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ulsamer_manuale costellazioni.jpgIl “campo cosciente”

Nelle rappresentazioni ci imbattiamo nel fenomeno per cui i rappresentanti hanno accesso a conoscenze che in realtà possono essere disponibili solamente alle persone che essi rappresentano. In altre parole: i rappresentanti percepiscono le sensazioni e i rapporti fra le persone estranee che essi rappresentano. Questo è il fondamento su cui si basa il lavoro sulle costellazioni familiari, senza il quale le costellazioni non sarebbero immaginabili.

Il cliente chiede una rappresentazione perché si sente insicuro nel suo ruolo di uomo. Fra gli altri cinque partecipanti di sesso maschile al seminario ne sceglie uno per rappresentare il padre e uno per sé. Poi sceglie una rappresentante donna per la madre. Quindi, senza parlare, assegna a ciascuno di essi un posto nella scena.

Ha disposto il padre in modo che questi guardi verso l’esterno. Rispondendo a una domanda, il padre (ovviamente il suo rappresentante) afferma di sentirsi debole ed escluso dalla famiglia.

Da ulteriori domande del terapeuta emerge che il fratello maggiore del padre è caduto in guerra. Quando nella rappresentazione viene introdotto un rappresentante di questo fratello, il padre lo guarda con aria raggiante. Vuole andare verso di lui. Anche il figlio è sollevato e felice quando vede lo zio defunto.

Chi prende parte a una rappresentazione per la prima volta rimane sorpreso. In che modo i rappresentanti arrivano a queste sensazioni e reazioni? Ma sarà tutto vero? Non può dipendere tutto dalla fantasia dei rappresentanti? Non sarà solo una bella scenetta? Eppure quello che i rappresentanti provano non è sempre affettuoso e prevedibile.

La cliente mette in scena una rappresentazione in cui sono presenti fra gli altri una rappresentante della nonna e uno del primo marito di questa, morto in guerra. I due si guardano. Suggerisco alla nonna questa frase: “È stato brutto per me perderti”. La nonna lo guarda per un momento. Poi gli dice spontaneamente: “No. Ne sono stata felice”.

Queste uscite improvvise sono scioccanti. Non nascono da informazioni supplementari. Forse dietro di esse si nascondono i problemi personali della rappresentante? Non starà mettendo in scena la storia personale della sua famiglia?

I clienti però confermano sempre spontaneamente la validità delle parole dei rappresentanti. “Nella mia famiglia le cose stanno proprio così”, ripetono sempre. Anzi, può capitare che un rappresentante utilizzi esattamente le frasi che un membro della famiglia ha sempre usato, che ne assuma la medesima postura o che manifesti gli stessi sintomi fisici senza che se ne sia parlato prima.

I posti all’interno di una rappresentazione hanno la loro energia, per cui chiunque si trova in quel posto reagisce in modo analogo. Anche gli altri rappresentanti non accolgono con sorpresa o perplessità frasi inaspettate come quella di prima. Ciò che viene detto si dimostra vero per tutti. Continue Reading »

Lo zen vende

dalai lama apple ad.jpgDai computer ai prodotti di bellezza, Madison Avenue ha scoperto che la spiritualità vende. Qual è il suono di una mano che apre il portafoglio? Todd Stein parla del paradosso di una spiritualità arruolata al servizio del materialismo.L’illuminazione si può comprare in scatola.

Basta chiedere a Lancome, il cui Hydra Zen, “idratante anti-stress per la pelle”, viene venduto a 42,50$ in quasi tutti i negozi. Oppure, se i prodotti di bellezza non sono il tuo genere, fai un giro di prova su un pickup Ford Ranger “in cerca della saggezza sulla cima di una montagna”. Lungo la strada puoi “ringraziare il cielo per la 7-Eleven” e fermarti per una bottiglia di acqua Evian, famosa per la sua “eterna forza vitale”. O, ancora, puoi “cercare la verità” in un bicchiere di Heineken.

Ah, e quando stai sulla cima della montagna, non meravigliarti se vedi monaci tibetani dalle vesti scarlatte aprire i loro iPad. Se non riesci a scorgere monaci sulla cima della montagna, cercali nel campo di basketball. Saranno quelli con la testa rasata e le Nike ai piedi.

