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Dali Raphaelesque Head ExplodingIl ruolo della psichedelia nel percorso di conoscenza interiore, in particolare nel buddismo, è l’oggetto di questa discussione a quattro voci tra i maestri zen Aitken Roshi e Richard Baker Roshi, l’insegnante buddista Joan Halifax e Ram Dass, guidata da Allan Hunt Badiner.

Robert Aitken Roshi è uno dei più anziani e rispettati maestri zen dell’America. Vive alle Hawaii. Richard Baker Roshi dirige una fiorente comunità zen nel Colorado, con diramazioni non ufficiali in tutta Europa.

Ram Dass, noto per aver scritto Be Here Now (“Sii qui e ora”) all’inizio degli anni ’70, ha scritto un nuovo libro sugli effetti della pratica sull’invecchiamento, Still Here: Embracing Aging, Changing, and Dying, (“Ancora qui: abbracciare l’invecchiamento, il cambiamento e la morte”) ed è un serio studioso sia del buddismo sia delle sostanze psichedeliche. Joan Halifax è insegnante buddista “anziana” della scuola del maestro Thich Nhat Hanh, e direttrice di Upaya nel New Mexico.

Allan Hunt Badiner: Le sostanze psichedeliche sono un argomento molto vasto. Qui ci occupiamo soprattutto di estratti vegetali che, ingeriti in dosi e modi appropriati, possono contribuire a espandere la consapevolezza. È possibile che tale uso delle sostanze psichedeliche conduca all’illuminazione?

Joan Halifax: Nei primi tempi consideravamo la psichedelia “la mente che si manifesta”. L’opinione prevalente, soprattutto in un ricercatore dell’LSD come Stan Grof e in altre persone, era che assumendo certe sostanze si evocavano determinati domini mentali. Piante-insegnanti diverse erano chiavi che aprivano porte diverse all’interno della mente. Per esempio, la mescalina produce un tipo di visione diversa da quella della psilocibina, della yagé ecc.

Ram Dass: Dal mio punto di vista, il buddismo è ciò che più si avvicina all’esperienza psichedelica, almeno a quella dell’LSD. L’LSD ti catapulta al di là delle tue strutture concettuali. Ti libera. Passa sopra alla tua abitudinaria identificazione con i pensieri, portandoti molto velocemente in una dimensione non concettuale.

Allan Hunt Badiner: Cosa pensi della cosiddetta pillola buddista, l’MDMA, anche nota come ecstasy?

Ram Dass: Non la ritengo una pillola buddista. Penso che l’MDMA sia ottima per la terapia delle relazioni. Aumenta la capacità di essere compassionevoli, amorevoli, di scorgere la bellezza delle persone e tutto il resto, ma non facilita l’esperienza del vuoto o dell’assenza di forma. Di essa non mi piace la componente della velocità, la mascella serrata e quelle cose lì. Ho fatto quasi cinquanta trip con l’MDMA, e ho deciso che potevano bastare. Il mio guru, Neem Karoli Baba, una volta ha detto sulle sostanze psichedeliche: “Sono utili, ma non costituiscono il samadhi autentico. Ti permettono di andare dentro di te e avere il «darshan» con Cristo, ma puoi stare lì solo due ore. Dopo, devi andartene”. Inoltre, ha detto: “Non puoi diventare Cristo attraverso la tua medicina”. La distinzione tra vedere e diventare: qui è dove il buddismo entra in gioco.

Allan Hunt Badiner: Due ore di Cristo non sembrano niente male!

Ram Dass: No, infatti! Ma puoi anche restare intrappolato in un certo tipo di esperienza. E l’esperienza non è la non-esperienza. È simile, ma non uguale. È come l’esperienza del vuoto, piuttosto che il vuoto stesso.

Allan Hunt Badiner: Ram Dass, hai detto che le sostanze psichedeliche possono passare sopra le nostre abitudini. Ma è una cosa che dura poco, vero?

Robert Aitken: Va benissimo avere una piacevole esperienza di oblio di sé, ma dopo? La cartina di tornasole è vedere come queste cose funzionano nella vita quotidiana, in cui bisogna lavorare per sopravvivere, pagare le tasse, crescere i figli e così via.

Ram Dass: Tutti sono un po’ avidi di avere l’illuminazione subito. Ciò che ho osservato nella mia vita, ora che sono passati trentacinque anni dalla mia prima assunzione di droghe, è che quando torno indietro, le abitudini mi seguono. Ma quello che ho in più, ora, è il ricordo dell’esperienza, la consapevolezza che essa è possibile. Questo cambia tutta la pratica spirituale seguente, perché adesso il tuo punto di vista non è solo da qui, ma anche da lì.

Robert Aitken: Penso che le sostanze psichedeliche rendano possibili esperienze sia negative che positive, ma credo che se vuoi affrontare seriamente la pratica buddista, te le devi lasciare alle spalle. Molta gente è arrivata alla pratica buddista grazie ad esperienze con sostanze psichedeliche. Oggi non incontro più nessuno che viene da quell’esperienza.

Allan Hunt Badiner: Come si comportano i “profughi” dalla psichedelia?

Robert Aitken: Le droghe gli hanno fatto intravedere un’esperienza religiosa, ma poi si sono accorti che il potenziale di quelle sostanze era finito e hanno cercato una pratica che li conducesse alla conoscenza religiosa. In quel periodo c’erano persone che cercavano di fare zazen e prendere droghe allo stesso tempo. In realtà, questo non funzionava affatto, perché nell’assunzione di droghe c’è una componente di assorbimento nell’io che è antitetica allo scopo della pratica.

Richard Baker: Eravamo a San Francisco, nel bel mezzo della “scene”, dal ’61 in poi. Quello che Suzuki Roshi e io vedevamo era che le persone che prendevano l’LSD – e una larga percentuale di studenti lo faceva – entravano nella pratica più velocemente degli altri. Non sempre, ma di solito l’LSD li apriva più velocemente alla pratica. Notavamo anche che nella maggior parte dei casi quelle persone si fermavano dopo un paio di anni e non progredivano più nella pratica zen; questo valeva soprattutto per coloro che avevano usato molto l’LSD. La mia sensazione è che le sostanze psichedeliche creano una propensione per un certo tipo di esperienza. Sembra che, poiché il loro spazio mentale è stato energicamente aperto e condizionato dall’LSD, la pratica zen dia frutti solo in relazione a questo spazio mentale. Le persone che ne avevano fatto uso massiccio, per esempio cinquanta trip, duecento trip, non andavano molto al di là di ciò che un buon praticante avrebbe raggiunto dopo due anni. Inoltre, poiché avevano familiarità con un linguaggio interiore tanto energico, quegli studenti avevano difficoltà maggiori con il linguaggio interiore più sottile della pratica zen.

Allan Hunt Badiner: Con lo zen non si sentivano abbastanza “fatti”?

