Innernet: Journey into Awareness
and Anima Mundi

25
Sep
2009
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L’insegnamento perduto del Meccano

Probabilmente stiamo attraversando un periodo di transizione. Il mondo è saturo di tutto, nessuno sta aspettando più niente di nuovo, non c’è più niente da scoprire, soprattutto sul fronte artistico. Questo tempo, come il Meccano, ha esaurito tutte le sue possibilità.

Il ‘Meccano’ era forse l’unico gioco che si poteva acquistare in ferramenta, dato che era fatto soltanto di barrette di metallo forate, viti, dadi, pulegge e piccoli arnesi. Fu inventato da un inglese alla fine dell’800, ed era talmente originale che, oltre che in Europa, si diffuse anche in America. Di solito aveva un libretto di istruzioni che suggeriva alcuni modelli che si potevano costruire con i pezzi contenuti nella scatola: una locomotiva, una scavatrice, una bilancia, un’elica a manovella… cose così.

Il meccano era una gioia per gli occhi e una festa per le mani. Ogni bullone stretto equivaleva a mille neuroni attivi in più. A seconda del numero dei pezzi contenuti, le scatole erano numerate da 1 a 10. La scatola numero 10 era un sogno irraggiungibile, accessibile solo ai figli dei ricchi: conteneva tutti i pezzi per costruire una gru a motore alta due metri. Comunque, ogni scatola, anche la numero 1, permetteva di costruire moltissime cose, tutte davvero funzionanti.

Si partiva dalle strutture più intriganti (il mulino a vento! Il martello battipalo! Un camion col rimorchio!), poi si provava a costruire anche le altre, e poi si inventava.Ma inesorabilmente si arrivava, prima o poi, al punto di arresto, che era quando si esaurivano tutte le idee possibili con il numero di pezzi limitato contenuti nella scatola, allora si cominciava a improvvisare costruendo oggetti casuali, senza senso, ma era un sentiero che non andava mai molto lontano. E così, stanchi delle solite forme e poco gratificati da quelle senza senso, arrivava il giorno in cui la scatola del meccano rimaneva a prender polvere sopra qualche mobile.

Era un bel gioco e infastidiva il pensiero di non saperlo sfruttare meglio, di più, perché aveva potenzialità enormi, ma davvero non si riusciva ad andare oltre. Anche in seguito, quando ai pezzi meramente meccanici cominciarono ad aggiungersi parti elettriche, magnetiche e di plastica colorata, moltiplicando dunque le possibilità inventive, si arrivava comunque al punto di arresto. Read More

12
Sep
2009
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Compassione cosmica, intervista con Brian Swimme

hubble 2001-10-a-1280.jpgSecondo il cosmologo matematico Brian Swimme, l’universo è una rivelazione continua, radiosa, sfolgorante. Contemplare le meraviglie della creatività del cosmo che si dischiude è un evento mistico, estatico, che ispira stupore. E se parli con lui, leggi un suo libro, o guardi una sua serie di video educativi – è contagioso. Come specialista delle dinamiche evolutive dell’universo, Swimme ha fatto della trasmissione della nuova storia dell’universo lo scopo centrale del suo lavoro – la storia da stiramento mentale dei nostri quattordici miliardi d’anni d’evoluzione cosmologica che è stata rivelata dalle scoperte scientifiche delle recenti decadi.

Nel 1989 ha fondato il Centro per la Storia dell’Universo presso il California Institute of Integral Studies (CIIS), dove è anche professore di cosmologia. Swimme racconta la storia dell’universo nella speranza che questa vasta visione ci catapulti oltre la miopia delle nostre menti limitate di primati. Crede che la storia dell’universo, attraverso le vaste distese di spazio e di tempo, sia la storia più profonda di noi stessi. Swimme è particolarmente interessato al potenziale unico, nel trascorrere del tempo, del nostro momento presente – dato che ora è il momento, attraverso l’evoluzione delle uniche capacità riflessive della consapevolezza umana, che l’universo può diventare conscio di se stesso.

