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In questo colloquio-intervista, Andrew Cohen e Joseph Goldstein si chiedono se sia necessario rinunciare al mondo per raggiungere la liberazione. La pratica spirituale riguarda la liberazione della mente dagli attaccamenti. Questa non è né indifferenza né un tirarsi indietro. Riguarda il nostro rapporto col mondo.

Andrew Cohen intervista Joseph Goldstein

Andrew Cohen: Joseph, sembri una persona che ha voltato le spalle al mondo per dedicare la vita alla pratica della meditazione e al raggiungimento della liberazione, ma anche per fare da guida spirituale agli altri. Non sei un monaco, ma la tua vita, paragonata a quella di molta gente qui in occidente, verrebbe in realtà considerata quella di un monaco. Dal momento che hai dedicato la vita alla via del risveglio del Buddha, perché non sei diventato un monaco?

Joseph Goldstein: Non credo di condurre una vita di particolari rinunce, perché sono molto impegnato nel mondo. Sto lavorando con varie istituzioni, come la “Insight Meditation Society”, il “Barre Center for Buddhist Studies” e sto progettando un nuovo ritiro a lungo termine; inoltre, viaggio e insegno. Vivo anche in modo confortevole, quindi voglio dissipare ogni dubbio: non sto assolutamente conducendo una vita di rinuncia dedicata alla pratica intensiva della meditazione, anche se, ogni anno, mi concedo dei periodi per farlo.

AC: Ma, paragonata a quella degli altri, la tua vita è simile a quella di un monaco. Vivi lontano dal mondo, in un centro di meditazione; non hai, al momento, rapporti sessuali; e tutto ciò che ti riguarda ha a che fare con la diffusione del dharma e l’insegnamento della meditazione.

JG: Una delle ragioni per cui non sono mai diventato un monaco è che, quando iniziai a praticare, mi trovavo in India, che non è un paese buddista. La maggior parte dei miei primi insegnanti erano laici; quindi, anche se più tardi ho avuto degli insegnanti monaci, il modello laico è stata la forma con cui sono cresciuto. Ho preso i voti solo per un breve periodo, ma non sono mai stato particolarmente attratto dalla formalità della disciplina monastica.

AC: Se i tuoi primi insegnanti fossero stati dei monaci, pensi che avresti potuto prendere i voti?

JG: Avrei potuto, se avessi cominciato a praticare in Thailandia o in Birmania. Ciononostante, sento che la vita di laico mi si addice, e in qualche modo si addice a questa epoca. Penso che molto del lavoro che abbiamo fatto negli ultimi venticinque anni sia stato più facile perché l’abbiamo fatto come laici.

AC: Per diventare un buddista, devi “prendere rifugio” nella Triplice Gemma: il Buddha, il Dharma e la Sangha. Del Buddha si racconta che fu una persona che andò oltre, o che trascese il mondo. Il Dharma è l’insegnamento buddista della liberazione, un insegnamento che ci libera dall’attaccamento nei confronti del mondo, rendendoci capaci di uscire dalla ruota del divenire. La sangha è la comunità dei fratelli e sorelle con i quali condividiamo un legame di reciproco impegno verso l’illuminazione e la vita spirituale. La relazione con la sangha si pone in contrasto alle relazioni basate sui valori materialistici e mondani. E proprio come i monaci, anche coloro che vivevano in famiglia e seguivano gli insegnamenti del Buddha, (cioè i discepoli laici) dovevano prendere rifugio nella Triplice Gemma, pur rimanendo immersi nelle attività del mondo. Ma, poiché vi avevano preso rifugio, la loro fedeltà non era più rivolta al mondo o ai suoi valori materialistici, bensì all’illuminazione, ovvero alla trascendenza o al non-attaccamento al mondo.

Oggi, so che l’interpretazione della Triplice Gemma è stata resa più inclusiva da alcune persone (per esempio, il tuo antico collaboratore Jack Kornfield) in modo da poter considerare anche la vita mondana come un ottimo veicolo per la pratica spirituale, così come la vita ascetica era considerata il contesto ideale al tempo del Buddha. Nel suo libro After the Ecstasy, the Laundry, Kornfield dice: “I sacrifici di una famiglia sono assimilabili a quelli di ogni rigido monastero, poiché offrono esattamente la stessa pratica di rinuncia, pazienza, fermezza e generosità”. Ma in un’intervista che hai concesso qualche anno fa, hai detto: “Una volta fu chiesto a uno dei miei insegnanti: ‘È veramente necessario rinunciare al mondo per ottenere la liberazione?’. Egli rispose: ‘Anche il Buddha dovette rinunciare al mondo!’ E aveva alcune paramita! (qualità spirituali sviluppate precedentemente)”.

Dunque, è necessario rinunciare al mondo per raggiungere la liberazione? Penso che sia una domanda importante, perché alcune nuove visioni del dharma nate dall’incontro dell’Oriente con l’Occidente, come quelle rappresentate da Kornfield, ma anche da Elizabeth Lesser, autrice di The New American Spirituality, sembrano considerare l’esempio particolare della rinuncia del Buddha più come una metafora del non-attaccamento, che come un modello da seguire alla lettera. Era nel giusto il tuo insegnante quando ricordava che anche il Buddha dovette letteralmente abbandonare il mondo per raggiungere la liberazione? E, secondo la tua opinione, Kornfield ha ragione quando afferma che la vita familiare offre esattamente la stessa formazione di una vita monastica?

JG: Trovo difficile parlare con autorevolezza sulla vita familiare, perché non ne ho esperienza. Nel buddismo, si parla della via alla liberazione in termini di livelli di illuminazione, ognuno dei quali sradica diversi tipi di ostacoli o scappatoie della mente. E nei testi buddisti ci sono numerose storie di persone che hanno raggiunto livelli molto elevati di risveglio, pur vivendo in famiglia. Le persone di mia conoscenza con una vita coniugale soddisfacente, si sono impegnate moltissimo per fare della vita nel mondo la loro pratica. Possiamo dire: “La vita è la mia pratica”, ma che lo sia davvero o meno, è qualcosa che ognuno deve esaminare da sé, con attenzione. Da un certo punto di vista, la via della famiglia sembra più difficile del cammino della rinuncia, perché in essa ci sono molte più distrazioni.

Penso che tutti noi dobbiamo considerare onestamente quali sono le nostre autentiche aspirazioni spirituali. Non penso che si tratti di un aut-aut. La via della famiglia è possibile, ma richiede un impegno e una volontà molto forti. Ho avuto un’insegnante, una donna chiamata Dipa Ma, che era altamente illuminata e possedeva incredibili livelli di concentrazione e samadhi (assorbimento meditativo). Lo sviluppo della sua saggezza, della compassione e dei poteri della mente era straordinario; era una yogini incredibilmente completa. E viveva in famiglia. Aveva una figlia e un nipote, e conduceva una vita casalinga, ma lo faceva in un modo stupefacente.

AC: Sei d’accordo con la dichiarazione di Kornfield: “I sacrifici di una famiglia sono assimilabili a quelli di ogni rigido monastero, poiché offrono esattamente la stessa pratica di rinuncia, pazienza, fermezza e generosità”?

JG: La vita familiare ha la potenzialità di sviluppare queste qualità, ma non credo che necessariamente le sviluppi. Ovviamente, essere un genitore richiede uno straordinario sacrificio e dà l’opportunità di sviluppare l’amore, la comprensione e la pazienza, cioè molte delle paramita. Ma non sono sicuro di quanto effettivamente le sviluppi in profondità, trasformando la saggezza nella natura vuota e priva di sé delle cose. Essere un genitore non conduce necessariamente a questo. Altrimenti, la maggior parte delle persone sarebbe pienamente illuminata!

AC: Pensi che se qualcuno avesse avuto questa aspirazione a illuminarsi, molto difficilmente avrebbe scelto la vita familiare?