Richard Baker: Si erano abituati a un certo tipo di ebbrezza spirituale e mentale, e se essa non era presente, e la mente si trovava per lo più in stati neutri, il loro interesse verso la pratica diminuiva. Gran parte dell’esperienza buddista avviene in uno spazio al di là del piacere e dell’avversione: il cosiddetto territorio neutro. La neutralità, come il non-attaccamento, è il sentimento più profondo, ma non puoi definirlo né buono né cattivo. L’esperienza psichedelica tende a essere così forte ed emozionante che può inibire il linguaggio interiore più sottile.

Allan Hunt Badiner: Quindi era facile distinguere chi usava sostanze psichedeliche e chi no.

Robert Aitken: Facilissimo. C’erano persone che in certi giorni della settimana facevano pratica nel nostro zendo, e negli altri fumavano o si facevano. Quando tornavano, avvertivo subito la differenza nei loro modi e nella qualità della loro pratica. Invece di tornare rinfrescati, erano agitati e instabili. All’epoca non ero un insegnante, ma certo ero un fratello più anziano nel dharma, e avevamo discussioni molto accese. Però loro non erano disposti ad ascoltare alcun consiglio.

Joan Halifax: È come un odore: puoi dire a naso chi si fa e chi no. Il mio criterio è questo: considerando la mente come un’orditura, chi usa sostanze psichedeliche non ha una trama compatta come gli altri. Io ho impiegato molto tempo per sentirmi a mio agio sul cuscino. Dopo aver smesso di prendere sostanze psichedeliche, la mia tendenza alla dispersione è definitivamente cessata, e la mia reattività è molto diminuita. Mi sento sollevata per aver scelto il cammino della meditazione.

Allan Hunt Badiner: Anche se per un certo tempo devi aver trovato sollievo nelle sostanze psichedeliche.

Joan Halifax: Su questo non ci sono dubbi. Le sostanze psichedeliche sono uno strumento estremamente potente per aprire la mente. Le considero una fase di passaggio quando stiamo cercando di diventare più autentici, genuini e sinceri. Ho come la sensazione che, rispetto alle sostanze psichedeliche, sono stata “promossa”. Tuttavia, esse sono state indubbiamente parte della mia evoluzione verso la maturità psicologica e caratteriale. Nella meditazione, però, si coltiva un tipo di mente molto diverso, le cui qualità fondamentali sono la stabilità, la gentilezza amorevole, la chiarezza e l’umiltà. La psichedelia non coltiva necessariamente queste qualità.

Allan Hunt Badiner: Hai mai mischiato pratica e sostanze psichedeliche?

Joan Halifax: Sì, naturalmente. È accaduto alla fine degli anni sessanta e negli anni settanta, quando ho cominciato a prendere l’LSD. Ma dopo un po’, francamente, non mi sembrava un esperimento di grande successo. Almeno per me.

Richard Baker: C’erano pochi studenti, al centro zen, che cercavano di fumare marijuana e praticare. Uno studente andò su tutte le furie e abbandonò la pratica perché gli dissi che non poteva essere mio studente se fumava marijuana.

Ram Dass: Molte persone sostengono che fumare l’erba aiuta la loro meditazione, ma secondo me non è vero.

Joan Halifax: Penso che ognuno reagisce a modo suo alle sostanze psichedeliche. La mia sensazione è che queste ultime non operano sullo stesso tipo di mente che affiora in meditazione. Col passare del tempo, lo stato mentale provocato dalle sostanze psichedeliche mi ha interessato sempre di meno. Non conosco molte persone che sono riuscite a far convivere una pratica psichedelica e una matura pratica buddista, eccetto forse Ram Dass.

Ram Dass: Secondo me, le sostanze psichedeliche non sono un veicolo per l’illuminazione, ma per il risveglio. Le vedo come il punto di partenza di un processo che risveglia la possibilità dell’illuminazione. Ecco perché uso la parola “risveglio”. Esse ti liberano, allo stesso modo di un trauma, un’esperienza di quasi morte e forse anni di meditazione intensiva.

Allan Hunt Badiner: Se hai il ricordo di un’esperienza psichedelica e cominci a usare tecniche forse più soddisfacenti a lungo termine, il tuo lavoro comincia a colmare il divario tra il ricordo della libertà e la tua esperienza concreta. Giusto?

Ram Dass: Sì.

Allan Hunt Badiner: Quindi, tu prendi ancora droghe.

Ram Dass: Le ho prese.

Allan Hunt Badiner: E le hai trovate utili?

Ram Dass: Sì, e ti dirò perché: ho visto che potevo rendere “sociale” qualsiasi tecnica. Potevo usare tutte le tecniche per tenere in vita il mio ego. Quando qualcuno comincia a meditare in modo davvero profondo o partecipa a un ritiro, pensa: “Oh, Dio! Sta per accadere! Ecco l’illuminazione”. A quel punto, ti metti alla ricerca di tutti gli angoli della mente dove puoi nasconderti. Quindi, uso una tecnica contro l’altra in continuazione, per portare equilibrio e per vedere dove sto ingannando me stesso.

Allan Hunt Badiner: Ma non puoi controllare o dirigere sempre l’esperienza, no?

Ram Dass: Faccio parte del club degli esploratori psichedelici fin dagli anni sessanta, e so che la natura dell’esperienza dipende dal “set and setting”, cioè dall’atteggiamento e dal contesto, e che quando faccio le mie pratiche spirituali, il mio atteggiamento muta. Quindi, prima farò due anni di pratica profonda, dopo sono curioso di vedere dove mi trovo in relazione alle sostanze psichedeliche. Oggi sono al punto che se non assumerò mai più queste ultime è OK, ma se le prenderò ancora è splendido. Non lo so e non mi interessa. Questo è un atteggiamento diverso rispetto a “Ho bisogno di esse per trovare la realtà”.

Robert Aitken: Tutto ciò che devi fare è prendere un buon testo buddista, e lì c’è la realtà. Non hai bisogno di prendere droghe per risvegliarti a essa. La maggior parte delle persone che vengono da me, oggi, sono risvegliate da qualche lettura. Pensano: “Oh, ci può essere qualcosa di più nella mia vita”. Ma bisogna dire che la società materialista è molto seducente e ci attira a sé. La coppia media lavora molto duramente e poi, quando torna a casa, naturalmente vuole rilassarsi. Prende un drink, guarda la TV. È una sorta di circolo vizioso. Il buddismo zen ha un bel da fare per questo. Dobbiamo trovare un modo per fare andare via la gente da casa, senza che lascino la casa.

Richard Baker: Anche io penso che una cultura mira a essere irresistibilmente seducente e a non lasciare alternative. Ma questo è ciò che il buddismo si trova a dover affrontare in ogni cultura: penetrare in questa cappa di pensiero comune culturale e sociale.

Allan Hunt Badiner: Quando si tratta della psichedelia, sembra che molti insegnanti buddisti affermino: “Fai quello che dico, non quello che ho fatto”. I giovani oggi sembrano molti sinceri nella loro ricerca, ma non paiono disposti ad accettare sulla fiducia che una tecnica è utile o no, in particolare se è controversa.