Oggi, con tanti insegnanti spirituali (veri e finti) impegnati a promuovere beni di consumo – la Apple aveva agguantato Gandhi e il Dalai Lama per la sua campagna Think Different (Pensa differente) – forse preferiresti cancellare il viaggio verso la cima della montagna e metterti alla ricerca di un guru nel centro commerciale della tua città. Perlomeno, questo è il messaggio che esce dai pubblicitari in questi giorni.

I pubblicitari stanno vendendo di tutto, dagli hamburger alle automobili, facendo appello, ironicamente, ai nostri desideri più immateriali. “Serenità adesso” non è più soltanto una battuta divertente del telefilm Seinfeld; è la filosofia non detta di un tipo di pubblicità distintiva di questi anni: l’inserzione spirituale. Mettendo in campo un esercito di angeli, saggi illuminati e figure religiose apertamente finte, i pubblicitari sperano di trarre vantaggio dalla ricerca della pace interiore insegnandoci, come afferma il sociologo Bernard McGrane della Chapman University, che “la vita diventa radiosa attraverso il consumo”. Continue Reading »

Quando l’iPhone sostituisce la siringa: la comunicazione come forma di patologia
Laura (ma il nome è di fantasia) è una mia amica. Ha una laurea, ha militato in politica quando era più giovane, ha una casa piena di libri che in buona parte ha letto, aveva un marito che ha lasciato per un altro uomo quando ha cominciato a sentirsi vecchia e ora, non so, forse ha degli amanti. Insomma Laura ha avuto e ancora ha una vita intensa.

Ma qualcosa non torna. Ogni mattina scrive “buongiorno” e ogni sera “buonanotte” su Twitter e di rimbalzo anche su Facebook, e durante il giorno commenta in tempo reale con pensieri irrilevanti le sue attività. Cercare il link giusto da postare sulla sua bacheca online sembra essere diventato per lei tanto importante quanto prendersi cura della propria igiene personale.

È caduta anche nella trappola dei talkshow, specie quelli furbi pensati apposta per gli utenti come lei (che mai guarderebbero “L’Isola dei Famosi” ma che non si perdono una puntata di “Che tempo che fa”…), e mentre guarda la televisione commenta in tempo reale sui social network quello che il conduttore e l’ospite dicono, come se il suo cervello fosse collegato a internet a sua insaputa o come se la sua opinione fosse richiesta da una platea che la segue con attenzione… ma dall’altra parte del suo iPhone non c’è nessuno o, per meglio dire, ci sono milioni di altri naufraghi che, come lei, gridano aiuto alla deriva nel vuoto cosmico della modernità.

Carla è un’altra amica… Prosegue su Indranet

Rani.jpgLa Pratica Spirituale, la sua bellezza, le sue trappole e strategie ed il suo vero scopo

“Non c’è niente da fare e nessun luogo dove andare.” “Non fare nulla! Semplicemente Sii!” Chi non conosce questi slogan? Ma chi veramente comprende il significato profondo di queste parole? La maggior parte delle persone non possono accoglierle in modo diretto senza l’interpretazione della mente.

Non c’è da meravigliarsi che alcuni recenti percorsi spirituali si esprimano così nettamente contro la meditazione, l’auto-indagine o qualsiasi altro genere di pratica, perché per la mente pratica vuole dire: migliorare, raggiungere qualcosa o fare qualche cosa.

Comunque è precisamente la pratica che sostiene la maggior parte di noi che siamo su un percorso verso l’unità, verso il “non fare”.

Pratica come fuga

Noi esseri umani stiamo sempre facendo qualcosa. Seguiamo consapevolmente o inconsapevolmente i nostri impulsi mentali. Non sappiamo cosa significa non fare e lasciare che Dio viva attraverso questo nostro corpo, senza opporre resistenza.

Non abbiamo molta esperienza, come ricercatori spirituali, di un rapporto senza conflitti tra la quotidianità e lo spirituale, oppure tra quello che “facciamo” e quello che pensiamo che dovremmo fare.

Nella maggior parte dei casi il terreno su cui si poggia la nostra vita spirituale è il fare, un allontanarsi dalla vita così come è, una fuga dai dolori del passato. Non c’è da andare in nessun luogo, e ciò nonostante stiamo tentando di fuggire da questo momento per trovarne uno migliore! Noi vogliamo abbandonare la personalità per trovare il vuoto, creando rifiuto e separazione nel nome dell’unità.

La negazione

Quindi la verità è che noi non siamo molto abili nel non fare. Finché siamo presi dal nostro pensare automatico,siamo nel “fare”. Sfortunatamente conosco troppi cosiddetti illuminati, amici ed insegnanti contemporanei che stanno seguendo la loro mente nevrotica e dichiarano cose come:

accade tutto naturalmente, non c’è nessun “io” che sta pensando. Una persona mi disse persino, dopo aver avuto una notte insonne a causa di preoccupazioni su dei problemi di natura economica: “Ah! Ma io sono illuminato, io chiaramente non stavo pensando, era solo un’attività spontanea della mente”.

Il negare è profondo. Continue Reading »

Alcune domande a chi ha fatto delle domande – quattro in particolare – un espediente illuminante per risvegliarti alla realtà, per rompere la catena della sofferenza causata non tanto dagli eventi in se’, quanto – come Byron Katie chiaramente espone – dai nostri pensieri su tali eventi. Pensieri a cui puntualmente diamo credito.

Byron Katie, che con il suo risveglio ha sviluppato il metodo chiamato Il Lavoro, ed è autrice, tra gli altri, dei libri Amare ciò che è e I mille nomi della gioia, sarà per la prima volta in Italia – a Bellaria – per un evento il 21 giugno. La sua visita, iniziativa dell’intervistatrice, è organizzata da Diapasonbooking e Macrolibrarsi.

Una intervista a Byron Katie a cura di Elsa Nityama Masetti.

Qual è la differenza – se c’è – tra “amare ciò che è” e “prenderla con leggerezza” (easy)?

C’è una grande differenza. È facile “prenderla easy” quando le cose vanno come vuoi. È facile “andare con il flusso” quando la corrente va nella direzione dove tu pensi debba andare. Ma che cosa accade quando ti arrabbi, o sei triste, o frustrato, o infastidito? A quel punto puoi continuare a dire a te stesso “prendila con leggerezza” finché diventi livido, ma non può funzionare.

Perché? Perché stai affrontanto l’effetto, non la causa. Lo stress (rabbia, tristezza, frustrazione) è sempre l’effetto che segue all’atto di credere a un pensiero non vero. Prima arriva il pensiero che “ti mette in ginocchio”, poi ci credi, poi senti l’emozione negativa. Continue Reading »

AnandaMayi Ma7.jpgNarra la leggenda che una sera, nel bel mezzo di un festival del canto religioso, la Madre Divina Anandamayi Ma all’improvviso si alzò e abbandonò il suo ashram. Ai due discepoli che la seguirono ansiosamente chiedendole dove stesse andando, rispose soltanto: «Sarnath», il nome di una città a molti chilometri di distanza.

Un treno postale su cui salì fece misteriosamente una fermata fuori programma in quella città. Quindi lei si diresse senza esitazioni verso un albergo sconosciuto, passò davanti al direttore ed entrò direttamente nella stanza di una discepola che, all’insaputa di tutti, era giunta là qualche ora prima senza un soldo, piangendo e pregando disperatamente Anandamayi Ma. Il resto della notte passò tra risa e battute sull’ansia e la paura della discepola, ora piena di gioia.

Nata in un villaggio del Bengala orientale (ora Bangladesh), Anandamayi Ma era, al momento della morte nel 1982, una delle sante più riverite di questo secolo. Bastano le fotografie per dimostrare la sua luminosa bellezza e la sua potentissima esaltazione divina. Esistono innumerevoli racconti sui suoi miracoli, guarigioni e predizioni. Sebbene fosse praticamente analfabeta, col tempo intorno a lei si formò una complessa teologia.

Era ritenuta un’avatar, un’incarnazione divina illuminata dalla nascita. Si raccontava che le sue azioni fossero il risultato del suo kheyal, la sua ispirazione divina, e si pensava che non avesse motivazioni proprie. Infatti, dopo i ventotto anni, cessò di nutrirsi e doveva essere imboccata dai discepoli come una neonata.

Anandamayi Ma viaggiò incessantemente, creando una rete di ashram in tutta l’India. Tra i suoi ammiratori, vi erano insigni personalità come il Mahatma Gandhi, Indira Gandhi e Gopinatha Kaviraj, uno dei più importanti eruditi indiani; quest’ultimo, quando la vide, sentì che lei, una donna ignorante, aveva finalmente risposto a tutte le sue domande spirituali.

Arnaud Desjardins e Daniel Roumanoff furono tra i primi discepoli occidentali di Anandamayi Ma. Entrambi la incontrarono in India nel 1958 e furono suoi studenti per molti anni; nei due articoli seguenti raccontano la loro vita con lei. I loro racconti ci danno un vivido ritratto di un’esuberante santa moderna, offrendoci un’idea di cosa significasse esserle vicino.

Ella catapultò entrambi gli uomini dentro profonde esperienze spirituali, sfidando allo stesso tempo il loro amore e la loro devozione verso di lei. Tuttavia, le conclusioni finali che ognuno dei due ne trasse sono radicalmente diverse. Mentre il primo vide solo l’imperscrutabile e profondo gioco del Divino, l’altro avvertì limiti profondi nell’insegnamento e nelle azioni di Ma. Considerati nel loro insieme, i loro articoli sollevano affascinanti interrogativi su questa influente Madre Divina indiana. Continue Reading »

statua donna estatica.jpgMiranda Shaw ha conseguito un dottorato in Studi buddisti alla Harvard University, è vincitrice di una borsa di studio Fullbright e attualmente è ricercatrice in Studi buddisti nel Dipartimento di Religione all’Università di Richmond. Il suo libro, Passionate Enlightenment: Women in Tantric Buddhism, spiega quanto fosse importante il ruolo delle donne nell’insegnamento e nella pratica tradizionali tantriche.

Il Tantrismo è un ramo non-monastico e non-casto della pratica buddista indiana, himalayana e tibetana, che cerca di inserire ogni aspetto della vita quotidiana, incluse l’intimità e la passione, nel cammino verso la liberazione. Gli storici hanno quasi sempre pensato che nelle pratiche tantriche le donne fossero subordinate, quando non addirittura sfruttate e degradate. Miranda Shaw sostiene il contrario.

Oltre alle interviste e al lavoro sul campo condotto per due anni in India e in Nepal, la Shaw ha scoperto quaranta opere inedite di donne del periodo Pala (dall’ottavo al dodicesimo secolo d.C.), grazie alle quali ha riscritto la storia del buddismo tantrico nei primi quattro secoli. La Shaw sostiene che in quel periodo il Tantrismo promuoveva un’ideale di relazione tra uomo e donna basato sulla cooperazione e la liberazione reciproca, assegnando alle donne il ruolo di sorgente dell’intuizione e del potere spirituali. Segue una intervista.

Ellen Pearlman: Esistono dei principi fondamentali nella letteratura sulla sessualità tantrica,?

Miranda Shaw: Sì. I Tantra, o i testi sacri tantrici, affermano chiaramente che lo scopo della relazione è l’illuminazione di entrambi i partner. Non può essere la gratificazione egoica di una sola persona. Questo scopo deve essere assolutamente chiaro e concordato esplicitamente da entrambi. Un altro principio che può impedire il tipo di sfruttamento avvenuto in occidente è che nel Tantra la donna prende sempre l’iniziativa. Sempre.

Ellen Pearlman: È possibile che l’uomo chieda e la donna acconsenta

Miranda Shaw: Sarebbe una rottura delle regole, perché l’iniziativa è nelle mani della donna. Ma se egli fa un approccio, cosa inusuale, deve usare delle convenzioni stabilite nei testi tantrici. Deve essere estremamente rispettoso e usare gesti segreti non verbali per comunicare con lei. Innanzitutto, cerca alcuni segni ben precisi per determinare se lei è una praticante tantrica, poi dimostra di essere un degno compagno tantrico usando quei gesti e rendendo quelle forme di omaggio che ci si aspetta da lui. Queste forme di omaggio sono elencate negli Yogini Tantra, che i tibetani definiscono i “testi madre” del Tantra.

Egli deve prostrarsi davanti a lei, girarle attorno e usare una forma di etichetta chiamata “condotta della sinistra”, in cui lui sta alla sinistra di lei quando camminano, fa il primo passo con la gamba sinistra e le porge offerte con la mano sinistra. Quando mangiano insieme, deve sempre servire lei per prima. Questi atteggiamenti dimostrano che egli non cerca una relazione per l’appagamento del suo ego, ma che è abbastanza civilizzato e raffinato da diventare il suo compagno spirituale e da comprendere che questa relazione sarà al suo servizio.

Ellen Pearlman: E questo avviene tra insegnante e discepolo? Continue Reading »

Riflettendo a fondo sul tema quanto mai affascinante (“Cos’è l’ego?”), un pomeriggio, un pensiero interessante si è affacciato nella mia mente curiosa: è possibile che in questa epoca di trasformazioni, nel fertile campo dell’emergente paradigma spirituale del nuovo millennio, sia emersa una nuova struttura, ovvero l’ego transpersonale?

È possibile che in seguito alla disillusione provocata dalla caduta di tantissimi maestri e guru “illuminati”, l’autorità in fatto di questioni spirituali sia stata, lentamente ma saldamente, usurpata dagli psicologi con un amore profondo per lo spirito, gli psicologi transpersonali che oltre a essere esperti del loro campo, hanno una comprensione teorica delle conquiste più elevate della ricerca spirituale?

Aspetta un po’ – ho pensato – questo è da approfondire: è in corso la nascita di una nuova formazione dell’ego perenne? Un ego che sa più cose su se stesso, sulla sua nascita, la sua evoluzione, la sua natura vuota e addirittura la sua morte, di tutte le altre formazioni dell’ego mai create? A quel punto, è sorta l’inevitabile domanda: è possibile che questo tipo di straordinaria conoscenza di sé sia per l’ego, dal punto di vista dell’illuminazione, il più sofisticato e involontario meccanismo di difesa mai esistito nella storia del genere umano? Dovevo scoprirlo!

Per questo chiamai Kaisa Puhakka, psicologa, praticante zen, teorica transpersonale, direttrice della Facoltà Clinica all’Istituto di Psicologia Transpersonale e gigante intellettuale che da sola ha trasceso e incluso la teoria del tutto di Ken Wilber, nella conferenza del 1997 all’Istituto californiano di studi integrali intitolata Ken Wilber e il futuro dell’esplorazione transpersonale.

Le risposte di Puhakka alle mie domande sulla “nuova formazione” rivelano quanto è difficile cercare di trascendere l’io-mente e allo stesso tempo essere esperti dell’argomento. Comunque, Puhakka ha detto di desiderare che il lettore capisse chiaramente che, secondo lei, qualsiasi attaccamento o “punto di vista” era di per sé un limite, e che forse io, nella mia posizione di insegnante spirituale, nel porre queste domande stavo cadendo vittima della stessa condizione che stavo evidenziando negli altri. Chi lo sa?

Ciò che segue è un’indagine provocatoria, e si spera divertente, in risposta alla domanda: Esiste una nuova formazione sull’orizzonte spirituale? Continue Reading »

story musgrave.gifNella vita dell’astronauta Story Musgrave si fondono lo spazio e lo spirito, la natura e la tecnologia, una grande concretezza e una concezione trascendentale della vita sulla Terra.

Alla soglia di sessanta anni, l’astronauta F. Story Musgrave aveva passato nello spazio più tempo di qualsiasi altro americano: cinque missioni per un totale di 858 ore. All’apparenza, sembrerebbe che tutta la sua vita sia passata a preparare questo mese e sei giorni di magia.

“È un cammino splendido e adatto a me”, dice, “Ma avrei percorso qualsiasi altro cammino con lo stesso senso estetico e spirituale. In tutti i casi, mi sarei sempre chiesto: qual è il nostro posto nell’universo e cosa vuol dire essere un uomo? Ho usato tutto ciò che ho fatto nella vita per rispondere a questa domanda”.

Il dr. Story Musgrave è tanto impressionante dal vivo quanto sulla carta: scienziato-astronauta, chirurgo, dottore aerospaziale e fisiologo; laureato in chimica, matematica, informatica e lettere; esperto in 160 tipi di velivoli, tra cui jet, aliante e paracadute. Calvo, portamento da marine, un impeccabile blazer della marina e pantaloni grigi, egli non passa inosservato in mezzo alla folla.

Lo zen della gravita zero 1.gifHo incontrato Story Musgrave a un party per gli astronauti dello Hubble, allo “Space Telescope Science Institute” (Istituto Scientifico Telescopio Spaziale). Per esperienza, anzianità di servizio e profondità della ricerca intellettuale, Story è nello Space Program colui che più si avvicina al capitano di Star Trek Jean-Luc Picard. Ma, saggiamente, egli dà l’impressione di un semplice pilota collaudatore militare, tranquillo e imperturbabile, con una strascicata pronuncia del Kentucky e l’immancabile «understatement».

