Feed on
Posts
Comments
Collegati
Share this page to Telegram

big_bang.jpgL’illuminazione è un’esperienza singolarmente intensa, che rivela a una persona il suo posto nello schema delle cose. Essa è, molto spesso, un’esperienza definitiva grazie alla quale chi esperimenta non dubiterà mai più della propria relazione con se stesso, gli altri, il mondo e qualunque cosa si ritenga esistere al di là di quest’ultimo. L’illuminazione non è settaria: è rinvenibile nel buddismo, nel cristianesimo, nell’induismo, nell’Islam e in molte altre tradizioni religiose.

Il tema di oggi è intitolato: “Cosa è meglio: l’illuminazione graduale o quella istantanea?”. Per cominciare, voglio affermare che nessuna è meglio dell’altra, perché entrambe si basano su concezioni metafisiche del mondo e della natura umana molto diverse. Quindi, è impossibile classificarle come “superiore” o “inferiore”. Inoltre, devo specificare che, sebbene l’illuminazione istantanea è associata alle scuole Soto (in cinese: Tso-Tsung), Rinzai (Lin-Chi) e Zen (Ch’an), questo articolo tratta solo del significato attribuitole dalla scuola Rinzai, che non coincide esattamente con quello della Soto.

Prima di paragonare tra loro l’illuminazione graduale e quella istantanea, devo darvi una definizione dell’esperienza minima di illuminazione (kensho o satori). Questa definizione non è l’unica possibile e altre possono competere con essa, soprattutto perché è molto influenzata dalla tradizione Rinzai.

L’esperienza dell’illuminazione è un’esperienza singolarmente intensa, che rivela a una persona il suo posto nello schema delle cose. Essa è, molto spesso, un’esperienza definitiva grazie alla quale colui (o colei) che esperimenta non dubiterà mai più della propria relazione con se stesso/a, gli altri, il mondo e qualunque cosa si ritenga esistere al di là di quest’ultimo.

Tale esperienza conferisce un grande potere ed è enormemente convalidante; inoltre, è diversa da tutte le altre esperienze possibili. Un aspetto importante di essa è il suo essere non-settaria. Vale a dire, questa esperienza è rinvenibile nel buddismo, nel cristianesimo, nell’induismo, nell’Islam e in molte altre tradizioni religiose. Ogni tradizione può imporle la sua interpretazione dogmatica, ma l’esperienza iniziale, dal punto di vista psicologico, sembra trans-culturale. Per finire, questa esperienza può verificarsi in molte circostanze diverse, ma nella maggior parte dei casi accade come conseguenza di qualche grave crisi intellettuale, emotiva o fisica.

Se si leggono i resoconti di queste esperienze di risveglio nelle vite dei ricercatori più o meno famosi, ci si accorgerà che tali crisi possono manifestarsi come un dubbio profondo sulla giustizia divina, una malattia che mette a rischio la vita, uno stato di disperazione per la perdita di una persona amata, un’esperienza vicina alla morte o addirittura un tentativo di suicidio. Si noti che la definizione di kensho o satori non dice nulla sulla capacità di colui che esperimenta di insegnare o sostenere in qualche modo i bisogni spirituali altrui. A questo proposito, occorre fare una netta distinzione tra una persona che ha un’esperienza di illuminazione e una persona illuminata.

Quest’ultima categoria andrebbe limitata a quegli individui che possiedono la saggezza e il carattere morale per influenzare correttamente gli altri, oltre alla capacità carismatica di fare ciò senza sfruttare in alcun modo le persone. Questa è la definizione di un saggio illuminato o di un santo. Una persona simile può aver avuto un’esperienza di illuminazione, istantanea o graduale, oppure può godere di una maturità spirituale naturale, che esclude il bisogno di un’esperienza di satori. Ma se vogliamo fare affidamento sulle fonti storiche, un saggio naturale è molto più raro del saggio che ha bisogno di un’esperienza dell’illuminazione.

D’ora in poi, comunque, parlerò solo dell’esperienza dell’illuminazione in sé, senza fare ulteriori distinzioni tra i saggi e i non saggi. Avendo definito l’illuminazione per gli scopi di questa conferenza, è ora tempo di spiegare cosa significa illuminazione “istantanea” o “graduale”.