Robert Aitken: Non penso che le droghe abbiano aiutato qualcuno ad arrivare al punto in cui si trova. Piuttosto, è successo che per le circostanze culturali dell’epoca (anni sessanta, primi anni settanta) molte persone sono arrivate allo zen grazie all’esperienza delle droghe. In precedenza, si arrivava allo zen attraverso l’esperienza della teosofia o di altri cammini occulti; in seguito, si è arrivati allo zen attraverso la lettura o l’esperienza dello yoga, l’aikido, la pratica Theravada o cose simili. Fu singolare che l’LSD venne scoperto e si diffuse proprio in quell’epoca. La sua scoperta coincise con la disillusione per la guerra nel Vietnam, i diritti civili ecc. La gente non aveva più fiducia nella tradizione; era pronta a sperimentare. Ma questo accadde allora. Quando sento questi discorsi, mi sento tornare indietro di trenta anni. Mi pare di rivangare il passato.

Allan Hunt Badiner: Robert Aitken, qual è la tua esperienza con le sostanze psichedeliche?

Robert Aitken: Ho sperimentato l’LSD, e più di una volta la marijuana.

Allan Hunt Badiner: Cosa hai imparato?

Robert Aitken: Nessuna di queste esperienze è stata davvero soddisfacente. Le esperienze con la marijuana mi hanno dato una falsa sensazione di solidarietà con le persone con cui stavo fumando (che erano molto più giovani di me). Anne Aitken e io avevamo comprato una piccola casa alle isole Maui, che più tardi sarebbe diventata il primo zendo delle Maui. Ma prima di trasferirci, l’avevamo affittata a un gruppo di giovani che ogni tanto andavamo a trovare. Tutti fumavano la marijuana. Una volta stavamo seduti in cerchio e ci stavamo passando la sigaretta della marijuana. Provai una meravigliosa sensazione di solidarietà con il cerchio di persone. Le donne erano in cucina a preparare il cibo, e una di loro aveva un piccolo bambino molto rumoroso. Anne uscì e mi chiese se potevo badare al bambino mentre le donne cucinavano. Dissi di no. Ma poi mi chiesi: cosa mi succede? Amo i bambini e sono in grado di calmarli tutti. Che razza di solidarietà è la mia se sto escludendo il resto del mondo, per così dire? Fu così che capii i limiti della marijuana.

Allan Hunt Badiner: Ma questo l’hai capito mentre stavi là seduto, “fatto”?

Robert Aitken: Sì.

Allan Hunt Badiner: Hai fatto qualcosa, poi?

Robert Aitken: Oh, certo. Mi sono alzato, ho lasciato il gruppo e ho preso in braccio il bambino.

Allan Hunt Badiner: Un’illusione ragionevolmente breve. E il trip di LSD?

Robert Aitken: L’unico trip di LSD fu un’esperienza di illusioni. Ero sdraiato sulla schiena in mezzo all’erba alta, osservavo le nuvole e vedevo in esse legioni romane e così via.

Allan Hunt Badiner: Ti è piaciuto?

Robert Aitken: Beh, sul momento mi è quasi piaciuto, ma i postumi furono terribili: tutto sembrava brutto e fastidioso, e ogni ruga sul volto delle persone risaltava con grande chiarezza. Suppongo che sia questa esperienza che spinge la gente a riprovare le illusioni dell’LSD. Fu una sola esperienza, quindi in realtà non posso dare un giudizio su una base così limitata.

Allan Hunt Badiner: Richard Baker, hai avuto qualche esperienza importante in questo campo?

Richard Baker: Non uso sostanze psichedeliche. Né consiglierei alle mie due figlie di usarle. E anche se negli anni sessanta ho organizzato una conferenza sull’LSD a Berkeley, non ho mai preso l’LSD. Sul finire degli anni cinquanta, ho preso qualche volta alcuni germogli di peyote e di mescalina, e forse un po’ di psilocibina. Non mi piaceva la mancanza di fluidità e il modo in cui i miei stati mentali venivano, per così dire, comandati a bacchetta. Preferivo la fluidità che riuscivo a sviluppare nella concentrazione meditativa. Una volta stavo in Cile con due nativi sciamani e un amico che insegna sciamanesimo. Facevo parte del gruppo, quindi ho bevuto tutti gli infusi che preparavano. Credo che volessero mettere alla prova l’insegnante zen, per cui mi imbottirono all’eccesso. Finii che dovetti restare alzato tutta la notte e prendermi cura degli altri. Non fu granché.

Allan Hunt Badiner: Joan, come è stato immergersi in culture indigene più antiche, prendendo sostanze psichedeliche secondo i loro costumi?

Joan Halifax: Nelle cosiddette culture psichedeliche – culture dove si usano gli allucinogeni e la tecnologia psicologica è altamente sviluppata – ho osservato che l’atteggiamento religioso è molto articolato ed elaborato. E naturalmente l’assunzione di allucinogeni è culturalmente accettabile, e non ai margini della società come qui. Nel caso degli Huichol, dei Mazatechi o dei Kayapò dell’Ecuador, potevi osservare un mondo davvero in armonia con l’uso degli allucinogeni e le visioni provocate da questi ultimi.

Allan Hunt Badiner: Cosa pensi dell’ayahuasca, o yagè? L’ayahuasca, in particolare, sembra aver sedotto il mondo buddista, ultimamente.

Joan Halifax: L’ayahuasca è semplicemente una straordinaria pianta-insegnante.

Ram Dass: È il rito che attualmente va per la maggiore. Ma io penso che i riti tendono a mantenerti nel dualismo. I viaggi sciamanici, nella maggior parte dei casi, mi annoiano, perché di solito riguardano il bene, il male e il potere.

Allan Hunt Badiner: Le sostanze psichedeliche sono un ostacolo, Joan?

Joan Halifax: Anche porre questa domanda è un ostacolo. Capisci cosa sto dicendo? Anche il buddismo è un ostacolo. Quello che chiedo io è: che tipo di mente vuoi creare? Quali qualità pensi siano davvero di aiuto per te e per gli altri esseri nel mondo? Cosa pensi che ti servirà davvero? Cosa potrà guarirti meglio? Cerco di porre queste domande in modo da non condannare nessuna possibile scelta fatta dagli altri. In ogni caso, molti di noi non si sentirebbero a proprio agio su un cuscino se in passato non avessero assunto sostanze psichedeliche.

Robert Aitken: Quando ripenso alla mia prima introduzione allo zen, scritta per Zen in English Literature di R. H. Blyth, mi accorgo che in quel libro ci sono molti errori. Ma all’epoca per me era molto importante. Non per questo oggi suggerirei alla gente di cominciare leggendo Zen in English Literature. Semplicemente, è successo che quella è stata la mia esperienza nel 1943.