JG: Se l’aspirazione centrale della nostra vita è la Liberazione, persone diverse la cercheranno in modi diversi. E questo dipenderà sia dall’intensità del desiderio della liberazione, sia dal nostro condizionamento karmico, cioè dalle nostre tendenze o inclinazioni individuali. Potrei immaginare di entrare in una relazione con la speranza di non creare attaccamento. Ma, di nuovo, penso che sia necessaria molta onestà per farsi strada nell’inerzia dei nostri modelli abituali e vedere quali sono le nostre vere motivazioni. Infatti, sia al livello del dharma che a quello del mondo siamo trascinati da energie diverse ed è facile non capire quello che sta realmente succedendo.

AC: Quindi, quando il tuo insegnante diceva: “Anche il Buddha dovette rinunciare al mondo!”, cosa intendeva?

JG: Beh, per considerare la cosa da un altro punto di vista, è facile cadere nella trappola di pensare, come ho detto prima: “Oh si, la vita è la mia pratica”, senza però farlo davvero per le molte difficoltà, e così concludere sottovalutando l’importanza di prendersi davvero dei periodi nella propria vita in cui riposarsi e fare un passo indietro, se non addirittura di diventare monaco o monaca a vita. C’è un forte impulso a non farlo, così uno potrebbe lasciarsi sfuggire il potere, la forza e la chiarezza che arrivano grazie a quel tipo di rinuncia. Questa è una delle cose che la gente apprezza riguardo ai ritiri: sono un’occasione per fare un passo indietro, cosa molto rara nella nostra cultura. Penso che abbiamo bisogno di farlo, e più sono alte le nostre aspirazioni, più probabilmente avremo questa necessità.

Questo è il grande esperimento del dharma in occidente. E voglio vedere se siamo in grado di creare un modello grazie al quale la gente con una forte aspirazione per la Liberazione può realizzare quest’ultima senza necessariamente diventare un monaco o una monaca. Abbiamo appena cominciato a formulare la risposta a questa domanda: forse è possibile, forse no.

AC: La mia prossima domanda deriva proprio da questo. Non c’è dubbio che la maggioranza degli occidentali buddisti (o comunque praticanti gli insegnamenti del Buddha sull’attenzione e la meditazione) sono laici che, pur restando pienamente immersi nella vita del mondo con i suoi interessi e preoccupazioni, manifestano un sincero interesse nell’approfondire la comprensione della natura e del significato dell’esperienza umana alla luce degli insegnamenti del Buddha. Eppure, il Buddha stesso fu un’asceta che disse: “La vita familiare è una via polverosa e piena di ostacoli, mentre la vita ascetica è come il cielo aperto. Non è facile per un uomo che vive nel mondo praticare la vita santa in tutta la sua pienezza, purezza e luminosa perfezione”. Ha detto anche: “Il pavone che vola nell’aria non si avvicinerà mai alla velocità del cigno. Similmente, l’uomo che vive in famiglia non può mai assomigliare al monaco saggio, che medita in disparte nella giungla”.

JG: Prenderò i voti, prenderò i voti! Dove sono le tuniche?

AC: (ride) È vero, ovviamente, che viviamo in tempi “più illuminati” e che per molti aspetti è difficile paragonare le circostanze storiche e culturali dell’India antica con l’Occidente contemporaneo. Tuttavia, l’attaccamento resta l’attaccamento e la libertà resta la libertà; i trabocchetti e i pericoli del cammino spirituale non sono cambiati di un millimetro negli ultimi 2500 anni. Quello che volevo chiederti, quindi, è: quando sono arrivati nell’occidente contemporaneo, materialista e narcisista, gli insegnamenti del Buddha sono stati annacquati per risultare appetibili a coloro che non oserebbero mai prendere sul serio gli insegnamenti del Buddha sulla rinuncia? O il Buddha era fuori strada e troppo estremo perché le sue indicazioni possano essere valide in ogni tempo?

JG: Ci troviamo in una situazione molto interessante. Oggi gli insegnamenti sono accessibili a persone che non hanno alcuna familiarità con essi; è un processo che sta avvenendo. Ma a differenza delle culture asiatiche, dove la rinuncia – anche quando non viene praticata – conserva un suo valore, qui non è apprezzata, per cui c’è una curva dell’apprendimento spirituale. E negli ultimi venti, venticinque anni di insegnamento, ho visto un numero di persone sempre maggiore che vorrebbero fare il passo successivo verso un livello di rinuncia più completo e profondo. Penso che nella gente sta maturando la comprensione del significato della rinuncia.

AC: Stai dicendo, quindi, che dobbiamo evolverci fino al punto in cui riconosciamo tale necessità, per poi cominciare ad agire di conseguenza?

JG: Si, ed essa potrebbe prendere forme diverse, che si tratti di un laico che trascorra dei periodi di rinuncia… Oppure potrei anche immaginare la crescita di una sangha monastica. Io credo, però, che è qui che si debba ricercare la profondità.

AC: La profondità sarà raggiunta quando le persone avranno dato tutta la loro vita per il raggiungimento della liberazione: è questo che intendi?

JG: Si, e poi queste persone troveranno la forma appropriata per esprimerla. Penso che un periodo in cui praticare la rinuncia sia sempre importante. Ma c’è anche la questione su cosa sia veramente la rinuncia. Nei testi buddisti si trova un esempio famoso che paragona un eremita dentro una grotta, che ha rinunciato al mondo ma è pieno di desideri, a qualcuno che vive nel lusso, ma la cui mente è libera dai desideri. La forma esteriore di rinuncia deve sostenere quella interiore; altrimenti, l’esteriorità non ha alcun significato. Dobbiamo vedere cosa favorisce la rinuncia all’avidità, all’odio, alla delusione. Cosa favorisce la rinuncia a considerare le cose come il sé? Questi, per me, sono l’interrogativo e la rinuncia fondamentali. Ed è una cosa che può essere praticata in qualsiasi circostanza. Negli ultimi anni, la mia pratica si è fatta via via più semplice. Di base, si riassume in una frase detta dal Buddha: “Nessuna cosa deve essere assunta come ‘io’ o come ‘mia’”. Questo è tutto. Questa è la pratica; qui si trova la libertà.

Andrew Cohen: Vorrei chiederti del rapporto tra la meditazione e la trascendenza del mondo, dove per “mondo” si intende l’attaccamento e il divenire. Può, la pratica della meditazione, scendere davvero in profondità e avere il potere di liberarci, se non si è già abbandonato il mondo dell’attaccamento e del divenire, almeno in una certa misura? In altre parole, se la pratica della meditazione non ha già radici nella rinuncia al mondo, come può avere il potere di liberarci o di renderci capaci di trascendere il mondo?

JG: Se per “libertà” intendiamo una mente che non considera nulla come “io” o “mio”, penso che possiamo accostarci a essa in due modi. Un approccio è focalizzare la mente sugli oggetti dell’esperienza, penetrandone il carattere illusorio, e questo provoca il lasciarsi andare. Cominciamo a scorgere l’inconsistenza di ogni cosa. Di fronte a ciò, la mente inizia a lasciar andare la presa, perché si accorge che non c’è niente di solido cui aggrapparsi. Un altro approccio è avere effettivamente un bagliore del vuoto, della natura aperta della mente che non produce attaccamento, e avere un’immediata apertura nei confronti di tale esperienza. Penso che, tradizionalmente, le due scuole siano in contrasto l’una con l’altra: “Questa via è migliore o più veloce o più eccelsa”. Ma, almeno secondo la mia esperienza, entrambe sono valide e si intrecciano costantemente. Sono pochissime le persone che, avendo avuto un bagliore di questa natura assoluta, aperta e vuota, sono arrivate alla fine, ritrovandosi totalmente libere; infatti, i modelli abituali sono molto forti.

