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Bert e Sophie HellingerUna conversazione con Bert Hellinger – anticipata da un’introduzione sull’evolversi delle costellazioni familiari, che lui stesso ha sviluppato. Bert Hellinger ha offerto a febbraio e marzo scorso due seminari speciali in Italia, a Bolzano e a Milano. L’intento? Quello di passare il nuovo orizzonte dell’approccio costellatorio a tutti coloro che hanno mente e cuore aperti per intendere e, magari, offrono a loro volta un servizio nel campo della sistemica familiare.

Bert ha coniato un nuovo nome: le costellazioni mediali, condotte dall’Altrove, di cui siamo mezzi, mediatori. Mi auguro che il mio racconto e le sue parole possano far giungere un eco della profondità e forza delle nuove costellazioni familiari, anch’esse, a loro volta, in continuo movimento

I grandi movimenti sono meno efficaci dei piccoli movimenti. I piccoli movimenti sono meno efficaci dell’immobilità. L’immobilità è il movimento eterno” Wang Xiang Zhai

Come iniziare bene qualcosa a cui ci si appresta? Con un grazie.

Ringrazio le domande ricevute e quelle poste, l’esperienza, la pratica fatta quale partecipante, rappresentante e, a sorpresa, “costellata”. In realtà ogni domanda, ogni frase dall’altrove, ogni movimento dei rappresentanti nella costellazione, è per tutti i presenti, compreso chi – afferrato per mano e condotto – conduce. Tutti sono chiamati a esporsi, raccolti, all’effetto di ciò che si rivela. E tutti ne sono toccati, in un modo o nell’altro.

Si può quindi davvero chiamare, quella ricevuta, la “mia”, la “tua” costellazione? In questo nuovo incedere del lavoro con le costellazioni, dove con quieta evidenza i presenti sono chiamati a esporsi a quella forza creativa che tutti attraversa, l’invito è a entrare nella consapevolezza del “noi”. Una nuova consapevolezza, oltre la mia ricerca di una soluzione, al di là dei dettami della coscienza personale che cerca la ragione e di aver ragione.

Piuttosto che la scomoda verità? Che caspita è mai la verità? Che sia l’evidenza dei fatti? E tale evidenza sorprende sempre nel suo disarmante dispiegarsi, nel suo immediato esprimersi. È intuitiva, come il primo pensiero. Il secondo ha già meno forza. Per questo ciò che ha energia nella costellazione, nella rappresentazione si rende subito palese. A tale proposito, in questo nuova dimensione, che Hellinger chiama mediale, diventa irrilevante anche l’esposizione del tema su cui lavorare.

Porto un esempio. Alla richiesta di chi vuol lavorare, sono in molti ad alzare la mano. Il facilitatore – in questo caso Bert Hellinger, sceglie qualcuno, che si siede alla sua sinistra, di solito. Talvolta non c’è alcun scambio verbale, soltanto una frase che viene donata e che Hellinger suggerisce di dire interiormente, a chi è al suo fianco e a tutti i partecipanti. Finisce lì. E non sfugge l’effetto. È nel volto, in un respiro profondo, nell’allinearsi della postura. Quando sfugge? Quando voglio acquisire, prendere per me, fare shopping, come si dice. Come cogliere un fiore che un attimo dopo comincia ad appassire.

Ho ora vivida l’immagine dell’ultima, breve costellazione del secondo seminario. Pochi cenni di una donna, sulle molestie – questa è la parola che usa – da parte del padre. In breve tempo, al centro, qualcuno rappresenta il padre, la madre e la figlia. I movimenti sono piccoli e scanditi. Il padre si china a terra con la faccia tra le mani. La madre gli si avvicina e si pone semisdraiata a breve distanza, quasi di spalle, senza guardarlo.

Non guarda nemmeno la figlia. La figlia invece guarda impalata, dall’altro capo, di fronte ad entrambi. Quando le viene chiesto che cosa prova – e sono le uniche parole pronunciate – la risposta è: «Mi sono trovata qui». Mi sono trovata qui. Questo è quanto. In quel momento ho realizzato una frase, non importa di chi: only a happening, never a doer.