Allan Hunt Badiner: Il ven. dr. Ratanasara, monaco singalese che presiede il Congresso buddista americano, tiene a sottolineare che quando le nostre azioni sono scorrette, il danno maggiore non è fuori di noi (sotto forma di scontento divino, effetti karmici o anche delle conseguenze logiche), ma è la sensazione di disagio o squilibrio che resta nella nostra mente. È possibile che l’uso di droghe psichedeliche, a un certo livello, sia un ostacolo per il semplice fatto che sono illegali, o perché alcuni studi le ritengono nocive dal punto di vista fisico?

Ram Dass: La maggior parte delle informazioni negative sulle sostanze psichedeliche, come quelle sui danni cerebrali o sul fatto che condurrebbero a droghe più pesanti ecc., vengono da ricerche motivate da fini politici, e non reggono a un’analisi indipendente. Per quanto riguarda l’infrazione delle leggi, in realtà stiamo parlando della politica della consapevolezza e del controllo. Chi detiene il potere teme la destabilizzazione della società provocata da forze che non è in grado di controllare. Il desiderio di droghe non può essere posto sotto controllo. Distrugge tutte le strutture della società, sommerge i tribunali e le prigioni. La politica sulle droghe è stata un fallimento totale.

Allan Hunt Badiner: Cosa pensi dei “bad trip”, le esperienze negative sotto l’effetto di una droga?

Ram Dass: Nella maggior parte dei casi, si possono prevenire i bad trip facendo attenzione all’atteggiamento e al contesto. Naturalmente, l’illegalità dell’intera faccenda è essa stessa parte del contesto. Ma in genere i bad trip si possono dividere in quelli che chiamo gli “out” (che si hanno “uscendo”) e gli “in” (“rientrando”). Negli out, ciò che accade è che anche la più piccola struttura dell’io viene percepita in pericolo. Alcune persone che non sono preparate a questo fanno resistenza, e quando fai resistenza comincia l’intero processo della paranoia. L’energia viene distratta dalla sostanza psichedelica e si crea un inferno.

Allan Hunt Badiner: E nei bad trip di tipo“in”?

Ram Dass: Riposi nella pace, nell’equanimità, nella consapevolezza e nella beatitudine senza forma. Quando l’effetto chimico svanisce, hai la sensazione di stare ritornando in una prigione, in un mondo corrotto, e questo non ti piace, fai resistenza al rientro. Quando torni indietro e tutto è uno schifo, anche questo è un bad trip. La gente non ti piace, sembrano tutti falsi e di plastica.

Allan Hunt Badiner: Non è sempre bello.

Ram Dass: Pensare che stai facendo qualcosa contro la morale comune, che può davvero portare a brutte conseguenze per te o gli altri (prigione ecc.), non è la cosa migliore quando stai cercando di diventare più vulnerabile e sereno. Sono molto contento di aver fatto delle esperienze in altre culture. Infatti, per quanto cerchiamo di essere autentici rispetto alla nostra cultura, per quanto cerchiamo di creare il contesto migliore (in mezzo alla natura o con immagini particolari, musica, incenso, candele ecc.), c’è sempre qualcosa di insostituibile: la visione spirituale che fa parte del continuum di una società.

Allan Hunt Badiner: Gli occidentali potranno mai evadere dal loro condizionamento? Possono davvero partecipare e trarre beneficio da questi rituali?

Joan Halifax: Se vado in Giappone, in Corea o in Vietnam, mi siedo in un tempio e ho un’esperienza autentica di “samadhi” mentre faccio zazen in quel contesto, c’è qualcosa di diverso rispetto all’andare, per esempio, in Sud America o in America Centrale e avere un’epifania psichedelica in un particolare contesto culturale? Penso che le due cose siano paragonabili. La mia opinione è che possiamo attraversare questi confini. La meditazione e queste sostanze sono entrambi strumenti potenti per spostare il nostro “punto di assemblaggio” fuori dalla mentalità comune della nostra cultura in una nuova cornice di riferimento.

Allan Hunt Badiner: A differenza della nostra formazione psichedelica, la nuova generazione rende indistinto il confine tra le droghe cosiddette psichedeliche e pesanti. Assistiamo a molti passaggi da un campo all’altro: un po’ di LSD, un po’ di eroina, un po’ di erba, qualche pillola…

Ram Dass: Ma la distinzione c’è. Penso che loro sanno dire le differenze tra queste sostanze. La mia opinione è che ci troviamo di fronte, in generale, all’attrazione verso gli stati alterati, sia per l’intensità dell’esperienza sia per il brivido del rischio.

Allan Hunt Badiner: Ram Dass, in qualche modo tu sei responsabile di questo, non è vero? Tutti ricordiamo il grande entusiasmo con cui parlavi dell’uso di droghe.

Ram Dass: Sai, le droghe di evasione e quelle sacre sono davvero diverse. Oggi al mondo c’è un uso delle droghe così eccessivo che chiaramente nessuno desidera appoggiarlo. I bambini e le droghe non devono entrare in contatto, per esempio. Ho sempre detto: “Diventa qualcuno, prima di diventare un nessuno”. Ma oggi i consumatori di droghe sono psuedo-automi figli della cultura e, nel caso del crack e della cocaina, rappresentano un chiaro attestato di fallimento della mitologia culturale. Il crack è una risposta alla mancanza di opportunità nei quartieri degradati, mentre nelle classi agiate la cocaina è la risposta al fallimento del mito secondo cui il successo porta la felicità. Cioè, sei un vincitore, ma resti un perdente. Le persone che possiedono milioni di dollari si sentono in qualche modo imbrogliate. Penso che la filosofia materialista e il tentativo di mantenere la società stabile stiano creando un’atmosfera opprimente. Non mi turba il far parte di qualcosa che scuote il sistema.

Allan Hunt Badiner: Che dici della marijuana? Ram Dass, la fumi ancora?

Ram Dass: Sono un consumatore leggero di marijuana. La vedo come una sorta di ascensore per cambiare piano di consapevolezza. Questo è il modo tecnico per descrivere l’uso che ne faccio. Mi piace osservare il modo in cui funziona la mia mente – a tutti i piani, e allo stesso momento in nessuno di essi – sotto l’effetto della marijuana.

Allan Hunt Badiner: Uno studente buddista alle prime armi ha bisogno delle sostanze psichedeliche per progredire realmente e velocemente?

Ram Dass: No. Non vedo alcun motivo per farlo. Oggi le sostanze psichedeliche sono solo un’altra tecnica. Sembrano anche un anacronismo, a causa delle nostre politiche culturali sulla droga. La paranoia collegata a esse le rende molto meno utili.

Allan Hunt Badiner: Occorre avere un contesto spirituale per progredire sul cammino psichedelico?

Ram Dass: La tua vita deve avere dei contenuti, al di fuori delle droghe, che creino l’ambiente adatto. Il buddismo è un buon contesto per l’esperienza psichedelica.