E, in modo più significativo per la nostra attuale crisi planetaria, ora è il momento in cui possiamo iniziare consapevolmente a “reinventare l’umano come una dimensione dell’universo emergente” ed evolvere in un modello d’essere umano con il quale siamo profondamente connessi, e con cui sperimentare una compassione globale e responsabilità per tutti gli aspetti della vita.

Compassione cosmica Brian.jpgSwimme ricevette il suo Ph. D. in cosmologia matematica dall’Università dell’Oregon nel 1978. Insegnò all’Università di Puget Sound per un certo numero d’anni, prima di trasferirsi a New York per studiare con Thomas Berry presso il suo Centro di Ricerche Religiose di Riverdale. Swimme e Berry iniziarono allora una collaborazione di lunga durata, il frutto della quale include The Universe Story (La Storia dell’Universo), scritta insieme nel 1992.

Swimme ritornò ad insegnare al College Holy Names a Oakland, in California, dove insegnò per sette anni e scrisse insieme a Mattew Fox: Manifesto for a Global Civilization (Il Manifesto per una Civilizzazione Globale) prima di unirsi al CIIS. E’ anche l’autore di numerosi altri libri, compreso The Universe is a Green Dragon (L’Universo è un Dragone Verde). Swimme viaggia regolarmente per parlare di cosmologia ed ecologia nelle conferenze e presso delle organizzazioni, incluse le Nazioni Unite, l’UNESCO, e The State of the World Forum.

Ho avuto il piacere di parlare con il Dr. Swimme, e di allargare le vedute della mia immaginazione all’infinito, all’università di Harvard, dove stava partecipando ad una conferenza sull’ecologia e la religione. Come ci sedemmo per iniziare l’intervista, m’informò che era appena tornato da una conferenza evento presso il Walden Pond di Thoreau. Mentre Swimme animava la grandezza e la maestà del cosmo, parlando della nascita delle galassie con l’intimità, lo stupore e l’eloquenza dei poeti trascendentalisti quando andavano in estasi descrivendo le foglie d’erba o uno stagno del Concord, sapevo che quello era l’incontro con un altro mistico della natura, ma uno del ventunesimo secolo, la cui sfera della natura include le stelle più lontane.

Susan Bridle: Quale ritieni che sia la crisi più urgente che oggi l’umanità stia affrontando? Quali sono i temi planetari ai quali abbiamo più bisogno di aprire gli occhi e di rivolgerci?

Brian Swimme: Ritengo che il modo più veloce di aprire gli occhi a quello che sta succedendo sul pianeta sia pensare in termini di estinzione di massa. Di quando in quando la terra attraversa una moría delle varietà viventi. Durante lo scorso mezzo miliardo d’anni, ci sono stati cinque momenti come questo. Non ne sapevamo niente fino a duecento anni fa; non avevamo la minima idea che questo fosse accaduto. Ora abbiamo scoperto che circa ogni cento milioni d’anni la terra ha subito questi stupefacenti cataclismi. E solo negli ultimi trenta o quarant’anni abbiamo scoperto che l’ultimo, il quale portò all’estinzione dei dinosauri, delle ammoniti e di molte altre specie, fu causato dalla collisione di un asteroide con la terra. Questo accadde sessantacinque milioni d’anni fa. Read More

3
Sep
2009
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Misticismo sessuale o erotico

tantra3.jpgL’erotismo è ciò che una persona trova sessualmente interessante, al punto di venirne più o meno eccitata. È qualcosa con cui può avvenire una forte identificazione e attraverso il quale il desiderio sessuale può venire canalizzato, sia direttamente (in modo orgasmico) che indirettamente (in modo non orgasmico).

Le religioni più associate al misticismo sessuale sono l’induismo e il buddismo (entrambi di origini indiane), nelle loro forme tantriche. Nella cultura dell’Asia orientale, dove si sviluppò lo zen, il misticismo erotico era poco sviluppato. I motivi principali di ciò sono due. Innanzitutto, nell’etica confuciana che domina tutta la cultura est-asiatica, la relazione fondamentale non è quella tra marito e moglie, come in occidente o in India.

