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Il riflesso di James Hillman e l’immaginale
copertinahillmanDi fronte al riflesso del volto del vecchio mi vengono pensieri sul valore delle immagini, pensieri sull’immaginale e sul luogo dove mi trovo. Ho, infatti, la netta sensazione che dentro e fuori di me siano due dimensioni distinte ma non separate, proprio come i bei ricordi che possiedo del padre della psicologia immaginale e il volto che vedo nel ghiaccio: come gli uni fossero l’immagine speculare dell’altro.

Ognuno di noi esiste non come oggetto materiale ma come immagine. Siamo immagini complesse date dalla vocazione della nostra anima che ha preceduto la nostra nascita e da tutti i sogni, le missioni e le voci dei nostri avi. Siamo immagini, non immaginazioni, ma immagini potenti che sono echi di immagini originarie o primordiali che appartengono al tempo delle origini e si sono prodotte in un luogo leggendario: l’Olimpo, il Monte Meru, il Monte Popa, la dimora degli dei.

Potremmo dire che le nostre vite sono il ricordo, l’eco di quelle immagini primordiali. Tali immagini dell’origine possono essere definite eidola, ovvero, idoli.

Noi possiamo solo fare nel tempo ciò che gli Dei fanno nell’eternità. (James Hillman, La Vana Fuga dagli Dei, Milano, 1991, Adelphi, p. 98.)

L’immaginale è la dimora degli dei. L’immaginale é una dimensione che non ha collocazione né di tempo né di spazio, se prendi la rosa dei venti come punto di riferimento puoi dire che l’immaginale è il punto al centro delle quattro direzioni dello spazio.

L’immaginale è la soglia liminale che sta tra conscio e inconscio, tra morte e vita, tra sogno e veglia, tra un respiro e l’altro, tra un pensiero e il pensiero successivo e tra tutti gli opposti. La grande difficoltà dell’uomo contemporaneo di trovare l’immaginale sta nel fatto che egli ha mosso l’asse del mondo.

L’axis mudi è la linea che collega ciò che sta al di qua con ciò che sta al di là dell’immaginale. Originariamente questa linea era orizzontale poi, con il progressivo prevalere dei modelli immaginativi che governano il nostro pensiero e il nostro agire, e che sono del tutto patriarcali (James Hillman Il Potere, Milano 2002, Rizzoli, p. 275), prima ancora della nascita della polis, questa linea ha preso a spostarsi ed è divenuta verticale.

Termini come ombra e luce, morte e vita che nascono su di uno stesso piano e si connotano, dunque, come due facce della medesima realtà, sono divenute l’una qualcosa che sta sotto e l’altra qualcosa che sta sopra, in ultima analisi sono diventati termini antagonisti. Allora la vita ha iniziato a temere la morte e la morte ha preso ad inseguire la vita per divorarla, il bene ha incominciato a temere il male e si sono generati i peccati e le sofferenze che tormentano l’umanità: l’uomo, naturalmente sano, ha incominciato a conoscere la malattia e la privazione.

La divisione degli opposti comporta, ovviamente, anche la divisione tra maschile e femminile ed è gioco forza che uno dei due scivoli al di sotto e l’altro rimanga al di sopra. Come ogni forza nell’universo si esercita grazie alla presenza di una resistenza, così gli opposti si animano e si rinforzano vicendevolmente.

Il fatto di aver cambiato la disposizione dell’asse del mondo e di aver messo sottosopra termini che si trovavano sullo stesso piano ha comportato il seppellimento della metà dell’universo, quella dell’anima selvaggia, dell’eterno femmineo, dell’Io istintuale.

Ponendo l’asse del mondo in posizione verticale noi non solo dividiamo due aspetti della medesima immagine, ma anche li separiamo e, alla fine, ne rifiutiamo completamente uno dei due. Questa rifiuto, o rimozione, ci rende difficile il recupero dell’immagine originaria. Per ritrovare il centro, dobbiamo prima recuperare gli opposti. Ma l’individuo ha sepolto l’ombra che lo nutre e gli dà forza fino a perderne il contatto, ha smarrito la propria anima che é ciò che sta al di sotto, il mondo infero, la casa di Ade. Da allora, per ritrovare l’anima, è necessario un viaggio iniziatico che conduce sotto la terra, al di là della Grande Soglia, nell’Ade, nei sogni, nella notte, nell’oscurità, nel femminile.