Allan Hunt Badiner: C’è qualcosa che le sostanze psichedeliche possono insegnarci sulla morte? Esse possono aiutarci a vincere la paura della morte, imparando ad accettare quest’ultima?

Ram Dass: Sì, senza dubbio. I primi studi cominciano negli anni sessanta, con il lavoro di Erik Kast nell’Università di Chicago. Della sua opera mi resta in mente una citazione. È una frase pronunciata da un’infermiera che stava morendo di cancro e aveva appena preso l’LSD: “So che sto morendo di questo male incurabile, ma guardate quanto è meraviglioso l’universo”.

Allan Hunt Badiner: Joan, da molto tempo lavori sulla morte e il morire. Torneresti a usare sostanze psichedeliche in questo lavoro, o incoraggeresti altri a farlo?

Joan Halifax: Non più. Ho scoperto che l’atteggiamento interiore, la qualità della presenza che si riesce a portare a una persona morente o che si riesce ad avere per se stessi, è un conforto e un sollievo sufficiente e profondo. Ho appena avuto delle esperienze incredibili con delle persone morenti, senza la mediazione delle droghe. Nelle ultime fasi del processo della morte la gente è di solito in uno stato di consapevolezza così alterato che strafare non sembra necessario. Quella che funziona davvero è una sorta di trasmissione da cuore a cuore, un flusso d’amore, un amore e una pazienza assoluti davanti alla morte. La magia di questo essere allo stesso tempo vuoti e pieni di compassione ha un effetto incredibile, sia su chi assiste sia su chi sta morendo.

Allan Hunt Badiner: Richard Baker, dunque nella ciotola del Buddha della medicina non ci sono erbe o piante, ma solo sutra?

Richard Baker: Il buddismo è una religione e non una filosofia, perché prendi rifugio solo nel Buddha, nel Dharma, nella Sangha e in nient’altro. In questo c’è un’alchimia che non esiste se talvolta si prende rifugio nel Buddha, il Dharma e la Sangha, e talvolta in qualcos’altro. Per me, la chimica o l’alchimia del buddismo, della pratica seria, funziona davvero quando non ti concedi altre possibilità.

Una definizione di persona illuminata è: colui che ha sempre ciò di cui ha bisogno. A ogni istante è presente ciò che gli occorre. Egli non è alla ricerca di niente. Se stai praticando seriamente per raggiungere la libertà e la comprensione dell’illuminazione, non cercherai mai di evadere dalla situazione presente, per quanto possa essere brutta. La trasformi in ciò di cui hai bisogno. Immagini che sentire di aver bisogno di qualcosa è esattamente ciò di cui hai bisogno. Per esempio, se per una mattina non ho fatto zazen, più tardi nella giornata potrei pensare: “Dio, sarebbe stato meglio se avessi fatto zazen questa mattina”. In quel momento attribuisco a tale frase due significati: non ho fatto zazen al mattino, e ciò di cui ho bisogno dallo zazen in questo momento è il pensiero di non aver fatto lo zazen. Non cerchi di cambiare il tuo stato mentale, ma di trovare esattamente ciò di cui hai bisogno adesso. Quindi, per me, questa è una sorta di alchimia che possiede delle qualità psichedeliche. Ma la pillola è composta dagli ingredienti della tua situazione presente. Non si tratta di cambiare il tuo stato mentale, ma di cambiare attraverso il non-cambiamento.

Robert Aitken: Vorrei aggiungere che esiste una differenza qualitativa tra l’estasi che alcune persone sostengono di sperimentare nell’esperienza della droga e la comprensione, la realizzazione che nascono dalla pratica zen. Noi cerchiamo la comprensione, non l’estasi.

Ram Dass: Mi sento triste quando la società rifiuta qualcosa che può aiutarla a comprendere se stessa e a rendere più profondi i suoi valori e la sua saggezza. È come la Chiesa che non riconosce l’esperienza mistica. Non è una purificazione del buddismo; è cercare di aggrapparsi a ciò che hai, piuttosto che crescere.

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Ram Dass Ram, Paul Gorman. Io e gli altri. Liberare le spinte creative. Cittadelle. 1990. ISBN: 8830804525

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Robert Aitken, Thich Nhat Hanh. The Dragon Who Never Sleeps: Verses for Zen Buddhist Practice. Parallax. 1992. ISBN: 0938077600

Robert Aitken. Mind of Clover: Essays in Zen Buddhist Ethics. North Point Press. 1984. ISBN: 0865471584

Robert Aitken. Taking the Path of Zen. North Point Press. 1985. ISBN: 0865470804

Robert Aitken. The Practice of Perfection: The Paramitas from a Zen Buddhist Perspective. Counterpoint Press. 1997. ISBN: 1887178406

Robert Aitken. Zen Master Raven: Sayings and Doings of a Wise Bird. Charles E Tuttle. 2002. ISBN: 0804834733

Richard Baker-Roshi. Original Mind: The Practice of Zen in the West. Riverhead Books. 2004. ISBN: 1573221104

Ram Dass. Be Here Now. Crown. 1971. ISBN: 0517543052

Ram Dass. Journey of Awakening: A Meditator’s Guidebook. Bantam Books. 1990. ISBN: 0553285726

Ram Dass. Still Here: Embracing Aging, Changing, and Dying. Riverhead Books. 2001. ISBN: 1573228710

Joan Halifax. The Fruitful Darkness: Reconnecting With the Body of the Earth. Harper SanFrancisco. 1994. ASIN: 0062503138

Stephen Larsen, Joan Halifax.The Shaman’s Doorway: Opening Imagination to Power and Myth. Inner Traditions. 1998. ISBN: 0892816724

Janet Adler, Joan Halifax. Arching Backward: The Mystical Initiation of a Contemporary Woman. Inner Traditions. 1996. ISBN: 0892815469

Originalmente pubblicato su Tricycle magazine, www.tricycle.com, per gentile concessione.
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini
Copyright per l’edizione Italiana: Innernet.

37 Responses to “La psichedelia e il percorso interiore”

  1. eckhart ha detto:

    Robert Aitken:Noi cerchiamo la comprensione, non l’estasi.

    :-)

  2. atisha ha detto:

    “Se stai praticando seriamente per raggiungere la libertà e la comprensione dell’illuminazione, non cercherai mai di evadere dalla situazione presente, per quanto possa essere brutta. La trasformi in ciò di cui hai bisogno.”

    questo il succo..
    :)

  3. Sakshin ha detto:

    Ram Dass: … Penso che l’MDMA sia ottima per la terapia delle relazioni. Aumenta la capacità di essere compassionevoli, amorevoli, di scorgere la bellezza delle persone e tutto il resto, ma non facilita l’esperienza del vuoto o dell’assenza di forma. Di essa non mi piace la componente della velocità, la mascella serrata e quelle cose lì. Ho fatto quasi cinquanta trip con l’MDMA, e ho deciso che potevano bastare.
    °°°
    Mi dispiace dover leggere queste affermazioni. Nonostante abbia apprezzato alcuni libri di Ram Dass, trovo assurdo ciò che dice in parecchi spunti di questa intervista. Secondo me, queste posizioni culturali che si rifanno all’uso positivo della psichedelia e uso di sostanze psicotrope, cosiddette sacre, ai fini di un percoso interiore, sono fuorvianti oltre che pericolose e mi dimostrano che egli è un pseudo maestro, visto che confonde ancora le fenomenologie psichiche con la comprensione essenziale.