A differenza della maggior parte delle scuole buddiste, di solito definite “scuole dell’illuminazione graduale”, lo zen (parola con cui, d’ora in poi, si indicherà lo zen Rinzai) viene definito “scuola dell’illuminazione istantanea”. Tutte le scuole buddiste concordano sul fatto che l’esperienza dell’illuminazione, nel momento in cui avviene, è istantanea, ma questo non è l’unico significato di “istantanea” nel contesto dell’omonima scuola.

Fin dalle origini, nel buddismo sono esistite due interpretazioni del processo dell’illuminazione. Nella prima, il mondo viene considerato un luogo di frustrante impermanenza e inappagamento (dukkha), mentre la natura umana è il prodotto di secoli di attaccamento karmico a passioni impure. In quest’ottica, l’illuminazione indica la conquista e l’estinzione di tali impurità, oltre alla conseguente evasione dalla vita, il mondo e il dukkha. Per ottenere questa liberazione, è necessario vivere senza fissa dimora e condurre una vita ascetica nella quale i desideri e i bisogni umani vengono dissolti per trascendere le passioni e i sentimenti comuni dell’uomo, sia positivi che negativi.

L’amore, così come l’odio, tiene attaccati al mondo; solo colui che riesce a restare indifferente a entrambi può definirsi un essere illuminato o libero dalle passioni (Arahat o Buddha). Il processo di illuminazione che si accompagna a questa concezione richiede un lungo e graduale percorso di disciplina ascetica, che conduce a stadi progressivi di illuminazione. Ciascuno stadio è caratterizzato da un attaccamento, al sé e al mondo, inferiore di quello precedente. Nella maggior parte dei casi, in questa concezione l’illuminazione non è qualcosa di raggiungibile da un comune laico. Questo concetto della gradualità è giustificato se ci si attiene a un’interpretazione pluralista della realtà, come faceva il buddismo primitivo.

Ma esiste anche il secondo punto di vista buddista, che afferma che il nostro dukkha è dovuto all’illusione in un sé separato e autonomo. L’illuminazione, in tal caso, vuol dire abbandonare questo concetto irreale del sé o “senso dell’io ingrandito”, risvegliandoci alla realtà della sua illusione. Il problema insito nell’approccio dell’illuminazione graduale, per quanto riguarda questo falso io, è il fatto che l’affermazione: “Sto cercando l’illuminazione” in realtà rinforza il senso dell’io. Quindi, presumibilmente, più una persona pratica, più profonda si fa l’illusione di un sé separato e autonomo, e tanto più si allontana l’illuminazione. Il buddismo mahayana si è sviluppato estendendo a tutta la realtà questa concezione secondo cui non esiste un autentico sé indipendente.

Ciò comportò l’abbandono dell’interpretazione pluralista della realtà a favore di una non-duale. Ovvero, ogni parte della realtà è così totalmente integrata che non può essere divisa in alcun modo, soprattutto in sé separati. Poiché ogni dualità è illusoria, non può esserci dualità nemmeno tra la mente samsarica, non-illuminata o impura, e la mente nirvanica, illuminata e pura. Dal momento che la realtà non-duale non può essere divisa in parti incrementali, è impossibile comprenderla poco a poco, come richiede l’approccio graduale all’illuminazione. Il non-duale va realizzato nel suo insieme (istantaneamente) come un tutto, o non lo si realizza affatto. Comunque, poiché il mahayana primitivo conservò la diffusa idea indiana secondo cui le passioni umane sono impure, dovette ignorare l’incoerenza tra una filosofia non-duale e l’illuminazione graduale.

Quando il buddismo entrò in Cina, questa incoerenza divenne un problema. La causa di ciò fu il modo decisamente non-indiano in cui i cinesi consideravano il mondo e la natura umana. A differenza del pensiero indiano, che dava la priorità all’elemento della realtà divino o trans-umano, il pensiero cinese assegnava la priorità al mondo umano. Secondo la tradizionale concezione cinese, la gente nasce con un innato senso del bene, del vero e del puro, le comuni passioni umane sono parte di questa bontà e un saggio illuminato è colui che accetta tutto ciò.