L’androgino

Un corvo dal becco giallo atterra proprio sulla fronte del vecchio e prende a fissarmi dal suo occhio destro, cerco di battere le mani ma non troppo forte, voglio farlo fuggire via ma non voglio attirare l’attenzione di poliziotti o di chissà chi. Il corvo fa solo un paio di passetti lungo il naso del vecchio e si ferma sulle sue labbra.

Hillman mi ha insegnato a guardare dietro le forme apparenti la presenza degli dei che indossano le maschere dell’individualità: quel corvo, quel ghiaccio, quella persona che ho incontrato per la strada ieri sera, mio marito, il mio cane … Gli dei si travestono per farci visita e parlarci. Allora mi viene da voler comunicare con quel corvo appoggiato alle labbra del maestro. E come si può parlare con un corvo se non cercando di fare il vuoto mentale, di sparire, svanire nel ritmo pulsante della natura? Così cerco di spazzare via tutti i miei pensieri e poi do retta alla prima voce che mi si presenta da dentro.

Chi è dio per te?” chiede la voce al corvo. E sulle prime mi sembra una questione folle, che non c’entra nulla, ma ho fiducia e mi metto in attesa. La mia mente riprende a pensare dopo lo shock della domanda inattesa e pare su di un altro piano. Il mio sguardo è fermo nell’occhio del corvo. Fissare lo sguardo su un punto senza mettere a fuoco le immagini, guardando oltre ciò che si vede è una pratica che mi è famigliare. I pensieri portano altre immagini, altri ricordi, altre idee: non possiamo pensare che per immagini, ricordi, idee, perciò ogni volta dovremmo avere l’accortezza di chiederci da dove vengono le nostre immagini, i nostri ricordi le nostre idee. C’è un’idea in particolare, però, che ostacola fin dall’inizio l’esame delle idee: la convinzione che siamo noi a crearle nella nostra testa, come fosse il cervello umano a secernerle. (James Hillman Il Potere, op. cit. P.35).

Secondo Hillman le immagini sono eidola, ovvero idoli, forze divine e demoniache che creano e distruggono. L’idea che immagini, idee, ricordi ci appartengano è il grande inganno su cui si fonda il senso dell’individualismo monistico, va superata. Se non si può vincere questa idea a livello macroscopico di civiltà, si può però superarla a livello individuale, per esempio fissando lo sguardo nell’occhio di un corvo. Ci provo e le risposte arrivano una dietro l’altra, leggere, come la brezza fredda che c’è nell’aria questa mattina, invisibili, come l’anima. Mi portano la risposta alla domanda che ho posto al corvo.

hillman-tantraLa prima idea mi dice che la divinità di natura è bene rappresentata nel tantrismo con il simbolo del maytuna: l’unione erotica di Shiva e della sua sposa Parvati e nel buddhismo esoterico dal Vajrapani in unione con la sua compagna, divinità assisa in postura meditativa che tiene la propria compagna in grembo sopra di sé, mostrando l’accoppiamento erotico come simbolo dell’unione di tutti gli opposti.

E subito un’altra idea si chiede: cosa siamo noi se non il riflesso di quell’immagine di unione? L’eco di quel suono originario? L’androgino è il simbolo dell’unione di morte e vita e di tutti gli opposti, esso è l’emblema della vittoria dell’amore sulla paura e dell’incontro con il sacro, il sacrum facere, la capacità di darsi.

Fare anima significa affrontare il viaggio verso la Grande Soglia – che è la terra dell’immaginale. Chi accompagna questo viaggio partendo al di qua della Grande Soglia può essere lo psicologo del profondo, il consulente del fare anima, che ha una funzione sciamanica da psicopompo, traghettatore di anime, conoscitore del post mortem. Chi accompagna il viaggio partendo dall’altra parte della Grande Soglia è il daimon.

Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia nel venire al mondo dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino. (…) Si è cercato per secoli il termine più appropriato per indicare questo tipo di “vocazione”, o chiamata. I latini parlavano del nostro genius, i greci del nostro daimon e i cristiani dell’angelo custode. (James Hillman, Il Codice dell’Anima, Adelphi, Milano 1997, p. 22, 23, 24.)

