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and Anima Mundi

13
Jan
2009
0

Illuminazione istantanea o graduale?

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big_bang.jpgL’illuminazione è un’esperienza singolarmente intensa, che rivela a una persona il suo posto nello schema delle cose. Essa è, molto spesso, un’esperienza definitiva grazie alla quale chi esperimenta non dubiterà mai più della propria relazione con se stesso, gli altri, il mondo e qualunque cosa si ritenga esistere al di là di quest’ultimo. L’illuminazione non è settaria: è rinvenibile nel buddismo, nel cristianesimo, nell’induismo, nell’Islam e in molte altre tradizioni religiose.

Il tema di oggi è intitolato: “Cosa è meglio: l’illuminazione graduale o quella istantanea?”. Per cominciare, voglio affermare che nessuna è meglio dell’altra, perché entrambe si basano su concezioni metafisiche del mondo e della natura umana molto diverse. Quindi, è impossibile classificarle come “superiore” o “inferiore”. Inoltre, devo specificare che, sebbene l’illuminazione istantanea è associata alle scuole Soto (in cinese: Tso-Tsung), Rinzai (Lin-Chi) e Zen (Ch’an), questo articolo tratta solo del significato attribuitole dalla scuola Rinzai, che non coincide esattamente con quello della Soto.

Prima di paragonare tra loro l’illuminazione graduale e quella istantanea, devo darvi una definizione dell’esperienza minima di illuminazione (kensho o satori). Questa definizione non è l’unica possibile e altre possono competere con essa, soprattutto perché è molto influenzata dalla tradizione Rinzai.

L’esperienza dell’illuminazione è un’esperienza singolarmente intensa, che rivela a una persona il suo posto nello schema delle cose. Essa è, molto spesso, un’esperienza definitiva grazie alla quale colui (o colei) che esperimenta non dubiterà mai più della propria relazione con se stesso/a, gli altri, il mondo e qualunque cosa si ritenga esistere al di là di quest’ultimo.

Tale esperienza conferisce un grande potere ed è enormemente convalidante; inoltre, è diversa da tutte le altre esperienze possibili. Un aspetto importante di essa è il suo essere non-settaria. Vale a dire, questa esperienza è rinvenibile nel buddismo, nel cristianesimo, nell’induismo, nell’Islam e in molte altre tradizioni religiose. Ogni tradizione può imporle la sua interpretazione dogmatica, ma l’esperienza iniziale, dal punto di vista psicologico, sembra trans-culturale. Per finire, questa esperienza può verificarsi in molte circostanze diverse, ma nella maggior parte dei casi accade come conseguenza di qualche grave crisi intellettuale, emotiva o fisica.

Se si leggono i resoconti di queste esperienze di risveglio nelle vite dei ricercatori più o meno famosi, ci si accorgerà che tali crisi possono manifestarsi come un dubbio profondo sulla giustizia divina, una malattia che mette a rischio la vita, uno stato di disperazione per la perdita di una persona amata, un’esperienza vicina alla morte o addirittura un tentativo di suicidio. Si noti che la definizione di kensho o satori non dice nulla sulla capacità di colui che esperimenta di insegnare o sostenere in qualche modo i bisogni spirituali altrui. A questo proposito, occorre fare una netta distinzione tra una persona che ha un’esperienza di illuminazione e una persona illuminata.

Quest’ultima categoria andrebbe limitata a quegli individui che possiedono la saggezza e il carattere morale per influenzare correttamente gli altri, oltre alla capacità carismatica di fare ciò senza sfruttare in alcun modo le persone. Questa è la definizione di un saggio illuminato o di un santo. Una persona simile può aver avuto un’esperienza di illuminazione, istantanea o graduale, oppure può godere di una maturità spirituale naturale, che esclude il bisogno di un’esperienza di satori. Ma se vogliamo fare affidamento sulle fonti storiche, un saggio naturale è molto più raro del saggio che ha bisogno di un’esperienza dell’illuminazione.

D’ora in poi, comunque, parlerò solo dell’esperienza dell’illuminazione in sé, senza fare ulteriori distinzioni tra i saggi e i non saggi. Avendo definito l’illuminazione per gli scopi di questa conferenza, è ora tempo di spiegare cosa significa illuminazione “istantanea” o “graduale”.

A differenza della maggior parte delle scuole buddiste, di solito definite “scuole dell’illuminazione graduale”, lo zen (parola con cui, d’ora in poi, si indicherà lo zen Rinzai) viene definito “scuola dell’illuminazione istantanea”. Tutte le scuole buddiste concordano sul fatto che l’esperienza dell’illuminazione, nel momento in cui avviene, è istantanea, ma questo non è l’unico significato di “istantanea” nel contesto dell’omonima scuola.

Fin dalle origini, nel buddismo sono esistite due interpretazioni del processo dell’illuminazione. Nella prima, il mondo viene considerato un luogo di frustrante impermanenza e inappagamento (dukkha), mentre la natura umana è il prodotto di secoli di attaccamento karmico a passioni impure. In quest’ottica, l’illuminazione indica la conquista e l’estinzione di tali impurità, oltre alla conseguente evasione dalla vita, il mondo e il dukkha. Per ottenere questa liberazione, è necessario vivere senza fissa dimora e condurre una vita ascetica nella quale i desideri e i bisogni umani vengono dissolti per trascendere le passioni e i sentimenti comuni dell’uomo, sia positivi che negativi.

L’amore, così come l’odio, tiene attaccati al mondo; solo colui che riesce a restare indifferente a entrambi può definirsi un essere illuminato o libero dalle passioni (Arahat o Buddha). Il processo di illuminazione che si accompagna a questa concezione richiede un lungo e graduale percorso di disciplina ascetica, che conduce a stadi progressivi di illuminazione. Ciascuno stadio è caratterizzato da un attaccamento, al sé e al mondo, inferiore di quello precedente. Nella maggior parte dei casi, in questa concezione l’illuminazione non è qualcosa di raggiungibile da un comune laico. Questo concetto della gradualità è giustificato se ci si attiene a un’interpretazione pluralista della realtà, come faceva il buddismo primitivo.

Ma esiste anche il secondo punto di vista buddista, che afferma che il nostro dukkha è dovuto all’illusione in un sé separato e autonomo. L’illuminazione, in tal caso, vuol dire abbandonare questo concetto irreale del sé o “senso dell’io ingrandito”, risvegliandoci alla realtà della sua illusione. Il problema insito nell’approccio dell’illuminazione graduale, per quanto riguarda questo falso io, è il fatto che l’affermazione: “Sto cercando l’illuminazione” in realtà rinforza il senso dell’io. Quindi, presumibilmente, più una persona pratica, più profonda si fa l’illusione di un sé separato e autonomo, e tanto più si allontana l’illuminazione. Il buddismo mahayana si è sviluppato estendendo a tutta la realtà questa concezione secondo cui non esiste un autentico sé indipendente.

Ciò comportò l’abbandono dell’interpretazione pluralista della realtà a favore di una non-duale. Ovvero, ogni parte della realtà è così totalmente integrata che non può essere divisa in alcun modo, soprattutto in sé separati. Poiché ogni dualità è illusoria, non può esserci dualità nemmeno tra la mente samsarica, non-illuminata o impura, e la mente nirvanica, illuminata e pura. Dal momento che la realtà non-duale non può essere divisa in parti incrementali, è impossibile comprenderla poco a poco, come richiede l’approccio graduale all’illuminazione. Il non-duale va realizzato nel suo insieme (istantaneamente) come un tutto, o non lo si realizza affatto. Comunque, poiché il mahayana primitivo conservò la diffusa idea indiana secondo cui le passioni umane sono impure, dovette ignorare l’incoerenza tra una filosofia non-duale e l’illuminazione graduale.

Quando il buddismo entrò in Cina, questa incoerenza divenne un problema. La causa di ciò fu il modo decisamente non-indiano in cui i cinesi consideravano il mondo e la natura umana. A differenza del pensiero indiano, che dava la priorità all’elemento della realtà divino o trans-umano, il pensiero cinese assegnava la priorità al mondo umano. Secondo la tradizionale concezione cinese, la gente nasce con un innato senso del bene, del vero e del puro, le comuni passioni umane sono parte di questa bontà e un saggio illuminato è colui che accetta tutto ciò.

La primitiva filosofia buddista, che considerava impuro il samsara e puro il nirvana, non poteva essere accettata fino in fondo dai cinesi senza abbandonare prima la tradizione confuciana e taoista, molto più positiva. Ma l’insegnamento mahayana secondo cui il samsara e il nirvana erano la stessa cosa s’integrò facilmente nella filosofia tradizionale cinese. Se le passioni samsariche sono contenute nel nirvana e viceversa, l’illuminazione non richiede una dissoluzione graduale dei comuni sentimenti, bisogni e desideri umani. L’illuminazione vuol dire semplicemente diventare consapevoli del fatto che si è già nello stato incondizionato del nirvana. Quindi l’illuminazione, anziché sostituire la natura umana con una natura trans-umana libera dalle passioni (come nel tradizionale buddismo indiano), non fa che aggiungere all’ordinaria condizione umana la consapevolezza non-duale della propria innata purezza nirvanica.

I cinesi, accettando la filosofia non-duale mahayana, videro con grande chiarezza l’incoerenza tra la non-dualità e l’illuminazione graduale. Questa percezione fu rinforzata dal fatto che il taoismo, la cui filosofia della realtà era a sua volta non-duale, era più incline all’approccio dell’illuminazione istantanea. Per questo, la scuola dell’illuminazione istantanea finì per dominare il pensiero cinese, sia buddista che non buddista. Poiché l’illuminazione istantanea non richiede una graduale purificazione monastica, essa può succedere in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, in ambiente monastico o normalmente domestico. Questo piacque molto ai cinesi, poco inclini all’ascetismo.

In tal modo, chiunque, persino la persona più attaccata al mondo, può sperimentare lo stato di illuminazione. Naturalmente, questa possibilità ha senso solo se l’illuminazione non dipende da alcun tipo di pratica ascetica, nemmeno dai comuni freni morali dell’individuo medio. In ultima analisi, una tale illuminazione istantanea deve essere conseguita a prescindere da qualsiasi sforzo ascetico o addirittura meditativo. In realtà, tale sforzo sarebbe appropriato solo per l’illuminazione graduale. L’illuminazione istantanea, non dipendendo dalla pratica, deve quindi essere più o meno accidentale.

La differenza tra i punti di vista “istantaneo” e “graduale” determina il modo in cui ciascuna tradizione considera non solo l’illuminazione, ma anche il Buddha. La scuola “graduale” giudica l’illuminazione come qualcosa che ci rende persone molto migliori, considerando il Buddha superiore a tutti gli altri esseri. Per la scuola “istantanea”, l’essere illuminati non rende più elevati o più importanti delle persone non illuminate. Poiché sia l’illuminato che il non illuminato hanno la stessa natura del Buddha o del nirvana dentro di sé, entrambi possiedono naturalmente lo stesso valore e le stesse virtù. Se non abbiamo bisogno dell’illuminazione per diventare migliori, secondo la scuola istantanea, il Buddha è semplicemente un primo tra uguali.

In realtà, questo punto di vista “istantaneo” della buddità afferma che il nostro dukkha, o l’attaccamento pieno di paura alla vita e alla morte, avviene perché dubitiamo del nostro valore presente e assolutamente incondizionato (la natura di Buddha). “Illuminazione” vuol dire lasciare andare completamente questo dubbio per comprendere intuitivamente la nostra parità con il Buddha. Una volta liberati dal nostro dukkha, siamo soddisfatti di noi stessi e degli altri così come siamo.

Nella scuola istantanea, una semplice comprensione intellettuale di quanto appena detto costringe ad abbandonare l’orgoglio insito nello sforzo di raggiungere l’illuminazione. Questa mancanza di orgoglio, o questa umiltà, dovuta alla caratteristica natura accidentale dell’illuminazione istantanea, è un modo di lasciare andare il sé come fonte del dukkha; quindi, di fatto, è una sorta di illuminazione prima dell’illuminazione. Per alcune persone, questa è già un’illuminazione sufficiente, mentre per altre significa maggiori possibilità di risvegliarsi a qualcosa di più grande.