Da quando sono cominciate le missioni spaziali con equipaggio umano, molti astronauti hanno vissuto trasformazioni spirituali di cui hanno parlato volentieri. Dopo vari tentativi andati a vuoto di intervistare uno di loro, ho ricevuto una risposta entusiasta da Story, ma l’istante successivo egli fu risucchiato da un’altra attività. Continue Reading »

frattale farfalle.jpgTanto nel buddismo Vajrayana quanto nella teoria del caos, per la trasformazione viene usato ciò che si ha sotto mano: divinità feroci vengono utilizzate per dissipare la negatività, o impulsi irregolari verso il cuore vengono usati per curare battiti cardiaci irregolari. Entrambe le discipline considerano i sistemi aperti e suscettibili di cambiamento a ogni istante.

La teoria del caos, il karma e altre fluttuazioni.

La prima volta che ho parlato di buddismo con il “Dr. Caos” era una sera di gennaio di due anni fa, in California. Eravamo seduti sul pavimento della casa di un amico, a Big Sur, a sessanta metri sul mare. Da quel punto si potevano vedere e sentire le onde infrangersi. Mentre ascoltavamo e guardavamo, l’acqua si stendeva all’orizzonte come un grande specchio, e il sole invernale tramontava lentamente diffondendo una splendida luce di colore magenta, ambra e scarlatto: uno di quegli scenari naturali che per bellezza e profondità lasciano senza parole lo spettatore, al punto che ci prese una sorta di vertigine.

«Sai, non ho mai guardato un tramonto in vita mia, non fino in fondo», disse il dr. Caos quando l’oscurità si alzò dall’oceano coprendoci.

«Come mai?», chiesi, scioccata dal fatto che qualcuno avesse potuto lasciarsi sfuggire quello spettacolo per cinquanta anni. Di sicuro, anche un fisico nascosto nella Stanford University e nei laboratori Lawrence Livermore sarà stato lontano dai computer il tempo sufficiente per imbattersi ogni tanto in un tramonto.

«Perché mi faceva sentire troppo solo», rispose. «Non riuscivo a guardarlo in solitudine, era uno spettacolo troppo forte». Continue Reading »

Leonardo. Proportions of Man.jpgQuando immaginiamo il futuro della Terra, ci troviamo di fronte a un paradosso: da un lato è difficile pensare che l’«Homo sapiens» non continuerà a essere l’unico padrone del pianeta Terra, ma dall’altro è ugualmente difficile immaginare, data la vastità delle distruzioni in atto, quale sarà il futuro della Terra se continuerà il dominio dell’Homo sapiens.

Nel corso della nostra indagine per scoprire se e come l’illuminazione può risolvere la crisi attuale, ci siamo imbattuti in un affascinante pensatore che ha osato spingere la sua immaginazione al di là di questo paradosso, arrivando a una soluzione nientedimeno che evolutiva.

Secondo il ricercatore della consapevolezza John White, benché tutte le tendenze siano contrarie, la Terra e l’umanità possono davvero avere un promettente futuro insieme. Ma l’essere umano che parteciperà a questo futuro sarà un primate molto diverso da quello che conosciamo oggi. White lo chiama “homo noeticus”: il gradino successivo dell’evoluzione.

Chiamato alla vita spirituale nel 1963 da un’esperienza spontanea di ciò che egli chiama “la realizzazione di Dio”, John White non ha mai avuto difficoltà a dire di essere illuminato, salvo precisare, subito dopo, “ma solo un po’”. E negli ultimi ventisette anni, quel “solo un po’” è stato ciò che ha alimentato il suo insaziabile interesse verso l’esplorazione del potenziale umano più elevato. Chiedetegli dei suoi risultati in questo campo, e l’ultima cosa che vi sentirete raccontare è l’esperienza di illuminazione che ha dato il via al suo cammino. Prima sentirete parlare della sua amicizia con l’astronauta dell’Apollo 14 Edgar Mitchell, la cui esperienza spirituale nella capsula spaziale lo ha portato a fondare, insieme a White, l’Istituto di Scienze Noetiche, oggi noto in tutto il mondo.

Poi sentirete parlare del manoscritto ricevuto nel 1974 da un giovane scrittore che faticava ad affermarsi, Ken Wilber, intitolato The Spectrum of Consciousness. Il libro fece una tale impressione su White che egli fece di tutto per pubblicarlo, cosa che gli riuscì trentatré editori e quattro anni dopo, dando l’avvio all’ascesa di Wilber, che oggi è uno dei più autorevoli pensatori spirituali dell’era moderna. Continue Reading »

peccato originale.jpgIl peccato, buddista o cristiano, non è solo un sinonimo del male. Il suo significato specifico è un’azione che viola una legge sacra o minaccia le fondamenta stesse della nostra umanità. Nel cristianesimo è Dio che stabilisce l’ordine morale del mondo; quindi, chi viola questo ordine viola la volontà divina. È un atto di slealtà, se non di tradimento, verso il proprio creatore. Nel buddismo non esiste un simile creatore, ma è presente un ordine morale predeterminato associato al karma.

