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Euforico nichilismo 1.gifImmagina, se vuoi, che un mattino ti svegli in un altro mondo. Appena ti stropicci gli occhi per abituarti alla luce splendente del sole, vedi che sotto molti aspetti non è un mondo molto diverso da questo. Sei circondato da creature che, ai tuoi occhi, appaiono identiche agli esseri umani con cui di solito condividi il mondo.

Li osservi mentre si muovono nelle loro attività giornaliere, vivono le loro vite, s’intrattengono a conversare con gli altri, prendendo le miriadi di scelte e decisioni inerenti alle richieste della vita. Il quadro sembra rassicurante, familiare e normale.

Ma presto scopri che in questo mondo le cose non sono necessariamente come appaiono. Perché questi non sono esseri umani. No, questi sono “organismi corpo/mente” che, a differenza delle loro controparti umane, non hanno la facoltà di scegliere tra più possibilità o di prendere decisioni. Infatti, questi organismi non hanno niente che assomigli lontanamente a quello che chiameremmo libero arbitrio. