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Dali Raphaelesque Head ExplodingIl ruolo della psichedelia nel percorso di conoscenza interiore, in particolare nel buddismo, è l’oggetto di questa discussione a quattro voci tra i maestri zen Aitken Roshi e Richard Baker Roshi, l’insegnante buddista Joan Halifax e Ram Dass, guidata da Allan Hunt Badiner.

Robert Aitken Roshi è uno dei più anziani e rispettati maestri zen dell’America. Vive alle Hawaii. Richard Baker Roshi dirige una fiorente comunità zen nel Colorado, con diramazioni non ufficiali in tutta Europa.

Ram Dass, noto per aver scritto Be Here Now (“Sii qui e ora”) all’inizio degli anni ’70, ha scritto un nuovo libro sugli effetti della pratica sull’invecchiamento, Still Here: Embracing Aging, Changing, and Dying, (“Ancora qui: abbracciare l’invecchiamento, il cambiamento e la morte”) ed è un serio studioso sia del buddismo sia delle sostanze psichedeliche. Joan Halifax è insegnante buddista “anziana” della scuola del maestro Thich Nhat Hanh, e direttrice di Upaya nel New Mexico.

Allan Hunt Badiner: Le sostanze psichedeliche sono un argomento molto vasto. Qui ci occupiamo soprattutto di estratti vegetali che, ingeriti in dosi e modi appropriati, possono contribuire a espandere la consapevolezza. È possibile che tale uso delle sostanze psichedeliche conduca all’illuminazione?

Joan Halifax: Nei primi tempi consideravamo la psichedelia “la mente che si manifesta”. L’opinione prevalente, soprattutto in un ricercatore dell’LSD come Stan Grof e in altre persone, era che assumendo certe sostanze si evocavano determinati domini mentali. Piante-insegnanti diverse erano chiavi che aprivano porte diverse all’interno della mente. Per esempio, la mescalina produce un tipo di visione diversa da quella della psilocibina, della yagé ecc.

Ram Dass: Dal mio punto di vista, il buddismo è ciò che più si avvicina all’esperienza psichedelica, almeno a quella dell’LSD. L’LSD ti catapulta al di là delle tue strutture concettuali. Ti libera. Passa sopra alla tua abitudinaria identificazione con i pensieri, portandoti molto velocemente in una dimensione non concettuale.

Allan Hunt Badiner: Cosa pensi della cosiddetta pillola buddista, l’MDMA, anche nota come ecstasy?

Ram Dass: Non la ritengo una pillola buddista. Penso che l’MDMA sia ottima per la terapia delle relazioni. Aumenta la capacità di essere compassionevoli, amorevoli, di scorgere la bellezza delle persone e tutto il resto, ma non facilita l’esperienza del vuoto o dell’assenza di forma. Di essa non mi piace la componente della velocità, la mascella serrata e quelle cose lì. Ho fatto quasi cinquanta trip con l’MDMA, e ho deciso che potevano bastare. Il mio guru, Neem Karoli Baba, una volta ha detto sulle sostanze psichedeliche: “Sono utili, ma non costituiscono il samadhi autentico. Ti permettono di andare dentro di te e avere il «darshan» con Cristo, ma puoi stare lì solo due ore. Dopo, devi andartene”. Inoltre, ha detto: “Non puoi diventare Cristo attraverso la tua medicina”. La distinzione tra vedere e diventare: qui è dove il buddismo entra in gioco.

Allan Hunt Badiner: Due ore di Cristo non sembrano niente male!

Ram Dass: No, infatti! Ma puoi anche restare intrappolato in un certo tipo di esperienza. E l’esperienza non è la non-esperienza. È simile, ma non uguale. È come l’esperienza del vuoto, piuttosto che il vuoto stesso.

Allan Hunt Badiner: Ram Dass, hai detto che le sostanze psichedeliche possono passare sopra le nostre abitudini. Ma è una cosa che dura poco, vero?

Robert Aitken: Va benissimo avere una piacevole esperienza di oblio di sé, ma dopo? La cartina di tornasole è vedere come queste cose funzionano nella vita quotidiana, in cui bisogna lavorare per sopravvivere, pagare le tasse, crescere i figli e così via.

Ram Dass: Tutti sono un po’ avidi di avere l’illuminazione subito. Ciò che ho osservato nella mia vita, ora che sono passati trentacinque anni dalla mia prima assunzione di droghe, è che quando torno indietro, le abitudini mi seguono. Ma quello che ho in più, ora, è il ricordo dell’esperienza, la consapevolezza che essa è possibile. Questo cambia tutta la pratica spirituale seguente, perché adesso il tuo punto di vista non è solo da qui, ma anche da lì.

Robert Aitken: Penso che le sostanze psichedeliche rendano possibili esperienze sia negative che positive, ma credo che se vuoi affrontare seriamente la pratica buddista, te le devi lasciare alle spalle. Molta gente è arrivata alla pratica buddista grazie ad esperienze con sostanze psichedeliche. Oggi non incontro più nessuno che viene da quell’esperienza.

Allan Hunt Badiner: Come si comportano i “profughi” dalla psichedelia?

Robert Aitken: Le droghe gli hanno fatto intravedere un’esperienza religiosa, ma poi si sono accorti che il potenziale di quelle sostanze era finito e hanno cercato una pratica che li conducesse alla conoscenza religiosa. In quel periodo c’erano persone che cercavano di fare zazen e prendere droghe allo stesso tempo. In realtà, questo non funzionava affatto, perché nell’assunzione di droghe c’è una componente di assorbimento nell’io che è antitetica allo scopo della pratica.

Richard Baker: Eravamo a San Francisco, nel bel mezzo della “scene”, dal ’61 in poi. Quello che Suzuki Roshi e io vedevamo era che le persone che prendevano l’LSD – e una larga percentuale di studenti lo faceva – entravano nella pratica più velocemente degli altri. Non sempre, ma di solito l’LSD li apriva più velocemente alla pratica. Notavamo anche che nella maggior parte dei casi quelle persone si fermavano dopo un paio di anni e non progredivano più nella pratica zen; questo valeva soprattutto per coloro che avevano usato molto l’LSD. La mia sensazione è che le sostanze psichedeliche creano una propensione per un certo tipo di esperienza. Sembra che, poiché il loro spazio mentale è stato energicamente aperto e condizionato dall’LSD, la pratica zen dia frutti solo in relazione a questo spazio mentale. Le persone che ne avevano fatto uso massiccio, per esempio cinquanta trip, duecento trip, non andavano molto al di là di ciò che un buon praticante avrebbe raggiunto dopo due anni. Inoltre, poiché avevano familiarità con un linguaggio interiore tanto energico, quegli studenti avevano difficoltà maggiori con il linguaggio interiore più sottile della pratica zen.

Allan Hunt Badiner: Con lo zen non si sentivano abbastanza “fatti”?

Richard Baker: Si erano abituati a un certo tipo di ebbrezza spirituale e mentale, e se essa non era presente, e la mente si trovava per lo più in stati neutri, il loro interesse verso la pratica diminuiva. Gran parte dell’esperienza buddista avviene in uno spazio al di là del piacere e dell’avversione: il cosiddetto territorio neutro. La neutralità, come il non-attaccamento, è il sentimento più profondo, ma non puoi definirlo né buono né cattivo. L’esperienza psichedelica tende a essere così forte ed emozionante che può inibire il linguaggio interiore più sottile.

Allan Hunt Badiner: Quindi era facile distinguere chi usava sostanze psichedeliche e chi no.

Robert Aitken: Facilissimo. C’erano persone che in certi giorni della settimana facevano pratica nel nostro zendo, e negli altri fumavano o si facevano. Quando tornavano, avvertivo subito la differenza nei loro modi e nella qualità della loro pratica. Invece di tornare rinfrescati, erano agitati e instabili. All’epoca non ero un insegnante, ma certo ero un fratello più anziano nel dharma, e avevamo discussioni molto accese. Però loro non erano disposti ad ascoltare alcun consiglio.

Joan Halifax: È come un odore: puoi dire a naso chi si fa e chi no. Il mio criterio è questo: considerando la mente come un’orditura, chi usa sostanze psichedeliche non ha una trama compatta come gli altri. Io ho impiegato molto tempo per sentirmi a mio agio sul cuscino. Dopo aver smesso di prendere sostanze psichedeliche, la mia tendenza alla dispersione è definitivamente cessata, e la mia reattività è molto diminuita. Mi sento sollevata per aver scelto il cammino della meditazione.

Allan Hunt Badiner: Anche se per un certo tempo devi aver trovato sollievo nelle sostanze psichedeliche.

Joan Halifax: Su questo non ci sono dubbi. Le sostanze psichedeliche sono uno strumento estremamente potente per aprire la mente. Le considero una fase di passaggio quando stiamo cercando di diventare più autentici, genuini e sinceri. Ho come la sensazione che, rispetto alle sostanze psichedeliche, sono stata “promossa”. Tuttavia, esse sono state indubbiamente parte della mia evoluzione verso la maturità psicologica e caratteriale. Nella meditazione, però, si coltiva un tipo di mente molto diverso, le cui qualità fondamentali sono la stabilità, la gentilezza amorevole, la chiarezza e l’umiltà. La psichedelia non coltiva necessariamente queste qualità.

Allan Hunt Badiner: Hai mai mischiato pratica e sostanze psichedeliche?

Joan Halifax: Sì, naturalmente. È accaduto alla fine degli anni sessanta e negli anni settanta, quando ho cominciato a prendere l’LSD. Ma dopo un po’, francamente, non mi sembrava un esperimento di grande successo. Almeno per me.

Richard Baker: C’erano pochi studenti, al centro zen, che cercavano di fumare marijuana e praticare. Uno studente andò su tutte le furie e abbandonò la pratica perché gli dissi che non poteva essere mio studente se fumava marijuana.

Ram Dass: Molte persone sostengono che fumare l’erba aiuta la loro meditazione, ma secondo me non è vero.

Joan Halifax: Penso che ognuno reagisce a modo suo alle sostanze psichedeliche. La mia sensazione è che queste ultime non operano sullo stesso tipo di mente che affiora in meditazione. Col passare del tempo, lo stato mentale provocato dalle sostanze psichedeliche mi ha interessato sempre di meno. Non conosco molte persone che sono riuscite a far convivere una pratica psichedelica e una matura pratica buddista, eccetto forse Ram Dass.

Ram Dass: Secondo me, le sostanze psichedeliche non sono un veicolo per l’illuminazione, ma per il risveglio. Le vedo come il punto di partenza di un processo che risveglia la possibilità dell’illuminazione. Ecco perché uso la parola “risveglio”. Esse ti liberano, allo stesso modo di un trauma, un’esperienza di quasi morte e forse anni di meditazione intensiva.

Allan Hunt Badiner: Se hai il ricordo di un’esperienza psichedelica e cominci a usare tecniche forse più soddisfacenti a lungo termine, il tuo lavoro comincia a colmare il divario tra il ricordo della libertà e la tua esperienza concreta. Giusto?

Ram Dass: Sì.

Allan Hunt Badiner: Quindi, tu prendi ancora droghe.

Ram Dass: Le ho prese.

Allan Hunt Badiner: E le hai trovate utili?

Ram Dass: Sì, e ti dirò perché: ho visto che potevo rendere “sociale” qualsiasi tecnica. Potevo usare tutte le tecniche per tenere in vita il mio ego. Quando qualcuno comincia a meditare in modo davvero profondo o partecipa a un ritiro, pensa: “Oh, Dio! Sta per accadere! Ecco l’illuminazione”. A quel punto, ti metti alla ricerca di tutti gli angoli della mente dove puoi nasconderti. Quindi, uso una tecnica contro l’altra in continuazione, per portare equilibrio e per vedere dove sto ingannando me stesso.