Mentre la teologia cristiana ha scrupolosamente classificato i peccati secondo una dettagliata gerarchia, l’approccio buddista è stato molto più limitato. Nel buddismo esistono cinque azioni principali che possono veramente definirsi peccati mortali o efferati. Esse sono: uccidere il proprio padre, uccidere la propria madre, versare il sangue di un Buddha, distruggere l’armonia di un ordine monastico (il sangha), uccidere un santo buddista (arhat) e/o distruggere statue e sculture buddiste.

Nel buddismo mahayana, uccidere un insegnante del dharma e un maestro dei precetti sono considerati peccati cardinali tanto quanto gli altri cinque. Nel buddismo tradizionale, si dice che commettere uno di questi cinque o sette peccati condanni una persona all’ultimo e peggiore dei regni infernali.

Possiamo aggiungere a questi peccati cardinali la violazione di uno qualsiasi dei cinque precetti generali, ovvero: non fare del male agli esseri senzienti, non rubare, non mentire, non indulgere in atti sessuali impropri o nell’uso di sostanze intossicanti. Con questi, il buddismo annovera fino a dieci o dodici peccati. Continue Reading »

Chi era il Buddha 1.jpgSiddharta Gautama nacque intorno al 567 A.C. in un piccolo regno ai piedi dell’Himalaya. Suo padre era un capo del clan Shakya. Si dice che dodici anni prima della sua nascita, i brahmini profetizzarono che sarebbe diventato o un monarca universale o un grande saggio. Per impedirgli di diventare un asceta, il padre lo tenne rinchiuso nel palazzo.

Gautama crebbe in un lusso principesco, riparato dal mondo esterno, intrattenuto da ballerine ed educato da brahmini; inoltre, era esperto nel tiro con l’arco, nell’arte della spada, nella lotta, nel nuoto e nella corsa. Quando diventò maggiorenne, sposò Gopa, che partorì un figlio. Come diremmo oggi, aveva tutto.

Ciononostante, non era abbastanza. Qualcosa – qualcosa di persistente come la sua ombra – lo condusse nel mondo, oltre le mura del castello. Là, nelle strade di Kapilavastu, incontrò tre semplici cose: un malato, un anziano e un cadavere che veniva portato al forno crematorio. Niente, nella sua vita di agi, lo aveva preparato a questa esperienza. E quando il suo auriga gli disse che tutti gli esseri sono soggetti alla malattia, alla vecchiaia e alla morte, non seppe darsi pace.

Tornando al Palazzo, si imbatté in un asceta itinerante che camminava tranquillamente lungo la strada, indossando la tunica e portando niente altro che la ciotola dei sadhu; allora decise di lasciare il Palazzo per cercare la risposta al problema della sofferenza. Disse silenziosamente addio alla moglie e al figlio, senza nemmeno svegliarli, e cavalcò fino al limite della foresta. Qui si tagliò i lunghi capelli con la spada e scambiò le sue lussuose vesti con le semplici tuniche di un asceta.

Con tali azioni, Siddharta Gautama si unì a un’intera classe di uomini che avevano lasciato la società indiana per trovare la liberazione. Esisteva una grande varietà di metodi e insegnanti, e Siddharta condusse la sua ricerca presso molti di questi ultimi: atei, materialisti, idealisti e dialettici. Tanto la fitta foresta quanto l’affollato mercato risuonavano di migliaia di voci che discutevano opinioni e argomenti diversi, e in ciò quell’epoca non era diversa dalla nostra. Continue Reading »

sam keen.jpgUn pioniere del movimento degli uomini chiede di andare oltre il “gioco dei generi sessuali”.

«L’idea della liberazione totale è sbagliata ed estremamente distruttiva», diceva la burbera voce dall’altro capo del telefono, aggiungendo: «Una delle cose che francamente non mi piacciono del vostro giornale è il sostegno a queste persone, apparentemente “nell’assoluto” e totalmente liberate». Anche se il nostro giornalismo di indagine ci aveva spesso portato in territori inesplorati, dovevo ammettere che stavo sentendo qualcosa di nuovo.