Ciò diventa particolarmente vero con un’adeguata pratica preliminare. La pratica preliminare va chiaramente distinta da quella che implica l’illuminazione graduale. Nessuna forma di pre-illuminazione è un requisito dell’illuminazione istantanea, tanto meno una causa o una garanzia; ciononostante, essa svolge un’importante funzione. L’illuminazione istantanea può accadere a una persona, ma se quest’ultima non è preparata a riconoscerla e – fatto più importante – a integrarla nel suo essere psicologico di tutti i giorni, quasi sicuramente verrà solo per scivolare via.

A questo proposito, possiamo fare un’analogia con la pioggia. La pioggia, come l’illuminazione istantanea, non può essere forzata; arriva da sola. Inoltre, quando cade, lo fa indifferentemente su terreno fertile e su quello improduttivo. Se cade sul primo, le piante crescono in modo lussureggiante; sul secondo, non si avrà altro che terreno umido. Coltivare una pratica di pre-illuminazione vuol dire assicurarsi un terreno fertile quando la pioggia dell’illuminazione istantanea cadrà; non avere alcuna pratica vuol dire quasi sicuramente perdere ciò che si sperava di ottenere. Questa pratica preliminare non va considerata un avvicinamento graduale all’illuminazione, perché in essa non esistono stadi.

In altre parole, a differenza di una pratica orientata verso l’illuminazione graduale, in cui di solito è possibile scorgere dei progressi (come un distacco sempre maggiore dal mondo) nessun avanzamento è evidente in una pratica istantanea. In più, mentre una pratica a orientamento graduale di solito presuppone un lungo periodo di tempo (ci vogliono molti anni prima che siano visibili dei risultati), la stessa cosa non è vera per una pratica non graduale.

Poiché l’illuminazione istantanea non dipende da alcun tipo di pratica, e può giungere con o senza quest’ultima, l’illuminazione potrebbe irrompere dopo un solo giorno o non arrivare neppure dopo molti anni. Per questa ragione, una pratica non graduale può essere molto più frustrante di una pratica che mostri chiari progressi verso la meta.

Comunque, il vantaggio di una pratica non graduale (e di fatto una delle ragioni della sua diffusione) è che essa è effettuabile sia all’interno che all’esterno di un monastero. Questo è specialmente vero per una specifica pratica non graduale, il classico Kung-an cinese (ma non necessariamente per il koan giapponese).

Naturalmente, il paradosso di una pratica di pre-illuminazione volta all’illuminazione istantanea è che essa implica nulla di meno che la frustrante esperienza di ricercare ciò che già si ha, cioè il valore incondizionato del Buddha. Questo vuol dire chiedersi costantemente: “Perché sto facendo ciò?”, “Perché la mia mente non mi lascia sperimentare la mia vera natura? Forse tutta questa faccenda è una menzogna. Forse sto solo sprecando tempo ed energia; mi sto ancora ingannando”.

Questo dubbio è una parte naturale della preparazione all’illuminazione istantanea e richiede, affinché la pratica continui, una fede pari al dubbio. È qui che entrano in scena un’insegnante e una comunità spirituale, in quanto l’insegnante che ha attraversato queste difficoltà può infondere speranza, mentre una comunità di ricercatori può fungere da supporto.

Né l’approccio graduale né quello istantaneo possono garantire l’illuminazione, ma entrambi danno una possibilità di raggiungerla, ognuno a suo modo. Per una persona capace di impegnarsi totalmente in una vita monastica la via graduale può offrire più speranza di quella istantanea. Per chi non è in grado di prendere un impegno così grande, la via istantanea potrebbe offrire maggiori speranze. Come tutte le religioni e le filosofie, è possibile trovare molti argomenti razionali a sostegno dell’approccio graduale o di quello istantaneo, ma la realtà è che nessuna delle due può essere dimostrata o confutata logicamente. Entrambe, in ultima analisi, si basano largamente sulla fede. Di fatto, tutte le scuole del buddismo, se non addirittura tutte le tradizioni religiose, richiedono una grande fede come requisito per qualsiasi risveglio spirituale.