Allan Hunt Badiner: Ma non puoi controllare o dirigere sempre l’esperienza, no?

Ram Dass: Faccio parte del club degli esploratori psichedelici fin dagli anni sessanta, e so che la natura dell’esperienza dipende dal “set and setting”, cioè dall’atteggiamento e dal contesto, e che quando faccio le mie pratiche spirituali, il mio atteggiamento muta. Quindi, prima farò due anni di pratica profonda, dopo sono curioso di vedere dove mi trovo in relazione alle sostanze psichedeliche. Oggi sono al punto che se non assumerò mai più queste ultime è OK, ma se le prenderò ancora è splendido. Non lo so e non mi interessa. Questo è un atteggiamento diverso rispetto a “Ho bisogno di esse per trovare la realtà”.

Robert Aitken: Tutto ciò che devi fare è prendere un buon testo buddista, e lì c’è la realtà. Non hai bisogno di prendere droghe per risvegliarti a essa. La maggior parte delle persone che vengono da me, oggi, sono risvegliate da qualche lettura. Pensano: “Oh, ci può essere qualcosa di più nella mia vita”. Ma bisogna dire che la società materialista è molto seducente e ci attira a sé. La coppia media lavora molto duramente e poi, quando torna a casa, naturalmente vuole rilassarsi. Prende un drink, guarda la TV. È una sorta di circolo vizioso. Il buddismo zen ha un bel da fare per questo. Dobbiamo trovare un modo per fare andare via la gente da casa, senza che lascino la casa.

Richard Baker: Anche io penso che una cultura mira a essere irresistibilmente seducente e a non lasciare alternative. Ma questo è ciò che il buddismo si trova a dover affrontare in ogni cultura: penetrare in questa cappa di pensiero comune culturale e sociale.

Allan Hunt Badiner: Quando si tratta della psichedelia, sembra che molti insegnanti buddisti affermino: “Fai quello che dico, non quello che ho fatto”. I giovani oggi sembrano molti sinceri nella loro ricerca, ma non paiono disposti ad accettare sulla fiducia che una tecnica è utile o no, in particolare se è controversa.

Robert Aitken: Non penso che le droghe abbiano aiutato qualcuno ad arrivare al punto in cui si trova. Piuttosto, è successo che per le circostanze culturali dell’epoca (anni sessanta, primi anni settanta) molte persone sono arrivate allo zen grazie all’esperienza delle droghe. In precedenza, si arrivava allo zen attraverso l’esperienza della teosofia o di altri cammini occulti; in seguito, si è arrivati allo zen attraverso la lettura o l’esperienza dello yoga, l’aikido, la pratica Theravada o cose simili. Fu singolare che l’LSD venne scoperto e si diffuse proprio in quell’epoca. La sua scoperta coincise con la disillusione per la guerra nel Vietnam, i diritti civili ecc. La gente non aveva più fiducia nella tradizione; era pronta a sperimentare. Ma questo accadde allora. Quando sento questi discorsi, mi sento tornare indietro di trenta anni. Mi pare di rivangare il passato.

Allan Hunt Badiner: Robert Aitken, qual è la tua esperienza con le sostanze psichedeliche?

Robert Aitken: Ho sperimentato l’LSD, e più di una volta la marijuana.

Allan Hunt Badiner: Cosa hai imparato?

Robert Aitken: Nessuna di queste esperienze è stata davvero soddisfacente. Le esperienze con la marijuana mi hanno dato una falsa sensazione di solidarietà con le persone con cui stavo fumando (che erano molto più giovani di me). Anne Aitken e io avevamo comprato una piccola casa alle isole Maui, che più tardi sarebbe diventata il primo zendo delle Maui. Ma prima di trasferirci, l’avevamo affittata a un gruppo di giovani che ogni tanto andavamo a trovare. Tutti fumavano la marijuana. Una volta stavamo seduti in cerchio e ci stavamo passando la sigaretta della marijuana. Provai una meravigliosa sensazione di solidarietà con il cerchio di persone. Le donne erano in cucina a preparare il cibo, e una di loro aveva un piccolo bambino molto rumoroso. Anne uscì e mi chiese se potevo badare al bambino mentre le donne cucinavano. Dissi di no. Ma poi mi chiesi: cosa mi succede? Amo i bambini e sono in grado di calmarli tutti. Che razza di solidarietà è la mia se sto escludendo il resto del mondo, per così dire? Fu così che capii i limiti della marijuana.

Allan Hunt Badiner: Ma questo l’hai capito mentre stavi là seduto, “fatto”?

Robert Aitken: Sì.

Allan Hunt Badiner: Hai fatto qualcosa, poi?

Robert Aitken: Oh, certo. Mi sono alzato, ho lasciato il gruppo e ho preso in braccio il bambino.

Allan Hunt Badiner: Un’illusione ragionevolmente breve. E il trip di LSD?

Robert Aitken: L’unico trip di LSD fu un’esperienza di illusioni. Ero sdraiato sulla schiena in mezzo all’erba alta, osservavo le nuvole e vedevo in esse legioni romane e così via.

Allan Hunt Badiner: Ti è piaciuto?

Robert Aitken: Beh, sul momento mi è quasi piaciuto, ma i postumi furono terribili: tutto sembrava brutto e fastidioso, e ogni ruga sul volto delle persone risaltava con grande chiarezza. Suppongo che sia questa esperienza che spinge la gente a riprovare le illusioni dell’LSD. Fu una sola esperienza, quindi in realtà non posso dare un giudizio su una base così limitata.

Allan Hunt Badiner: Richard Baker, hai avuto qualche esperienza importante in questo campo?

