Innernet: Journey into Awareness
and Anima Mundi

2
Dec
2008
0

Non c’è scampo dal mondo

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In questo colloquio-intervista, Andrew Cohen e Joseph Goldstein si chiedono se sia necessario rinunciare al mondo per raggiungere la liberazione. La pratica spirituale riguarda la liberazione della mente dagli attaccamenti. Questa non è né indifferenza né un tirarsi indietro. Riguarda il nostro rapporto col mondo.

Andrew Cohen intervista Joseph Goldstein

Andrew Cohen: Joseph, sembri una persona che ha voltato le spalle al mondo per dedicare la vita alla pratica della meditazione e al raggiungimento della liberazione, ma anche per fare da guida spirituale agli altri. Non sei un monaco, ma la tua vita, paragonata a quella di molta gente qui in occidente, verrebbe in realtà considerata quella di un monaco. Dal momento che hai dedicato la vita alla via del risveglio del Buddha, perché non sei diventato un monaco?

Joseph Goldstein: Non credo di condurre una vita di particolari rinunce, perché sono molto impegnato nel mondo. Sto lavorando con varie istituzioni, come la “Insight Meditation Society”, il “Barre Center for Buddhist Studies” e sto progettando un nuovo ritiro a lungo termine; inoltre, viaggio e insegno. Vivo anche in modo confortevole, quindi voglio dissipare ogni dubbio: non sto assolutamente conducendo una vita di rinuncia dedicata alla pratica intensiva della meditazione, anche se, ogni anno, mi concedo dei periodi per farlo.

AC: Ma, paragonata a quella degli altri, la tua vita è simile a quella di un monaco. Vivi lontano dal mondo, in un centro di meditazione; non hai, al momento, rapporti sessuali; e tutto ciò che ti riguarda ha a che fare con la diffusione del dharma e l’insegnamento della meditazione.

JG: Una delle ragioni per cui non sono mai diventato un monaco è che, quando iniziai a praticare, mi trovavo in India, che non è un paese buddista. La maggior parte dei miei primi insegnanti erano laici; quindi, anche se più tardi ho avuto degli insegnanti monaci, il modello laico è stata la forma con cui sono cresciuto. Ho preso i voti solo per un breve periodo, ma non sono mai stato particolarmente attratto dalla formalità della disciplina monastica.

AC: Se i tuoi primi insegnanti fossero stati dei monaci, pensi che avresti potuto prendere i voti?

JG: Avrei potuto, se avessi cominciato a praticare in Thailandia o in Birmania. Ciononostante, sento che la vita di laico mi si addice, e in qualche modo si addice a questa epoca. Penso che molto del lavoro che abbiamo fatto negli ultimi venticinque anni sia stato più facile perché l’abbiamo fatto come laici.

AC: Per diventare un buddista, devi “prendere rifugio” nella Triplice Gemma: il Buddha, il Dharma e la Sangha. Del Buddha si racconta che fu una persona che andò oltre, o che trascese il mondo. Il Dharma è l’insegnamento buddista della liberazione, un insegnamento che ci libera dall’attaccamento nei confronti del mondo, rendendoci capaci di uscire dalla ruota del divenire. La sangha è la comunità dei fratelli e sorelle con i quali condividiamo un legame di reciproco impegno verso l’illuminazione e la vita spirituale. La relazione con la sangha si pone in contrasto alle relazioni basate sui valori materialistici e mondani. E proprio come i monaci, anche coloro che vivevano in famiglia e seguivano gli insegnamenti del Buddha, (cioè i discepoli laici) dovevano prendere rifugio nella Triplice Gemma, pur rimanendo immersi nelle attività del mondo. Ma, poiché vi avevano preso rifugio, la loro fedeltà non era più rivolta al mondo o ai suoi valori materialistici, bensì all’illuminazione, ovvero alla trascendenza o al non-attaccamento al mondo.

Oggi, so che l’interpretazione della Triplice Gemma è stata resa più inclusiva da alcune persone (per esempio, il tuo antico collaboratore Jack Kornfield) in modo da poter considerare anche la vita mondana come un ottimo veicolo per la pratica spirituale, così come la vita ascetica era considerata il contesto ideale al tempo del Buddha. Nel suo libro After the Ecstasy, the Laundry, Kornfield dice: “I sacrifici di una famiglia sono assimilabili a quelli di ogni rigido monastero, poiché offrono esattamente la stessa pratica di rinuncia, pazienza, fermezza e generosità”. Ma in un’intervista che hai concesso qualche anno fa, hai detto: “Una volta fu chiesto a uno dei miei insegnanti: ‘È veramente necessario rinunciare al mondo per ottenere la liberazione?’. Egli rispose: ‘Anche il Buddha dovette rinunciare al mondo!’ E aveva alcune paramita! (qualità spirituali sviluppate precedentemente)”.

Dunque, è necessario rinunciare al mondo per raggiungere la liberazione? Penso che sia una domanda importante, perché alcune nuove visioni del dharma nate dall’incontro dell’Oriente con l’Occidente, come quelle rappresentate da Kornfield, ma anche da Elizabeth Lesser, autrice di The New American Spirituality, sembrano considerare l’esempio particolare della rinuncia del Buddha più come una metafora del non-attaccamento, che come un modello da seguire alla lettera. Era nel giusto il tuo insegnante quando ricordava che anche il Buddha dovette letteralmente abbandonare il mondo per raggiungere la liberazione? E, secondo la tua opinione, Kornfield ha ragione quando afferma che la vita familiare offre esattamente la stessa formazione di una vita monastica?

JG: Trovo difficile parlare con autorevolezza sulla vita familiare, perché non ne ho esperienza. Nel buddismo, si parla della via alla liberazione in termini di livelli di illuminazione, ognuno dei quali sradica diversi tipi di ostacoli o scappatoie della mente. E nei testi buddisti ci sono numerose storie di persone che hanno raggiunto livelli molto elevati di risveglio, pur vivendo in famiglia. Le persone di mia conoscenza con una vita coniugale soddisfacente, si sono impegnate moltissimo per fare della vita nel mondo la loro pratica. Possiamo dire: “La vita è la mia pratica”, ma che lo sia davvero o meno, è qualcosa che ognuno deve esaminare da sé, con attenzione. Da un certo punto di vista, la via della famiglia sembra più difficile del cammino della rinuncia, perché in essa ci sono molte più distrazioni.

Penso che tutti noi dobbiamo considerare onestamente quali sono le nostre autentiche aspirazioni spirituali. Non penso che si tratti di un aut-aut. La via della famiglia è possibile, ma richiede un impegno e una volontà molto forti. Ho avuto un’insegnante, una donna chiamata Dipa Ma, che era altamente illuminata e possedeva incredibili livelli di concentrazione e samadhi (assorbimento meditativo). Lo sviluppo della sua saggezza, della compassione e dei poteri della mente era straordinario; era una yogini incredibilmente completa. E viveva in famiglia. Aveva una figlia e un nipote, e conduceva una vita casalinga, ma lo faceva in un modo stupefacente.

AC: Sei d’accordo con la dichiarazione di Kornfield: “I sacrifici di una famiglia sono assimilabili a quelli di ogni rigido monastero, poiché offrono esattamente la stessa pratica di rinuncia, pazienza, fermezza e generosità”?