Essa è soprattutto quella tra genitore e figlio, poi tra insegnante e alunno, quindi tra fratelli e solo alla fine tra coniugi. Il risultato di questa subordinazione del vincolo coniugale è che in nessuna cultura dell’Asia orientale esiste l’immagine dell’anima comunitaria o individuale come della sposa di Dio. Ciò colloca la relazione sessuale in una posizione subalterna. Se nella società est-asiatica si crea un forte legame all’esterno della famiglia natale, ciò avviene nella relazione studente-insegnante, che si ritiene non debba avere nulla di sessuale.

Secondo: dopo il confucianesimo, il sistema di pensiero più influente nella cultura dell’Asia orientale è il buddismo; questo sistema, essendosi sviluppato da una tradizione monastica, subordina anch’esso la sessualità, in questo caso alla relazione del sé con il sé. Ciò si manifesta nell’importanza assegnata alla meditazione. Oltre a questo, vi è il fatto che il buddismo preferisce la compassione all’amore. Tutti questi fattori hanno fatto sì che la presenza del misticismo erotico nella normale tradizione zen fosse minima.

Per comprendere meglio l’assenza dell’erotismo nella tradizione zen, è necessario dare un’occhiata a quelle tradizioni con caratteristiche erotiche più o meno manifeste. Esse non includono soltanto l’induismo tantrico (shaktismo) e buddista (vajrayana), ma anche il cristianesimo cattolico e, fino a un certo punto, il sufismo musulmano. Nelle tradizioni tantriche anche l’erotismo meramente simbolico è assai manifesto, mentre nelle tradizioni cattoliche o sufi è quasi sempre più celato. Read More

21
Aug
2009
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L’amore della verità fine a se stessa

Almaas4.jpgIl Diamond Approach, il percorso creato da Hameed Ali, meglio conosciuto con il nome di penna di Almaas, valorizza l’amore della verità fine a se stessa. La ricerca avviene tramite un processo di “inquiry”, di interrogazione interiore, che include la soggettività del ricercatore come passaggio per arrivare ad una condizione di oggettività della conoscenza dell’anima e del divino. In questa intervista, Hameed Ali parla della ricerca, dei ricercatori e della natura dell’anima.

Toshan Ivo Quartiroli: La ricerca della verità in occidente (dal punto di vista scientifico, filosofico e metafisico) si è sviluppata attraverso varie fasi. Nella tradizione Scolastica era presa in considerazione la soggettività dei contenuti interiori, finché venne Cartesio, che rifiutò questa tradizione. In nome di una “chiara e distinta percezione” egli ritenne necessario staccarci dalla nostra soggettività e assumere un approccio oggettivo, “come quello di Dio”. Dopotutto, secondo la concezione giudeo-cristiana, Dio ha creato l’uomo nell’ultimo giorno della creazione, e a sua immagine. Secondo questa credenza, la creazione è qualcosa di esterno agli esseri umani, qualcosa che esisteva prima della mente e dell’anima umane. Quindi, per conoscere la creazione e la mente del creatore, l’uomo dovrebbe seguire le tracce del cammino di Dio e mettersi alla ricerca di ciò che va al di là della dimensione umana E in ogni caso, poiché l’uomo era nato nel peccato, non c’era comunque granché di buono da scoprire al suo interno. La concezione astronomica di Copernico, che non poneva più la Terra al centro dell’universo, fu possibile grazie a questo nuova approccio, così come molte altre scoperte scientifiche e tecnologiche. L’era moderna si caratterizzò come scientifica, materialistica e “oggettiva”. Ma Kant stava già cominciando a minare questo paradigma, affermando che non conosceremo mai “la cosa in sé”. In seguito, sono venuti la fisica quantica con i principi di indeterminazione e il teorema di Gödel che limitava la portata dei sistemi formali. In questa era post-moderna non esiste più un terreno sicuro per la verità. La tua tecnica di esplorazione sembra rappresentare una fase nuova nella ricerca della verità, poiché trae spunto sia dalla concezione soggettiva che da quella oggettiva; inoltre, affermi che la conoscenza interiore può essere ancora più oggettiva, chiara e precisa di quella esteriore. Ciò capovolge il rapporto fondamentale che la cultura occidentale ha stabilito tra ciò che è interiore-soggettivo e ciò che è esteriore-oggettivo. Come è possibile raggiungere la verità oggettiva nella sfera dell’esperienza umana, e in che modo quest’ultima può essere esplorata?