La primitiva filosofia buddista, che considerava impuro il samsara e puro il nirvana, non poteva essere accettata fino in fondo dai cinesi senza abbandonare prima la tradizione confuciana e taoista, molto più positiva. Ma l’insegnamento mahayana secondo cui il samsara e il nirvana erano la stessa cosa s’integrò facilmente nella filosofia tradizionale cinese. Se le passioni samsariche sono contenute nel nirvana e viceversa, l’illuminazione non richiede una dissoluzione graduale dei comuni sentimenti, bisogni e desideri umani. L’illuminazione vuol dire semplicemente diventare consapevoli del fatto che si è già nello stato incondizionato del nirvana. Quindi l’illuminazione, anziché sostituire la natura umana con una natura trans-umana libera dalle passioni (come nel tradizionale buddismo indiano), non fa che aggiungere all’ordinaria condizione umana la consapevolezza non-duale della propria innata purezza nirvanica.

I cinesi, accettando la filosofia non-duale mahayana, videro con grande chiarezza l’incoerenza tra la non-dualità e l’illuminazione graduale. Questa percezione fu rinforzata dal fatto che il taoismo, la cui filosofia della realtà era a sua volta non-duale, era più incline all’approccio dell’illuminazione istantanea. Per questo, la scuola dell’illuminazione istantanea finì per dominare il pensiero cinese, sia buddista che non buddista. Poiché l’illuminazione istantanea non richiede una graduale purificazione monastica, essa può succedere in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, in ambiente monastico o normalmente domestico. Questo piacque molto ai cinesi, poco inclini all’ascetismo.

In tal modo, chiunque, persino la persona più attaccata al mondo, può sperimentare lo stato di illuminazione. Naturalmente, questa possibilità ha senso solo se l’illuminazione non dipende da alcun tipo di pratica ascetica, nemmeno dai comuni freni morali dell’individuo medio. In ultima analisi, una tale illuminazione istantanea deve essere conseguita a prescindere da qualsiasi sforzo ascetico o addirittura meditativo. In realtà, tale sforzo sarebbe appropriato solo per l’illuminazione graduale. L’illuminazione istantanea, non dipendendo dalla pratica, deve quindi essere più o meno accidentale.

La differenza tra i punti di vista “istantaneo” e “graduale” determina il modo in cui ciascuna tradizione considera non solo l’illuminazione, ma anche il Buddha. La scuola “graduale” giudica l’illuminazione come qualcosa che ci rende persone molto migliori, considerando il Buddha superiore a tutti gli altri esseri. Per la scuola “istantanea”, l’essere illuminati non rende più elevati o più importanti delle persone non illuminate. Poiché sia l’illuminato che il non illuminato hanno la stessa natura del Buddha o del nirvana dentro di sé, entrambi possiedono naturalmente lo stesso valore e le stesse virtù. Se non abbiamo bisogno dell’illuminazione per diventare migliori, secondo la scuola istantanea, il Buddha è semplicemente un primo tra uguali.

In realtà, questo punto di vista “istantaneo” della buddità afferma che il nostro dukkha, o l’attaccamento pieno di paura alla vita e alla morte, avviene perché dubitiamo del nostro valore presente e assolutamente incondizionato (la natura di Buddha). “Illuminazione” vuol dire lasciare andare completamente questo dubbio per comprendere intuitivamente la nostra parità con il Buddha. Una volta liberati dal nostro dukkha, siamo soddisfatti di noi stessi e degli altri così come siamo.

Nella scuola istantanea, una semplice comprensione intellettuale di quanto appena detto costringe ad abbandonare l’orgoglio insito nello sforzo di raggiungere l’illuminazione. Questa mancanza di orgoglio, o questa umiltà, dovuta alla caratteristica natura accidentale dell’illuminazione istantanea, è un modo di lasciare andare il sé come fonte del dukkha; quindi, di fatto, è una sorta di illuminazione prima dell’illuminazione. Per alcune persone, questa è già un’illuminazione sufficiente, mentre per altre significa maggiori possibilità di risvegliarsi a qualcosa di più grande.