Nella Cina e nel Giappone medievali si sviluppò una scuola buddista chiamata della “terra pura” (in cinese: Ching-t’u; in giapponese, Jodo). Questa scuola insegnava che, a causa della corruzione del mondo e del gigantesco karma negativo accumulato dall’umanità, nessuno sforzo umano sarebbe mai stato grande abbastanza da permettere a un individuo di raggiungere la liberazione. Ma grazie al voto di salvare tutti gli esseri fatto millenni prima dal celestiale Buddha Amithaba (cinese: O-mi-to; giapponese: Amida), qualsiasi persona, buona o cattiva, che avesse chiesto la liberazione con sincera fede a questo Buddha, l’avrebbe ottenuta. Nella scuola tradizionale della terra pura, questa liberazione prende la forma della consapevolezza che, dopo la morte, si rinasce nel paradiso celestiale di Amithaba.

Tale dipendenza assoluta dal potere divino di un altro essere per raggiungere la liberazione fu chiamata “la via dell’altro potere” (giapponese: tariki). Poiché lo zen e poche altre scuole insegnavano a non aver fede nella grazia di un potere esterno per liberarsi, la loro venne chiamata “la via del proprio potere” (giapponese: jiriki) dalla scuola della terra pura. Nel corso dei secoli, questa definizione venne ripetuta così spesso che alla fine s’impose: oggi persino lo scuola zen la usa per distinguersi da quella della terra pura. Ma questa definizione è molto fuorviante. Il “proprio potere” implica che l’individuo è in totale possesso del processo di liberazione. Questo è più vero per le scuole di illuminazione graduale non-zen. In quelle scuole, l’individuo purifica il sé e lavora verso la meta unicamente grazie ai propri sforzi. Ma se nello zen l’illuminazione istantanea è accidentale, parlare del proprio potere o dei propri sforzi dovrebbe essere fuori luogo.

L’aspetto accidentale dell’illuminazione istantanea andrebbe definito in un altro modo, piuttosto che come l’influenza del proprio potere. Definire lo zen “una scuola del proprio potere” mette in ombra l’aspetto accidentale della sua illuminazione istantanea. Un altro modo di dire questo è dare una seconda definizione dell’illuminazione istantanea. Essa è l’irruzione dell’«altro» nell’ordinario, la discontinuità radicale nel flusso della vita quotidiana, una catastrofe positiva.

Rev. Vajra è un insegnante di Zen Dharma all’International Buddhist Meditation Center, www.ibmc.info, per gentile concessione.
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini.
Copyright per l’edizione italiana: Innernet.

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33 Responses

  1. sofiastrea

    Tutto è illuminato, salvo ammettere che esiste un luogo non illuminato, quindi la capacità di vedere l’illuminazione dipende solo dal divino …la saggezza è automatica ,manifestarla sta nella possibilità del nostro motore corpo/mente . Sofia

  2. (Y)am

    Cosa intendi dire?
    Se tutto e’ illuminato cosa dove manifestare il corpo mente?
    Cioe’ il corpo mente non e’ illuminato?
    Io credo che il corpo mente sia l’illuminazione, solo forse non penso piu’ al mio corpo mente, ma ad un unico corpo della realta’, ad un unico respiro…questo vuol dire che qui c’e’ l’illuminazione, qui dove sono in questo momento e pure li dove sei tu, ovunque in sostanza…ma questo non cambia di una virgola ne la tua vita ne la mia.

  3. Loredana

    Io dico una cosa che non c’entra, ma che ci tengo a dire.
    Perchè il sito di Innernet non è rimasto come era una volta…?
    Bello graficamente…facile da consultare…
    Chissà perchè quando una cosa funziona, si deve sentire il bisogno di cambiarla !!!!!!
    Loredana

  4. sofiastrea

    Yam: Cosa intendi dire?
    Se tutto e’ illuminato cosa dove manifestare il corpo mente?
    Cioe’ il corpo mente non e’ illuminato?
    Io credo che il corpo mente sia l’illuminazione, solo forse non penso piu’ al mio corpo mente, ma ad un unico corpo della realta’, ad un unico respiro…questo vuol dire che qui c’e’ l’illuminazione, qui dove sono in questo momento e pure li dove sei tu, ovunque in sostanza…ma questo non cambia di una virgola ne la tua vita ne la mia.