Hameed Ali: È una buona domanda, e per le persone cresciute in occidente sarà importante comprendere questo punto, perché potrebbe influenzare il modo in cui l’esperienza spirituale e l’illuminazione vengono concepite. Innanzitutto, per quanto riguarda l’oggettività e la soggettività, il mio modo di lavorare con la verità non capovolge davvero i fondamenti della cultura occidentale. Al contrario, fa ritorno ai fondamenti autentici, che il nostro occidente moderno ha quasi dimenticato. In altre parole, il “Diamond Approach” che insegno è uno sviluppo della ricerca occidentale della verità, ma fatto in modo tale da riunire ciò che negli ultimi secoli è stato diviso. È una fase nuova, ma una fase che è fondamentalmente l’evoluzione di un potenziale già esistente nella storia occidentale.

Originariamente, nella cultura greca, in quella giudeo-cristiana o nella tradizione Scolastica da te menzionata, non c’era distinzione tra la concezione oggettiva e soggettiva della realtà. La separazione e la divisione sono giunte nell’età dei lumi, anche se cominciarono prima, dagli sviluppi del pensiero cristiano. Penso che la divisione sia stata proficua per la civiltà occidentale, in quanto ha permesso la nascita della scienza e i progressi tecnologici, ma allo stesso tempo ha creato una dissociazione che non è intrinseca alla realtà e al sapere, e che ha i suoi effetti alienanti.

Nella mia comprensione, il sapere è qualcosa di molto più vasto di quanto oggi ritiene la nostra filosofia positivista. Esso ha un fondamento mistico o intuitivo, cioè la conoscenza diretta dei contenuti dell’esperienza, in genere definita “gnosi”. I greci l’hanno espressa bene nel concetto di “nous”, l’intelletto superiore o divino. Plotino ha detto chiaramente che nel nous il sapere e l’essere sono inseparabili. Ma il pensiero occidentale, che conosceva il concetto di nous nel pensiero greco ed ebraico, si è sviluppato in modo tale da separarne le due dimensioni o elementi. Nella conoscenza “di tipo nous”, esiste la presenza della Mente Divina o Intelletto, che è un dominio o un fondamento della consapevolezza, ed esistono le forme che si manifestano in essa come oggetti di conoscenza. Le forme sono quelle del dominio della presenza, ma poiché tale presenza è quella della consapevolezza, questo dominio conosce queste forme. Ne ha una conoscenza diretta, perché sono forme del suo dominio; la sua intelligenza pervade tutte le forme. Read More

21
Aug
2009
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Loving the truth for its own sake, an interview with Almaas

Almaas4.jpgThe Diamond Approach, the path created by Hameed Ali, better known by the pen name A.H.Almaas, emphasizes loving the truth for its own sake. This research takes place through a process of inquiry that includes the subjectivity of the researcher and his personal history as a way to reach objective knowledge of the soul and of the divine. In this interview, Hameed Ali speaks about the research, the researchers and the nature of the soul.

Toshan Ivo Quartiroli: The search for the truth in the West (including the scientific, philosophical and metaphysical) developed through different stages. In the Scholastic tradition, the subjectivity of the inner contents was taken into account, then came Descartes, who rejected this tradition. For the sake of a “clear and distinct perception” he deemed it necessary to detach ourselves from our subjectivity and take an objective, “God-like” approach. After all, according to the Judeo-Christian view, God created man in the last day of creation, and in the image of God. According to this belief the creation is something external to human beings, something that existed before the human mind and soul were around. So, in order to know the creation and the creator’s mind, man should trace God’s path and look for what is beyond the human. And, since man was born in sin, there wasn’t much good to discover anyway. Copernicus’s view of astronomy, no longer earth-centered, was possible from this new approach, as were many other scientific and technological developments. The modern era was characterized as being scientific, materialistic and “objective” one. But Kant was already starting to sabotage this paradigm, saying that we will never know the “thing in itself”. Later on, came quantum physics with the uncertainty principles and then the Gödel theorem limiting the scope of formal systems. In this post-modern era there is no more safe terrain for the truth. Your inquiry technique seems to be a new stage in the pursuit of truth, since it is fuelled by both the subjective and objective approaches to reality, and you affirm that the inner knowledge can be even more objective, clear and precise than the outer one. This reverses the foundations of the western culture between inner/subjective and outer/objective. How can you have objective truth in the realm of the human experience and how do you inquireinto that?