Dov’è la colpa del padre, e quella della madre? E c’è forse una colpa nel trovarsi qui, così come siamo? La cliente è congedata in questo modo: «… E cancella dal tuo vocabolario quella parola». Qualcuno al mio fianco ha chiesto: «Quale parola?». Doveva giusto trascriverla sul suo taccuino, di seguito alle altre. Indaffararsi a trattenere sulla carta, distrae.

Che cosa può donare, allora, la costellazione – ancor più chiaro nelle nuove, nel loro approccio minimale?

La guarigione di un sintomo? Può darsi di sì ma anche no. La soluzione di un nodo “personale”? Forse. La riconciliazione con la madre e il padre? Sì, senza garanzia alcuna però. Che cosa offre definitivamente e comunque?

La consapevolezza di una profonda interconnessione, la comprensione della fallace idea-azione di esclusione-separazione, la percezione palpabile di essere attraversati da una forza creativa – da un moto che viene dalla Sorgente, dallo Spirito, dall’Altrove – e di quanto sia sanante lasciarsi muovere da essa, esserLA.

È un procedere del tutto e del profondo che con le sue leggi, governa le relazioni, e se, by the way, smette di far male anche il mio callo che duole, yuppi! In ogni caso quello scoprirsi interconnessi, “presi”, oltre il giusto e lo sbagliato, ordina disvelando l’armonia, lenisce, sveglia, cura e guarisce la malattia della separazione, del migliore contro il peggiore, dell’alto meglio del basso… l’unica malattia che valga veramente la pena curare.

Ma avviciniamoci ancora al momento della nostra conversazione. Da dove cominciare, di nuovo? Comincio dalla fine. «La fine è davvero la fine, o è un nuovo inizio?». Queste le parole con le quali Bert Hellinger ha salutato tutti i partecipanti a conclusione del secondo evento in Italia, lo scorso Marzo.

La possibilità di un’intervista mi era stata annunciata quasi al chiudersi del seminario. In quell’attitudine che vi si crea, di vulnerabile apertura, dove anche la resistenza trova posto quale pungolo a un più arreso aprirsi, mi ero resa disponibile, senza fare alcuna pressione. Durante la breve intervista, ecco l’invito finale di Bert Hellinger: «Ora dimenticate tutto, e fate il vostro articolo!». Niente di più facile, giacché una parte me la sono persa, toccando il tasto sbagliato del computer al momento sbagliato, pare.

Questo pezzo è allora un inizio rispetto a una qualsiasi intervista finita che avevo pianificato di consegnare. Anche durante la conversazione, l’invito di Bert Hellinger, mai esplicito, tuttavia fermo e amorevole, era quello di “stare sul pezzo”, come si dice dalle mie parti.

Gli ordini e le coscienze

Nell’insegnamento delle costellazioni si parla di ordini dell’amore, di leggi che governano le relazioni, in tutti i campi: familiari, di coppia, professionali, della salute. Inoltre tra le comprensioni profonde della Hellinger Sciencia c’è quella delle diverse coscienze che, a nostra insaputa, influenzano profondamente i rapporti. Tra queste, quella personale è la più tangibile. Essa riguarda la necessità di appartenere e la fedeltà al nucleo cui si appartiene.

Il senso di appartenenza è necessario e vitale per ogni nuovo nato. Per assicurarci la vita dobbiamo appartenere alla tribù della famiglia che a sua volta è in senso lineare e trasversale legata ai sui ascendenti e al loro destino. Il gruppo familiare – parte di un ambiente che chiamiamo magari “gli abitanti di” – ha i suoi valori, le sue regole, la sua religione…

Appartenere significa abbracciarli e quando si è piccoli è automatico, è ciò che ci fa sentire benaccetti, inclusi. Fare squadra è istintivo. E ci sentiamo subito a disagio, in cattiva coscienza e in pericolo, una volta trascurate le regole o se mai volgessimo il nostro sguardo verso una squadra poco accetta. Due sono dunque gli effetti: escludere chi non riga secondo i dettami; sentirsi minacciati come famiglia, gruppo, etc… da un’altra famiglia e da un altro gruppo che ha valori diversi. E ogni sistema di appartenenza ha i suoi valori, un suo destino e perfino un dio molto personale.