Il daimon è il maestro del fare anima. Fare anima è un’attività delle profondità: è psicologia del profondo ed è ecologia del profondo. È un’attività universale, un viaggio che chiunque può intraprendere indipendentemente dal suo retroterra culturale, religioso, etnico e geografico. Fare anima è prendere gli oggetti, le persone, gli eventi e riportarli alla loro natura di ombre, di immagini, cioè alla loro natura psichica e animica, liberarli dal giogo del tempo, risvegliarli dall’ipnotismo dell’Io.

Fare anima significa sviluppare la capacità di “vedere” che persone cose, luoghi ed eventi che quotidianamente percepiamo sono un sogno all’interno di un sogno e non hanno alcuna sostanza reale, sono ombre, miraggi; come l’immagine della luna riflessa nell’acqua, sono visioni vivide e lucide, ma prive di sostanza. Il senso dell’oggettività delle cose e del materialismo sono inganni che, al momento del risveglio dal sogno, svaniscono come fumo nel vento.

Fare anima significa prendere ogni persona, oggetto, evento con cui veniamo a contatto e riportarlo alla sua reale natura di immagine ricordando a noi stessi che stiamo sognando e che ciò che percepiamo è una immagine prodotta dal nostro stesso sogno. Fare anima significa, dunque, prendere la realtà pezzo per pezzo e ricondurla all’anima, ai regni di Ade, alla dimora delle ombre, alle profondità dell’eterno femmineo, ai reami dell’Io istintuale.

Fare anima vuole dire altresì saper evocare le ombre che abitano oltre la Grande Soglia e portarle in una zona ove ci sia possibile comunicare con esse: gli avi, gli archetipi, le immagini che popolano le profondità della nostra psiche, le ombre invisibili che determinano il nostro pensare e il nostro agire.

Fare anima, in buona sostanza, significa fare in modo che tutto ciò che è al di qua e tutto ciò che è al di là della Grande Soglia si incontri in un confine che non ha collocazione né di tempo né di spazio. Questo confine è la Terra di Mezzo, la Grande Medesimezza e può essere simboleggiato dall’androgino.

Dialogare con gli avi per conoscere il mito che stiamo mettendo sulla scena della vita

Le fonti del condizionamento inconscio sono di origine famigliare, esse sono infatti la famiglia e la società, che è la famiglia della famiglia. La visione di Hillman ci porta a considerare i nostri avi e a cercare delle vie per riportare in vita qualcosa che la nostra cultura pare avere quasi del tutto dimenticato: i culti degli avi.

La psicologia archetipica e la visione immaginale conducono quasi naturalmente, alla psicologia transgenerazionale. Divenire consapevoli dei condizionamenti che – per il fatto di essere nati in una certa famiglia e in una data cultura – influenzano i nostri obiettivi, i nostri desideri, il nostro comportamento significa anche poter sentire oltre questi stessi condizionamenti e percepire il daimon.

Le idee che possediamo senza sapere di averle, possiedono noi (James Hillman, Il Potere, Rizzoli, Milano 202, p. 29). Da dove ci provengono le nostre idee che non sappiamo di possedere? Dall’educazione che abbiamo ricevuto, ma più ancora esse sono la conseguenza di atti d’amore. In virtù dell’amore che ci lega alla famiglia d’origine e – nel caso questa sia presente – alla famiglia adottiva, noi ne assumiamo le idee fondamentali e ci facciamo carico di “compiti ereditari”. Fin dal momento del nostro concepimento noi riceviamo dai nostri avi un “progetto di vita”. In questo progetto di vita si esprimono compiti di compensazione del destino familiare, cioè compiti di risarcimento nei confronti degli avi. I nostri avi, dunque, sono dentro di noi, sono aspetti della nostra psiche, dialogare con gli avi è interrogare le profondità psichiche, è “fare anima”.

I nostri avi, in quanto rappresentanti dell’invisibile, ci mostrano ciò che è nascosto, segreto, profondo. Gli avi ci parlano del nostro progetto di vita, della nostra missione nel mondo. In quanto immagini psichiche, ci svelano il mito che stiamo mettendo sulla scena della vita vivendo.