JG: La vita familiare ha la potenzialità di sviluppare queste qualità, ma non credo che necessariamente le sviluppi. Ovviamente, essere un genitore richiede uno straordinario sacrificio e dà l’opportunità di sviluppare l’amore, la comprensione e la pazienza, cioè molte delle paramita. Ma non sono sicuro di quanto effettivamente le sviluppi in profondità, trasformando la saggezza nella natura vuota e priva di sé delle cose. Essere un genitore non conduce necessariamente a questo. Altrimenti, la maggior parte delle persone sarebbe pienamente illuminata!

AC: Pensi che se qualcuno avesse avuto questa aspirazione a illuminarsi, molto difficilmente avrebbe scelto la vita familiare?

JG: Se l’aspirazione centrale della nostra vita è la Liberazione, persone diverse la cercheranno in modi diversi. E questo dipenderà sia dall’intensità del desiderio della liberazione, sia dal nostro condizionamento karmico, cioè dalle nostre tendenze o inclinazioni individuali. Potrei immaginare di entrare in una relazione con la speranza di non creare attaccamento. Ma, di nuovo, penso che sia necessaria molta onestà per farsi strada nell’inerzia dei nostri modelli abituali e vedere quali sono le nostre vere motivazioni. Infatti, sia al livello del dharma che a quello del mondo siamo trascinati da energie diverse ed è facile non capire quello che sta realmente succedendo.

AC: Quindi, quando il tuo insegnante diceva: “Anche il Buddha dovette rinunciare al mondo!”, cosa intendeva?

JG: Beh, per considerare la cosa da un altro punto di vista, è facile cadere nella trappola di pensare, come ho detto prima: “Oh si, la vita è la mia pratica”, senza però farlo davvero per le molte difficoltà, e così concludere sottovalutando l’importanza di prendersi davvero dei periodi nella propria vita in cui riposarsi e fare un passo indietro, se non addirittura di diventare monaco o monaca a vita. C’è un forte impulso a non farlo, così uno potrebbe lasciarsi sfuggire il potere, la forza e la chiarezza che arrivano grazie a quel tipo di rinuncia. Questa è una delle cose che la gente apprezza riguardo ai ritiri: sono un’occasione per fare un passo indietro, cosa molto rara nella nostra cultura. Penso che abbiamo bisogno di farlo, e più sono alte le nostre aspirazioni, più probabilmente avremo questa necessità.

Questo è il grande esperimento del dharma in occidente. E voglio vedere se siamo in grado di creare un modello grazie al quale la gente con una forte aspirazione per la Liberazione può realizzare quest’ultima senza necessariamente diventare un monaco o una monaca. Abbiamo appena cominciato a formulare la risposta a questa domanda: forse è possibile, forse no.

AC: La mia prossima domanda deriva proprio da questo. Non c’è dubbio che la maggioranza degli occidentali buddisti (o comunque praticanti gli insegnamenti del Buddha sull’attenzione e la meditazione) sono laici che, pur restando pienamente immersi nella vita del mondo con i suoi interessi e preoccupazioni, manifestano un sincero interesse nell’approfondire la comprensione della natura e del significato dell’esperienza umana alla luce degli insegnamenti del Buddha. Eppure, il Buddha stesso fu un’asceta che disse: “La vita familiare è una via polverosa e piena di ostacoli, mentre la vita ascetica è come il cielo aperto. Non è facile per un uomo che vive nel mondo praticare la vita santa in tutta la sua pienezza, purezza e luminosa perfezione”. Ha detto anche: “Il pavone che vola nell’aria non si avvicinerà mai alla velocità del cigno. Similmente, l’uomo che vive in famiglia non può mai assomigliare al monaco saggio, che medita in disparte nella giungla”.

JG: Prenderò i voti, prenderò i voti! Dove sono le tuniche?

AC: (ride) È vero, ovviamente, che viviamo in tempi “più illuminati” e che per molti aspetti è difficile paragonare le circostanze storiche e culturali dell’India antica con l’Occidente contemporaneo. Tuttavia, l’attaccamento resta l’attaccamento e la libertà resta la libertà; i trabocchetti e i pericoli del cammino spirituale non sono cambiati di un millimetro negli ultimi 2500 anni. Quello che volevo chiederti, quindi, è: quando sono arrivati nell’occidente contemporaneo, materialista e narcisista, gli insegnamenti del Buddha sono stati annacquati per risultare appetibili a coloro che non oserebbero mai prendere sul serio gli insegnamenti del Buddha sulla rinuncia? O il Buddha era fuori strada e troppo estremo perché le sue indicazioni possano essere valide in ogni tempo?

JG: Ci troviamo in una situazione molto interessante. Oggi gli insegnamenti sono accessibili a persone che non hanno alcuna familiarità con essi; è un processo che sta avvenendo. Ma a differenza delle culture asiatiche, dove la rinuncia – anche quando non viene praticata – conserva un suo valore, qui non è apprezzata, per cui c’è una curva dell’apprendimento spirituale. E negli ultimi venti, venticinque anni di insegnamento, ho visto un numero di persone sempre maggiore che vorrebbero fare il passo successivo verso un livello di rinuncia più completo e profondo. Penso che nella gente sta maturando la comprensione del significato della rinuncia.

AC: Stai dicendo, quindi, che dobbiamo evolverci fino al punto in cui riconosciamo tale necessità, per poi cominciare ad agire di conseguenza?

JG: Si, ed essa potrebbe prendere forme diverse, che si tratti di un laico che trascorra dei periodi di rinuncia… Oppure potrei anche immaginare la crescita di una sangha monastica. Io credo, però, che è qui che si debba ricercare la profondità.

AC: La profondità sarà raggiunta quando le persone avranno dato tutta la loro vita per il raggiungimento della liberazione: è questo che intendi?

JG: Si, e poi queste persone troveranno la forma appropriata per esprimerla. Penso che un periodo in cui praticare la rinuncia sia sempre importante. Ma c’è anche la questione su cosa sia veramente la rinuncia. Nei testi buddisti si trova un esempio famoso che paragona un eremita dentro una grotta, che ha rinunciato al mondo ma è pieno di desideri, a qualcuno che vive nel lusso, ma la cui mente è libera dai desideri. La forma esteriore di rinuncia deve sostenere quella interiore; altrimenti, l’esteriorità non ha alcun significato. Dobbiamo vedere cosa favorisce la rinuncia all’avidità, all’odio, alla delusione. Cosa favorisce la rinuncia a considerare le cose come il sé? Questi, per me, sono l’interrogativo e la rinuncia fondamentali. Ed è una cosa che può essere praticata in qualsiasi circostanza. Negli ultimi anni, la mia pratica si è fatta via via più semplice. Di base, si riassume in una frase detta dal Buddha: “Nessuna cosa deve essere assunta come ‘io’ o come ‘mia’”. Questo è tutto. Questa è la pratica; qui si trova la libertà.