Andrew Cohen: Sembra che nel buddismo in generale, e specialmente nella scuola Theravada, considerata quella allineata in modo più stretto agli insegnamenti originali del Buddha, la trascendenza del mondo sia un tema fondamentale dell’insegnamento. Tuttavia, viviamo in un’epoca nella quale molte voci influenti del mondo spirituale mettono in rilievo, con vigore, quelli che considerano i pericoli di questo tipo di visione: cioè che è patriarcale, gerarchica, contro la terra, il corpo, la sessualità e la femminilità. Il noto biologo e filosofo Rupert Sheldrake ha detto in un’intervista rilasciata per “What is Enlightenment?”:

JG: “È possibile considerare l’intera creazione come un grande errore, niente altro che una serie di futili e infiniti cicli di manifestazioni, nascita, morte, rinascita e nuova morte e così via all’infinito. A quel punto, la sola risposta è una specie di caduta verticale dentro il regno senza tempo dell’essere, dove dimentichi e lasci alle spalle tutto ciò. Quando vivevo in India, ho scoperto che… alcuni buddisti Theravada avevano fatto propria questa visione. Il loro unico intento era staccarsi interamente da questo mondo del divenire e spiccare il balzo verso la salvezza individuale”.

Inoltre, l’influente scrittore spirituale e, come lui stesso si è definito, il “mistico gay” Andrew Harvey afferma nel suo libro, The Return of the Mother:

“Le tendenze contrarie alla vita, al corpo e alla donna, presenti sia nella tradizione Therevada sia (in misura minore) nella tradizione Mahayana, sono un ostacolo. Molte scuole buddiste insegnano che non si può raggiungere l’illuminazione in un corpo di donna; il meglio che una donna può fare, se è molto fortunata, è servire i monaci. Già nelle fasi iniziale del buddismo, i monaci maschi si separarono dalla società e furono considerati superiori a essa. L’unico obbiettivo dell’incarnazione fu visto come la liberazione dal samsara. In tutto questo ci sono estremismo, paura della natura e isteria repressa; il buddismo Mahayana ha cercato di mitigare queste posizioni soprattutto con la sua concezione del servizio divino e dell’ideale del bodhisattva. Ma anche nel Mahayana le donne sono decisamente sottovalutate; il termine tibetano per donna significa letteralmente ‘nascita minore’. Un’enfasi straordinaria sull’illuminazione può condurre al distacco da questa vita e dalle sue responsabilità attive, oltre che a una radicale sottovalutazione della sacra saggezza della vita quotidiana…Non possiamo più permetterci il lusso di questo volo nella trascendenza, perché anche a causa sua nessuno è intervenuto a fermare la rovina e la devastazione della natura”.

Andrew Cohen: Joseph, sei d’accordo con Sheldrake e Harvey? È vero che l’enfasi del Buddha sulla trascendenza del mondo è contraria alla vita e provoca involontariamente distruzioni e divisioni?

JG: Durante il ritiro, ho avuto esperienze di straordinaria pace, calma e unione, che però dall’esterno potevano venire scambiate per indifferenza, freddezza o disinteresse. Il rischio di proiezioni sui singoli praticanti e l’intera tradizione è molto grande. Penso, quindi, che sia molto importante non cadere in queste generalizzazioni che nulla hanno a che vedere con l’esperienza autentica dei praticanti; infatti, la loro esperienza può essere completamente diversa da ciò che appare dall’esterno. È molto facile rimanere impigliati nei giudizi sulle altre persone e le altre tradizioni, frutto delle nostre proiezioni, prevenzioni e punti di vista. Detto questo, penso che la tua domanda, in realtà, ruoti intorno al significato della trascendenza. Le persone usano questa parola in tanti modi diversi; secondo la mia prospettiva, gran parte del contenuto di questa domanda proviene – sarò netto e chiaro – da una limitata concezione della trascendenza o da un’idea di questa diversa dalla mia.

Uno dei significati della trascendenza è restare consapevoli di una dimensione “altra”, separata dalla terra, dove si è in una sorta di beatitudine. Non penso, però, che questo fosse ciò che intendesse il Buddha, né che riguardi la pratica del buddismo Theravada o di qualsiasi altra tradizione buddista da me conosciuta. La trascendenza autentica, secondo la mia comprensione, è molto più semplice. È la trascendenza del senso del sé, il quale si forma attraverso l’identificazione con i vari aspetti dell’esperienza, scambiati per il sé. È la realizzazione della vacuità del sé. Penso che la trascendenza autentica sia una funzione della saggezza, non di un qualche stato alterato o dell’essere trasportati in un’altra dimensione. La sua espressione può prendere poi molte forme. Può prendere la forma di un forte coinvolgimento nel mondo o dell’andare a vivere in una grotta sull’Himalaya; non credo che esista una gerarchia delle azioni compassionevoli.

Quando il Buddha, nelle sue innumerevoli vite passate, si ritirava in qualche caverna a praticare, una persona normale avrebbe potuto pensare che si fosse ritirato dal mondo. Ma considerando questi ritiri come un momento del suo cammino verso la buddhità e tutte le compassionevoli attività che ne derivarono (cioè l’illuminazione di tutti noi) non si può dire che il tempo trascorso nelle caverne sia stata una negazione del mondo. Però, quando consideriamo isolatamente un momento dell’esperienza o del cammino di una persona, otteniamo una visione molto distorta del quadro generale.

AC: Penso che queste citazioni evidenzino l’opinione che il mondo sia identico al samsara, il perpetuo alternarsi di nascita, morte e rinascita, e di come nella filosofia buddista (in modo specifico nel buddismo Therevada) l’unica idea sia “elevarsi”, liberare se stessi da questo infinito ciclo del divenire.

JG: Qualcuno potrebbe affermare che il Buddha, dopo la sua illuminazione, indugiò nel samsara?

AC: Di certo, non visse nel mondo.

JG: No, visse nel mondo: camminò sulla terra.

AC: Camminò sulla terra, ma il mondo in cui visse fu una sua creazione; era circondato dai suoi monaci, non visse una vita mondana.

JG: Ma questa distinzione, per me, non è il punto saliente. È possibile vivere come un monaco, un asceta, e cercare allo stesso tempo di alleviare la sofferenza del mondo, come fece il Buddha. Egli non si isolò, non si ritirò, non si staccò dal mondo. Da un certo punto di vista, era totalmente coinvolto; il punto chiave è che poté farlo da uno spazio di libertà, piuttosto che da uno di schiavitù. La pratica spirituale, anche nelle tradizioni più ortodosse, riguarda la liberazione della mente dagli attaccamenti. Questa non è né indifferenza né un tirarsi indietro. Riguarda il nostro rapporto col mondo. Ci relazioniamo da uno spazio di libertà o di non-libertà?

AC: Quindi non sei d’accordo con le critiche di Harvey?

JG: Per niente. Storicamente, esistono molte sovrapposizioni culturali, e le discussioni sui rapporti uomo-donna riguardano, io credo, più la cultura che il dharma, perché chiaramente dal tempo del Buddha fino a oggi sono esistite molte donne pienamente illuminate.

AC: Quindi, stai dicendo che sei in totale disaccordo con questa interpretazione del buddismo Therevada, secondi cui lo scopo della liberazione è “uscire” dal mondo. Si tratta di una comprensione sbagliata dell’insegnamento del Buddha?

JG: Di nuovo, dipende. Cosa si intende per “mondo”? Ti riferisci alla società americana consumista o al pianeta sul quale gli esseri umani camminano? Finché saremo vivi, non penso che ci sarà mai scampo dal mondo. L’obiettivo è la libertà dall’attaccamento, dalla sete del desiderio; non è la non-esistenza. Infatti, il Buddha ha detto che desiderare la non-esistenza è solo un’altra forma di brama insita nella nozione del sé.

AC: Ma alcune persone, da un certo punto di vista, potrebbero pensare che ciò implichi la distruzione del mondo. Infatti, se leviamo la “sete del desiderio”, potremmo provocare un disimpegno tale che l’intero mondo rischierebbe di andare in pezzi.