Il risultato può essere il conflitto. Montecchi e Capuleti, per giungere a Israeliani contro Palestinesi… Porto un esempio: ricordo in famiglia, certi battibecchi dei miei genitori. «E certo, sei proprio …………..(termine svalutativo) come i Masetti, fatto e sputato». E l’altro rimbeccava: «Saran boni i Bruschini, con quel modo lì di fare…». E via ognuno a rincarare, animosamente a tenere per la propria famiglia. L’altro giorno ne parlavo con mia figlia, dicendo che mi trovo – nei miei momenti offuscati – a pensare e sparlare allo stesso modo rispetto al mio di partner e alla sua di famiglia.

Mia figlia, è rimasta colpita, riconoscendo subito quali potrebbero essere i dardi da lanciare al suo di fidanzato, colpendo l’intero nucleo. Nel suo caso il tasto da spingere è ancor più spesso, visto che i popoli sono diversi e c’è l’orgoglio di patria con i suoi eroi. La scoperta dell’influenza della buona coscienza da parte di Hellinger ha degli effetti di portata vastissima, come appare nella sua ultima opera: Le chiese e il loro dio.

A immagine e somiglianza della chiesa-famiglia/gruppo/collettivo… c’è il dio personale – la personalità – che come ogni dio è unico, infallibile, premia e punisce. Mentre la coscienza personale si sente in diritto – morale – di escludere, render pan per focaccia, di menar le mani, c’è un’altra coscienza, collettiva – inconscia – che vuole che tutti appartengano con ugual diritto, nessuno escluso, come si dice. Inoltre impone un procedere gerarchico: chi viene prima ha la precedenza su chi viene dopo. Ogni violazione di questo ordine, disfunzionale e spesso agita in buona coscienza, cerca la sua compensazione, anche con la morte.

Gli esclusi invece, sono riportati al cospetto di ogni nuova generazione attraverso uno dei discendenti che “subirà” l’irretimento con uno o più di essi, trovandosi a vivere i sentimenti e la “vita” dell’altro, cedendo molta della propria, per mantenerlo presente al sistema finché questo lo riaccolga e lo tenga a cuore. Immorale?

E poi c’è una terza coscienza, un’altra, diversa consapevolezza, che veglia con distacco. Amorale, accoglie e guarda tutto e tutti con amore, lasciando piovere indistintamente la sua benedizione. Né include né esclude, immota scorre portando tutto nel suo fluire, anche la coscienza personale, e quella collettiva.

Nello scorrere crea senza imporre insegnamenti giacché non si può imparare a vivere, perché… da lei siamo vissuti. Ma qui sto sc-correndo troppo.

Le domande dei partecipanti

Durante un seminario come questo, dove si è chiamati alla piena, viva percezione, può succedere che molte delle domande diventino superflue e quelle che, magari, emergono, richiedano un tempo di maturazione. Talvolta le domande hanno bisogno di ristare, di depositarsi. In quel tornare verso il basso si dissolvono o si fanno essenziali, gravide della sostanza della vita e della morte. Che vuol dire? Che vanno al sodo, pregnanti, semplici, che volano basso, come si dice.

Queste sono le domande che Bert Hellinger accoglie e dalle quali – in questa nuova fase del lavoro – può prender le mosse una breve costellazione mediale o il giungere, nel raccoglimento di entrambi – nel farsi quieti – di una frase che avvia un movimento risolutivo. In che modo accade? Come lo sappiamo? Ci sono dei segnali?