Andrew Cohen: Vorrei chiederti del rapporto tra la meditazione e la trascendenza del mondo, dove per “mondo” si intende l’attaccamento e il divenire. Può, la pratica della meditazione, scendere davvero in profondità e avere il potere di liberarci, se non si è già abbandonato il mondo dell’attaccamento e del divenire, almeno in una certa misura? In altre parole, se la pratica della meditazione non ha già radici nella rinuncia al mondo, come può avere il potere di liberarci o di renderci capaci di trascendere il mondo?

JG: Se per “libertà” intendiamo una mente che non considera nulla come “io” o “mio”, penso che possiamo accostarci a essa in due modi. Un approccio è focalizzare la mente sugli oggetti dell’esperienza, penetrandone il carattere illusorio, e questo provoca il lasciarsi andare. Cominciamo a scorgere l’inconsistenza di ogni cosa. Di fronte a ciò, la mente inizia a lasciar andare la presa, perché si accorge che non c’è niente di solido cui aggrapparsi. Un altro approccio è avere effettivamente un bagliore del vuoto, della natura aperta della mente che non produce attaccamento, e avere un’immediata apertura nei confronti di tale esperienza. Penso che, tradizionalmente, le due scuole siano in contrasto l’una con l’altra: “Questa via è migliore o più veloce o più eccelsa”. Ma, almeno secondo la mia esperienza, entrambe sono valide e si intrecciano costantemente. Sono pochissime le persone che, avendo avuto un bagliore di questa natura assoluta, aperta e vuota, sono arrivate alla fine, ritrovandosi totalmente libere; infatti, i modelli abituali sono molto forti.

Andrew Cohen: Sembra che nel buddismo in generale, e specialmente nella scuola Theravada, considerata quella allineata in modo più stretto agli insegnamenti originali del Buddha, la trascendenza del mondo sia un tema fondamentale dell’insegnamento. Tuttavia, viviamo in un’epoca nella quale molte voci influenti del mondo spirituale mettono in rilievo, con vigore, quelli che considerano i pericoli di questo tipo di visione: cioè che è patriarcale, gerarchica, contro la terra, il corpo, la sessualità e la femminilità. Il noto biologo e filosofo Rupert Sheldrake ha detto in un’intervista rilasciata per “What is Enlightenment?”:

JG: “È possibile considerare l’intera creazione come un grande errore, niente altro che una serie di futili e infiniti cicli di manifestazioni, nascita, morte, rinascita e nuova morte e così via all’infinito. A quel punto, la sola risposta è una specie di caduta verticale dentro il regno senza tempo dell’essere, dove dimentichi e lasci alle spalle tutto ciò. Quando vivevo in India, ho scoperto che… alcuni buddisti Theravada avevano fatto propria questa visione. Il loro unico intento era staccarsi interamente da questo mondo del divenire e spiccare il balzo verso la salvezza individuale”.

Inoltre, l’influente scrittore spirituale e, come lui stesso si è definito, il “mistico gay” Andrew Harvey afferma nel suo libro, The Return of the Mother:

“Le tendenze contrarie alla vita, al corpo e alla donna, presenti sia nella tradizione Therevada sia (in misura minore) nella tradizione Mahayana, sono un ostacolo. Molte scuole buddiste insegnano che non si può raggiungere l’illuminazione in un corpo di donna; il meglio che una donna può fare, se è molto fortunata, è servire i monaci. Già nelle fasi iniziale del buddismo, i monaci maschi si separarono dalla società e furono considerati superiori a essa. L’unico obbiettivo dell’incarnazione fu visto come la liberazione dal samsara. In tutto questo ci sono estremismo, paura della natura e isteria repressa; il buddismo Mahayana ha cercato di mitigare queste posizioni soprattutto con la sua concezione del servizio divino e dell’ideale del bodhisattva. Ma anche nel Mahayana le donne sono decisamente sottovalutate; il termine tibetano per donna significa letteralmente ‘nascita minore’. Un’enfasi straordinaria sull’illuminazione può condurre al distacco da questa vita e dalle sue responsabilità attive, oltre che a una radicale sottovalutazione della sacra saggezza della vita quotidiana…Non possiamo più permetterci il lusso di questo volo nella trascendenza, perché anche a causa sua nessuno è intervenuto a fermare la rovina e la devastazione della natura”.

Andrew Cohen: Joseph, sei d’accordo con Sheldrake e Harvey? È vero che l’enfasi del Buddha sulla trascendenza del mondo è contraria alla vita e provoca involontariamente distruzioni e divisioni?

JG: Durante il ritiro, ho avuto esperienze di straordinaria pace, calma e unione, che però dall’esterno potevano venire scambiate per indifferenza, freddezza o disinteresse. Il rischio di proiezioni sui singoli praticanti e l’intera tradizione è molto grande. Penso, quindi, che sia molto importante non cadere in queste generalizzazioni che nulla hanno a che vedere con l’esperienza autentica dei praticanti; infatti, la loro esperienza può essere completamente diversa da ciò che appare dall’esterno. È molto facile rimanere impigliati nei giudizi sulle altre persone e le altre tradizioni, frutto delle nostre proiezioni, prevenzioni e punti di vista. Detto questo, penso che la tua domanda, in realtà, ruoti intorno al significato della trascendenza. Le persone usano questa parola in tanti modi diversi; secondo la mia prospettiva, gran parte del contenuto di questa domanda proviene – sarò netto e chiaro – da una limitata concezione della trascendenza o da un’idea di questa diversa dalla mia.

Uno dei significati della trascendenza è restare consapevoli di una dimensione “altra”, separata dalla terra, dove si è in una sorta di beatitudine. Non penso, però, che questo fosse ciò che intendesse il Buddha, né che riguardi la pratica del buddismo Theravada o di qualsiasi altra tradizione buddista da me conosciuta. La trascendenza autentica, secondo la mia comprensione, è molto più semplice. È la trascendenza del senso del sé, il quale si forma attraverso l’identificazione con i vari aspetti dell’esperienza, scambiati per il sé. È la realizzazione della vacuità del sé. Penso che la trascendenza autentica sia una funzione della saggezza, non di un qualche stato alterato o dell’essere trasportati in un’altra dimensione. La sua espressione può prendere poi molte forme. Può prendere la forma di un forte coinvolgimento nel mondo o dell’andare a vivere in una grotta sull’Himalaya; non credo che esista una gerarchia delle azioni compassionevoli.

Quando il Buddha, nelle sue innumerevoli vite passate, si ritirava in qualche caverna a praticare, una persona normale avrebbe potuto pensare che si fosse ritirato dal mondo. Ma considerando questi ritiri come un momento del suo cammino verso la buddhità e tutte le compassionevoli attività che ne derivarono (cioè l’illuminazione di tutti noi) non si può dire che il tempo trascorso nelle caverne sia stata una negazione del mondo. Però, quando consideriamo isolatamente un momento dell’esperienza o del cammino di una persona, otteniamo una visione molto distorta del quadro generale.

AC: Penso che queste citazioni evidenzino l’opinione che il mondo sia identico al samsara, il perpetuo alternarsi di nascita, morte e rinascita, e di come nella filosofia buddista (in modo specifico nel buddismo Therevada) l’unica idea sia “elevarsi”, liberare se stessi da questo infinito ciclo del divenire.