JG: Non vedo tutto ciò come disimpegno, ma come la differenza tra il non-attaccamento e il distacco. Il distacco implica il ritirarsi, il chiamarsi fuori, forse anche il disinteresse. Non vedo il cammino del Buddha come distacco, bensì come non-attaccamento, cioè essere completamente presenti senza produrre attaccamenti. E in questo, per me, risiede l’unione del vuoto e della compassione. C’è la possibilità, quindi, di essere totalmente impegnati, ma senza attaccarsi a niente.

AC: Questa sarebbe la miracolosa posizione dell’illuminazione.

JG: Sì. E persone diverse esprimeranno in modi diversi quell’illuminazione e il cammino per raggiungerla. Possono esserci periodi in cui è necessario ritirarsi dal mondo nel modo che è stato suggerito. Questo, però, è un tratto di un viaggio ben più lungo.

AC: Diversamente dal buddismo, nell’ebraismo e nell’islam (soprattutto nel sufismo) la rinuncia e la trascendenza del mondo (così come le ha insegnate il Buddha) non solo vengono scoraggiate, ma talvolta sono aspramente criticate come contrarie ai principi fondamentali della loro dottrina religiosa. Sheikh Tosun Bayrak dell’ordine sufi Halveti-Jerrahi ha detto in un’intervista concessa a “What is Enlightenment”:

“La rinuncia è un peccato. Essa significa che, quando sono assetato, Lui, Allah, mi offre un bicchiere d’acqua e io dico: ‘No, grazie’. Questo è un peccato, è estrema arroganza! Non si tratta solo della mia opinione, ma di quella di tutti i sufi. Dovresti accettare qualsiasi cosa ricevi e farne buon uso. Se non la vuoi, dalla a qualcuno che ne ha bisogno! Io possiedo, sia resa lode ad Allah, abbastanza soldi. Ma se oggi Lui mi desse un milione di dollari, non li rifiuterei. Li prenderei, li darei a coloro che ne hanno bisogno e ne serberei anche un po’ per me. Mi comprerei una nuova auto al posto della vecchia e forse un paio di scarpe da 150 dollari. Sarebbe un gran giorno!

Non c’è bisogno di andare nei monasteri o scalare l’Himalaya… Devi andare nel mondo e partecipare. Per esempio, il mio insegnante, Sheikh Muzzaffer, amava mangiare, gli piaceva il buon cibo. E aveva una giovane moglie che amava molto. Lui diceva spesso: i soldi dovrebbero essere tanti nelle tue tasche, ma nessuno nel tuo cuore”.

Anche per gli Ebrei, l’impegno totale nel mondo e nella vita è visto come l’adempimento della chiamata religiosa. Secondo loro, è solo vivendo con tutto il cuore i comandamenti che il potenziale spirituale della razza umana può realizzarsi. Lo studioso ebreo David Ariel scrive:

“Quando diventiamo i maestri della nostra vita e godiamo di tutto ciò che quest’ultima ci offre, abbiamo portato alla luce la divinità che è in noi. Quando aiutiamo l’evoluzione di un’altra persona, portiamo a compimento il lavoro della creazione. Quando aiutiamo lo sviluppo del potenziale umano di ciascun individuo, abbiamo portato Dio nel mondo. Dio ha bisogno del nostro aiuto, perché solo noi possiamo perfezionare il mondo”.

Io so che, anche se l’ideale del bodhisattva è di liberare tutti gli esseri senzienti prima di se stesso (soprattutto nella tradizione Mahayana), tale salvezza degli altri consiste soprattutto nella liberazione dalle catene del samsara, non nella “spiritualizzazione” del mondo, come sottolineano queste religioni mediorientali. Cosa rispondi tu, come importante insegnante buddhista, alle accuse dei nostri fratelli mediorientali secondo cui la tua religione non solo inibisce la realizzazione del potenziale spirituale del mondo attraverso l’uomo, ma di fatto ci spinge ad abbandonare ogni responsabilità nei suoi confronti?

JG: Penso che tale discussione si svolga a un livello sbagliato, perché si limita a considerare le apparenze: se uno vive nel palazzo o nella grotta, se ha una relazione o no. Non credo che queste siano le domande fondamentali. Penso che la domanda fondamentale sia: “Chi è che sta appagando il desiderio o vi sta rinunciando?”.

AC: Il punto, però, è che tu sei buddista! In quanto tale, non vuoi quindi rispondere per niente a questa domanda? Volevo soltanto che tu commentassi un poco gli insegnamenti sulla rinuncia e la trascendenza del mondo.

JG: Da un certo punto di vista, vivo più come un sufi che come un monaco buddista. Ma, di nuovo, non vedo la forma come l’essenza della realizzazione. Per esempio, se vai al cinema, vieni totalmente preso dalla trama del film. Potrebbe essere il film di un monaco nella grotta o di qualcuno che si gode pienamente la vita, ma se guardi in alto e vedi il fascio di luce che attraversa la sala e atterra sullo schermo, comprendi che non sta succedendo niente. È tutta apparenza! Penso che se ci blocchiamo nella ricerca di quale apparenza sia la più giusta o spirituale, perdiamo completamente di vista il fatto che la libertà non dipende dal tipo di film trasmesso; essa si trova nella mente priva di attaccamenti, qualunque essi siano.

AC: Certo, questa è la risposta finale a tutte le domande, e dopo di essa, naturalmente, non resta nulla da dire. Ma la ragione per la quale faccio queste domande è che anche i sufi hanno degli insegnamenti sul non-attaccamento. E se guardiamo al buddismo classico, c’è senza dubbio una grande enfasi sulla rinuncia al mondo e sul diventare monaco. Sono sicuro che i monaci buddisti tradizionali sentono fortemente il loro cammino. I sufi, però, affermano: “No, comportarsi così vuol dire fondamentalmente negare Allah o Dio”… E ne sono molto convinti! Dunque, chiarire questi interrogativi aiuta a gettare luce sull’argomento. Molti, al giorno d’oggi, usano la risposta che hai appena dato per evitare di comprendere quanto attaccamento c’è davvero in noi. E il fatto è che la maggioranza delle persone – sono certo che tu lo sai, visto che sei un insegnante – hanno profondi, radicati attaccamenti. A un livello più relativo, quindi, questi argomenti diventano davvero importanti.

JG: Alcuni anni fa, mi trovavo a una conferenza cristiano-buddista a Gethsemane sulle diverse tradizioni spirituali. Il Dalai Lama ripeteva continuamente: “Sapete, la mia via è giusta per me. La vostra via può essere giusta per voi”. Egli rispetta totalmente il fatto che le persone possono percorrere strade diverse in periodi diversi. Non vedo la necessità di fare generalizzazioni come: “Sì, la celebrazione della vita dei Sufi è la via” o: “No, la rinuncia Buddista è la via”. In realtà, bisogna considerare…

AC: …Ciò che succede effettivamente dentro l’individuo.

JG: Esattamente. E come abbiamo appena detto, qualcuno può vivere una vita di rinunce esteriori ma restare pieno di desideri; lo stesso, però, potrebbe succedere per chi ha una vita molto impegnata. Così, si ritorna sempre a ciò che realmente accade. Ed è qui che un insegnante può essere di grande aiuto, perché talvolta è difficile vedere le cose da soli. Come sappiamo, è molto facile rimanere intrappolati.

AC: OK, un ultimo tentativo…

JG: Per indurmi a esprimere un’opinione?

AC: Sì, giusto!

JG: “Quei tipi non vanno bene!”