    Cosa sta cercando l’individuo quando si droga, aldilà della apparenza, delle motivazioni superficiali che uno si da? Cosa vuol dimenticare… cosa vorrebbe ricordare… da che cosa vuole fuggire… cosa vorrebbe sentire, percepire, raggiungere in quella specie di delirante peregrinare nei meandri della psiche? Che vuoto vuole colmare? Io credo che, aldilà di tutto quello che può sembrare o quello che uno può raccontarsi, il drogarsi sia un distorto quanto sbagliato tentativo di riconnettersi ad una dimensione perduta. Una stupida quanto improbabile scorciatoia tesa ad un paradiso interiore a cui si vorrebbe accedere però con chiavi non idonee. Io penso sia un misero cercare accesso a quel nostalgico luogo di pace e potenza che ognuno di noi ha dentro, ma che andrebbe riscoperto naturalmente, con vie dolci e corrette, e che non può essere fatto in modo artificioso, artificiale. Fondamentalmente violento. Non si può entrare il quello spazio di beatitudine con grimaldelli o espedienti da falsario, da scassinatore. E’ un imbrogliarsi poco fruttuoso: anzi è un nuocersi, un vicolo chiuso, un percorso distruttivo e autodistruttivo. Se non lo si capisce, la pena è la perdita di sè nei gironi infernali della dipendenza. Le porte della felicità, della gioia interiore, della serenità richiedono invece, per aprirsi al nostro cuore, al nostro genuino anelito di conoscenze sublimi, un processo di purificazione, dei passaggi di maturazione obbligati: ovvero, richiedono un “lavoro” interiore che, necessariamente, prima ci liberi dalle scorie dell’orgoglio e della vanità. Che ci temperi bene nella sofferenza vissuta consapevolmente. Che dunque ci faccia crescere in pazienza, in perseveranza, in volontà. Altrimenti rischiamo di auto condannarci a percorrere i gironi dell’illusione, la bolgia del dolore, della mancanza d’amore sia per noi stessi che per chi ci sta intorno. La droga, questa “malefica” sirena tentatrice, aldilà di ogni letteratura che possa anche darle una valenza di strumento atto ad esperienze psudo-sciamaniche, in generale non può portare che alla devianza, introdurre in un percorso altamente rischioso, degradante e degradato. I mezzi autentici, sani e positivi, per colmare quel bisogno interiore di abbandono rilassato, quel senso di Presenza e di energia psico fisica positiva, ancor meglio spirituale… ci sono. Basta cercarli con una vera voglia di star bene, che sa andar oltre l’inganno dell’immediata quanto inutile evasione momentanea. Per far questo bisogna avere il coraggio di essere onesti e amorevoli con se stessi.

  4. (Y)am ha detto:

    Sinceramente trovo patetico questo scritto si Sak…che nel suo Blog ha linkato un documentario sui Sadhu Shivaiti di Pasupatinath, che come e’ noto fumano ogni giorno tonellate di ciaras.

  5. Sakshin ha detto:

    Un documentario sull’India è un documentario… che tra l’altro mi hai fatto scoprire tu. Mi sembrava molto bello, oltre che interessante, sotto l’aspetto culturale.
    Non è detto che tutto quello che fanno i Sadhu Shivaiti debba condividerlo o praticarlo. Trovo che si possa benissimo tornare a Casa senza l’uso di nessuna sostanza stupefacente o psichedelica.
    Semmai, nel mio percorso, ho trovato una certa ispirazione nel Jnana Yoga, che poi è sfociata nel Sahaja (spontaneità e naturalezza).
    Sak :-)

  6. (Y)am ha detto:

    Certo Sak, i Buddisti, per esempio non fumano la ciaras, ma cio’ non significa che il fumare ciaras da parte dei Sadhu Tantrici non abbia un significato…..quindi non generalizzerei troppo.

  7. edo ha detto:

    Ho trovato molto interessante invece questa intervista. Personalemente ho avuto diverse esperienze con le droghe, dall’erba all’LSD ai funghi all’oppio e all’MDMA. Innanzitutto bisogna distinguere fra la sostanza e i fini per cui la si usa: iritengo che le esperienze in questi stati alterati possano essere interessanti e costruttivi se fatti con coscienza, contemporaneamente un abuso e un uso ricreativo porta l’individuo a comportamenti patologici e pericolosi. In generale ogni individuo è diverso ed esattamente come ogni individuo a una sessualità diversa così è anche per il rapporto con le droghe: generalizzare è impossibile. Come quando si guarda un quadro: il quadro è lo stesso ma ognuno lo “vive” in maniera profondamente differente. Per alcuni è fonte di forti emozioni, per altri è esteticamente piacevole, per altri non rappresenta niente.

    Credo che per alcuni individui, sottolineo alcuni, le droghe possano essere un potente mezzo per espandere temporaneamente la propria coscienza e per abbattere le false certezze che la nostra mente (condizionata dalla nostra società e cultura) si è autocreata. E credo che in molte culture l’uso di allucinogeni abbia un significato profondo, sicuramente più che comprare un’auto sportiva o ripetere meccanicamente ritualità religiose. Le mie esperienze le ricordo tutte come grandi momenti di arricchimento e indagine introspettiva. Le droghe psichedeliche mi hanno aperto una nuova finestra e mi hanno condotto a campi di indagine molto lontani dalla mia formazione ingegneristica: cominciai a interessarmi così della coscienza, della percezione, delle filosofie orientali e del mondo magico-sciamanico. Cambiò la mia visione di realtà che era sostanzialmente statica.

    Ora però da quasi un anno pratico il buddismo e la meditazione e ho deciso di lasciare alle spalle le esperienze psichedeliche. La calma e la profondità della meditazione sono a mio avviso totalmente inconciliabili con l’uso di sostanze alteranti. L’obiettivo è il pieno controllo della propria mente, l’abbattimento delle illusioni samsariche e la ricerca dell’esperienza della vacuità, dell’assoluto, del samadhi (ovviamente la realizzazione la vedo lontanissma, ma prima o poi bisognerà pur cominciare!)… è nato il bisogno della compassione e della comprensione per gli altri, di un senso di amore che nessuna sostanza ti può spingere a cercare, è qualcosa che ti nasce da dentro, la volontà di essere meno egoisti, più generosi, più accorti, di mettere in discussione il proprio ego… credo che tutto quello che potevo imparare dalle droghe lo abbia già vissuto, ma per andare oltre, per una comprensione più ampia bisognia adottare altri mezzi, più difficili e impegnativi, più spirituali insomma.