JG: Qualcuno potrebbe affermare che il Buddha, dopo la sua illuminazione, indugiò nel samsara?

AC: Di certo, non visse nel mondo.

JG: No, visse nel mondo: camminò sulla terra.

AC: Camminò sulla terra, ma il mondo in cui visse fu una sua creazione; era circondato dai suoi monaci, non visse una vita mondana.

JG: Ma questa distinzione, per me, non è il punto saliente. È possibile vivere come un monaco, un asceta, e cercare allo stesso tempo di alleviare la sofferenza del mondo, come fece il Buddha. Egli non si isolò, non si ritirò, non si staccò dal mondo. Da un certo punto di vista, era totalmente coinvolto; il punto chiave è che poté farlo da uno spazio di libertà, piuttosto che da uno di schiavitù. La pratica spirituale, anche nelle tradizioni più ortodosse, riguarda la liberazione della mente dagli attaccamenti. Questa non è né indifferenza né un tirarsi indietro. Riguarda il nostro rapporto col mondo. Ci relazioniamo da uno spazio di libertà o di non-libertà?

AC: Quindi non sei d’accordo con le critiche di Harvey?

JG: Per niente. Storicamente, esistono molte sovrapposizioni culturali, e le discussioni sui rapporti uomo-donna riguardano, io credo, più la cultura che il dharma, perché chiaramente dal tempo del Buddha fino a oggi sono esistite molte donne pienamente illuminate.

AC: Quindi, stai dicendo che sei in totale disaccordo con questa interpretazione del buddismo Therevada, secondi cui lo scopo della liberazione è “uscire” dal mondo. Si tratta di una comprensione sbagliata dell’insegnamento del Buddha?

JG: Di nuovo, dipende. Cosa si intende per “mondo”? Ti riferisci alla società americana consumista o al pianeta sul quale gli esseri umani camminano? Finché saremo vivi, non penso che ci sarà mai scampo dal mondo. L’obiettivo è la libertà dall’attaccamento, dalla sete del desiderio; non è la non-esistenza. Infatti, il Buddha ha detto che desiderare la non-esistenza è solo un’altra forma di brama insita nella nozione del sé.

AC: Ma alcune persone, da un certo punto di vista, potrebbero pensare che ciò implichi la distruzione del mondo. Infatti, se leviamo la “sete del desiderio”, potremmo provocare un disimpegno tale che l’intero mondo rischierebbe di andare in pezzi.

JG: Non vedo tutto ciò come disimpegno, ma come la differenza tra il non-attaccamento e il distacco. Il distacco implica il ritirarsi, il chiamarsi fuori, forse anche il disinteresse. Non vedo il cammino del Buddha come distacco, bensì come non-attaccamento, cioè essere completamente presenti senza produrre attaccamenti. E in questo, per me, risiede l’unione del vuoto e della compassione. C’è la possibilità, quindi, di essere totalmente impegnati, ma senza attaccarsi a niente.

AC: Questa sarebbe la miracolosa posizione dell’illuminazione.

JG: Sì. E persone diverse esprimeranno in modi diversi quell’illuminazione e il cammino per raggiungerla. Possono esserci periodi in cui è necessario ritirarsi dal mondo nel modo che è stato suggerito. Questo, però, è un tratto di un viaggio ben più lungo.

AC: Diversamente dal buddismo, nell’ebraismo e nell’islam (soprattutto nel sufismo) la rinuncia e la trascendenza del mondo (così come le ha insegnate il Buddha) non solo vengono scoraggiate, ma talvolta sono aspramente criticate come contrarie ai principi fondamentali della loro dottrina religiosa. Sheikh Tosun Bayrak dell’ordine sufi Halveti-Jerrahi ha detto in un’intervista concessa a “What is Enlightenment”:

“La rinuncia è un peccato. Essa significa che, quando sono assetato, Lui, Allah, mi offre un bicchiere d’acqua e io dico: ‘No, grazie’. Questo è un peccato, è estrema arroganza! Non si tratta solo della mia opinione, ma di quella di tutti i sufi. Dovresti accettare qualsiasi cosa ricevi e farne buon uso. Se non la vuoi, dalla a qualcuno che ne ha bisogno! Io possiedo, sia resa lode ad Allah, abbastanza soldi. Ma se oggi Lui mi desse un milione di dollari, non li rifiuterei. Li prenderei, li darei a coloro che ne hanno bisogno e ne serberei anche un po’ per me. Mi comprerei una nuova auto al posto della vecchia e forse un paio di scarpe da 150 dollari. Sarebbe un gran giorno!

Non c’è bisogno di andare nei monasteri o scalare l’Himalaya… Devi andare nel mondo e partecipare. Per esempio, il mio insegnante, Sheikh Muzzaffer, amava mangiare, gli piaceva il buon cibo. E aveva una giovane moglie che amava molto. Lui diceva spesso: i soldi dovrebbero essere tanti nelle tue tasche, ma nessuno nel tuo cuore”.

Anche per gli Ebrei, l’impegno totale nel mondo e nella vita è visto come l’adempimento della chiamata religiosa. Secondo loro, è solo vivendo con tutto il cuore i comandamenti che il potenziale spirituale della razza umana può realizzarsi. Lo studioso ebreo David Ariel scrive:

“Quando diventiamo i maestri della nostra vita e godiamo di tutto ciò che quest’ultima ci offre, abbiamo portato alla luce la divinità che è in noi. Quando aiutiamo l’evoluzione di un’altra persona, portiamo a compimento il lavoro della creazione. Quando aiutiamo lo sviluppo del potenziale umano di ciascun individuo, abbiamo portato Dio nel mondo. Dio ha bisogno del nostro aiuto, perché solo noi possiamo perfezionare il mondo”.

Io so che, anche se l’ideale del bodhisattva è di liberare tutti gli esseri senzienti prima di se stesso (soprattutto nella tradizione Mahayana), tale salvezza degli altri consiste soprattutto nella liberazione dalle catene del samsara, non nella “spiritualizzazione” del mondo, come sottolineano queste religioni mediorientali. Cosa rispondi tu, come importante insegnante buddhista, alle accuse dei nostri fratelli mediorientali secondo cui la tua religione non solo inibisce la realizzazione del potenziale spirituale del mondo attraverso l’uomo, ma di fatto ci spinge ad abbandonare ogni responsabilità nei suoi confronti?

JG: Penso che tale discussione si svolga a un livello sbagliato, perché si limita a considerare le apparenze: se uno vive nel palazzo o nella grotta, se ha una relazione o no. Non credo che queste siano le domande fondamentali. Penso che la domanda fondamentale sia: “Chi è che sta appagando il desiderio o vi sta rinunciando?”.

AC: Il punto, però, è che tu sei buddista! In quanto tale, non vuoi quindi rispondere per niente a questa domanda? Volevo soltanto che tu commentassi un poco gli insegnamenti sulla rinuncia e la trascendenza del mondo.