Hameed Ali: This is a good question and it will be important for people who grew up in the West to understand this point, for it may influence the way they look at spiritual experience and enlightenment. First, the way I work with truth in terms of objectivity and subjectivity does not actually reverse the foundations of Western culture. In fact, it rather goes back to the real foundations that our modern West has all but forgotten. In other words, the way I teach the Diamond Approach is a development of the Western way of researching truth, but done in a way that unifies what has been dissociated in the last few hundred years. It is a new stage but a stage that basically develops potentials that already existed in Western history.

Originally, as in the old Greek culture or the old Hebraic/Christian origins, or as the scholastic tradition that you mention, there was no dissociation between the objective and subjective views of things. The separation and dissociation happened around the age of enlightenment, even though it began earlier in the development of Christian thought. I think the separation served Western civilization for it lead to Western science and its technological advances, but at the same time it created a dissociation that is not inherent in reality and knowing, which has its own alienating effects.

In my understanding, knowing is much deeper than it is viewed now by our positivist philosophy. Knowing has a mystical or intuitive ground, which is the direct knowing of content of experience, usually termed gnosis. The Greeks understood this well in their concept of Nous, the higher or divine intellect. Plotinus clearly taught that knowing and being are inseparable in the Nous. But Western thought, which understood the Nous kind of knowing both in Greek thought and Hebraic thought, developed in such a way to separate the two dimensions or elements of it. In the Nous kind of knowing there is the presence of Divine Mind or Intellect, which is a field or ground of awareness, and there are the forms that manifest within it as objects of knowing. The forms are forms of the field of presence, but since this presence is the presence of consciousness this fields knows these forms. It knows them directly because they are forms of its own field; its knowingness pervades all the forms. Read More

4
Aug
2009
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Il punto di vista degli Abhidharma sulle patologie emozionali e relative cure

Spesso si dà per scontato che uno dei punti forti del buddismo sia l’abilità di offrire molte idee e tecniche che riguardano il campo emozionale. Dopotutto, il buddhismo mira allo sviluppo di stati mentali sani, come l’equanimità e la compassione, e alla liberazione della mente dagli stati mentali negativi, come l’aggrapparsi dualisticamente alle cose e la rabbia, dunque sembra ragionevole presumere che tale tradizione abbia sviluppato una ricca gamma di metodi rivolti al campo affettivo. Questa ipotesi si riflette in una quantità di opere contemporanee che esaminano i punti di contatto fra il buddhismo e la psicologia occidentale; ma cosa ci permette di darlo per scontato?

Risponderò offrendo una breve panoramica di alcune concezioni buddhiste nel campo affettivo e una disamina critica di questi punti di vista, senza dare affatto per scontato che sia facile tradurre i termini buddhisti nel nostro abituale lessico che riguarda la mente. Dopo una presentazione del concetto buddista di mente in generale e dopo averne esposto l’attinenza al campo affettivo, delineerò alcune posizioni buddhiste circa la mente, in particolare legate agli Abhidharma, ricco corpus testuale che raccoglie delle tipologie mentali di cui metterò in risalto la pertinenza rispetto alla moderna conoscenza delle emozioni. In ultimo, parlerò di alcune tecniche buddhiste che sono molto legate alla trasformazione della vita affettiva, e sollevano interrogativi attinenti a questo nostro incontro.