Richard Baker: Non uso sostanze psichedeliche. Né consiglierei alle mie due figlie di usarle. E anche se negli anni sessanta ho organizzato una conferenza sull’LSD a Berkeley, non ho mai preso l’LSD. Sul finire degli anni cinquanta, ho preso qualche volta alcuni germogli di peyote e di mescalina, e forse un po’ di psilocibina. Non mi piaceva la mancanza di fluidità e il modo in cui i miei stati mentali venivano, per così dire, comandati a bacchetta. Preferivo la fluidità che riuscivo a sviluppare nella concentrazione meditativa. Una volta stavo in Cile con due nativi sciamani e un amico che insegna sciamanesimo. Facevo parte del gruppo, quindi ho bevuto tutti gli infusi che preparavano. Credo che volessero mettere alla prova l’insegnante zen, per cui mi imbottirono all’eccesso. Finii che dovetti restare alzato tutta la notte e prendermi cura degli altri. Non fu granché.

Allan Hunt Badiner: Joan, come è stato immergersi in culture indigene più antiche, prendendo sostanze psichedeliche secondo i loro costumi?

Joan Halifax: Nelle cosiddette culture psichedeliche – culture dove si usano gli allucinogeni e la tecnologia psicologica è altamente sviluppata – ho osservato che l’atteggiamento religioso è molto articolato ed elaborato. E naturalmente l’assunzione di allucinogeni è culturalmente accettabile, e non ai margini della società come qui. Nel caso degli Huichol, dei Mazatechi o dei Kayapò dell’Ecuador, potevi osservare un mondo davvero in armonia con l’uso degli allucinogeni e le visioni provocate da questi ultimi.

Allan Hunt Badiner: Cosa pensi dell’ayahuasca, o yagè? L’ayahuasca, in particolare, sembra aver sedotto il mondo buddista, ultimamente.

Joan Halifax: L’ayahuasca è semplicemente una straordinaria pianta-insegnante.

Ram Dass: È il rito che attualmente va per la maggiore. Ma io penso che i riti tendono a mantenerti nel dualismo. I viaggi sciamanici, nella maggior parte dei casi, mi annoiano, perché di solito riguardano il bene, il male e il potere.

Allan Hunt Badiner: Le sostanze psichedeliche sono un ostacolo, Joan?

Joan Halifax: Anche porre questa domanda è un ostacolo. Capisci cosa sto dicendo? Anche il buddismo è un ostacolo. Quello che chiedo io è: che tipo di mente vuoi creare? Quali qualità pensi siano davvero di aiuto per te e per gli altri esseri nel mondo? Cosa pensi che ti servirà davvero? Cosa potrà guarirti meglio? Cerco di porre queste domande in modo da non condannare nessuna possibile scelta fatta dagli altri. In ogni caso, molti di noi non si sentirebbero a proprio agio su un cuscino se in passato non avessero assunto sostanze psichedeliche.

Robert Aitken: Quando ripenso alla mia prima introduzione allo zen, scritta per Zen in English Literature di R. H. Blyth, mi accorgo che in quel libro ci sono molti errori. Ma all’epoca per me era molto importante. Non per questo oggi suggerirei alla gente di cominciare leggendo Zen in English Literature. Semplicemente, è successo che quella è stata la mia esperienza nel 1943.

Allan Hunt Badiner: Il ven. dr. Ratanasara, monaco singalese che presiede il Congresso buddista americano, tiene a sottolineare che quando le nostre azioni sono scorrette, il danno maggiore non è fuori di noi (sotto forma di scontento divino, effetti karmici o anche delle conseguenze logiche), ma è la sensazione di disagio o squilibrio che resta nella nostra mente. È possibile che l’uso di droghe psichedeliche, a un certo livello, sia un ostacolo per il semplice fatto che sono illegali, o perché alcuni studi le ritengono nocive dal punto di vista fisico?

Ram Dass: La maggior parte delle informazioni negative sulle sostanze psichedeliche, come quelle sui danni cerebrali o sul fatto che condurrebbero a droghe più pesanti ecc., vengono da ricerche motivate da fini politici, e non reggono a un’analisi indipendente. Per quanto riguarda l’infrazione delle leggi, in realtà stiamo parlando della politica della consapevolezza e del controllo. Chi detiene il potere teme la destabilizzazione della società provocata da forze che non è in grado di controllare. Il desiderio di droghe non può essere posto sotto controllo. Distrugge tutte le strutture della società, sommerge i tribunali e le prigioni. La politica sulle droghe è stata un fallimento totale.

Allan Hunt Badiner: Cosa pensi dei “bad trip”, le esperienze negative sotto l’effetto di una droga?

Ram Dass: Nella maggior parte dei casi, si possono prevenire i bad trip facendo attenzione all’atteggiamento e al contesto. Naturalmente, l’illegalità dell’intera faccenda è essa stessa parte del contesto. Ma in genere i bad trip si possono dividere in quelli che chiamo gli “out” (che si hanno “uscendo”) e gli “in” (“rientrando”). Negli out, ciò che accade è che anche la più piccola struttura dell’io viene percepita in pericolo. Alcune persone che non sono preparate a questo fanno resistenza, e quando fai resistenza comincia l’intero processo della paranoia. L’energia viene distratta dalla sostanza psichedelica e si crea un inferno.

Allan Hunt Badiner: E nei bad trip di tipo“in”?

Ram Dass: Riposi nella pace, nell’equanimità, nella consapevolezza e nella beatitudine senza forma. Quando l’effetto chimico svanisce, hai la sensazione di stare ritornando in una prigione, in un mondo corrotto, e questo non ti piace, fai resistenza al rientro. Quando torni indietro e tutto è uno schifo, anche questo è un bad trip. La gente non ti piace, sembrano tutti falsi e di plastica.

Allan Hunt Badiner: Non è sempre bello.