JG: Da un certo punto di vista, vivo più come un sufi che come un monaco buddista. Ma, di nuovo, non vedo la forma come l’essenza della realizzazione. Per esempio, se vai al cinema, vieni totalmente preso dalla trama del film. Potrebbe essere il film di un monaco nella grotta o di qualcuno che si gode pienamente la vita, ma se guardi in alto e vedi il fascio di luce che attraversa la sala e atterra sullo schermo, comprendi che non sta succedendo niente. È tutta apparenza! Penso che se ci blocchiamo nella ricerca di quale apparenza sia la più giusta o spirituale, perdiamo completamente di vista il fatto che la libertà non dipende dal tipo di film trasmesso; essa si trova nella mente priva di attaccamenti, qualunque essi siano.

AC: Certo, questa è la risposta finale a tutte le domande, e dopo di essa, naturalmente, non resta nulla da dire. Ma la ragione per la quale faccio queste domande è che anche i sufi hanno degli insegnamenti sul non-attaccamento. E se guardiamo al buddismo classico, c’è senza dubbio una grande enfasi sulla rinuncia al mondo e sul diventare monaco. Sono sicuro che i monaci buddisti tradizionali sentono fortemente il loro cammino. I sufi, però, affermano: “No, comportarsi così vuol dire fondamentalmente negare Allah o Dio”… E ne sono molto convinti! Dunque, chiarire questi interrogativi aiuta a gettare luce sull’argomento. Molti, al giorno d’oggi, usano la risposta che hai appena dato per evitare di comprendere quanto attaccamento c’è davvero in noi. E il fatto è che la maggioranza delle persone – sono certo che tu lo sai, visto che sei un insegnante – hanno profondi, radicati attaccamenti. A un livello più relativo, quindi, questi argomenti diventano davvero importanti.

JG: Alcuni anni fa, mi trovavo a una conferenza cristiano-buddista a Gethsemane sulle diverse tradizioni spirituali. Il Dalai Lama ripeteva continuamente: “Sapete, la mia via è giusta per me. La vostra via può essere giusta per voi”. Egli rispetta totalmente il fatto che le persone possono percorrere strade diverse in periodi diversi. Non vedo la necessità di fare generalizzazioni come: “Sì, la celebrazione della vita dei Sufi è la via” o: “No, la rinuncia Buddista è la via”. In realtà, bisogna considerare…

AC: …Ciò che succede effettivamente dentro l’individuo.

JG: Esattamente. E come abbiamo appena detto, qualcuno può vivere una vita di rinunce esteriori ma restare pieno di desideri; lo stesso, però, potrebbe succedere per chi ha una vita molto impegnata. Così, si ritorna sempre a ciò che realmente accade. Ed è qui che un insegnante può essere di grande aiuto, perché talvolta è difficile vedere le cose da soli. Come sappiamo, è molto facile rimanere intrappolati.

AC: OK, un ultimo tentativo…

JG: Per indurmi a esprimere un’opinione?

AC: Sì, giusto!

JG: “Quei tipi non vanno bene!”

AC: (ride) Ho un’ultima domanda. Penso si possa dire che, per la maggior parte delle persone coinvolte nell’esplosione spirituale provocata dall’incontro tra Oriente e Occidente (esplosione che oggi si manifesta con sempre maggiore velocità), Gautama il Buddha e Ramana Maharshi (uno degli studiosi del Vedanta più rispettati dell’era moderna) emergono come esempi impareggiabili di illuminazione piena. Tuttavia, è interessante notare come, a proposito della relazione che il ricercatore deve tenere con il mondo, i loro insegnamenti divergano moltissimo. Il Buddha, colui che rinuncia al mondo, incoraggiava i ricercatori più sinceri a lasciare il mondo per seguirlo in una vita santa, liberi dagli affanni e dalle preoccupazioni della vita famigliare.

Ma Ramana Maharshi sconsigliò ai suoi discepoli di lasciare la vita famigliare per cercare una concentrazione spirituale più grande e intensa. Di fatto, sconsigliò ogni atto esteriore di rinuncia e, invece, incoraggiò il ricercatore a cercare dentro di sé la causa dell’ignoranza e della sofferenza. Infatti, oggi molti dei suoi devoti (il cui numero è in costante crescita) affermano che il desiderio di rinuncia è in realtà un’espressione dell’ego, di quella stessa parte di sé che intendiamo abbandonare se vogliamo essere liberi. Naturalmente, il Buddha sottolineava molto la necessità della rinuncia, del distacco, della disciplina e delle regole, considerandole le fondamenta stesse da cui può nascere la liberazione. Perciò, perché pensi che le vie di questi due luminari dello spirito divergano tanto? E perché, secondo te, il Buddha incoraggiava i discepoli a lasciare il mondo mentre Ramana Maharshi li spingeva a restarvi?

JG: Da un certo punto di vista, c’è una risposta molto semplice a questa domanda: “Non ne ho proprio idea!”.

AC: Molto sincero.

JG: Di nuovo, però, si ritorna al significato della rinuncia. Mentre riassumevi l’insegnamento di Ramana – che incoraggia i discepoli a guardare dentro, vedendo dove sono gli attaccamenti e lasciandoli andare – non mi sembravano molto diversi da quelli del Buddha. Quest’ultimo vedeva la rinuncia come un modo per creare quelle condizioni affinché fosse possibile fare le stesse cose che diceva Ramana. Ancora una volta, quindi, non creerei questa grande divisione.

AC: È una domanda importante, tuttavia, perché molte persone si fanno facilmente delle idee fisse su ciò che sia l’illuminazione. Almeno con questi due uomini, i più ammettono che, qualunque cosa abbiano detto, sono degli esempi in buona fede. Il Buddha, anche se ebbe dei discepoli laici illuminati, senza dubbio pose una particolare enfasi nel lasciare il mondo, mentre Ramana non lo fece affatto. E il Buddha ebbe un sacco di guai perché molti ragazzi abbandonarono la famiglia fuggendo dalle responsabilità sociali per condurre una vita di santità. Creò un bel subbuglio e molte persone ne furono turbate. Questo, quindi, solleva la domanda: perché lo fece?

JG: Si tratta di abbandonare la vita laica per una vita di maggiore semplicità. Non si abbandona la vita laica per qualche motivo egoistico, ma (nella maggior parte dei casi) per sviluppare una saggezza e una compassione maggiori che possono essere di grande aiuto al mondo. Penso che nella nostra cultura la semplicità e il distacco dal lavoro (anche per brevi periodi) vengano sempre più apprezzati. Nell’India di Ramana (lo so perché io stesso vi ho trascorso un periodo di tempo) la vita era davvero semplice e tranquilla. E, sebbene ora non viva completamente in quel modo, quella via conserva per me un grande fascino. Quindi, quando penso alla vita semplice dei monaci e delle monache, come l’ha insegnata il Buddha, mi sembra deliziosa.

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Joseph Goldstein, Jack Kornfield. Il cuore della saggezza. Esercizi di meditazione. Astrolabio.1988. ISBN: 8834009398

Joseph Goldstein. La pratica della libertà. Appunti sulla meditazione di consapevolezza. Astrolabio. 1995. ISBN: 8834011821

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Jack Kornfield. After the Ecstasy, the Laundry: How the Heart Grows Wise on the Spiritual Path. Bantam Doubleday Dell. 2001. ISBN: 0553378295

Andrew Harvey. The Return of the Mother. J. P. Tarcher. 2000. ISBN: 1585420735

Copyright originale “What is Enlightenment” magazine www.wie.org
Traduzione di Nityama Masetti. Revisione di Gagan Daniele Pietrini.