Ciò diventa particolarmente vero con un’adeguata pratica preliminare. La pratica preliminare va chiaramente distinta da quella che implica l’illuminazione graduale. Nessuna forma di pre-illuminazione è un requisito dell’illuminazione istantanea, tanto meno una causa o una garanzia; ciononostante, essa svolge un’importante funzione. L’illuminazione istantanea può accadere a una persona, ma se quest’ultima non è preparata a riconoscerla e – fatto più importante – a integrarla nel suo essere psicologico di tutti i giorni, quasi sicuramente verrà solo per scivolare via.

A questo proposito, possiamo fare un’analogia con la pioggia. La pioggia, come l’illuminazione istantanea, non può essere forzata; arriva da sola. Inoltre, quando cade, lo fa indifferentemente su terreno fertile e su quello improduttivo. Se cade sul primo, le piante crescono in modo lussureggiante; sul secondo, non si avrà altro che terreno umido. Coltivare una pratica di pre-illuminazione vuol dire assicurarsi un terreno fertile quando la pioggia dell’illuminazione istantanea cadrà; non avere alcuna pratica vuol dire quasi sicuramente perdere ciò che si sperava di ottenere. Questa pratica preliminare non va considerata un avvicinamento graduale all’illuminazione, perché in essa non esistono stadi.

In altre parole, a differenza di una pratica orientata verso l’illuminazione graduale, in cui di solito è possibile scorgere dei progressi (come un distacco sempre maggiore dal mondo) nessun avanzamento è evidente in una pratica istantanea. In più, mentre una pratica a orientamento graduale di solito presuppone un lungo periodo di tempo (ci vogliono molti anni prima che siano visibili dei risultati), la stessa cosa non è vera per una pratica non graduale.

Poiché l’illuminazione istantanea non dipende da alcun tipo di pratica, e può giungere con o senza quest’ultima, l’illuminazione potrebbe irrompere dopo un solo giorno o non arrivare neppure dopo molti anni. Per questa ragione, una pratica non graduale può essere molto più frustrante di una pratica che mostri chiari progressi verso la meta.

Comunque, il vantaggio di una pratica non graduale (e di fatto una delle ragioni della sua diffusione) è che essa è effettuabile sia all’interno che all’esterno di un monastero. Questo è specialmente vero per una specifica pratica non graduale, il classico Kung-an cinese (ma non necessariamente per il koan giapponese).

Naturalmente, il paradosso di una pratica di pre-illuminazione volta all’illuminazione istantanea è che essa implica nulla di meno che la frustrante esperienza di ricercare ciò che già si ha, cioè il valore incondizionato del Buddha. Questo vuol dire chiedersi costantemente: “Perché sto facendo ciò?”, “Perché la mia mente non mi lascia sperimentare la mia vera natura? Forse tutta questa faccenda è una menzogna. Forse sto solo sprecando tempo ed energia; mi sto ancora ingannando”.

Questo dubbio è una parte naturale della preparazione all’illuminazione istantanea e richiede, affinché la pratica continui, una fede pari al dubbio. È qui che entrano in scena un’insegnante e una comunità spirituale, in quanto l’insegnante che ha attraversato queste difficoltà può infondere speranza, mentre una comunità di ricercatori può fungere da supporto.

Né l’approccio graduale né quello istantaneo possono garantire l’illuminazione, ma entrambi danno una possibilità di raggiungerla, ognuno a suo modo. Per una persona capace di impegnarsi totalmente in una vita monastica la via graduale può offrire più speranza di quella istantanea. Per chi non è in grado di prendere un impegno così grande, la via istantanea potrebbe offrire maggiori speranze. Come tutte le religioni e le filosofie, è possibile trovare molti argomenti razionali a sostegno dell’approccio graduale o di quello istantaneo, ma la realtà è che nessuna delle due può essere dimostrata o confutata logicamente. Entrambe, in ultima analisi, si basano largamente sulla fede. Di fatto, tutte le scuole del buddismo, se non addirittura tutte le tradizioni religiose, richiedono una grande fede come requisito per qualsiasi risveglio spirituale.