  8. atisha ha detto:

    edo: Ora però da quasi un anno pratico il buddismo e la meditazione e ho deciso di lasciare alle spalle le esperienze psichedeliche. La calma e la profondità della meditazione sono a mio avviso totalmente inconciliabili con l’uso di sostanze alteranti.

    atisha: un’ottima intuizione….
    (menomale che c’è qualcuno che lo sostiene)

    :-)

  9. Marco ha detto:

    Concordo anche io, che pure non ho provato in passato sostanze psichedeliche se non alcune volte un tipo di marijuana dagli affetti simili, sul fatto che alla fine la profondità immediata della meditazione (Zazen, nel mio caso) sia la vera risposta, e che le droghe siano una impossibile scorciatoia verso una meta che non si sa bene quale sia. Perché non c’è, di fatto, una meta. Del resto credo pur vero che nel percorso di vita di ognuno elementi di esperienza con le droghe, affrontati consapevolmente, possano portare ad una maggiore comprensione, nella stessa misura in cui potrebbe farlo un ‘esperienza forte, come ad esempio lo scoppio vicino di un ordigno (il mio Maestro un giorno ha detto, in tono ovviamente provocatorio una frase che suona più o meno: “Fortunato è chi si trova sotto le bombe in guerra, non voi che dovete sforzarvi per ricercare il confronto con l’idea della vostra morte”). Vedo quindi la psichedelia come una delle possibilità di spezzare il cortocircuito del pensiero logico, scoprendo la dimensione del Nirvana intrinseca al Samsara, che sono unite e imprescindibili così come la sostanza di un oggetto è intrinseca alla sua forma. Il “desiderio” di perseguire una via psichedelica, del resto, non farebbe altro che riattivare il cortocircuito del pensiero logico e riproporrebbe infine il problema della dualità, ricreando il legame che si vorrebbe (e ancora, qui, “vorrebbe” non è il termine corretto perché individua un soggetto che vuole e un oggetto voluto) sciogliere.
    Un augurio di samsara consapevole a tutti :-)

  10. Vento e Magnetico ha detto:

    Cosa mi stavo perdendo..!
    Mi sembra che qualcuno sia un po’ fissato con l’acido!
    Anch’io…ma dello yogurt…
    Lo sapevate che la Bayer all’inizio del secolo ne ha combinata una…da nn crederci?
    Linkate su un motore Superfortina.
    Sono tentato di spingere sull’acceleratore ma non è l’occasione ne il posto..
    Tuttavia, sono d’accordo con Sak, che ha espresso con energia la propria opinione.
    Bravo Sak, mi sei piaciuto…!
    Credo che le esperienze prodotte in stati lisergici alla lunga ti scolleghino dalla realtà quotidiana.
    Sicuramente sono momenti di espansione della coscienza, ma lisergicamente parlando, il tuo posto non è nel trip, bensì fuori da esso.
    Il trip eventualmente
    Il ns posto è nella vita quotidiana, lì dove si impastano le energie attivate dalla chimica ormonale.
    E facile fare il marinaio con il mare calmo!
    Ahahahah provare per credere…
    Ecco, la semplicità della creazione ci ha dotato di tutto il necessario.
    Cercare il manuale d’istruzioni che è nella cassetta degli attrezzi!
    Lì nel fondo…profondo
    Giù…
    Nel blu..
    Glu..glu..glu..

    Ahahah
    Saluti
    Magnetico

  11. atisha ha detto:

    bella questa: “E facile fare il marinaio con il mare calmo!”.. magari è vecchia ma non per me.. una chicca che terrò a mente… è così.. è nella vita che bisogna provarsi continuamente con e senza i nostri stati alterati della coscienza..
    detto da te che ne hai fatta esperienza… mi crea grande sollievo, dopo ciò che ho letto qui e là a favore…
    Mi piacerebbe approfondissi ciò che hai iniziato.. avevo sentito raccontare qualcosa in passato..
    ciao :-)

  12. eckhart ha detto:

    Vento:Ecco, la semplicità della creazione ci ha dotato di tutto il necessario.
    Cercare il manuale d’istruzioni che è nella cassetta degli attrezzi!
    Lì nel fondo…profondo

    Anche questa non è male..
    Clap,clap,clap!

  13. Vento e Magnetico ha detto:

    ahahaha…
    Ascolta Atisha…avevo scritto un pò di roba interessante, ma poi il mio inconscio ha deciso che non è il momento per scrivere su questo argomento.
    Volevo fare CTRL + C per copiare e invece o fatto (ha fatto il mio inconscio testa di cazz…) CTRL + V e così ho perso tutto…
    ahahahahah….sto ridendo come un matto…
    Questa è magia…razionalmente volevo scrivere…ma in realtà Magnetico la pensava diversamente…

    Un abbraccio a tutti

    Vento e Magnetico

    Ek…un inchino a te…glu…glu..

  14. Un articolo appena pubblicato sull’uso terapeutico degli psichedelici http://discovermagazine.com/2008/jun/16-could-an-acid-trip-cure-your-ocd
    Eckhart sei un tesoro a tradurre gli articoli ma prima o poi qualcuno ci viene a prendere per violazione di copyright. Se proprio proprio vuoi… un riassuntino

  15. Giusy Figliolini ha detto:

    Mi domando perché rendere complicato ciò che è semplice.
    Le droghe sono una sostanza come un’altra principalmente a valenza neutra, cioè né cattiva né buona, come ogni cosa che ci circonda sono parte di un equilibrio.
    Nessuno si sognerebbe di demonizzare il vino per esempio solo perché esistono gli alcolizzati, tutti sanno che un buon bicchiere di vino ai pasti fa bene sia al corpo che allo spirito, come tutti sanno che bere sistematicamente grosse quantità di vino per anni distrugge il fegato, perché non abbiamo questa posizione anche rispetto alla droga che se utilizzata nelle occasioni giuste e nelle dosi appropriate può portare vantaggi alla salute fisica e psichica?
    E’ solo una questione di comportamento equilibrato e consapevole in relazione alla droga come ad ogni altra cosa, per esempio lo stesso cibo può portare dipendenza e ammazzarci se assunto male, è banale dirlo: ma chi non mangia si ammala, chi mangia troppo si ammala!
    Ora dato che la maggior parte delle persone è evidente che non è abbastanza evoluta per gestire la droga è bene che questa non sia liberalizzata; come è chiaro che essendo la droga una sostanza molto particolare non può esserne lasciato l’uso libero a chi non ha conoscenze sui suoi effetti; anticamente c’erano gli sciamani che sapevano come sfruttarne saggiamente le proprietà, oggi, come si evince dall’articolo, c’è la scienza medica che si sta avvicinando con minore prevenzione ad essa sperimentando.
    Ormai è di uso abbastanza comune l’utilizzo di sostanze oppiacee per lenire dolori cronici in chi ha per esempio problemi alle articolazioni.
    E perché non sperimentare che altre sostanze psichedeliche possano essere a vantaggio della sofferenza sia psichica che fisica di malati terminali, perché non sperimentare che le droghe prese sotto controllo (medico immagino) possano risultare valide per aiutare persone intrappolate in pozze psichiche patologiche e infine perché non utilizzare le droghe psichedeliche per rompere gli schemi mentali dei troppo ottusi ma volenterosi di affacciarsi a stati di realtà non convenzionali e schematici?
    Per questi ultimi è chiaro che dopo aver rotto gli schemi troppo rigidi si prosegue con altre strade, la pacata meditazione o simili ad esempio; alcuni possono non averne bisogno di questa “rottura” iniziale, altri si, anche questo fa parte della varietà infinita delle possibilità.
    Tutto è presente, niente escluso nell’equilibrio generale.
    Chi scrive non ha mai preso droghe, dico questo perché vorrei evidenziare il fatto che non sto facendo propaganda a qualcosa che mi ha particolarmente colpito e mi è personalmente ritornata utile o dannosa, ma tengo a restare “presente” sull’approccio non prevenuto rispetto ad una sostanza “neutra” : è solo il successivo elemento “suo, dosi e indicazioni” che ne caratterizzano la bontà o la pericolosità e per questo occorre conoscenza e consapevolezza delle proprietà della sostanza in questione.