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92 Responses

  1. Paritosh:

    Ma io sono un ricercatore..e chi vuol guarire deve sentirsi ammalato..e non si può guarire dalla mente se ci sentiamo già realizzati..ed io non mi sento tale..e ho quindi il diritto di vedere il deserto di una vita senza Consapevolezza..costellata da qualche oasi per sopravvivere..

    ***
    Ti lascio tre chicche sulle quali sarebbe bene meditassi, mio caro Paritosh.

    La verità non è molto atletica. Non può acchiapparti se corri in giro.
    Può afferrarti e abbracciarti solo se non ti muovi (Poonja)
    ***
    Potete osservare una cosa detta ‘io’? Sfugge. Osservatelo ora e ditemi. Come lo guardate? E cos’è la cosa che sta guardando ciò che chiamate ‘io’? Ecco il nocciolo della questione: quello che sta guardando ciò che chiamate ‘io’ è …l”io’. Sta creando un’illusoria divisione di se stesso, in soggetto e oggetto, ed è grazie a questa divisione che continua. … Ed è interessato solo a continuare così… Finché vorrete capire questo ‘io’ o cambiarlo in qualcosa di spirituale, o santo… continuerà. Se lo lasciate in pace, non c’è più, se n’è andato. (U.G. Krishnamurti)

    E dulcis in fundo, questo è il top:

    Il risveglio non può accadere finché persiste l’idea di essere un ricercatore. (Ramesh Balsekar)

    Buon “lavoro”… ah ah ah!
    Questi sono tre bei Koan per ricercatori intellettuali come te.
    Namastè! :-)

  2. paritoshluca

    Paritoshluca mi ha incaricato di continuare la conversazione perchè lui si è rotto le balle a sentire intellettuali dell’illuminazione realizzati solo nelle loro fantasie e appunto per questo sordi a qualsiasi considerazione sul percorso di realizzazione..
    Capisco che è facile leggere un paio di libri e reputarsi Cavalieri come Don Chisciotte…ma non meravigliamoci poi se saremo considerati una compagnia molesta..e inconcludente..
    Segretario di Paritoshluca
    swami anand pallerotte..

  3. eckhart

    Ah ah ah !
    La strategia della fuga con segretario vedo che fa proseliti..
    e che così che si comincia eh eh eh !
    Lascia perdere i libri Paritosh..
    Occhio Paritosh..occhio puro.. ;-)
    ciao :-)

  4. paritoshluca

    63eckhart

    Ah ah ah !
    La strategia della fuga con segretario vedo che fa proseliti..
    e che così che si comincia eh eh eh !
    Lascia perdere i libri Paritosh..
    Occhio Paritosh..occhio puro.. ;-)
    ciao :-)

    ************
    Paritoshluca mi dice di dirvi che non legge libri da molti anni..
    perchè dice che non ha nulla da imparare da questi..
    Si diletta solo a scrivere in internet per passare il tempo..in attesa che certi lavori interiori progrediscano..
    Mi dice anche di non offendervi se alle volte si mostra impaziente e scostante..ma è fatto così..anche se io conoscendolo bene attesto che è una persona amabile ed educata..mite e comprensiva..
    adesso mi chiama perchè vuole che lo serva a cena..come si conviene ad un buon segretario..
    sw anand pallerotte

  5. eckhart

    Caro sw anand pallerotte, dica pureal suo Paritosh che non c’è un bel nulla d’attendere ,ma che la morte e la Vita è solo questo momento,di mandare a fanc..la sua mente, le sue aspettative, ed ogni pensiero a queste donato.
    Dica pure che sappiamo quanto sia mite e comprensivo ,e per fortuna, senza amoreincondizionato… ;-))))

    firmato:il fantasma del meister

  6. eckhart

    “Pochi di noi sono pronti ad accettare che non si debba fare niente per realizzare la verità:la mente ,a causa dei condizionamenti ricevuti,rifiuta di sentirsi inutile e di dovere diventare quasi passiva.
    Ciò che siamo realmente è aldilà di ogni comprensione intellettuale,mentre la mente ci fa perdere nei meandri dei concetti.
    Poichè ci lasciamo controllare la mente,invece di controllarla,le Scritture sacre e i Maestri devono imbrigliarla ed escogitare delle pratiche da “fare”.

    (da “Divina Ipnosi” di S. Heber Percy ed.Laris)
    Un testo per ricercatori evoluti ;-)

  7. Mouka

    Sono capitato su questo sito un po’ per caso e ho letto l’intervista con Goldstein, che ho trovato interessante in quanto affronta un tema che ritengo importante nel mondo occidentale di oggi : quali possono essere il significato e l’applicabilità dell’insegnamento buddhista sulla rinuncia, all’interno di una realtà come quella in cui noi viviamo nel tempo presente ?
    Credo di aver capito che una risposta chiara a questa domanda non c’è, perchè essa dipende essenzialmente da chi si pone la domanda, dalla situazione particolare in cui vive e dal suo personale cammino di ricerca.
    Poi ho letto i commenti fino in fondo (più o meno), ma devo dire che non mi hanno aiutato molto a capire : mi sembra che non parlino dello stesso argomento; mi pare che un problema in se stesso interessante sia stato preso come pretesto per un “dibattito” che in molti casi sfiora lo scambio di insulti reciproci (come accadeva in molte assemblee studentesche di una volta).
    Mi viene da pensare che forse è proprio vero che noi italiani non siamo capaci di parlare e discutere in modo pacato e costruttivo tra di noi, ma spesso tendiamo a trasformare tutto in una quasi-rissa, nella quale ognuno cerca di prevalere sull’altro.
    Love and peace,
    Mouka

  8. doghen

    Mouka,

    ‘l’articolo da commentare io non l’ho neanche letto, quindi non l’ho preso a pretesto per il dibattito, non l’ho proprio considerato.
    Eppure, siamo riusciti a litigare lo stesso.
    Bello, no?
    Ora, dopo “Love and peace”, mostraci anche “Hate and war”.
    Così sappiamo che sei completo.
    Ciao

  9. atisha

    Mouka: Mi viene da pensare che forse è proprio vero che noi italiani non siamo capaci di parlare e discutere in modo pacato e costruttivo tra di noi, ma spesso tendiamo a trasformare tutto in una quasi-rissa, nella quale ognuno cerca di prevalere sull’altro.

    atisha: “noi italiani”??.. perchè continuiamo a sputare sul nostro piatto, ad insultare la nostra matrice? piangendo (o scimmiottando) dietro altre formalità espressive che tutto sommato non ci appartengono..
    Se siamo nati qui in Italia e ci comportiamo “focosamente”, a livello karmico ed evolutivo c’è il suo perchè..
    inutile voler emulare ciò che non siamo..
    o gli orientali…
    o i fratelli nordici (che poi vengono a svernare qui)
    La “quasi rissa” è energia costruttiva.. lo è sempre stata, è un sistema per espanderla in tutte le direzioni..
    è un sistema aperto che invoglia (almeno noi) all’autoindagine.. diciamo che è un “associazione riservata ai soci attivi” che amano approfondire la propria emozionalità e conoscenza,
    cose che nella pacatezza di una tavola rotonda educata e incensata non salterebbe fuori…
    è un’opportunità grande, per chi la sa usare.. che ci è stata offerta ancora dal vecchio sito..
    Tanto per far chiarezza.
    Quanto al brano, da me è stato letto…
    ma giunti ad una certa saturazione degli asrticoli, si legge senza commentare..
    poi qualche volta è bello anche scendere energicamente al confronto..
    perchè no?