    Lo hai detto benissimo ciao mi fa piacere leggerti sofia

  5. cloe

    In apparenza è vero che non cambia la vita di nessuno.
    La vita è, punto. Non si cura di me o di te o di chiunque altro.
    Tuttavia, più si è consapevoli, più ci si avvicina all’illuminazione e più morbido è il rapporto con gli “altri”. Metto “altri” fra virgolette, perchè in effetti nell’Unione, cioè nella non dualità costrittiva dell’essere umano, l’altro cessa di esistere.
    L’Uno non contempla distinzioni di sorta, non può.
    L’altro – inteso come persona, natura, mente, corpo, emozioni…- non si differenzia dal Sè e questo cambia totalmente e intimamente la vita di chiunque. Si continua a lavorare, a fare l’amore, a relazionarsi, a fare ciò che si deve fare, ma con qualità essenziali completamente diverse, dove vivere ha un significato “divino”. Le relazioni si elevano, il lavoro diventa giocoso, la mente diventa universale e creativa, l’amore è uno spazio di totale fusione col tutto e non indirizzato verso qualcuno o qualcosa.
    In ultimo i sentimenti perdono quell’attaccamento emozionale a cui si è abituati e acquistano una dimensione reale, quasi “secca”, dove l’Amore è percepito come una piattaforma, come le fondamenta di una casa, la Volontà come uno stato naturale dell’Essere, la Forza come l’energia creatrice. La Gioia che deriva da tutto ciò non è esplosiva, ma implode aumentando in modo esponenziale quel processo di Illuminazione che, per me, è stato sì immediato, ma che continua ad espandersi e a cristallizzarsi sempre più. Anni di impegno personale, di sincero desidesiderio di “conoscenza” e di esplorazione mi hanno portata a questo punto e sono quindi d’accordo con ciò che è scritto nell’articolo: affinchè l’illuminazione venga riconosciuta, contenuta e cristallizzata, è necessario un terreno fertile pronto ad accogliere quell’esperienza d’illuminazione che alla fine cambia totalmente la vita. E sono d’accordo anche del fatto che avere un Maestro accanto è importante ad un certo punto dell’esplorazione, lo diceva anche Osho ( Le sette valli, ediz. New Service Corporation) e lo dicono tutti i mistici.
    Consiglio a tutti un ritiro intensivo di illuminazione, dove attraverso l’esplorazione di un Koan – una domanda esistenziale – tutto questo è possibile. Noi siamo l’Uno, tutti, indistintamente, solo non vogliamo crederci. Abbandonare concetti dualistici è l’unico modo per vivere pienamente.
    Buona esplorazione.
    Cloe

  6. (Y)am

    Cloe:La Gioia che deriva da tutto ciò non è esplosiva, ma implode aumentando in modo esponenziale quel processo di Illuminazione che, per me, è stato sì immediato, ma che continua ad espandersi e a cristallizzarsi sempre più.

    Yam: Gia’, paradossalmente sembra essere proprio un processo…..

  7. sofiastrea

    cloe cosa intendi per “cristallizzare” sempre più, alla fine sembra un utilizzo più concreto e completo di una possibilità fisica…il contorno spirituale forse è solo una splendida fantasia o illusione…sofia

  8. sofiastrea

    grazie cloe non lo desidero, altrimenti non potrei farne conoscenza :-)))

  9. cloe

    Processo: sucessione di fatti o fenomeni aventi tra loro un nesso più o meno profondo (dal De Voto Oli).
    Yam, intendi questo o altro?
    L’illuminazione è,per me, per la mia esperienza, un processo aperto e in continua espansione.
    Sofia, per cristallizzazione intendo l’andare oltre o se preferisci approfondire la magnifica e incredibile esperienza di unità che si ha durante un satori, affinchè non rimanga un’esperienza fra tante, ma diventi uno stato di coscienza dove la parte fisica ne è totalmente inclusa e quindi in un certo senso trascesa. Trascendere in questo caso non significa dissolvere, ma sorpassare il limite dualistico della mente. Trascendere la dualità significa quindi includere ed espandere l’aspetto fisico in cui viviamo in quanto esseri umani e quindi fisici. Mi spiace non poterti spiegare meglio: il linguaggio ha un limite che non riesco a superare. Il giorno che farai questa esperienza saprai cosa intendo… e la farai sicuramente, se è questo che desideri. Credere che l’illuminazione possa essere appannaggio di pochi è un’illusione, come quasi tutto in effetti. La sola realtà è l’Essere, tutto il resto è intrattenimento.