Ram Dass: Pensare che stai facendo qualcosa contro la morale comune, che può davvero portare a brutte conseguenze per te o gli altri (prigione ecc.), non è la cosa migliore quando stai cercando di diventare più vulnerabile e sereno. Sono molto contento di aver fatto delle esperienze in altre culture. Infatti, per quanto cerchiamo di essere autentici rispetto alla nostra cultura, per quanto cerchiamo di creare il contesto migliore (in mezzo alla natura o con immagini particolari, musica, incenso, candele ecc.), c’è sempre qualcosa di insostituibile: la visione spirituale che fa parte del continuum di una società.

Allan Hunt Badiner: Gli occidentali potranno mai evadere dal loro condizionamento? Possono davvero partecipare e trarre beneficio da questi rituali?

Joan Halifax: Se vado in Giappone, in Corea o in Vietnam, mi siedo in un tempio e ho un’esperienza autentica di “samadhi” mentre faccio zazen in quel contesto, c’è qualcosa di diverso rispetto all’andare, per esempio, in Sud America o in America Centrale e avere un’epifania psichedelica in un particolare contesto culturale? Penso che le due cose siano paragonabili. La mia opinione è che possiamo attraversare questi confini. La meditazione e queste sostanze sono entrambi strumenti potenti per spostare il nostro “punto di assemblaggio” fuori dalla mentalità comune della nostra cultura in una nuova cornice di riferimento.

Allan Hunt Badiner: A differenza della nostra formazione psichedelica, la nuova generazione rende indistinto il confine tra le droghe cosiddette psichedeliche e pesanti. Assistiamo a molti passaggi da un campo all’altro: un po’ di LSD, un po’ di eroina, un po’ di erba, qualche pillola…

Ram Dass: Ma la distinzione c’è. Penso che loro sanno dire le differenze tra queste sostanze. La mia opinione è che ci troviamo di fronte, in generale, all’attrazione verso gli stati alterati, sia per l’intensità dell’esperienza sia per il brivido del rischio.

Allan Hunt Badiner: Ram Dass, in qualche modo tu sei responsabile di questo, non è vero? Tutti ricordiamo il grande entusiasmo con cui parlavi dell’uso di droghe.

Ram Dass: Sai, le droghe di evasione e quelle sacre sono davvero diverse. Oggi al mondo c’è un uso delle droghe così eccessivo che chiaramente nessuno desidera appoggiarlo. I bambini e le droghe non devono entrare in contatto, per esempio. Ho sempre detto: “Diventa qualcuno, prima di diventare un nessuno”. Ma oggi i consumatori di droghe sono psuedo-automi figli della cultura e, nel caso del crack e della cocaina, rappresentano un chiaro attestato di fallimento della mitologia culturale. Il crack è una risposta alla mancanza di opportunità nei quartieri degradati, mentre nelle classi agiate la cocaina è la risposta al fallimento del mito secondo cui il successo porta la felicità. Cioè, sei un vincitore, ma resti un perdente. Le persone che possiedono milioni di dollari si sentono in qualche modo imbrogliate. Penso che la filosofia materialista e il tentativo di mantenere la società stabile stiano creando un’atmosfera opprimente. Non mi turba il far parte di qualcosa che scuote il sistema.

Allan Hunt Badiner: Che dici della marijuana? Ram Dass, la fumi ancora?

Ram Dass: Sono un consumatore leggero di marijuana. La vedo come una sorta di ascensore per cambiare piano di consapevolezza. Questo è il modo tecnico per descrivere l’uso che ne faccio. Mi piace osservare il modo in cui funziona la mia mente – a tutti i piani, e allo stesso momento in nessuno di essi – sotto l’effetto della marijuana.

Allan Hunt Badiner: Uno studente buddista alle prime armi ha bisogno delle sostanze psichedeliche per progredire realmente e velocemente?

Ram Dass: No. Non vedo alcun motivo per farlo. Oggi le sostanze psichedeliche sono solo un’altra tecnica. Sembrano anche un anacronismo, a causa delle nostre politiche culturali sulla droga. La paranoia collegata a esse le rende molto meno utili.

Allan Hunt Badiner: Occorre avere un contesto spirituale per progredire sul cammino psichedelico?

Ram Dass: La tua vita deve avere dei contenuti, al di fuori delle droghe, che creino l’ambiente adatto. Il buddismo è un buon contesto per l’esperienza psichedelica.

Allan Hunt Badiner: C’è qualcosa che le sostanze psichedeliche possono insegnarci sulla morte? Esse possono aiutarci a vincere la paura della morte, imparando ad accettare quest’ultima?

Ram Dass: Sì, senza dubbio. I primi studi cominciano negli anni sessanta, con il lavoro di Erik Kast nell’Università di Chicago. Della sua opera mi resta in mente una citazione. È una frase pronunciata da un’infermiera che stava morendo di cancro e aveva appena preso l’LSD: “So che sto morendo di questo male incurabile, ma guardate quanto è meraviglioso l’universo”.

Allan Hunt Badiner: Joan, da molto tempo lavori sulla morte e il morire. Torneresti a usare sostanze psichedeliche in questo lavoro, o incoraggeresti altri a farlo?

Joan Halifax: Non più. Ho scoperto che l’atteggiamento interiore, la qualità della presenza che si riesce a portare a una persona morente o che si riesce ad avere per se stessi, è un conforto e un sollievo sufficiente e profondo. Ho appena avuto delle esperienze incredibili con delle persone morenti, senza la mediazione delle droghe. Nelle ultime fasi del processo della morte la gente è di solito in uno stato di consapevolezza così alterato che strafare non sembra necessario. Quella che funziona davvero è una sorta di trasmissione da cuore a cuore, un flusso d’amore, un amore e una pazienza assoluti davanti alla morte. La magia di questo essere allo stesso tempo vuoti e pieni di compassione ha un effetto incredibile, sia su chi assiste sia su chi sta morendo.

Allan Hunt Badiner: Richard Baker, dunque nella ciotola del Buddha della medicina non ci sono erbe o piante, ma solo sutra?