Bert Hellinger: «Le costellazioni connettono con un’altra, diversa dimensione. Di che cosa trattano? Questo va vissuto, sperimentato. Si possono trasmettere raccontando una cosa pratica, quello che è successo. Per esempio raccontando di rappresentanti che non sanno assolutamente niente del loro ruolo. Essi sono mossi da un’altra forza ed è questa che ha effetto, per chi ha una richiesta. Questa richiesta non va neanche descritta, verbalizzata, l’essenziale si mostra subito dai volti, dall’aspetto… A un tratto per es. qualcuno piange, senza che sia detta parola alcuna, o è commosso profondamente.

Vuoi che porti un esempio? C’era qui una donna che aveva fatto un trapianto del rene. Lei mi aveva scritto una lettera e quando ho lascito che questa lettera avesse un effetto su di me, allora mi è arrivata una frase. Questa frase mi ha commosso, mi ha scosso addirittura e quando gliel’ho detta, il suo volto si è fatto radioso. La frase era: “Io appartengo a te, io sono tua.” Questo è un esempio dell’effetto di questo lavoro».

Le domande ai partecipanti

Bert punteggia di tante domande il suo esporre, durante i seminari. Queste, possono aprire una nuova prospettiva. Esse giungono profonde e puntuali, avviando una comprensione. Almeno, in questo modo toccano il mio centro. Per esempio: «Che cosa è rimasto delle costellazioni familiari, così come le conosciamo?».

«Niente».

E in me, si fa posto un moto, che dentro trova voce: cosa sarebbe auspicabile che rimanesse, di ciò che pensiamo di sapere, ogni volta che ci troviamo a costellare di nuovo? Niente. Può forse qualcosa rivelarsi nel pieno? Può Altro, Esso, Quello, l’Altrove… irrompere lì dove sono già stati eretti dei muri chiamati: IO so già, IO sono sicuro di… Condotti da un’altra forza, conduciamo. Congiuntamente condotti – facilitatore+cliente+rappresentanti+partecipanti – accogliamo il manifestarsi di ciò che si rivela. Solo così conosciamo, rinunciandovi l’attimo successivo.

A che servirebbe quindi prendere appunti? Bert lo sconsiglia con fermezza. Se si presenta un caso di un tal genere, potremmo pensare, allora applico il seguente modello. È fruttuoso? Possono, le costellazioni, essere trattate alla stregua di una psicoterapia? Non lo sono. Possiamo avere dei puntelli? Non più. Quest’ultimo è il nocciolo dell’evoluzione nel campo delle costellazioni familiari. Può davvero un passo già consumato, un moto che ha esaurito la sua azione, il risaputo, sortire un qualche effetto?

La forza, dietro e nelle domande di Bert Hellinger, mi ha aperto varchi inaspettati, oltre la buona coscienza alla quale facciamo appello, come a una professione di fede. Vogliamo continuare a sentirci al sicuro, benvoluti, paladini del “credo” familiare, del gruppo spirituale, del partito, del popolo e della sua religione, dei loro dettami. Compensativi? La scoperta e la comprensione degli effetti di questa buona coscienza, arcaica – morale o moralista? Giusta o giustiziera? – è un punto che ha una grande portata nella pratica delle costellazioni familiari, che mettono in gioco un campo ben più ampio di quello della passata generazione.

Ecco un esempio di una di queste sue domande, rivolte ai partecipanti, e forse espressiva non solo per me, in un periodo che vede diversi di noi “abbarbicati” a questo o a quel credo, ops cammino, spirituale: «Chiedetevi, i vostri cammini spirituali vi stanno portando verso la vita o verso la morte?» Può capitare che ciò che pensiamo di sapere ci faccia sentire superiori, a entrambe. Può succedere. A chi ci sentiamo superiori, spesso, senza intenzione palese, nello snocciolare verità spirituali sagge e illuminate? Ai nostri genitori, per cominciare.