Nella Cina e nel Giappone medievali si sviluppò una scuola buddista chiamata della “terra pura” (in cinese: Ching-t’u; in giapponese, Jodo). Questa scuola insegnava che, a causa della corruzione del mondo e del gigantesco karma negativo accumulato dall’umanità, nessuno sforzo umano sarebbe mai stato grande abbastanza da permettere a un individuo di raggiungere la liberazione. Ma grazie al voto di salvare tutti gli esseri fatto millenni prima dal celestiale Buddha Amithaba (cinese: O-mi-to; giapponese: Amida), qualsiasi persona, buona o cattiva, che avesse chiesto la liberazione con sincera fede a questo Buddha, l’avrebbe ottenuta. Nella scuola tradizionale della terra pura, questa liberazione prende la forma della consapevolezza che, dopo la morte, si rinasce nel paradiso celestiale di Amithaba.

Tale dipendenza assoluta dal potere divino di un altro essere per raggiungere la liberazione fu chiamata “la via dell’altro potere” (giapponese: tariki). Poiché lo zen e poche altre scuole insegnavano a non aver fede nella grazia di un potere esterno per liberarsi, la loro venne chiamata “la via del proprio potere” (giapponese: jiriki) dalla scuola della terra pura. Nel corso dei secoli, questa definizione venne ripetuta così spesso che alla fine s’impose: oggi persino lo scuola zen la usa per distinguersi da quella della terra pura. Ma questa definizione è molto fuorviante. Il “proprio potere” implica che l’individuo è in totale possesso del processo di liberazione. Questo è più vero per le scuole di illuminazione graduale non-zen. In quelle scuole, l’individuo purifica il sé e lavora verso la meta unicamente grazie ai propri sforzi. Ma se nello zen l’illuminazione istantanea è accidentale, parlare del proprio potere o dei propri sforzi dovrebbe essere fuori luogo.

L’aspetto accidentale dell’illuminazione istantanea andrebbe definito in un altro modo, piuttosto che come l’influenza del proprio potere. Definire lo zen “una scuola del proprio potere” mette in ombra l’aspetto accidentale della sua illuminazione istantanea. Un altro modo di dire questo è dare una seconda definizione dell’illuminazione istantanea. Essa è l’irruzione dell’«altro» nell’ordinario, la discontinuità radicale nel flusso della vita quotidiana, una catastrofe positiva.

Rev. Vajra è un insegnante di Zen Dharma all’International Buddhist Meditation Center, www.ibmc.info, per gentile concessione.
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini.
Copyright per l’edizione italiana: Innernet.

33 Responses to “Illuminazione istantanea o graduale?”

  1. federico ha detto:

    io non conosco bene il significato del samadi, le mie espereinze mi hanno portato a co noscere la Luce fino a vederla con gli occhi creare una montagna, bellissimo ma anche ci mette allerta per ciò che comporta questa realtà, poi interiormente la Luce la vedi come costituente del corpo, come in un’estasi ma anche rinforza il corpo, lo ringiovanisce, raramente la Luce cammina da sola nel corpo e lo sanifica e purifica tutto , direiciò risveglio della kundalini ma orientato a dimensioe umana verso la vita, non verso il bruciarti la mente.
    Queste so no le mie epsereinze, le posso reiterare in parte, gradualmente con la tecnica (chiamiamola così) del pensiero guidato cioé la mente che scarta sistematcamente ciò che le proviene dai sensi (Meditazione Vita)
    Il passo successivo come ti dicevo é il ritrovare il prprio essere, non so se ciò può essere fatto in altri modi, essere e persona nella mia epserienza si danno mano stretti stretti, essere e identità, la vera nostra identutà umana, incredibile, bellissima e veramente superiore a tutto ( pprobbilmente é laa suprema identità) e che comprende in se stessa la natura anche si un monte, ti parrà impossible eppure é vero, si può sperimentare ciò sulle alture qui ho il mio posto, é bene credo avere un pò di confidenza col posto.
    Non so cosa altro dirti, non sono cose queste agevoli da esprimere meglio é provarle ;credo che il dono pratico maggiore della Luce e della riscoperta di identità sia la salute , la capacità di cancellare depressione e dolore in istanti, cancellare anche la fatica, sapere addormentarsi come angioletti quando si é agitati o stare svegli a piacere quando si ha sonno, assistere all’invasione di un malanno nel nostro corpo, e cacciarlo a piacere ecc.ecc. —ed anche certo la felicità o giuoiadivivere indipendente da ogni cosa di questo mondo.