Il mio intervento è diverso da quello dei miei colleghi per il fatto che, più che esaminare delle scoperte empiriche, descrive essenzialmente un metodo filosofico; mi focalizzerò sull’analisi dei concetti buddhisti, che cercherò di presentare attraverso i termini che sono loro propri, per quanto possibile, senza dare per scontata la validità incondizionata delle prospettive scientifiche e filosofiche moderne. Credo che in un incontro come questo sia importante prendere sul serio le idee che il buddhismo ha sviluppato sulla mente, per quanto aliene possano inizialmente sembrare; altrimenti, il dialogo potrebbe finire per essere unilaterale, con gli scienziati che considerano le pratiche buddhiste come oggetto di studio e i praticanti buddhisti come cavie, invece che vederli come colleghi potenziali.

Emozioni e tipologie

Dunque, che idea si sono fatti i buddhisti sulle emozioni?

Lasciatemi cominciare con una doccia fredda: nel buddismo non c’è nessun concetto di emozione, nel senso proprio del termine! Con questa dichiarazione non intendo negare che il buddismo abbia molto da dire sulla vita affettiva, ma intendo sostenere che il concetto di emozione, così come noi lo conosciamo, praticamente non svolge alcun ruolo nelle dissertazioni sulla mente presenti nel buddhismo indiano e tibetano tradizionale. Nel vocabolario buddhista tradizionale non c’è neppure un termine che assomigli alla nostra nozione di emozione, sicché il nostro concetto di emozione, indirettamente, non viene dunque neppure riconosciuto. Questo vi potrà sorprendere, giacché il concetto di emozione sembra talmente lapalissiano e fondamentale nel nostro modo moderno di concepire noi stessi. Read More

22
Jul
2009
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La spada sopra il cuore: un ninja americano

Stephen K. Hayes.jpgChe buddista è mai quello che getta le persone per terra e porta con sé un grosso bastone? Il ninja Stephen Hayes sfida i nostri pregiudizi su ciò che dovrebbe essere il buddismo.

Attila S., capitano delle guardie nell’istituto di correzione di Rikers Island a New York City, entrò nella mensa della prigione. Quattrocento carcerati erano seduti tranquillamente, come un serpente arrotolato prima di colpire. Il clamore e il parlottio tipici dell’ora dei pasti erano completamente assenti. Un sapore pungente riempì la bocca di Attila: la paura. I suoi sensi entrarono in stato di massima allerta.

“Usciamo”, comandò alle sue guardie; “questo posto sta per scoppiare”. A Rikers Island gli ordini del comandante non si discutono; quando la porta sbatté dietro di loro, il suo suono normale sembrò echeggiare cento volte.

La rivolta era cominciata.

Al sicuro dietro una porta blindata, il direttore del carcere guardò negli occhi Attila, che colse al volo la domanda nel suo sguardo: «Una reazione istintiva», disse lentamente, ciondolando il capo; «una reazione istintiva». Il direttore sospirò, alzò il braccio e suonò l’allarme.

In un quartiere della classe media al centro della città, Attila siede al tavolo della sua cucina, tra pesi e bilancieri. Le due giovani figlie giocano nella stanza accanto. Tarchiato e muscoloso, il suo mite volto è incorniciato da una barba scura e ben modellata, mentre la voce aspra è stata limata da anni di discussioni con i detenuti. “La situazione nel carcere”, spiega, “era che i detenuti non vedevano più i loro dottori e avvocati. Queste sono carceri molto grandi, che crescendo diventano mostruose”.

Dopo l’«eruzione», Attila tornò nella mensa. La sua strategia era disarmare i carcerati parlando loro, non nel tono conflittuale e aggressivo che si aspettavano, ma con gentilezza e disponibilità ad ascoltare. Questa tattica non era né arbitraria né inventata sul momento: Attila era un praticante ninja. Read More

16
Jul
2009
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La meditazione sufi del cuore

cuore espande.gifTutte le scuole di meditazione offrono una via per calmare la mente, perché le esperienze spirituali accadono al di là del livello della mente. La mente è nota come “l’assassina del reale”; i suoi pensieri ci isolano in un mondo di illusioni.

Essa ci mantiene identificati con l’ego, e il suo continuo chiacchierio ci allontana dai livelli più profondi del nostro essere. Osservando i nostri pensieri, possiamo vedere quanto spesso la mente pensa noi, e non il contrario. Siamo prigionieri della nostra mente e del nostro ego, ma la meditazione può aiutare a liberarci.