Le storie

Bert Hellinger ama anche raccontare alcune storie, una sorta di parabole riadattate, che a sua volta – si sente – l’hanno toccato nel profondo. Quella scritta di seguito, per esempio, è idonea al campo della guarigione. È in sintonia con quella credenza che la salute sia più giusta della malattia, consone alla pretesa di essere salvati e di salvare: “Che cosa direbbe Gesù se il paralitico, al quale si è rivolto intimando – prendi le tue cose e vai a casa – rispondesse: qui, io resto.

Una – Tacerebbe.

Due – Direbbe: «Quest’uomo onora Dio più di quanto io faccia».

Quale effetto ha dentro di noi? Se ne ha. Posso dirvi che cosa muove in me. Un senso di libertà, diversa. Quale libertà? Quella di chi rimane al suo posto, e lascia agli altri il loro. “Stai nel tuo”, si dice dalle mie parti, in Casentino. Che, presa semplicemente alla lettera, ha ben altra forza del “evita di farti gli affaracci altrui”. Quando diciamo: lo faccio io per te – per togliere l’altro d’impaccio – è sempre vero che non stiamo prevaricando la sua dignità, il suo di posto?

Domande e risposte

Che cosa succede in Bert Hellinger, interiormente, quando sente che il nuovo lo conduce?

Semplicemente mi attivo, io so in questo caso cosa devo fare e questo è sufficiente.

Questo vuol dire che c’è fiducia, una totale fiducia?

Va oltre la fiducia, sono preso per mano, per così dire, e seguo. Seguo invece di agire, di mettermi io in azione…

Penso di comprendere la differenza. Non puoi fare altrimenti dunque?

Sì.

Ho tra i miei conoscenti dei costellatori, anche dei formatori. Durante il seminario di Bolzano, hai detto: “Cosa è rimasto delle costellazioni familiari così come le conosciamo? Niente!”. In quel momento ho provato una sorta di gioioso sollievo, che ho voluto condividere. La reazione, in qualche caso, è stata di dubbio o una sorta di paura, di senso di pericolo. Cos’ è questa paura, da cosa deriva?

Questa paura deriva dal fatto che le cose che nell’anima avevano un posto sicuro, ora non ce l’hanno più. Una sicurezza, a oggi, non esiste più. Ogni passo è diverso.

Seguendo il tuo lavoro dal 2000, mi è chiaro che c’è stato un percorso, un’evoluzione in una dimensione ampia, dal “fare” al “non fare”. Tu dici che non sei “spirituale”, tuttavia questo tuo “non fare” non è forse l’evidenza dello spirito?

Il “non fare” fa posto, spazio per un’altro fare, diverso.

In che senso?

In quest’altro modo di fare cessa il Dio ego.

Questo vuol dire, per esempio, che io non ho merito ne demerito?

Sì.

Hai detto, a Bolzano, nel seminario, delle cose forti sulla Chiesa, anzi sulle Chiese, in genere. Non temi per la tua vita?

Io poi mi ritiro, mi faccio da parte.

Una volta mi hai detto che Ghandi è stato ucciso perché era entrato in un’altra consapevolezza, oltre la buona coscienza. Diresti che poi lui si è troppo esposto, ha voluto strafare?

Perché giudichi? Io non giudico. Ciò che vedo è che tanti, troppi sono morti per la causa di Gandhi.

Una domanda di attualità. Si tratta del caso di due donatori di sperma, in Usa mi sembra, che hanno richiesto d’impugnare la facoltà di educare i figli. Hanno, a tuo avviso, il diritto di farlo?

Sì, hanno questo diritto.

Elsa Masetti. Libera ricercatrice, giornalista. Ha una LS in Scienze dell’Educazione a indirizzo psicologico e la specializzazione di counselor olistico e sistemico presso Sicool. Esperta in educazione sessuale presso Aispa. Sta portando avanti un progetto dal titolo: il corpo risvegliato – relazionarsi con amore, che include anche laboratori di costellazioni familiari secondo la nuova evoluzione di Bert e Sophie Hellinger.

www.elsamasetti.it

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