    Ciao Mukta :)

  10. paritoshluca

    8doghen

    Mouka,

    ”˜l’articolo da commentare io non l’ho neanche letto, quindi non l’ho preso a pretesto per il dibattito, non l’ho proprio considerato.
    Eppure, siamo riusciti a litigare lo stesso.
    Bello, no?
    Ora, dopo “Love and peace”, mostraci anche “Hate and war”.
    Così sappiamo che sei completo.
    Ciao

    :::::::::::::
    Io invece ho letto due righe..e mi sono sembrate sufficenti per imbastire una bella conversazione pepata..e fuori argomento..naturalmente..
    In realtà che ce ne importa a noi degli articoli..?
    Gli articoli sono solo pretesti..come le armi di distruzione di massa..
    non è importante che ci siano per menare le mani..
    Tanto ormai il blog vede le forze schierate in campo..
    da una parte ci sono gli illuminati virtuali..dall’altra chi non accetta la loro illuminazione come una volta non accettavano i Papi..e poi qualcuno che non ha ben capito dove si trova e si espone ai fuochi contrapposti..il frescone insomma..quello che crede di discutere di argomenti mentre invece qui si tirano bordate con i Cannoni di Navarrone…
    Infatti in onore degli illuminati virtuali mi viene in mente una scenetta..
    I padre dice al figlio non tanto sveglio come deve fare per andare in città.. .figlio di una certa età ovviamente…
    Allora..aspetti alla fermata ..sali sull’autobus..ti metti seduto..e poi scendi dalla porta davanti..
    I figlio scende di casa…aspetta alla fermata..sale sull’autobus..dalla porta di dietro..si mette seduto e poi scende dalla porta davanti..e..
    si ritrova alla stessa fermata..perchè l’autobus non era ripartito!
    Come quella storiella di osho..dell’ubriaco che decide di andare in barca a remi in America..e va al porto..sale sulla barca e comincia a remare….rema e rema..finchè si addormenta..ubriaco fradicio..
    La mattina si sveglia..e..sobrio..si ricorda…si spaventa…e pensa di essere in mezzo al mare..di essersi perso…si dispera…e..guarda..
    la nebbia piano piano sparisce…e si ritrova nel porto atttaccato alla banchina….che non aveva sciolto gli ormeggi..!!
    Ecco..certe letture..certe considerazioni del maestri non maestri..del metodo non metodo..e della via senza via..mi ricordano queste scenette..
    E’ vero che bisogna remare e scendere dalla porta davanti..ma dopo che si sono mollati gli ormeggi e che l’autobus è arrivato a destinazione..altrimenti si muoviamo solo nella fantasia..nei pensieri..nella mente..
    Il non sforzo vuole un grande sforzo..la non via presume che si siano seguite molte vie..e l’assenza di metodo vuole che abbiamo realizzato molti metodi..altrimenti certi semi inconsci non ci lasciano solo perchè gridiamo abracadabra..e facciamo la fine di colui che si crede arrivato mentre non è neanche è partito..

  11. Mouka

    Mah …. forse c’è qualche malinteso ….
    Io ho letto l’intervista a Goldstein perché mi interessava l’argomento e ho trovato stimolanti alcune sue riflessioni : poi ho fatto anche una piccola ricerca su Internet per vedere quali sono i suoi libri pubblicati in Italiano; è un autore di cui ho sentito già parlare ma che non conosco realmente.
    Mi aspettavo che i commenti parlassero, se non di lui, almeno di opinioni ed esperienze personali riguardo alle cose che lui dice (cioè le connessioni tra pratica spirituale e rapporto con il mondo).
    Se leggo qualcosa è perché sono interessato all’argomento, non perché cerco un pretesto per qualcos’altro.
    Il sito Internet non lo conoscevo e non mi pare di averlo visitato prima, però mi pare contenga dei materiali significativi.
    Il resto della discussione, francamente, non mi interessa granché : personalmente non condivido l’opinione che la polemica e il litigio siano delle energie costruttive; secondo la mia esperienza, nella maggior parte dei casi, sono piuttosto energie distruttive, che portano verso chiusure, blocchi e rifiuti all’interno dei processi comunicativi.
    Non mi pare, con questo, di aver insultato nessuno.
    Questione di punti di vista ….
    Smile,
    Mouka :-)

  12. eckhart

    Parotosh:Il non sforzo vuole un grande sforzo..la non via presume che si siano seguite molte vie..e l’assenza di metodo vuole che abbiamo realizzato molti metodi..altrimenti certi semi inconsci non ci lasciano solo perchè gridiamo abracadabra..e facciamo la fine di colui che si crede arrivato mentre non è neanche è partito..
    ***************
    Ecco.. come si ricomincia con le solite menate mentali,i giri virtuali su come dev’essere quello che non è ecc…
    Lo sforzo necessario lo abbiamo affrontato tutti al momento giusto,come i metodi ed altre menate necessarie perchè si compisse una certa inerzia.Non si può anticipare un’approdo se non si è fatta la giusta nuotata con annessa immersione…come non ce la si può raccontare tutta la vita con queste faccende..sia ad affermare che sia finito ilsogno prima che lo sia,sia a menarsela nei fanghi che non riusciamo a toglierci di dosso perchè vestono bene il nostro ego e gli danno spessore e corpo..perchè la nudità spaventa,fa male..ed è meglio rifuggirla in uni’nfinito loop di lamentele e sofferenze che rappresentano il nostro Conosciuto piuttosto che abbondanarle come piccoli arcipelaghi durante la nuotata..ma verrà il momento che ci stancheremo di tutto ciò..sino a vedere che non può esserci un dopo ove tentare di immaginare un molo con approdo… che l’Ancora è da sempre qui…
    e che il tour è stato tutto un film immaginato dal grande Regista.
    Namastè :-)

  13. doghen

    Paritosh,

    mi sembra che era osho che una volta gli domandarono cosa stesse facendo e lui rispose che stava giocando con i sassi sulla spiaggia.
    Io, quasi quasi, farei lo stesso.
    Illuminazione o samsara, qualsiasi cosa si faccia, si fa con spirito di non- guadagno, gratuitamente.
    Quando c’è questo, la purezza è automatica (e inconscia).

