenti di Marc, ritengo fondamentale, in un cammino spirituale, individuare le malattie dell’ego e dell’auto-inganno comuni a tutti noi. È qui che abbiamo bisogno di sense of humour e del sostegno di autentici amici spirituali. Quando sul nostro cammino spirituale ci imbattiamo in ostacoli, a volte è facile cadere nella disperazione, perdendo fiducia nel cammino e stima in se stessi. Dobbiamo mantenere la fede, in noi stessi e negli altri, per poter davvero fare una differenza in questo mondo.

Tratto da “Eyes Wide Open: Cultivating Discernment on the Spiritual Path” (Sounds True) per gentile concessione.

Il sito di Mariana Caplan: realspirituality.com

Mariana contribuisce anche al Center for World Spirituality

Copyright per la traduzione italiana: Innernet.

Cosa significa: aiutare in sintonia? Significa innanzitutto che sono in sintonia con la mia anima e con ciò a cui essa mi collega. Questo significa che sono in sintonia con la mia origine, con mio padre, con mia madre e con tutti quelli che oltre a loro appartengono alla mia famiglia, dunque anche con i miei fratelli e le mie sorelle, i miei nonni, i miei zii e le mie zie e con i morti della mia famiglia.

Essere in sintonia con loro significa che li rispetto così come sono o erano, che a loro, così come sono o erano, do un posto nel mio cuore e nella mia anima, che mi sento uno e collegato con loro così come sono o erano, anche con il loro destino, la loro sofferenza e la loro morte.

Essere con loro in tale sintonia, significa che la mia anima diventa ampia e aperta e permeabile a tutto ciò che da loro fluisce a me e che da me fluisce agli altri. Allora la mia anima non appartiene più solo a me. In essa sono in sintonia con qualcosa di più grande, di più vecchio e di più ampio, appartengo a questo e da questo sono portato e guidato, ma nello stesso tempo anche stimolato ad andare ampiamente al di là di ciò che posso personalmente volere o pianificare.

Aiutare in sintonia però significa anche che sono in sintonia con altri esseri umani, con quelli a cui voglio bene e che mi sono cari, con quelli senza i quali non potrei né essere né agire. Ma anche con quelli che mi sfidano con il loro essere diversi, tramite i quali posso crescere e farmi valere, e che io stesso smuovo con il mio essere diverso. Ma significa anche essere in sintonia con quelli che mi minacciano e contro i quali mi armo, per i quali mi rafforzo fino a essere pronto ad andare agli estremi, se le circostanze lo richiedono e lo permettono. Continue Reading »

dio mani.jpgMettendo in ordine le prove ricavate da moderne ricerche nei campi della psicologia cognitiva, della biologia, della parapsicologia e della fisica quantica, e con un occhio di riguardo per le antiche tradizioni mistiche del mondo, Amit Goswami sta gettando le basi per un nuovo paradigma che definisce “Idealismo monista”: secondo quest’ultimo è la consapevolezza, non la materia, il fondamento di tutto ciò che esiste. Intervista di Craig Hamilton.

Prima di continuare a leggere, fermati e chiudi gli occhi per un istante. Adesso poniti la seguente domanda: nell’istante in cui i tuoi occhi erano chiusi, il mondo ha continuato a esistere anche se non ne eri consapevole? Come lo sai? Se ti sembra uno di quei rompicapo senza risposta che il professore di filosofia utilizzava per stimolare la tua immaginazione filosofica, potresti essere sorpreso di scoprire che esistono degli scienziati, all’interno di università di tutto rispetto, che credono di aver trovato la risposta. E la loro risposta, che tu ci creda o meno, è «No».

Adesso considera qualcosa di ancora più sconcertante. Immagina, per un momento, l’intera storia dell’universo. Secondo tutti i dati che gli scienziati sono riusciti a raccogliere, esso si è formato grazie a un’esplosione avvenuta circa quindici miliardi di anni fa, punto d’inizio di una danza cosmica di luce ed energia che continua fino ai giorni nostri. Ora immagina la storia del pianeta Terra.