  10. federico

    illuniMAzione…siamo coerenti e civili per cortesia…illuminatevi pure se ci riuscite , da me osta 1.0000 €, non un centesimo di meno,vistol ‘inferno di negatiità in cui vive la persona unanau,aman …ci vuole molto lavoro, ma non dimenticatevi della persona umana,,, la persona umana ora é ben peggio di un porco,,,cerchiamo almeno di migliorare,,,sincerità, onestà, chiarezza, un porco va a salsicce…buone,gustose,,, ma…..il furturo dell’uomo spero non sia questo..finire arrostiti nel sole ……
    SCUSATEMI SE VI DICO QUESTO,,,MA ALTRO ORA NON POSSO PROPRIO

  11. doghen

    ma chi è questo monaco buddista che ha scritto quest’articolo? Mi pare così intellettuale, così inutile…..cos’è buddismo da salotto?

  12. federico

    scusatemi ora sono più tranquillo, mette male parlare di una realtà agli altri se gli altri non l’hnno provata, a me il monaco pare che dica cose sensate, bé loro hanno una tradizione millenaria, sia capisce. Io ho avuto un bella espserienza anni fa che dice tutto, poterla rievocare così in modo naturale sarebbe il massimo che uno può desiderare oltretutto cancella og ni malessere dal corpo in un solo istanti, ho imparato allora ad arrivarci…..aggiustandosi….se volete..ben volentieri, ma funziona abbastanza e …importante…..é per tutti perché su questa barca che é la vita dobbiamo salvarci tutti e non pochi più fortunati.
    Arrostiti nel sole,,,,,,, a volte lo si sente dire, pare che sia il destino della nostra terra…….. 8 milioni di gradi!!!!!Sorridendo… non vorrei che ciò fosse la deduzione dello scienziato dopo avere “litigato con la moglie!!”, ma purtroppo credo possa essere vero scientificamente parlando. Ma dico che senso ha pensando a Dio? alla sua Luce che crea? Possibile che la sua mente possa concepire un tale disastro a nche umano? Per rendervi conti di ciò pensate veramente alla Luce che crea la materia , cioé la materia non é tale la crediamo ma come frutto di una mente…dunque,,,,,,qui ognuno può dire la sua, secondo me esiste una relazione tra la nostra mente e quella del divino… e ciò lo si capice meglio in meditazione, voi dite la vostra.Guardate anche Nader Butto (Medicina e le sette leggi universali) e capirete che c’é qualcosa che non funziona, o meglio qualcosa che deve essere fatto …

  13. doghen

    Grazie Federico, ma i malesseri del corpo sono fantastici. Non vorrei cancellarli per nessuna ragione al mondo. Al buio, poi, si sta da Dio. Per quanto riguarda la salvezza, ti chiedo: sapresti indicarmi la direzione dell’inferno?

  14. federico

    dipende se vogliamo parlare sul serio o scherzare, io parlo sul serio. Sei mai stato in un ospedale a vedere ammalati terminali, o al cottolengo e vedere gli umanodidi?O assistere al dramma di una famiglia che scopre papà o mamma con un cancro?
    Non so dirti dell’inferno deve essere una sofferenza dopo la morte non riusciamo a fare il poassaggio nella Luce deve essere una grave sofferenza, ma non so dirti di più.