Non erano passati nemmeno cinque minuti di quella che doveva essere un’intervista di un’ora e mezza, e già il nostro giornale e l’aspirazione su cui si basava erano sotto accusa. Per fortuna, ho pensato tra me e me, non ho chiamato Sam Keen per chiedere la sua opinione sull’illuminazione. E avendo scoperto di persona che egli non era uomo da usare mezze parole, mi sono sentito tanto più a mio agio nel porre a questo contemporaneo maestro del mito – una delle più influenti figure nel fiorente movimento della spiritualità degli uomini – le domande che avevamo preparato sul ruolo e l’influenza del genere sessuale nella vita spirituale.

Ci eravamo imbattuti nell’opera di Keen solo pochi mesi prima, quando, cominciando la nostra indagine sui rapporti tra il genere sessuale e la spiritualità, avevamo comprato il suo libro Fire in the Belly: On Being a Man (Nel ventre dell’eroe. Viaggio alla scoperta del nuovo maschio). Siamo subito rimasti affascinati da questo libro, una ricca e quasi lirica miscellanea di aneddoti autobiografici e teoria psicologica, che nei primi anni novanta è servito da punto di riferimento per migliaia di uomini desiderosi di liberarsi dai miti della cultura maschile.

Per diverse settimane, la sauna del nostro seminterrato si è trasformata in una specie di capanna sudatoria privata, dove alla sera gli uomini della redazione si riunivano con il nostro maestro spirituale per leggere l’avvincente analisi di Keen sulle influenze sociali e culturali che hanno modellato la psiche maschile alla fine del ventesimo secolo. Poiché tutti conoscevamo solo a grandi linee il movimento degli uomini, spesso le nostre esperienze venivano efficacemente illuminate dall’esplorazione dettagliata di Keen dei riti della guerra, del lavoro e del sesso: i tre campi che, secondo lui, definiscono il concetto di virilità ai giorni nostri.

Usando il suo stesso pellegrinaggio come modello, Keen nel libro si spinge anche a descrivere quella che considera la via futura dell’uomo moderno. Non contento degli slogan popolari del movimento degli uomini, “abbracciare il nostro lato femminile” o “liberare l’uomo selvaggio interiore”, egli mira a una via di mezzo tra questi due estremi, per riindirizzare “le fiere energie del guerriero… coltivate per secoli dagli uomini… verso la creazione di un futuro più promettente e consapevole”.

Nella sua “nuova visione della virilità” c’è poco spazio per l’eterna indagine su di sé che molti associano alle cose da uomini; piuttosto, egli invoca la nascita di una nuova razza di uomini eroici, appassionati e “maschi” che si assumano la responsabilità di affrontare le crisi ecologiche e sociali dei nostri tempi. Continue Reading »

preghiera.jpgLa definizione di preghiera per Larry Dossey è comunicazione con l’Assoluto. I suoi studi riguardano l’efficacia della preghiera sulla guarigione degli umani ma anche sugli animali e sulla crescita della piante.

In Medicina Transpersonale, il dr. Larry Dossey cita numerosi studi scientifici sull’efficacia della preghiera. Oggi esistono prove mediche a sostegno della tesi secondo cui la preghiera favorisce il processo di guarigione. Inoltre, alcuni studi documentano i risultati positivi della preghiera tibetana come strumento di intercessione.

Il dr. Dossey ha scritto otto libri, tra cui Il potere curativo della preghiera, ed è direttore esecutivo della rivista “Alternative Therapies in Health and Medicine”. Oggi il dr. Dossey vive a Santa Fe, nel New Mexico. È stato direttore del personale alla Humana Medical City Dallas e co-presidente della Tavola Rotonda degli interventi sul corpo/mente, dell’Ufficio di medicina alternativa e complementare e dell’Istituto Nazionale della Sanità.

Tricycle: Qual è la tua definizione di preghiera?

Larry Dossey: La mia definizione è molto vasta. La preghiera è la comunicazione con l’Assoluto. Tale definizione non scontenta nessuno, e ci spinge a precisare cosa intendiamo con comunicazione e Assoluto (quest’ultimo può prendere la forma di un Dio personale o meno).

Tricycle: Quando preghi, c’è un oggetto?

Larry Dossey: No. Offro la mia preghiera all’Assoluto nel modo più generale immaginabile. Ironicamente, questa è la forma più personale che la mia preghiera può assumere.

Tricycle: Cosa intendi con “Assoluto”? Continue Reading »

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