  2. federico ha detto:

    ah..scusatemi gli erori di battitura,a volte la mente va più veloce della mani, poi dimentico di rivedere il testo…. volevo ancora aggiungere che meditando sulla luce con la tecnica del pensiero, si vede ad un certo punto il cerchio arancio ed azzurro, soprattutto azzurro, ma si prosegue imperterriti… può accadere dopo quando si smette che si vedano immagini di cose fisiche ma di una nitidezza e realisticità molto elevata e anche di un’architettura , bellezza ed ignegno eccezzionali sono visioni di realtà che non sono porpie della persona nel senso che non siamo ancora riusciti a realizzarle ì, penso che si entri nella mente del divino, nell’Essere, non so bene come epsrimermi, allora penso che il progresso tecnologico é emblema di questa mente divina….dunque stiamo camminando in questa direzione, dobbiamo quindi per adeguare la nostra persona eliminare la sofferenza dalla nostra esistenza, intendo quella che viene dalla malattia , dalla natura e da noi stessi ( guerre, ingiustizie, egoismi ecc.) la riscoperta della Luce e della identità secondo me porta a tutto ciò in modo naturale ma occorrerebbe ovviamente un impegno piuttosto diffuso per assistere a risultati apprezzabili all’esterno, invece per la salute già si apprezzano cose concrete da soli ma non stabili cioé occorre molta costanza credo perché esiste l’interferenza del pensiero o del contenuto mentale altrui , anzi sono molto sicuro che questa sia perlomeno una causa .

  3. sofiastrea ha detto:

    ciao Federico …credo di aver sbagliato strada la mia porta a fare le cose più banali: camminare, giocare, amare, cac…re…

  4. federico ha detto:

    no non hai sbagliato queste sono cose coerenti con la vita, devi solo arrivare in cima al colle o collina, o piccolo monte cui cammini intorno, fermandoti a giocare e ad amare tra i prati, lassù tra parentesi c’é in genere il più bello, tutto ciò che fai sotto diviene più bello e l’amore più profondo.Ciò significa che anche in noi stessi, nella nostra mente dobbiamo giungere in cima, portando cioé la mnete nelle Luce e la coscienza al suo posto giusto.
    Impegnandoti troverai “in cima” fuori ed entro di te anche l’Eden e non sto scherzando, son o solo cose normali solo che non ci siamo più abituati capisci? Adamo ed Eva esistono sempre.

  5. eckhart ha detto:

    Un saggio uomo vinse un’auto di lusso alla lotteria. I suoi amici e la sua famiglia erano molto contenti per lui e vennero a celebrare l’avvenimento dicendogli quanto fosse fantastico,quanto fosse fortunato.
    Ma l’uomo sorrise e rispose:”Può darsi” e per un paio di settimane si divertì a guidarla. Ma un giorno a un incrocio,un guidatore ubriaco si scontrò con la sua auto nuova e lui finì all’ospedale con ferite multiple.
    Sia la sua famiglia,sia gli amici vennero a fargli visita e gli dissero quanto fosse stato sfortunato. Ma di nuovo l’uomo sorridendo rispose:”Può darsi”.Una notte,mentre si trovava ancora in ospedale,vi fu una frana e la sua casa scivolò in mare. E di nuovo il giorno seguente i suoi amici vennero a dirgli quanto fosse stato fortunato a essere all’ospedale. E di nuovo l’uomo rispose:”Può darsi”.
    :-)

  6. sofiastrea ha detto:

    Già Eckhart…può darsi :-))

  7. atisha ha detto:

    Cloe: Ciò che davvero è uguale per tutti è l’assenza di attaccamenti ed emozioni. L’ho già detto: si ama ma non in modo romantico o dipendente. Si ama e basta.
    ……………………………

    per intenderci, che significa per te si ama e basta?
    daccordo sull’amore senza attaccamenti, desideri ed emozioni…
    ma dire che si ama e basta è un po’ generico.. vorrei capire..

    altra cosa.. stato di illuminaizone non significa assenza di emozioni.. essere assenti alle emozionalità fa ancora parte di un residuo “accidentale” dello stato di samadhi.. direi che l’emozione non è più centralizzata, ma gestita dalla consapevolezza..