Richard Baker: Il buddismo è una religione e non una filosofia, perché prendi rifugio solo nel Buddha, nel Dharma, nella Sangha e in nient’altro. In questo c’è un’alchimia che non esiste se talvolta si prende rifugio nel Buddha, il Dharma e la Sangha, e talvolta in qualcos’altro. Per me, la chimica o l’alchimia del buddismo, della pratica seria, funziona davvero quando non ti concedi altre possibilità.

Una definizione di persona illuminata è: colui che ha sempre ciò di cui ha bisogno. A ogni istante è presente ciò che gli occorre. Egli non è alla ricerca di niente. Se stai praticando seriamente per raggiungere la libertà e la comprensione dell’illuminazione, non cercherai mai di evadere dalla situazione presente, per quanto possa essere brutta. La trasformi in ciò di cui hai bisogno. Immagini che sentire di aver bisogno di qualcosa è esattamente ciò di cui hai bisogno. Per esempio, se per una mattina non ho fatto zazen, più tardi nella giornata potrei pensare: “Dio, sarebbe stato meglio se avessi fatto zazen questa mattina”. In quel momento attribuisco a tale frase due significati: non ho fatto zazen al mattino, e ciò di cui ho bisogno dallo zazen in questo momento è il pensiero di non aver fatto lo zazen. Non cerchi di cambiare il tuo stato mentale, ma di trovare esattamente ciò di cui hai bisogno adesso. Quindi, per me, questa è una sorta di alchimia che possiede delle qualità psichedeliche. Ma la pillola è composta dagli ingredienti della tua situazione presente. Non si tratta di cambiare il tuo stato mentale, ma di cambiare attraverso il non-cambiamento.

Robert Aitken: Vorrei aggiungere che esiste una differenza qualitativa tra l’estasi che alcune persone sostengono di sperimentare nell’esperienza della droga e la comprensione, la realizzazione che nascono dalla pratica zen. Noi cerchiamo la comprensione, non l’estasi.

Ram Dass: Mi sento triste quando la società rifiuta qualcosa che può aiutarla a comprendere se stessa e a rendere più profondi i suoi valori e la sua saggezza. È come la Chiesa che non riconosce l’esperienza mistica. Non è una purificazione del buddismo; è cercare di aggrapparsi a ciò che hai, piuttosto che crescere.

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Ram Dass Ram, Paul Gorman. Io e gli altri. Liberare le spinte creative. Cittadelle. 1990. ISBN: 8830804525

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Robert Aitken, Thich Nhat Hanh. The Dragon Who Never Sleeps: Verses for Zen Buddhist Practice. Parallax. 1992. ISBN: 0938077600

Robert Aitken. Mind of Clover: Essays in Zen Buddhist Ethics. North Point Press. 1984. ISBN: 0865471584

Robert Aitken. Taking the Path of Zen. North Point Press. 1985. ISBN: 0865470804

Robert Aitken. The Practice of Perfection: The Paramitas from a Zen Buddhist Perspective. Counterpoint Press. 1997. ISBN: 1887178406

Robert Aitken. Zen Master Raven: Sayings and Doings of a Wise Bird. Charles E Tuttle. 2002. ISBN: 0804834733

Richard Baker-Roshi. Original Mind: The Practice of Zen in the West. Riverhead Books. 2004. ISBN: 1573221104

Ram Dass. Be Here Now. Crown. 1971. ISBN: 0517543052

Ram Dass. Journey of Awakening: A Meditator’s Guidebook. Bantam Books. 1990. ISBN: 0553285726

Ram Dass. Still Here: Embracing Aging, Changing, and Dying. Riverhead Books. 2001. ISBN: 1573228710

Joan Halifax. The Fruitful Darkness: Reconnecting With the Body of the Earth. Harper SanFrancisco. 1994. ASIN: 0062503138

Stephen Larsen, Joan Halifax.The Shaman’s Doorway: Opening Imagination to Power and Myth. Inner Traditions. 1998. ISBN: 0892816724

Janet Adler, Joan Halifax. Arching Backward: The Mystical Initiation of a Contemporary Woman. Inner Traditions. 1996. ISBN: 0892815469

Originalmente pubblicato su Tricycle magazine, www.tricycle.com, per gentile concessione.
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini
Copyright per l’edizione Italiana: Innernet.

37 Responses to “La psichedelia e il percorso interiore”

  1. Vento e Magnetico ha detto:

    Carissimi la mia opinione è che con LSD è già stato provato quasi tutto.
    L’unica roba che manca è che nn la si grattugia sulla pastasciutta come si fa col Parmigiano…
    A parte gli scherzi, da quando lo sfigato della Sandoz l’ha sintetizzata, eserciti di sperimentatori l’hanno adoperata per i più disparati scopi.
    Dalle Piramidi ad Atlantide…dai reduci del Vietnam o dai deliranti piloti ospiti dell’Hilton di Hanoj fino ai progettisti delle nuove religioni…e oltre ai ricercatori della CIA con i colleghi delle altre Intelligence…l’hanno adoperata tutti…
    Ora, noi, qui, con le ns 4 congetture, supportate da nessuna esperienza nel campo, stiamo cercando di riscrivere la storia…stiamo ipotizzando di utilizzarla ai fini della crescita spirituale/personale…
    ahahahahahah
    Ma vi pare corretto dal punto di vista della realtà oggettiva?
    Correggetemi se sbaglio, ma nessuno di voi conosce gli effetti della 25…e allora come si fa a parlare a favore o contro ?

    A Giusy dico: quello che ai scritto dal punto di vista teorico, mi va bene.
    Tuttavia ti suggerisco, per comprendere meglio di cosa stai parlando, di provare a farti un volo con LSD airline, ti assicuro che raggiungerai quote molto elevate.

    Ad Atisha dico: per fortuna non ti sono cadute altre robe….ahahah

    A Sak dico: se entro nel tuo schema la penso come te, oltretutto mi sono chiesto cosa risponderei alle mie figlie se evidenziassero la volontà di farsi un trip…!!!