Una nuvola informe di cenere emerge da quella primordiale palla di fuoco, si condensa lentamente in una sfera solida, trova la sua strada nell’orbita gravitazionale intorno al sole e grazie a una complessa interazione di luce e gas produce, dopo miliardi di anni, un’atmosfera e una biosfera capaci non solo di creare la vita, ma anche di sostenerla e moltiplicarla.

Ora immagina che nessuno dei fatti succitati sia mai avvenuto. Considera, invece, la possibilità che l’intera storia sia esistita solo come un potenziale astratto – un sogno cosmico tra infiniti altri sogni cosmici – fino a quando, in quel sogno, la vita si è in qualche modo evoluta portando alla nascita del primo essere senziente conscio. In quell’istante, unicamente grazie all’osservazione conscia di quell’individuo, l’intero universo (inclusa tutta la storia che ha portato a quel momento) è venuto improvvisamente alla luce. Fino a quel momento, nulla era mai davvero successo.

In quell’istante, sono avvenuti quindici miliardi di anni. Se tutto ciò non ti sembra nulla di più che la trama di un romanzo fantascientifico o una versione secolare di uno dei grandi miti mondiali sulla creazione, reggiti forte: secondo il fisico Amit Goswami, la succitata descrizione è una spiegazione scientificamente fattibile del modo in cui l’universo si è formato.

Goswami è convinto, insieme a molti altri, che l’universo, per esistere, richieda un essere senziente conscio che ne sia consapevole. Senza un osservatore, egli sostiene, l’universo esiste solo in potenza. E, come si dice tra i fisici inglesi, Goswani ha fatto i suoi conti.

Mettendo in ordine le prove ricavate da moderne ricerche nei campi della psicologia cognitiva, della biologia, della parapsicologia e della fisica quantica, e con un occhio di riguardo per le antiche tradizioni mistiche del mondo, egli sta gettando le basi per un nuovo paradigma che definisce “Idealismo monista”: secondo quest’ultimo è la consapevolezza, non la materia, il fondamento di tutto ciò che esiste. Continue Reading »

Nisargadatta maharaj.io sono quello.jpg“Io sono quello” è probabilmente il libro che ha contribuito maggiormente alla diffusione della filosofia non-duale Advaita negli ultimi decenni. Nisargadatta Maharaj descrive in modo instancabile cosa significa trovarsi nel suo stato di illuminazione rispondendo alle domande dei visitatori nella sua casa di Bombay.

“Io sono quello” è diventato un classico della spiritualità moderna, oltre quattrocento pagine, un concentrato di saggezza e di filosofia non-duale. La lentezza forzata della lettura incoraggia la riflessione e il metabolismo di concetti poco familiari alla mente.

E’ un libro da leggere e da riprendere di tanto in tanto; le immagini illusorie e gli attaccamenti alle nostre identificazioni saranno lentamente liberate di pari passo al distacco delle pagine dalla rilegatura, che perlomeno nella mia edizione non era delle migliori (1) . Io sono quello è probabilmente il libro che ha contribuito maggiormente alla diffusione della filosofia non-duale Advaita negli ultimi decenni.

Nisargadatta Maharaj, il cui nome di battesimo è Maruti, è nato a Bombay nel 1897 da una famiglia povera. Suo padre si diresse verso la campagna per coltivare un pezzetto di terra in un villaggio del Maharashtra. Alla morte del padre, Maruti tornò a Bombay con il fratello maggiore alla ricerca di sostentamento per la madre e gli altri fratelli. Continue Reading »

brian swimme.jpgNel corso delle letture e delle ricerche approfondite fatte per preparare questa intervista, ci siamo imbattuti ripetutamente nel nome del prete gesuita e paleontologo Pierre Teilhard de Chardin. Abbiamo scoperto che i suoi scritti visionari sono stati un’importante fonte di ispirazione e rivelazione per molti scienziati, ecologisti, futuristi e teologi alle prese con l’attuale situazione critica della Terra e degli esseri umani che vi abitano.

Abbiamo subito capito il perché, quando abbiamo letto brani da The Human Phenomenon (Il fenomeno umano), The Divine milieau, (L’ambiente divino. Saggio di vita interiore) e The Future of Man (Le direzioni del futuro).