AC: (ride) Ho un’ultima domanda. Penso si possa dire che, per la maggior parte delle persone coinvolte nell’esplosione spirituale provocata dall’incontro tra Oriente e Occidente (esplosione che oggi si manifesta con sempre maggiore velocità), Gautama il Buddha e Ramana Maharshi (uno degli studiosi del Vedanta più rispettati dell’era moderna) emergono come esempi impareggiabili di illuminazione piena. Tuttavia, è interessante notare come, a proposito della relazione che il ricercatore deve tenere con il mondo, i loro insegnamenti divergano moltissimo. Il Buddha, colui che rinuncia al mondo, incoraggiava i ricercatori più sinceri a lasciare il mondo per seguirlo in una vita santa, liberi dagli affanni e dalle preoccupazioni della vita famigliare.

Ma Ramana Maharshi sconsigliò ai suoi discepoli di lasciare la vita famigliare per cercare una concentrazione spirituale più grande e intensa. Di fatto, sconsigliò ogni atto esteriore di rinuncia e, invece, incoraggiò il ricercatore a cercare dentro di sé la causa dell’ignoranza e della sofferenza. Infatti, oggi molti dei suoi devoti (il cui numero è in costante crescita) affermano che il desiderio di rinuncia è in realtà un’espressione dell’ego, di quella stessa parte di sé che intendiamo abbandonare se vogliamo essere liberi. Naturalmente, il Buddha sottolineava molto la necessità della rinuncia, del distacco, della disciplina e delle regole, considerandole le fondamenta stesse da cui può nascere la liberazione. Perciò, perché pensi che le vie di questi due luminari dello spirito divergano tanto? E perché, secondo te, il Buddha incoraggiava i discepoli a lasciare il mondo mentre Ramana Maharshi li spingeva a restarvi?

JG: Da un certo punto di vista, c’è una risposta molto semplice a questa domanda: “Non ne ho proprio idea!”.

AC: Molto sincero.

JG: Di nuovo, però, si ritorna al significato della rinuncia. Mentre riassumevi l’insegnamento di Ramana – che incoraggia i discepoli a guardare dentro, vedendo dove sono gli attaccamenti e lasciandoli andare – non mi sembravano molto diversi da quelli del Buddha. Quest’ultimo vedeva la rinuncia come un modo per creare quelle condizioni affinché fosse possibile fare le stesse cose che diceva Ramana. Ancora una volta, quindi, non creerei questa grande divisione.

AC: È una domanda importante, tuttavia, perché molte persone si fanno facilmente delle idee fisse su ciò che sia l’illuminazione. Almeno con questi due uomini, i più ammettono che, qualunque cosa abbiano detto, sono degli esempi in buona fede. Il Buddha, anche se ebbe dei discepoli laici illuminati, senza dubbio pose una particolare enfasi nel lasciare il mondo, mentre Ramana non lo fece affatto. E il Buddha ebbe un sacco di guai perché molti ragazzi abbandonarono la famiglia fuggendo dalle responsabilità sociali per condurre una vita di santità. Creò un bel subbuglio e molte persone ne furono turbate. Questo, quindi, solleva la domanda: perché lo fece?

JG: Si tratta di abbandonare la vita laica per una vita di maggiore semplicità. Non si abbandona la vita laica per qualche motivo egoistico, ma (nella maggior parte dei casi) per sviluppare una saggezza e una compassione maggiori che possono essere di grande aiuto al mondo. Penso che nella nostra cultura la semplicità e il distacco dal lavoro (anche per brevi periodi) vengano sempre più apprezzati. Nell’India di Ramana (lo so perché io stesso vi ho trascorso un periodo di tempo) la vita era davvero semplice e tranquilla. E, sebbene ora non viva completamente in quel modo, quella via conserva per me un grande fascino. Quindi, quando penso alla vita semplice dei monaci e delle monache, come l’ha insegnata il Buddha, mi sembra deliziosa.

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Joseph Goldstein, Jack Kornfield. Il cuore della saggezza. Esercizi di meditazione. Astrolabio.1988. ISBN: 8834009398

Joseph Goldstein. La pratica della libertà. Appunti sulla meditazione di consapevolezza. Astrolabio. 1995. ISBN: 8834011821

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Jack Kornfield. After the Ecstasy, the Laundry: How the Heart Grows Wise on the Spiritual Path. Bantam Doubleday Dell. 2001. ISBN: 0553378295

Andrew Harvey. The Return of the Mother. J. P. Tarcher. 2000. ISBN: 1585420735

Copyright originale “What is Enlightenment” magazine www.wie.org
Traduzione di Nityama Masetti. Revisione di Gagan Daniele Pietrini.

92 Responses to “Non c’è scampo dal mondo”

  1. eckhart ha detto:

    Certo la semplicità non è facile..vedi il risultato… :-)))
    Incantevoli le tue foto e le tue poesie..tornerò a farti visita..
    senza chiedere il permesso :-)))
    Grazie a Te..

  2. eckhart ha detto:

    Non credo ci sia nessuna posizione da difendere..
    semplicemente: il falso si manifesta per essere smascherato..
    (Mio parere..) Ciao :-)

  3. /dev/null ha detto:

    È stato molto strano leggere i vostri commenti. La volontà di mettersi in mostra è evidente anche in coloro che mi “suonavano” più profondi…come pozzi nei quali è stato lanciato un sasso.

    Non capitemi male …

    Parlo di impressioni … non di giudizi di valore … che giudizio potrei dare io che di voi conosco solo una manciata di parole …

    Ho considerato dentro di me la rinuncia a scrivere…a ribattere ad alcuni di voi che mi sembravano arroganti.
    Ma come disse qualcuno forse sono stato punto anche io in una delle mie identificazioni. Rimescolando questo strano sentimento, dentro questo spazio invaso di parole ed emozioni che chiamano mente, eccomi spinto a scrivere…parole inutili probabilmente…

    Altro tentativo per comprendere … anche se la comprensione non può essere forzata.

    Non trovate che nella rinuncia ci sia sforzo?

    E se c’è sforzo è un esercizio della mente, non vi pare?

    Come tale ha una sua qualche utilità oltre a quella di dare qualche senso all’esistenza e importanza a se stessi?

    Perché scrivete?

    Chi volete convincere sottolineando le vostre posizioni?

    Che cosa difendete?

    Le mie sono domande sincere…per carità…voglio capire…perché ciò che si agita dentro di voi si agita anche dentro di me…e strozzarlo non serve a renderlo quieto.

    PS: Trovo che il punto che mi ha colpito di più di questo articolo è questa visione conciliante della cammino di Ramana e Gautama.
    Ho sempre percepito i loro insegnamenti…non so…discordanti.

  4. Vedanta ha detto:

    Il Maestro Osho neo Reiki Vedanta si dispiace molto che si sia creata tanta confusione, maldicenza ecc., la sua intenzione era pura, ma in ogni caso vi chiede scusa per essere entrata in uno spazio nuovo, come un bambino inesperto di insulti. Ringrazia coloro che hanno tentato di difendere il Vedanta con parole di amore.
    La Zen Healing School ha una mailing List di 5.340 anime senzienti e siamo abituati alla comunione del cuore, la Scuola è visitata mensilmente da 85.000 persone.
    Il Vedanta (Insegnamento di amore non condizionato) risponde gratuitamente alle domande che riguardano il Risveglio con gioia e amore, perchè molte anime sono vicine al loro stesso risveglio. Se coloro che del blog sono interessati a porre domande, possono farlo ma non attraverso questo spazio, semplicemente inviando la domanda alla email del sito citato precedentemente. Le domande verranno selezionate dal segretario Kailash, per il semplice motivo che vengono eliminati gli insulti e dato spazio a persone civili e gentili, sinceramente interessate a ricevere delle risposte dallo Spazio di Risveglio che è in ognuno di noi. A volte rivolgendo una domanda alla Consapevolezza di un Vedanta, la risposta arriva dentro voi stessi. Per incontri diretti con il Vedanta dovrete invece chiedere Sessione Individuale, verrete ricevuti qui al Tempio dal Vedanta stesso! Con amore, gentilezza e pazienza il segretario Kailash

  5. eckhart ha detto:

    Caro segretario generale dello Zen Healing School,nonchè del Maestro Vedanta,ci tengo però a precisare per non creare altre confusioni,che “IL” Vedanta non è la scuola d’amore incondizionato..
    a cui fate riferimento ,bensì questo:

    http://it.wikipedia.org/wiki/Ved%C4%81nta

  6. atisha ha detto:

    ah ah ah ah ah ah ah ah

    (risata zen)

  7. Vedanta ha detto:

    Eckhart, 45
    Stando da molti anni vicino al Vedanta vivo, Ora, ho imparato ad essere molto paziente e anche come segretario mi prendo la briga di rispondere per amore della chiarezza e del dialogo. Il Vedanta è uno Stato di Coscienza da cui SORGE l’Insegnamento, non è un testo sacro antico e basta, è vivo, oggi, ora. Il significato del nome Vedanta dato da Osho alla sua Discepola è: “Al di là delle parole, Amore” o “Insegnamento di Amore incondizionato”, queste sono le Parole del Maestro Osho quando donò il nome, che è un’indicazione x Ma Vedanta Prem, che le ha semplicemente realizzate. Om mani Padme Hum Kailash

  8. paritoshluca ha detto:

    Le perle ai porci..
    che si rivoltano e le calpestano…

  9. doghen ha detto:

    Io vorrei anzitutto ringraziare Toshan che ci mette adisposizione questo spazio.
    Questo spazio io lo vivo un pò come un salotto, dove si prende un tè e si fanno due chiacchiere.
    Ora immagina che siamo in salotto e all’improvviso si apre la porta e Vedanta e Luciana entrano e ci dicono un sacco di cose.
    Cribbio! Alcune cose sono condivisibili, altre risentite,…. ma quello che mi colpiva era che in entrambi non c’era alcuna voglia di interagire. Sembravano dei proclami. Mio Dio, mi dico, ma come si fa a comportarsi così? A non considerare chi ti ascolta? C’è molta violenza, io trovo, in questo comportamento, perchè si induce l’altro a prendere una posizione passiva, solo ricettiva. Gli si dà una sequela di informazioni, al che, come reagisce l’altro? E’ costretto a fare “ohhh, ma dai! Mi vieni a raccontare tuttequestebellecose”. Se osservate bene, vedete che dichiarazioni come quelle ti bloccano, non sai cosa dire, non sai come porti. C’è una, neanche tanto sottile, arroganza. Vorrebbero parlare del vuoto e paradossalmente parlano del pieno.
    Se si fosse tra amici in un salotto in carne e ossa, veder apparire queste figure che ti fanno un proclama del genere ti farebbe strano.
    Sarebbe meglio, in questo salotto, parlare di tutto un pò. Tipo la crisi economica o quant’è brutto l’ultimo disco di Jovanotti (il cantante con la lisca).
    Vesiamoci ancora del tè, che si raffredda……

  10. Sakshin ha detto:

    Paritosh:
    Le perle ai porci..
    che si rivoltano e le calpestano…

    °°°
    E se fossero ghiande date a uomini
    che sanno riconoscerle per quello che sono
    e non se le mettono al collo?

  11. eckhart ha detto:

    Sono d’accordo con doghen…
    a quanto pare c’è ancora bisogna di divinizzare e sentirsi divinizzati
    perchè ciò è l’ipnosi richiesta dalla mente..
    altro che falsa semplicità e frugalità della luna e del gatto birmano..
    è stupefacente come si riesca a credere ancora ad un realizzato
    come qualcosa da adorare e scambiare ciò per amore!
    L’ego s’insinua ovunque evidentemente e gioca con le forme che gli sono più congeniali,con i suoi trucchi e le sue maschere luccicanti,
    e invece lì ,in un angolo dimenticarci e non riconoscere la nuda semplicità e nudità dell’essere..che parla anche dell’ultimo di jovanotti senza bisogno di proclamare attenzioni artefatte da taroccati Vuoti,silenzi e amorincondizionati…
    W l’ordinarietà straordinaria dell’Essere…
    Namastè

  12. paritoshluca ha detto:

    Siete solo plebaglia …che si atteggia a spirituale..e non lo dico con offesa..ma solo constatando..
    Credete che un illuminato si ponga al vostro livello..?
    O non vi parla neanche ..oppure se lo fa non si mette certamente a discutere..almeno discutere come intendete voi..e cioè..litigare..
    Un illuminato vuol condividere..e se non siete pronti se ne và semplicemente..che sarebbe tempo perso discutere con chi si sente già un “realizzzato”….virtuale..
    Ma i blog sono questi..spazi aperti a tutti..dove non c’è selezione..e il livellamento è al ribasso..
    ed è naturale che chi non ha piacere al contendere e ad affermare il proprio ego non ama rimanerci..
    Vedanta si è presentata..e ha detto chi era o chi presume di essere..e subito sono partiti attacchi e non domande..
    volete che condivida i vostri attacchi mandandovi tutti a fare in culo..?
    E’ questo il vostro criterio per riconoscere un illuminato..?
    Ma un illuminato neanche vi caga..ed è solo la vostra presunzione che crede di porsi al suo livello..con è quello della mente non dell’Essere..e se il vostro Essere è sovrastato da una mente aggressiva e polemica..nesssuna condivisione è possibile..
    ma solo violenza..rabbia..scazzo..
    Ma gli illuminati virtuali sono questi..abituati a confondere il pensare con la realtà..e a credere che tra il dire e il fare non ci sia di mezzo il mare..per questo i Maestri fondano le Scuole..dove le chiacchiere stanno a zero..e quello che conta è l’Essere..
    ciò che in un blog non risulta…
    Non voglio offendere nessuno..non mi fraintendete..ma se non avete mai partecipato a gruppi di meditazione..o ai duri lavori di una Scuola non potrete mai capire quanto la mente è potente..e quanto sforzo ci vuole per arrivare all’assenza di sforzo..
    Quindi divertiamoci a cazzeggiare..ma per favore non pensiamo che il cazzeggio sia un raggiungimento interiore paragonabile a chi ha lavorato duramente su di sé…per non perdere quella lontana possibilità di capire la differenza tra l’essere realizzati e il pensare di esserlo davanti a uno schermo..

  13. eckhart ha detto:

    Dunque paritosh,visto il tuo infallibile potere discriminatorio:
    riconosci i realizzati se hanno una scuola,a dispetto di quelli falsi che stanno al PC?
    Hai qualche metodo che ti ha condotto a tale conclusione?
    Conosci di persona Vedanta (ammesso che ciò ti sia sufficiente..)
    o hai altri strumenti che qui non si ha?
    Argomenta ciò,(come qui s’è fatto mostrando l’ego spirituale e mercificatorio di Vedanta) invece di difendere una causa per partito preso..mostra consapevolmente con l’uso delle parole come qui ci si sbagli..argomento ciò se ne sei capace..senza le classiche fughe mascherate dal silenzio che solitamente si utilizzano perchè non si sa che dire oltre l’offendere..Argomenta,argomenta..
    Sembrerebbero altrimenti solo frutto di tue proiezioni rabbiose..