  8. winter ha detto:

    concordo con Atisha: le emozioni ci sono, ma si avvertono come periferiche rispetto al Centro incrollabile, all’Essenza.

  9. cloe ha detto:

    Si può dire anche così, se vi piace di più: le emozioni ci possono essere, ma periferiche, non determinanti e soprattutto non creano stati di alterazione.
    In quanto alla consapevolezza è un buon passo, anzi ottimo, verso l’esperienza dell’Uno, ma fai attenzione perché è ancora un’azione, cioè ancora parte separata dalla tua vera natura. Mi spiego: se sei consapevole significa che qualcuno dentro di te fa l’esperienza di consapevolezza; chiediti Chi è consapevole e di che cosa, e sentirai la sottile membrana che ancora separa te dal tutto. Quando tu (colui che fa l’esperienza), l’osservatore (colui che ne è consapevole) e l’esperienza diventano un’unica cosa allora sei nell’Unità e in questa Unità l’amore E’ senza bisogni, attaccamenti, emozioni, sentimenti, soggetti da amare. E’ amore come qualità intrinseca dell’Essenza. Non riesco a spiegare meglio, mi spiace: le parole hanno un limite invalicabile. Nessun mistico è in effetti mai riuscito a spiegare cosa significhi l’Illuminazione. Se vuoi approfondire potrei consigliarti “Space Cruiser Inquiry” di Almaas.

  10. federico ha detto:

    si ho già sentito queste parole, questi conctti, in effEtti la materia é delicata, non c’é più alcuno spazio credimi per porti quella domanda” CHI é IN ME CHE é CONSAPEVOLE” . Io però faccio altra riflessione, il Divino o Dio deve usare consapevolezza, dal suo Essere indistinto passa in uno stato di distinzione, allora avviene la Luce e la manifestazione, ma se non si applica consapevolezza tutto termina, la consapevolezza é il legane che tiene unito l’Essere alla Luce e alla manifestazione. Consapevolezza come elemento essenziale, come una colla ( scusa l’espressione) che permette l’esistenza di tutto e ….la Vita cioé la persona perché é la persona che vive e non l’Essere . Non mi interessa più quindi sapere chi é consapevole in me, perchè anche l’Essere non può sapere di se stesso , neppure Lui, l’Essere acquisice consapevolezza di se solo manifestandosi in LOuce e forme e la consapevolezza di se é la persona, il tao, la ersona Divina che si manifesta poi nella form aumana . Consapevolezza vuol dire appunto distinguersi o separarsi come é nel concetto psichiatrico.Spero che mi capisci .
    Bé comunque meglio di tutto é sempre provare.

  11. salvatoreR ha detto:

    Illuminazione è infatti il riconoscimento che tutto è Uno, che ciò che siamo è sia la sorgente di ciò che appare sia l’apparire stesso.

  12. Heeledjim ha detto:

    Chiedersi “Quale illuminazione sia meglio, graduale o istantanea” non ha basi…

    l’illuminazione non può essere graduale, quindi perchè indugiare e cadere ripetutamente nelle stesse strutture?

    Se si ha chiarezza di cosa sia l’illuminazione, appare evidente che non è inserita in un movimento del tempo che va da passato, al presente e al futuro, non simuove in questi stati, l’illuminazione è la consapevolezza che tutto èinserito nel campo stesso che contiene anche le nostre interpretazioni del “tempo”… se si ha questa chiarezza non si chiama l’illuminazione istantanea ne graduale, perchè ognuna delle due definizioni è paragonata allo scorrere del tempo, e quindi il paragone è fatto da chi non ha chiarezza… indugia, fa giri intellettuali, immagina, ipotizza, deduce… ma non sta vedendo complessivamente…

    L’illuminazione di certo non è graduale…
    e se c’è, non è nemmeno immediata…

    si interpreta come “immediata” solo mentre si “pensa”, ovvero mentre si è nell’illusione e si “ricorda, o immagina” l’illuminazione…

    se c’è chiarezza non c’è tempo…

  13. […] negazione di se stesso, attraverso il superamento dell’egoica individualità. Si tratta dello “stato di unitaria comprensione” raggiunto da chi, sperimentata la sua “personale rivelazione”, sceglie di non rinunciare al […]

Leave a Reply