Brian Swimme studia l’opera di Teilhard da molti anni. Scienziato a sua volta e profondamente interessato ai rapporti tra scienza e spiritualità, le sue idee e la sua passione sono stati molto influenzati da Teilhard. Chi meglio di lui, abbiamo pensato, potrebbe riportare in vita il pensiero di Teilhard? Swimme racconta la scoperta di Teilhard nella sua prefazione alla nuova traduzione di Sarah Appleton Weber di The Human Phenomenon:

“Ci sono giorni a New York, nei quali non vedi mai il sole, ma senti la sua presenza nelle correnti di aria calda che soffiano tra i canyon di cemento e nelle ondate di calore che salgono dall’asfalto. Quando, alla fine, avevo i vestiti inzuppati di sudore e mi ero perso per la terza volta, fui tentato di rifugiarmi in qualche hotel con l’aria condizionata. Bastava, però, ricordare quanto ero infelice per continuare ad andare avanti. Avevo appena dato le mie dimissioni da professore di matematica e fisica, ed ero alla ricerca della saggezza. Molte persone mi avevano indirizzato verso New York, in particolare (Aurelio Peccei) il fondatore del Club di Roma, un importantissimo gruppo di pensatori e visionari planetari. Quando gli venne chiesto, sul letto di morte, quale fosse il pensatore che raccomandasse di più, tra tutte le grandi menti con cui aveva lavorato, rispose semplicemente: «La nostra migliore speranza è Thomas Berry».

Quando entrai al Berry’s Riverdale Research Center e venni invitato nella sua biblioteca, le mie aspettative non avrebbero potuto essere maggiori. Egli mi ascoltò attentamente mentre cercavo di spiegare la mia infelicità e confusione dovute alla distruzione del pianeta e a quello che si poteva fare. Dopo una lunga pausa, e senza proferire parola, Thomas Berry prese un libro tra le migliaia della sua libreria. Con espressione severa gettò attraverso il tavolo la grande opera di Chardin, Il fenomeno umano.

La mia delusione fu istantanea: quella era roba vecchia. Avevo attraversato il continente per ricevere un libro già letto alle scuole superiori dei gesuiti? Peggio ancora, alcuni famosi scienziati avevano messo in discussione le idee di Teilhard, e lo feci notare. Thomas Berry si limitò a sorridere, poi scoppiò in una disinvolta risata. Continue Reading »

kundalini2.jpgLa storia della trasformazione di Rick NurrieSearns, editore della rivista Personal Transformation. “Mi svegliavo improvvisamente e percepivo un’energia che si espandeva e risaliva dalle anche nella mia area lombare più bassa. All’epoca, quell’energia mi incuriosiva e spaventava allo stesso tempo.”

Su ogni numero del periodico “Personal Transformation” pubblicavamo due o tre storie di potenti trasformazioni personali sperimentate da vari individui.

Negli anni trascorsi a pubblicare ed esaminare storie altrui, non avrei mai sognato che io stesso avrei scritto una storia di trasformazione personale sulla mia vita. Né avrei mai sognato che la mia trasformazione personale avrebbe messo fine alla rivista che avevo fondato nove anni prima. Ma questo è proprio ciò che accadde. Ecco la storia della mia trasformazione.

Sono trascorsi più di due anni da quando chiusi le porte dell’ufficio della nostra casa editoriale. L’ultimo giorno di apertura liquidammo tutta la nostra attrezzatura d’ufficio e me ne andai con una gran quantità di libri e scatole di documenti che riempirono la mia auto.

Mentre guidavo verso casa, quel giorno dopo la svendita, mi colpì il fatto di non essere addolorato dalla fine della rivista per la quale avevo lavorato molti anni. Stavo sperimentando una gioia e una leggerezza che non erano turbate dal dramma esterno della fine di un’attività. La gioia scaturiva da una calma e da una presenza interiori, un’accettazione di “ciò che è” non influenzata da aspettative sul futuro o dai ricordi del passato. Io ero, semplicemente. Continue Reading »

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