  14. Sakshin ha detto:

    Eck:
    … Sembrerebbero altrimenti solo frutto di tue proiezioni rabbiose..
    °°°
    Questi comportamenti non ti ricordano niente?
    Pur essendo identificati in parrocchie diverse, ma la tipologia psicologica fideistica è la stessa.
    E poi c’ è quel rancore e invidia spirituale di fondo che non sanno riconoscere. Non ce la fanno a giocare: hanno investito troppo nel loro cammino “iniziatico”.
    Sono orami autoipnotizzati dalla loro immagine di ricercatore seri, direi seriosi. Ma tant’è: vanno accettati… come utili specchi.
    sak ;-)

  15. atisha ha detto:

    Siete solo plebaglia …che si atteggia a spirituale..e non lo dico con offesa..ma solo constatando..
    Credete che un illuminato si ponga al vostro livello..?
    SE E’ VERO ILLUMINATO E’ PIU’ CHE PROBABILE
    O non vi parla neanche ..oppure se lo fa non si mette certamente a discutere..almeno discutere come intendete voi..e cioè..litigare..
    DIMOSTRI ANCORA ADDOSSO SCORIE DI CONDIZIONAMENTI DI COME DEVE ESSERE UN ILLUMINATO, QUESTA E’ ANCORA FALSITA’ E NON OSSERVAZIONE SENZA GIUDIZIO.
    Un illuminato vuol condividere..e se non siete pronti se ne và semplicemente..che sarebbe tempo perso discutere con chi si sente già un “realizzzato”….virtuale..
    ANCHE QUESTO E’ UN TUO PARERE PROIETTATO DAGLI INSEGNAMENTI RICEVUTI: UN ILLUMINATO AGISCE NATURALMENTE E SENZA PREMEDITAZIONE, PUò ANCHE MANDARTI A FAN CULO SE SENTE LA COSA NECESSARIA, E NON SI FAREBBE PROBLEMA L’ATTIMO DOPO.
    Ma i blog sono questi..spazi aperti a tutti..dove non c’è selezione..e il livellamento è al ribasso..
    PROBABILMENTE QUESTO BLOG HA RAGGIUNTO UN LIVELLO BASSO,MA NON è COSì PER TUTTI I BLOG CIRCOLANTI.
    ed è naturale che chi non ha piacere al contendere e ad affermare il proprio ego non ama rimanerci..
    ESATTO, DIREI CHI NON AMA METTERE IN DISCUSSIONE IL PROPRIO EGO SPIRITUALE.
    Vedanta si è presentata..e ha detto chi era o chi presume di essere..e subito sono partiti attacchi e non domande..
    volete che condivida i vostri attacchi mandandovi tutti a fare in culo..?
    SAREBBE STATA PIU’ VERA, DIRETTA.
    E’ questo il vostro criterio per riconoscere un illuminato..?
    IL TUO DA CHE DEFINIZIONE E’ DATO?
    Ma un illuminato neanche vi caga..ed è solo la vostra presunzione che crede di porsi al suo livello..con è quello della mente non dell’Essere..e se il vostro Essere è sovrastato da una mente aggressiva e polemica..nesssuna condivisione è possibile..
    ma solo violenza..rabbia..scazzo..
    SI PERCEPISCE CHE NON HAI MAI “PORTATO A CASA” ALCUN ILLUMINATO PER CREDERE A QUESTE FANDONIE. UN ILLUMINATO SA COME E CON CHI ATTEGGIARSI, SA ATTRARRE IN MODO NATURALE… PERCHE’ VEDE NON CON IL PORTAFOGLI MA CON IL CUORE.
    Ma gli illuminati virtuali sono questi..abituati a confondere il pensare con la realtà..e a credere che tra il dire e il fare non ci sia di mezzo il mare..per questo i Maestri fondano le Scuole..dove le chiacchiere stanno a zero..e quello che conta è l’Essere..
    CERTO UNA VERA SCUOLA INIZIATICA, MA CE NE SARANNO TRE O QUATTRO SUL TERRITORIO NAZIONALE.
    IL MAESTRO VERO INSEGNA NEGAZIONE, SOSTANZIALMENTE E’ NEGAZIONE,
    NON PUO’ ESSERE ALTRIMENTI.
    IL MAESTRO “crea” SILENZIOSAMENTE, NON IN SILENZIO! :)))
    ciò che in un blog non risulta…
    NON RISULTA AGLI STOLTI INDIVIDUI EGOICI, MA CHI HA CUOREAPERTO E RICETTIVO SA PERCEPIRE ANCHE OLTRE LE PAROLE E LE BATTUTRE.
    E’ ENERGIA CHE “COMANDA”, ATTRAE… CHE NON DEVE CONVINCERE.
    Non voglio offendere nessuno..non mi fraintendete..ma se non avete mai partecipato a gruppi di meditazione..o ai duri lavori di una Scuola non potrete mai capire quanto la mente è potente..e quanto sforzo ci vuole per arrivare all’assenza di sforzo..
    NON VUOI OFFENDERE MA CI HAI PROVATO, VOLEVI SUSCITARE INCAZZATURA. SI’ LA MENTE E’ POTENTE ED A VOLTE NON BASTANO NEANCHE LE SCUOLE DURE PER CAPIRLA.. MENTRE ALTRE VOLTE BASTA MOLTO MENO DI UNA SCUOLA DURA.
    DIPENDE DALLA FIDUCIA CHE SI PONE.DAL VERO ANELITO E DALLA VOGLIA DI GUARIRE REALMENTE DAI VIZI DELL’EGO.
    Quindi divertiamoci a cazzeggiare..ma per favore non pensiamo che il cazzeggio sia un raggiungimento interiore paragonabile a chi ha lavorato duramente su di sé…per non perdere quella lontana possibilità di capire la differenza tra l’essere realizzati e il pensare di esserlo davanti a uno schermo..
    COSA E’ PER TE IL CAZZEGGIO?
    PER ME E’ DIVERTIMENTO, RELAX, SCHERZO.. E IL PIù DELLE VOLTE E’ ANCHE COSTRUTTIVO.
    C’E’ SEMPRE DA IMPARARE. ANCHE QUI.

  16. paritoshluca ha detto:

    53eckhart

    Dunque paritosh,visto il tuo infallibile potere discriminatorio:
    riconosci i realizzati se hanno una scuola,a dispetto di quelli falsi che stanno al PC?
    Hai qualche metodo che ti ha condotto a tale conclusione?
    Conosci di persona Vedanta (ammesso che ciò ti sia sufficiente..)
    o hai altri strumenti che qui non si ha?
    Argomenta ciò,(come qui s’è fatto mostrando l’ego spirituale e mercificatorio di Vedanta) invece di difendere una causa per partito preso..mostra consapevolmente con l’uso delle parole come qui ci si sbagli..argomento ciò se ne sei capace..senza le classiche fughe mascherate dal silenzio che solitamente si utilizzano perchè non si sa che dire oltre l’offendere..Argomenta,argomenta..
    Se
    “”””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””””

    Osho dice una cosa molto semplice…
    “In un dibattito chi è illuminato può perdere nei confronti di chi non è illuminato”..
    E ciò perchè le chiacchiere sono della mente..e la mente se non è esercitata al contendere ..alla disquisizione..alla polemica e agli scontri..soccombe di fronte a chi è esperto in questi ambiti..
    Per cui..le parole non distinguono un illuminato da un furfante..che un furfante può essere più convincente di un illuminato..
    E soprattutto non è il modo di porsi agli altri che distingue l’illuminato da chi non lo è..ma i suoi Principi..i Fondamenti….e l’identificazione con la Consapevolezza chiamata anche Amore..
    Ma naturalmente tutto questo non è stato esplicitato perchè si è attaccato Vedanta solo sul suo modo di proporsi..che con l’illuminazione non c’entra nulla..
    Cioè..non si è indagato con arguzia e intelligenza sulle sue emozioni e propositi…ma si è posto un muro di maleducazione e di scetticismo che avrebbero illontanato chiunque non è un cultore della polemica..
    Io non so se Vedanta sia illuminata..ma sicuramente non sono due parole che lo possono negare o dimostrare…ma una certa frequentazione..la sua imperturbabilità..e la percezione di silenzio e la pace che emana..tutte cose che in un blog volto alla polemica è difficile da mostrare..anche perchè verrebbero fraintese come effettivamente è successo..
    Quindi..per chiarirsi..io non rivendico l’illuminazione di Vedanta..anche se non è facile prendere per i fondelli sannyasin scafati..ma rivendico certamente la mancanza di Consapevolezza dei blogghisti..che si sono impuntati su cose irilevanti..solo perchè chi si presentava non era avvezza a questo modo di discutere..e ne hanno approfittato per denigrare..
    Ragazzi…qui ci vuole per voi un illuminato e un intellettuale…..che un illuminato solo non vi basta..
    ma…ve lo meritate..?
    Io dico che vi meritate intellettuali..e neanche tanto colti..che vi piacciono solo le discussioni grammaticali..o sintattiche..
    che tutti gli altri..anche se fossero Maestri illuminati..manco li vedete..se non usano il linguaggio che vi è proprio..quello alla Krishnamurti per intendersi..sia Jiddu che U.G….oppure Balsekar..
    il linguaggio da mal di testa..insomma..che non è l’unico..per esprimere certe cose..ma è senz’altro l’unico che privilegia la mente come si richiede per chi è un ricercatore interiore da computer..