    A Eck dico: che te fai del trip…tu sei sempre in viaggio…ahahahahah

    A Marco dico: buona lettura…

    Ciao
    V & M

  2. Giusy Figliolini ha detto:

    A Giusy dico: quello che ai scritto dal punto di vista teorico, mi va bene.
    Tuttavia ti suggerisco, per comprendere meglio di cosa stai parlando, di provare a farti un volo con LSD airline, ti assicuro che raggiungerai quote molto elevate.

    Beh, se come dici è stato provato quasi tutto con l’LSD (tra l’altro nel mio commmento all’articolo in inglese indicato da Ivo, appena sopra il mio post, non mi riferivo in particolare a quella sostanza che essendo sintetica guarderei con maggiore sospetto rispetto alle droghe naturali), comunque sia, se questi “tutti” l’hanno fatto con la stessa leggerezza e superficialità con cui tu me ne stai consigliando l’uso capisco perchè ne hanno ricavato solo fallimenti o disastri.
    I casi sono due: o hai buttato lì una frase ad effetto per autosceneggiarti e farci sapere che ti sei fatto dei viaggi; o non sai nemmeno tu di cosa parli nel tuo caso neanche a livello teorico.

  3. atisha ha detto:

    sostanza sintetica.. naturale…

    ragaaaazziiiiiiiii!……. :)))))

    (addì 18 Maggio corre l’anno 2008)

    Ram Tzu sa che…
    ti hanno in pugno proprio come vogliono loro.

  4. Vento e Magnetico ha detto:

    La mia opinione è quella che ho evidenziato…
    Certamente potevo scrivere meglio, potevo trasferire meglio l’informazione, ma nn ho mai tempo!
    Comunque, ti invito nuovamente, al fine di mantenere su livelli di realtà oggettiva la percezione, di provare a farti un giro con il “Bambino di Hofman”.
    E non te lo dico con leggerezza, te lo dico come compagno di viaggio.
    Eventualmente decidessi in tal senso cercati una brava guida che ti possa aiutare, se ne avessi necessità.
    Quello che ho scritto sopra, attiene alla strategia di provare sulla propria pelle le esperienze di cui disquisiamo continuamente.
    Una volta si diceva, per provare la realtà, è necessario entrare nella pelle dell’altro, di calzare le stesse scarpe…di indossare gli stessi abiti…
    Ti assicuro, questa semplice strategia del non giudicare se non hai provato, nel mio modello del mondo, funziona perfettamente.
    E’ anche vero e non lo nego che nella mia valutazione ci sono dei limiti.
    Io non faccio ne ho mai fatto in passato ricerca scientifica.
    Pertanto la mia esperienza si limita alla storia personale e a quella delle persone che ho incontrato.
    Nonché alle testimonianze che negli anni ”˜70 si potevano reperire sui pochi media specializzati.
    A proposito, per la questione del sintetico o naturale, considera che le ricerche di Hofman sono partite dall’osservazione sugli effetti allucinogeni del fungo Segale Cornuta.
    Si erano verificate sindromi allucinatorie di massa in alcune località a causa della panificazione fatta con la Segale infestata dal temibile fungo.
    Hofman ci lavorò e poi il resto è storia.

    Ti faccio una domandina…
    Secondo te, cosa si potrebbe fare in terapia con la LSD25 ?

    Curare una fobia ?
    Curare una psicosi ?
    Cambiare un comportamento limitante ?
    Potenziare un’abilità ?
    Installare la percezione spirituale?
    Illuminare le persone ?

    Ciao cara, un abbraccio.
    Walter

  5. Vento e Magnetico ha detto:

    Ram Dass: Dal mio punto di vista, il buddismo è ciò che più si avvicina all’esperienza psichedelica, almeno a quella dell’LSD. L’LSD ti catapulta al di là delle tue strutture concettuali. Ti libera. Passa sopra alla tua abitudinaria identificazione con i pensieri, portandoti molto velocemente in una dimensione non concettuale.

    ahahah…questa me la ero persa !!!
    E’ demenza…neuro-demenza lisergica…
    E’ come se un Cattolico dicesse:
    Dal mio punto di vista, il Cristianesimo è ciò che più si avvicina all’esperienza “alcolica”, almeno a quella della “grappa”….
    :-)))
    Se non altro avrebbe anche ragione, il pretino, sull’altare si cilindra con vin santo…tanto da far invidia a Superciuc…
    :-)))))

  6. Marco ha detto:

    Mi alzo dalla posizione china sulle letture e mi scrollo di dosso un po’ della polvere accumulata su di me in questi giorni. Del resto non c’è polvere, non c’è specchio, nulla di cui preoccuparsi.
    Tanto per restare in campo, ribatto.
    I trip che ad oggi prediligo sono a piedi sulle prealpi venete, dove la percezione acida è, molto prosaicamente, mi scuserete, quella del sudore.
    Ma un altro libro che consiglio caldamente è SHIVITI di ka-tzenic 135633, al secolo Yahiel De-Nur, morto proprio quest’anno come il giovanotto Hofmann. Vi si racconta in modo estrememente pregnante la tragedia di Auschwitz, rivissuta dallo scrittore attraverso delle sessioni controllate di assunzione di LSD in Olanda in un ospedale negli anni 70 (se bene ricordo).
    Scusate l’ulteriore citazione, ma questo è un libro veramente strepitoso, illuminante, nel quale l’immaginazione indotta dalla cosidetta “analisi” conduce davvero a pensare ad una sorta di “struttura che connette”, ed è assolutamente in tema con i discorsi in corso. Mi dispiace, ma io l’LSD l’ho provato solo così…
    L’edizione è, giustamente, “Sensibili alle foglie”; e non solamente ai fogli (scritti).
    Un caro saluto e grazie per gli interessanti interventi
    Marco Konin

  7. Giusy Figliolini ha detto:

    Walter:Ti faccio una domandina…Secondo te, cosa si potrebbe fare in terapia con la LSD25 ?