Avendo la nostra cultura perduto il contatto con Ade e con il suo mondo infero, È la psicologia del profondo il luogo in cui troviamo oggi il mistero iniziatico, il lungo viaggio di apprendistato psichico, il culto degli antenati, l’incontro con demoni e ombre, i patimenti dell’inferno. (James Hillman Il Sogno e il Mondo Infero, Adelphi, Milano, 2003, P. 85).

Riassorbire il reale, ovvero il ritiro delle proiezioni

Nello yoga tantrico e sciamanico, a cui Michael Williams mi ha iniziata, è conosciuta una meravigliosa pratica visionaria chiamata contemplazione del Mandala Interno o Mandala Visionario o anche Mandala Segreto.

Si tratta di visualizzare un grande cerchio nello spazio vuoto che si estende senza fine davanti agli occhi chiusi. Poi in questo cerchio si fanno ruotare prima impressioni di luoghi conosciuti in vita, compresi i luoghi natali, poi volti di persone note, compresi i volti del padre e della madre, e infine tutti i ricordi degli atti sessuali vissuti fino all’immagine dell’atto sessuale con il quale siamo venuti al mondo. Avendo in questo modo ri-compreso la realtà nel Mandala visionario, essa viene poi riassorbita all’interno del corpo a mezzo di una particolare pratica di respirazione e attraverso la recitazione di un mantra. Con questa pratica riportiamo alla terra, all’acqua, al fuoco e all’aria, che sono i principi del nostro corpo, le immagini che abbiamo vissuto, che viviamo e che vivremo.

Questo processo mi ricorda da vicino il procedimento del “ritiro delle proiezioni” utilizzato nella psicologia del profondo che consiste nel portare all’interno di me le immagini che ho vissuto durante la mia giornata o nei miei sogni cercando i tratti che hanno in comune con me e i sentimenti che evocano (lei è troppo passiva, lui velenoso, l’altro un ascoltatore perfetto) io li accolgo in me. Vedo me stesso rispecchiato in loro e loro rispecchiati in me, rifletto sulle ombre che abbiamo in comune. (James Hillman, Il Sogno e il Mondo Infero, op. cit. P 127.)

Comunemente luoghi, persone e atti vengono presi unicamente come oggetti materiali, esterni a noi, indipendenti dal potere della nostra anima di immaginarli. Mettere luoghi, persone e atti nel Mandala segreto significa ri-comprenderli nell’anima e ri-assorbirli a mezzo del respiro dentro al corpo, significa liberarli dalla pesantezza dell’oggettività che li rende indipendenti dalla volontà immaginativa della nostra anima e ce li fa subire come eventi materiali della cui reazione siamo vittime.

Riassorbire la realtà nel Mandala visionario è scioglierne la pesantezza materiale per renderla anima; è “fare anima”. Ritirare le proiezioni è riuscire a vedere la propria vita come mito o favola.

Vi è stato un tempo in cui le favole di potere vivevano tra la gente alla luce del sole e tutti ne potevano beneficiare. In quel tempo, quando una donna era incinta, si raccontavano favole al nascituro perché potesse divenire un grande uomo. Le favole di potere accompagnavano l’esistenza di ogni individuo dal momento del suo concepimento al suo trapasso e anche oltre. Le favole non conoscono separazione tra morte e vita. Così, quando lo sciamano, capo villaggio, suonava il suo tamburo per radunare la tribù ed evocare gli avi, morti e vivi si ritrovavano insieme ad ascoltare favole.

La forza di ogni clan, di ogni tribù, di ogni gruppo e di ogni singolo uomo dipendeva dalla potenza delle storie che udiva. Certe storie ci pongono di fronte a vari archetipi che sono le matrici della nostra esperienza umana, ci parlano dell’origine delle cose, di quando un comportamento o un evento è venuto in essere per la prima volta, in illo tempore, dunque, ci consentono di avere potere sugli eventi, sui comportamenti e sulle cose.

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Calloni Williams Selene .James Hillman. Il cammino del «fare anima» e dell’ecologia profonda. Mediterranee. 2013.

Il presente articolo è tratto dal libro James Hillman. Il cammino del «fare anima» e dell’ecologia profonda. di Calloni Williams Selene, edito da Mediterranee, per gentile concessione

2 Responses to “Il riflesso di James Hillman e l’immaginale”

  1. Lucia Gioia ha detto:

    … Rinnovo la mia ammirazione per James Hillman

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