  17. paritoshluca ha detto:

    55atisha

    Credete che un illuminato si ponga al vostro livello..?
    SE E’ VERO ILLUMINATO E’ PIU’ CHE PROBABILE

    ::::::::::::::::::
    Gurdjieff diceva una cosa molto interessante…
    Più il discepolo è inconsapevole..e più pretende Gesù Cristo per Maestro..non si contenta di meno…
    L’Illuminato vede se la gente con cui parla è pronta alla sua presenza.. oppure è talmente rintronata da metterlo in croce..di nuovo..
    E in genere gli illuminati non amano essere torturati..come noi..che godiamo per le offese ricevute..che nella nostra misera vita sono pur qualcosa di energetico e reale..a fronte di un deserto di emozioni da cui fuggire anche a calci in culo..e ringraziare per l’interessamento..
    Adeso naturalmente mi verrai a dire che la tua vita è piena..ricca..bella….e che lo scrivere nel blog è per sovrabbondanza e non per noia mascherata..
    conosco questa filosofia degli illuminati virtuali..e certamente non potrò farti cambiare idea..ma anzi..ne approfitterai per dire quanto sono cattivo e sordo alla bellezza del mondo..
    Ma io sono un ricercatore..e chi vuol guarire deve sentirsi ammalato..e non si può guarire dalla mente se ci sentiamo già realizzati..ed io non mi sento tale..e ho quindi il diritto di vedere il deserto di una vita senza Consapevolezza..costellata da qualche oasi per sopravvivere..
    Quindi..se vedo fontane zampillanti..o una misera borraccia..non ci sputo sopra..preferendo morire con l’illusione di essere dissetato..
    ma mi avvicino per vedere se è un miraggio o realtà..che da queste parti..un nuovo miraggio va studiato..che i soliti non eccitano più..

  18. Sakshin ha detto:

    Paritosh:
    Io dico che vi meritate intellettuali..e neanche tanto colti..che vi piacciono solo le discussioni grammaticali..o sintattiche..
    che tutti gli altri..anche se fossero Maestri illuminati..manco li vedete..se non usano il linguaggio che vi è proprio..quello alla Krishnamurti per intendersi..sia Jiddu che U.G….oppure Balsekar..

    ***
    Ne hai ancora tanta di strada da fare, caro paritosh… te lo dico sinceramente.
    Se non sei riuscito comprendere l’essenza dell’insegnamento di Osho, non puoi nemmeno capire ne Jiddu Krishnamurti che U.G… tantomeno Balsekar. Perchè l’essenza è la stessa.
    Non stai parlando con uomini della lettera come te. Stai parlando
    con gente che ha fatto il tuo percorso, ma che è pure andato oltre.
    Ma di questo la tua mente non si capacita ed è infastidita.
    Se Vedanta vuole farsi conoscere, noi siamo qui.
    Che problemi ci sono per qualche piccolo fuoco di sbarramento, casomai? Se si ritiene superiore a noi poveri ingrati… stia negli ambienti che non la mettono in discussione, che la confortano, che si abbeverano del suo “Amore incondizionato”.
    Altrimenti impari a giocare nel mondo, dato che dice di avere capito che la forma è il vuoto e il vuoto è la forma. Questa è la forma, perchè non l’accetta così com’è e si rifugia nella sua campana di vetro fatta di soli ammiratori?
    Sak :-)

  19. atisha ha detto:

    paritosh: E in genere gli illuminati non amano essere torturati..come noi..che godiamo per le offese ricevute..che nella nostra misera vita sono pur qualcosa di energetico e reale..a fronte di un deserto di emozioni da cui fuggire anche a calci in culo..e ringraziare per l’interessamento..

    atisha: parla per te… :)))))

  20. atisha ha detto:

    Gurdjieff diceva una cosa molto interessante…
    Più il discepolo è inconsapevole..e più pretende Gesù Cristo per Maestro..non si contenta di meno…
    IL BELLO DELLA “diretta” E’ CHE SI PRENDE SOLO IL MIELE E SI LASCIA IL FIELE DI OGNI GRANDE MAESTRO.. MI CONFERMI.
    L’Illuminato vede se la gente con cui parla è pronta alla sua presenza.. oppure è talmente rintronata da metterlo in croce..di nuovo..
    SE SERVISSE ESSERE MESSI IN CROCE (SIMBOLICAMENTE) PER PERMETTERE ALLA GENTE POI DI VEDERE, PERCHè NO?
    E in genere gli illuminati non amano essere torturati..
    come noi..che godiamo per le offese ricevute..che nella nostra misera vita sono pur qualcosa di energetico e reale..a fronte di un deserto di emozioni da cui fuggire anche a calci in culo..e ringraziare per l’interessamento..
    REPEAT: PARLA PER TE… ;)))
    Adeso naturalmente mi verrai a dire che la tua vita è piena..ricca..bella….e che lo scrivere nel blog è per sovrabbondanza e non per noia mascherata..
    LA MIA VITA E’ UNA VITA E LO SAI, NE’ RICCA NE’ ATTRAENTE, UNA VITA CHE VIVO ATTIMO DOPO ATTIMO, UN DONO…
    O UN CULO (KARMA?) ESSERE ANCORA VIVI E CONSAPEVOLI.
    conosco questa filosofia degli illuminati virtuali..e certamente non potrò farti cambiare idea..ma anzi..ne approfitterai per dire quanto sono cattivo e sordo alla bellezza del mondo..
    SEI INCAZZATO E BASTA E TI CAPISCO.
    Ma io sono un ricercatore..e chi vuol guarire deve sentirsi ammalato..e non si può guarire dalla mente se ci sentiamo già realizzati..ed io non mi sento tale..
    SI E’ CAPITO. VUOI FARE IL MALATO A VITA.
    UN ATTEGGIAMENTO CHE ANCORA TI SERVE. IL DIVINO FA CHE TI SERVA. TU IN QUANTO DIVINO VUOI UTILIZZARE QUELL’ATTEGGIAMENTO.
    A ME HA OFFERTO ANCHE ALTRO IL DIVINO, DI CAMBIARE ATTEGGIAMENTO. HO COLTO L’INGANNO DELLA MENTE ED HO OPERATO SULLA STESSA, OPERO CONTINUAMENTE, CONSAPEVOLMENTE.

    e ho quindi il diritto di vedere il deserto di una vita senza Consapevolezza..costellata da qualche oasi per sopravvivere..
    Quindi..se vedo fontane zampillanti..o una misera borraccia..non ci sputo sopra..preferendo morire con l’illusione di essere dissetato..
    ma mi avvicino per vedere se è un miraggio o realtà..che da queste parti..un nuovo miraggio va studiato..che i soliti non eccitano più..
    TUTTA MENTE.. CHE MENTE.
    ORMAI ALLA TUA VENERABILE ETA’ INIZIATICA DOVRESTI AVER VISTO ANCHE ALTRO.. COSA E COME AGISCE L’ILLUSIONE.. O NE SIAMO USATI E LA POSSIAMO USARE.
    L’ILLUSIONE è UNO STRUMENTO SACRO, SE USATO COSCIENTEMENTE.
    MI PARE CHE GURDJI NE AVESSE PARLATO PARECCHIO :)))

    SERENITA’

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