    ì

  15. sada

    IL MONACO HA DATO UNA SPEGAZIONE DIDATTICA, RELIGIOSA,
    HO SENTITO UN’ALTRA DEFINIZIONE PER L’ILLUMINAZIONE ISTANTANEA, COME ” STATO DI GRAZIA” CHE TI VIENE REGALATO DALL’ESISTENZA, E MI PIACE DI PIU.
    PER QUANTO MI RIGUARDA HO AVUTO MOLTI MOMENTI DI “SATORI”, ANCHE A MILANO SULL’AUTOBUS PIENO DI EXTRACOMUNITARI E MI SONO SENTITA TUTT’UNO CON TUTTI E TUTTO, UNO STATO DI ESTASI PROFONDA E HO DOVUTO ANDARE A CORICARMI SUL DIVANO ( AVEVO UN APPUNTAMENTO AMOROSO MA NON CE L’HO FATTA!)
    NATURALMENTE COME QUASI TUTTI QUELLI CHE SCRIVONO QUI HO ALLE SPALLE ANNI DI RICERCA E MEDITAZIONE, ANCHE SE ORA NON FACCIO PIU’ NULLA “SERIAMENTE”.
    COMUNQUE LA MORTE, GLI ABBANDONI E LE SOFFERENZE DANNO UN SENSO,CHE NONOSTANTE TUTTO ,TUTTO PASSA, IL BELLO E IL BRUTTO,TUTTE TUTTE LE IDENTIFICAZIONI DEL MOMENTO PASSANO, MAGARI PER ALTRE STORIE. E CREDO CHE IL SENSO DELL’ILLUMINAZIONE SIA DI RICORDARSI CHE NOI NON SIAMO TUTTO QUELLO CHE CI SUCCEDE O CHE SUCCEDE ATTORNO A NOI, MA ALTRO.

  16. federico

    secondo me non é probabilmente esatto ritenere che un’illuminazione, come stato di grazia ti venga regalato, tu vedi come in meditazione ci si deve preparare lavorando molto sulla mente io dico per liberarla o sbloccarla dai legami portati dai sensi con le loro percezioni materiali . Esiste credo, ma ne sono piuttosto certo un blocco generalizzato della coscienza che agisce anche su di noi, e specie io credo sia quella femminile, gli stati di grazia di cui tu parli , perlomeno di quello che ho provato io ( qui fare confronti non é facile) potrebbero essere indotti da repentini sblocchi della coscienza altrui nelle nostre vicinanze.In assenza di ciò ci si può arrivare con le vie spirituali e la meditazione, in particolare debbo citare la Yaghia, potente strumento non ché bello e anche talvolta commovente , non si sa come agisce lo si definisce un processo alchemico dovuto cioé ad un insieme di fattori che agiscono simultaneamente sulla persona.Sulle colline di Asti ogni mese c’é una Yaghia te lo dico casomai ti interessasse.
    Secondo me poi c’é un’altra riscoperta superirore alla ullumi nazione, perchè l’illuminazioe per quanto bella ed indescrivibile é pur sempre se riflettiamo una deviazione dalla persona, difatti tu ti sei dovuto fermare.La persona dovrebbe comprendere l’illuminazione , magari in forma più lieve ,come uno stato intermedio necessario alla sua esistenza e non più quindi che ti trasporta in realtà divine o soprannaturali, da ciò la persona dovrebbe trarne una identità diversa di se stessa, più solida, stabile,certa e eguale per tutti ( cioé reale m otivo di unità) ,non ché naturalmente ricca di ogni miglior valore. Io ho fatto queste esperienze e so come reiterarle quasi a piacere ,non saprei come e altro definirle

  17. eckhart

    Federico:Io ho fatto queste esperienze e so come reiterarle quasi a piacere ,non saprei come e altro definirle.

    Forse ti riferisci a stati di samadhi..
    l’illuminazione si riferisce ad uno stato di riscoperta irreversibile,stabilizzata,non può esserci un reiterare l’esperienza.
    Tuttalpiù si approfondisce,ha picchi di esperienza,ma che non c’entrano molto con la beatitudine o stati alterati della coscienza..

  18. cloe

    Eckhart, sono d’accordo con te.
    Si approfondisce.
    Contemporaneamente non esclude stati che tu chiami di Samadhi, perchè il Tutto E’ il tutto, nulla escluso!
    Nessuno può dire come si presenti all’altro, si può solo portare la propria esperienza. Le qualità dell’Essenza sono molte ed essa, l’Essenza, si manifesta in modi diversi. Per questo Gesù è diverso da Buddha e diverso da Osho e diverso da Nisargadatta Maharaji e diverso da Tolle e diverso da……te, da me, da ognuno di noi.
    Ciò che davvero è uguale per tutti è l’assenza di attaccamenti ed emozioni. L’ho già detto: si ama ma non in modo romantico o dipendente. Si ama e basta.

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