    Ciao

  14. atisha

    Maouka: Il sito Internet non lo conoscevo e non mi pare di averlo visitato prima, però mi pare contenga dei materiali significativi.
    Il resto della discussione, francamente, non mi interessa granché :

    atisha: esatto! contiene molto materiale, prezioso.. però per noi è cosa “vecchia”.. siamo vecchi frequentatori ed abbiamo già prelevato le chiare e fresche e dolci acque dissetanti di questo sito ora style blog, per questo devi perdonarci… :)
    Se la discussione seguente non interessa ma è solo un pretesto per innescare vecchi dialoghi, nessun problema..
    come vedi nessuno ti ha risposto.. tutto sta fluendo dove e come deve fluire..
    Buona Vita ;)

  15. paritoshluca

    72eckhart

    ***************
    Ecco.. come si ricomincia con le solite menate mentali,i giri virtuali su come dev’essere quello che non è ecc…
    Lo sforzo necessario lo abbiamo affrontato tutti al momento giusto,come i metodi ed altre menate necessarie perchè si compisse una certa inerzia.Non si può anticipare un’approdo se non si è fatta la giusta nuotata con annessa immersione…come non ce la si può raccontare tutta la vita con queste faccende..sia ad affermare che sia finito ilsogno prima che lo sia,sia a menarsela nei fanghi che non riusciamo a toglierci di dosso perchè vestono bene il nostro ego e gli danno spessore e corpo..perchè la nudità spaventa,fa male..ed è meglio rifuggirla in uni’nfinito loop di lamentele e sofferenze che rappresentano il nostro Conosciuto piuttosto che abbondanarle come piccoli arcipelaghi durante la nuotata..ma verrà il momento che ci stancheremo di tutto ciò..sino a vedere che non può esserci un dopo ove tentare di immaginare un molo con approdo… che l’Ancora è da sempre qui…
    e che il tour è stato tutto un film immaginato dal grande Regista.
    Namastè :-)

    Bè..parli come un illuminato..non c’è che dire..
    un disco rotto illuminato..
    A questo punto se ciò non è solo un disco..sarebbe bello ascoltare dalla viva voce di un illuminato quali sono le sue emozioni..a cosa aspira..come vive..cosa fa…
    Ripetere continuamente cosa bisogna fare per illuminarsi senza poi descrivere il luogo raggiunto è da egoisti..
    Sogni ancora..?
    Sei cosciente di te stesso 24 ore al giorno..?
    Anche quando dormi rimane la luce interiore accesa ?
    Oppure sei andato oltre..e te ne freghi anche della Consapevolezza e della Luce..?
    Hai capito che il vero illuminato è oltre il buio e la Luce..e che per Lui la Consapevolezza è ancora una prigione..?
    Scommetto che sei oltre il Testimone..lo hai superato..sei arrivato all’Identità Suprema..e che quindi qualsiasi parola non rende l’idea..
    Delle due l’una..o sei consapevole 24 ore al giorno..oppure hai superato anche quella condizione..ovviamente senza mai esserci arrivato..ci scommetterei..
    Ci sono pagine e pagine di Maestri che parlano dell’illusione..e di credersi arrivati quando ancora non siamo partiti..perchè chi è arrivato sicuramente se a gode..ed è dispensato dal cercare strade impegnative e dolorose..
    Chi è illuminato è in una botte di ferro..e chi crede di esserlo è lo stesso in una botte di ferro…ma della propria mente..
    Dicevi che Vedanta si propone male..e tu come ti proponi..? Meglio..?
    Non ammetti discussione..sei arrivato..e buonanotte..
    di cosa dovremo parlare..?
    Di cosa bisogna non fare per illuminarsi..? Ancora..?
    E se non mi riesce cosa mi consigli..?
    Devo analizzare che non c’è nessuno a cui non riesce..?
    Oppure dal momento che lo analizzo il problela è risolto..?
    Vabbè..mi fermo..che la mente tanto ne sa una più che il diavolo.

  16. eckhart

    Paritosh:
    ..un disco rotto illuminato..
    Devo analizzare che non c’è nessuno a cui non riesce..?
    Oppure dal momento che lo analizzo il problema è risolto..?

    °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
    C’è soprattutto il disco rotto del ricercatore..solo di quello parlavo..
    Non c’è niente da analizzare ,né problemi da risolvere..
    è tutto qui nella mente il disco rotto..
    Magari si rompesse davvero..invece non fa che piegarsi e ripiegarsi in mille risvolti…ciao

  17. sorrydi

    Carissimo Paritoshluca,vedo che sei ancora qui,se sei qui,è perchè nel profondo il tuo inconscio ha fiautato qualcosa,a capito che la verita’,è in questa direzione.

    Non l’hai trovata nel Sanniasin,non l’hai trovata vicino a Osho,io penso, perchè non sei mai riuscito ad allontanarti da alcuni schemi,ma questo è un’altro discorso.
    Devi comprendere che la persona che interviene qui,non è il vero Paritos,lui cè, è li dietro,che ti spinge a cercare la verita’,quello li davanti, è quello di facciata,che non crede hai personaggi a cui ti stai rivolgendo,ma perchè sei ancora qui?,semplicemente perchè il vero “paritos”,è dietro che spinge,ha scorto la “verita'”,quella senza scuole senza maestri, senza riti e posizioni,quella verita’ che nega tutte le verita’,CHIUNQUE DICE VIENI DA ME AD ABBEVERARTI ALLA MIA DOLCEZZA.
    CHIUNQUE DICE VIENI A TROVARMI INVECE DI VAI E RITROVATI.Chiunque dica cio’ è sicuramente in buona fede,ma non conosce ancora il vero insegnamento.
    Ciao Paritosh sei grande.

  18. Arches

    Seguo dall’inizio questa nuova versione di innernet in sola lettura per scelta…
    leggere senza intervenire mi ha permesso di osservare se certe intuizioni scritte nei tempi caldi del vecchio innernet
    (non schiodano (il trio) perché c’è aria buona per polmoni a secco… con persone giuste si può molto in internet…ecc) fossero solo mie proiezioni ed incazzature verso alcuni interlocutori…
    vedendo il ciclico ripetersi del giuoco del branco che sbrana il nuovo arrivato riconosco i fatti ancora più crudi di quanto scritto… condivido quasi in todo lo scritto nei post 30 e 52 Paritosh…

    quando si arriva a sindacare persino la gatta birmana di Vedanta… direi all’invasata ma perché non ti guardi la tua gatta spelacchiata di Campobasso ahahah!!!
    personaggi che forumano da mane a sera i loro lumi in innernet son diventati personaggi disneyland… il commissario sakettoni coadiuvato nell’indagini dell’acqua calda dall’agente eck smanetta…

    Lo so lo so che queste parole innescherebbe ancora polemiche …
    allora le cancello (dalla mia mente) ed auguro buona Vita a tutti …
    con la benedizione della famosa Trinità
    Ganesh Sganash & Sganasson

    doghen… ma dove si trova ”˜sto salotto e ti servono anche del tè?…

  19. eckhart

    Arches:il ciclico ripetersi del giuoco del branco che sbrana il nuovo arrivato

    °°°°°°°°°°°°°°
    Ma magari si lasciassero sbranare eh eh eh !
    Ciao Archessssssssss ;-)

  20. matil

    leggendo qui, spesso mi è tornata alla memoria una allegoria dalla vita di san benedetto, rielaborata da un noto artista (sotto il link).
    Rende bene l’impressione che si ha di fronte agli “eccessi” della vita meditativa.
    Un caro saluti a tutti.

    http://it.youtube.com/watch?v=3d7v3OhCQA0

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