  16. atisha ha detto:

    giusy..
    scusa ma mi hai fatto cadere le braccia…

  17. Sakshin ha detto:

    Anche le lamette da barba sono in se stesse “neutre”, ma non le proponiamo ai bambini – individui inconsapevoli – come strumenti di gioco e sperimentazione, invece delle biglie.
    E chi è consapevole non ha più bisogno di sperimentare con questi distorsori delle fenomenologie interiori della coscienza.
    Giusy dice: perchè non utilizzare le droghe psichedeliche per rompere gli schemi mentali dei troppo ottusi ma volenterosi di affacciarsi a stati di realtà non convenzionali e schematici?
    Perchè, così facendo, li allontani dalla consapevolezza ancor di più di quello che già sono. Non sono gli schemi mentali da rompere, con il rischio di produrre poi patologie mentali, ma si tratta invece di allargare la dimensione della Consapevolezza che trascende quei meccanismi e schemi da cui siamo condizionati. La stessa scelta di rompere gli schemi è un frutto di uno schema seppir alternativo, che però all’interno dello stesso livello di comprensione. E’ come il conformismo dell’anticonformismo. Il piano di coscienza rimane lo stesso. Non ne è aldisopra, fuori dal loop.

  18. Giusy Figliolini ha detto:

    Giusy dice: perchè non utilizzare le droghe psichedeliche per rompere gli schemi mentali dei troppo ottusi ma volenterosi di affacciarsi a stati di realtà non convenzionali e schematici?
    Perchè, così facendo, li allontani dalla consapevolezza ancor di più di quello che già sono.

    Nessuno è in grado di provare questo.
    C’è soggetto e soggetto.
    Non esiste una regola unanime nel campo dello sviluppo della Coscienza.
    Per quanto riguarda le sperimentazioni scientifica essa è alla base di ogni forma di successiva terapia.

  19. eckhart ha detto:

    L’uso consapevole delle droghe psichedeliche nasce col presupposto di “allargare la coscienza” di “bagnarsi in altre acque” per riportare
    poi all’asciutto qualcosa di quell’esperienza..Anche un “ricordo” può essere sufficiente per carpire che c’è un ‘altra “dimensione” da approfondire..
    Non è che poi in effetti sia sempre così..dipende soprattutto da come si è guidati (ecco lo sciamano..)
    o da quanta maturità e buon intento si porta nell’esperienza..

  20. Marco ha detto:

    Sono con giusy, anche se capisco le regioni di la controbatte e ne condivido i principi: le droghe sono una mera illusione. Ma se il mondo pure è illusione e noi stessi con esso, allora si rimescolano le carte.
    Il fatto è che l’esperienza di ciascuno è unica e irriducibile, ed esiste un limite oltre il quale, credo, ha poco senso dire se una cosa è giusta o sbagliata, e tutto si rifà al concetto di responsabilità personale.
    Un percorso di salvezza può iniziare anche da un omicidio (si pensi ad esempio a Padre Cristoforo nei Promessi Sposi), ma è evidente che chi lo commette si prende tutta la responsabilità di un tale gesto.
    Condivido l’idea che l’uso di droghe non ha alcun senso, soprattutto per chi conosce l’accesso a stati meditativi, ed è questa la mia esperienza: oggi mi propongano pure funghetti allucinogeni e libri di Terence Mc Kenna, o peyote e Castaneda. Non mi interessa.
    Resto però convinto che una curiosità sincera ed una pur limitata esperienza fatta intorno ai 25 anni mi abbia comunque portato oggi dove sono. Abbiamo bisogno anche di sbagliare per capire la giusta strada, non coglieremmo la differenza; ed è proprio nella consapevolezza di questa differenza che scopriamo di essere già sulla giusta strada, che ha solo bisogno di essere illuminata.
    Volere prendere a prestito questi ragionamenti per giustificare a se stessi il desiderio di sballarsi assumendo sostanze allucinogene è un comportamento molto poco consapevole e stupidamente rischioso, da “segaioli” se mi concedete il termine. Ritenere che invece, in taluni casi, l’assunzione di certe sostanze possa portare a forme di consapevolezza vuole dire solo di una possibilità reale. Né giusta né sbagliata.
    Vi riporto un ragionamento tratto da un libro che sto leggendo e consiglio caldamente, di Roberta de Monticelli, sul pensiero di Sant’Agostino (“L’allegria della mente”).
    Agostino considera la curiositas, ovvero la distrazione, la “ricerca al di fuori di s锝, una forma sbagliata del desiderio di conoscenza innato nell’uomo, perché “in interiore homine habitat deus”. Però la stessa curiositas, se invece diventa uno stimolo per l’uomo a ritrovarsi nel proprio centro, a riconoscersi per ciò che egli è veramente, torna ad essere uno strumento della vita vissuta che gli conferma la sua vera realtà. La curiositas quindi, la ricerca al di fuori di noi, che è nella sua quintessenza errata così come lo è l’esperienza allucinogena, se diventa una occasione per cogliere l’idea di un ordine perfetto dell’universo (che ci raccoglie in sé, è dato di per sé, e non ha bisogno di stimoli chimici per essere realizzato) può diventare anche una via di conoscenza.
    Ribadisco, se quella della “ricerca” diventa invece una scusa per sballarsi con droghe e provare sensazioni forti sperando di trovare chissà mai cosa al di fuori della meravigliosa strabiliante bellezza del creato (qui cito Totò in “che cosa sono le nuvole” di Pasolini :-) allora è solo un ulteriore contributo alla falsa apparenza di realtà del nostro ego narcisistico e autoerotico.

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