Diverse tradizioni spirituali usano diverse tecniche per calmare la mente. Il sufismo è un sentiero dell’amore. L’amore è la forza più grande della creazione, in grado di portarci al di là della mente e dell’io attraverso le profonde preghiere e meditazioni del sufismo: l’amante entra alla presenza dell’Amato.

In questi stati possiamo conoscere intimamente l’amore divino: carezze delicate, parole sussurrate nel nostro cuore. Potremo provare la meraviglia di sentirci amati, o assaporare la pace della nostra anima. Ma per il mistico il viaggio va ancora più in profondità, nel vuoto infinito al di là della mente: “Il silenzio oscuro in cui ogni amante perde se stesso”.

Per il sufi, il cammino mistico va dalla forma all’assenza di forma, dalla presenza dell’io a quella dell’Amato cercato dal nostro cuore. In questo cammino, l’amore ci riconduce all’amore. Dio, il nostro Amato, viene nel nostro cuore e ci chiama, seducendoci con la dolcezza del tocco e la fragranza intossicante dell’unione. Il compito dell’amante è arrendersi al mistero dell’amore, lasciare che il cuore venga aperto. Read More

9
Jul
2009
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Trasformazione psichica e pace mondiale

cerca la pace.jpgVimala Thakar, recentemente scomparsa, era un’attivita sociale Indiana che univa la visione spirituale a quella sociale e politica. In questo articolo si chiede perché la razza umana non ha avuto successo nell’eliminare le tendenze violente? Sembra che ci manchi un approccio globale alla vita. Dopo aver sviluppato i sistemi economici e politici della società, ella ritiene che abbiamo fatto un passo falso creando il concetto di stato e di sovranità nazionali. Da un lato abbiamo abbandonato il tribalismo, dall’altro ne abbiamo creato uno più sofisticato in nome degli stati-nazione.

Cos’è la natura umana? É qualcosa di statico o ha una qualche duttilità e flessibilità? É cambiata con l’evoluzione della cultura, della civiltà, della scienza, della tecnologia, della letteratura, della filosofia, dei sistemi d’educazione? É cambiata, diventando più matura, o è qualcosa di assolutamente statico, incapace di cambiamenti qualitativi?

Dal modo di vivere che l’umanità ha seguito nel corso dei secoli, mi sembra che ci sia una paura istintiva incorporata nel cervello umano e nel sistema neurochimico. Questa paura istintiva, o il bisogno di continuità da parte dell’organismo fisico, ha provocato la spinta verso l’autoaffermazione, il possesso, l’accumulo e l’oppressione, generando idee come quelle di vittoria e sconfitta, di dominatori e dominati, etc. Così ciò che è istintivo può essere definito “naturale”.

Se la razza umana avesse considerato il desiderio istintivo di difesa e di aggressione come qualcosa di naturale e desiderabile, di naturale e quindi da proteggere ed esaltare; se la razza umana avesse considerato desiderabili, naturali e degni di gloria la difesa e l’aggressione, non saremmo passati dalla vita tribale alla nascita di una società; non avremmo creato in quest’ultima il principio della legalità; non avremmo educato i suoi membri a comprenderne le leggi, le norme e i regolamenti; non avremmo insegnato loro i principi delle strutture economiche e dei sistemi amministrativi; non li avremmo istruiti e messi in grado di adattare il loro comportamento alle regole dell’economia e delle strutture politiche. Non avremmo fatto tutto questo; avremmo sostenuto che l’aggressione o la violenza sono naturali, quindi bisogna lottare.

Litigi, dispute e massacri avrebbero ricevuto approvazione morale; ma così non è stato. Sono stati fatti sforzi per tenere a freno le tendenze aggressive e contenere l’inclinazione alla violenza, cercando vie alternative alle guerre e ai conflitti per risolvere i dissidi d’ordine socioeconomico o politico, le sfide e i problemi. Se leggiamo la storia umana, troviamo sforzi coscienti e organizzati per contenere, dominare e controllare questa tendenza all’autoaffermazione, alla violenza e all’aggressività. Osserva la direzione verso cui la razza umana si è mossa collettivamente. Read More