    Credo di avere già espresso il mio pensiero sull’argomento nel mio primo post non ho altro da aggiungere, almeno in questo contesto.

  8. Vento e Magnetico ha detto:

    Scusami Marco,
    cosa intendi con precisione:
    ” l’immaginazione indotta dalla cosidetta “analisi” conduce davvero a pensare ad una sorta di “struttura che connette”

    E poi spiegami anche questa: “Mi dispiace, ma io l’L** l’ho provato solo così…”

    Così come?
    Cosa intendi dire?
    Che l’hai provata in analisi?
    Pensare ad una sorta di struttura che connette è accaduto dopo che hai letto il libro?
    Prima di leggere il libro lo avevi già pensato?
    E la percezione della tua esperienza è stata in qualche modo aggiornata con la lettura del libro?
    Scusami per le domande, ma altrimenti non capisco, se vuoi nn rispondere…
    :-)
    Ciao, grazie

  9. Marco ha detto:

    Walter, ti rispondo volentieri

    cosa intendi con precisione:
    ” l’immaginazione indotta dalla cosidetta “analisi” conduce davvero a pensare ad una sorta di “struttura che connette”
    intendo dire che leggendo il libro, nel quale vengono trascritte le immmaginazioni indotte nella coscienza dall’uso dell’LSD viene come raccontato in immagini, come in un sogno, un mondo nel quale si percepisce una sorta di continua unione degli opposti: ricordo ad esempio un punto nel quale de Nur racconta di avere visto uscire dal fumo un inceneritore nel quale venivano bruciati degli ebrei la forma di un uomo che indossava la divisa della gestapo. Come dire in immagini che il destino di tutti noi, persecutori e vittime, è uniti. In più punti del libro ho avuto questa impressione.

    E poi spiegami anche questa: “Mi dispiace, ma io l’L** l’ho provato solo così…”
    Così come?
    Cosa intendi dire?
    Che l’hai provata in analisi?
    Intendevo dire che io non ho fatto esperienza diretta dell’LSD ma solo attraverso racconti presumibilmente sinceri di chi l’ha provata. Non avrei gran titolo di parlarne, come tu giustamente scrivi.
    Ma del resto c’è anche chi ha detto, parafrasando Wittgenstein, che delle cose di cui non si può parlare è invece proprio il caso di parlarne, tutto il resto non ha nessuna importanza … :-)

    Pensare ad una sorta di struttura che connette è accaduto dopo che hai letto il libro?
    Prima di leggere il libro lo avevi già pensato?
    E la percezione della tua esperienza è stata in qualche modo aggiornata con la lettura del libro?
    Penso da sempre (almeno, fino a che riesco ad allungare la memoria) che siamo inseriti in una struttura che connette e che l’ateo sia “Dio che gioca a nascondino con se stesso”, comunque Dio lo si voglia chiamare. Leggere questo libro e trovarci l’entusiasmo di una scoperta, come è successo in altre occasioni di “incontro”, mi ha offerto la fortuna di percepire di nuovo questo senso di connessione e interdipendenza di tutte le cose.

  10. pantherina ha detto:

    come al solito chi non ha mai provato enteogeni in vita sua si prodiga nel consigliare agli altri di non utilizzarli, esprimendo pareri negativi su ciò che non conosce… magari fare qualche ricerchina e scoprire come tutte le religioni del pianeta si siano basate sull’uso di qualche pianta o fungo non farebbe male…

  11. atisha ha detto:

    stessa cosa vale per chi non ha provato a meditare seriamente e si prodiga a svalutarne o addirittura a demonizzarne l’uso..
    meglio fare qualche ricerca e scoprire come tutte le religioni (o meglio dire Tradizioni) siano basate sull’uso meditativo della preghiera, della concentrazione e ascolto interiore senza ausilii

    smile

  12. (Y)am ha detto:

    Beh io sconsiglio l’uso di allucinogeni, anche se ne ho usati di tutte le specie e ho avuto anche esperienze molto profonde (mistiche).
    In particolare, dopo una di quelle esperienze, ho camminato scalzo per due anni..per non calpestare la Luce. Non e’ stato facile tornare con i piedi per terra. Ci sono metodi per scendere piu’ in profondita’ dentro a se stessi, come la meditazione, che non hanno tutte le controindicazioni degli allucinogeni. Oltrettutto con gli allucinogeni e’ come se si aprisse una finestra all’improvviso…per poi richiudersi..lasciando pero’ strascichi diversi da persona a persona. Per alcuni possono essere molto pericolosi.

  13. pantherina ha detto:

    x atisha : innanzitutto non mi risulta che nè nell’articolo nè nei commenti qualcuno abbia svalutato la meditazione e la preghiera. che poi ad onor di cronaca meditazione, yoga eecc. sono pratiche nate in tempi storici, quando l’uso di vegetali e funghi psicoattivi risale al neolitico.

  14. Federico Vellucci ha detto:

    L’intervista è interessante, però ovviamente con queste cose bisognerebbe andarci piano, nel senso che il loro uso non è per tutti, per tutte le circostanze, per tutti i gusti, ecc. Poi ci sarebbe tutto un discorso sugli abusi di queste sostanze, che non sono solo gli abusi individuali ma possono essere in teoria abusi collettivi guidati da progetti statali (MK ultra). E comunque probabilmente il primo occidentale che scoprì veramente le droghe psichedeliche fu il farmacologo John Uri Lloyd, che spiegò tutto nel suo romanzo Etidorhpa e che mise in guardia dagli abusi che uno scienziato potrebbe fare di queste sostanze. http://lovecraftlibri3tidorhpa.splinder.com

    Hoffman non sembra avergli dato retta.

  15. Raphael Porche ha detto:

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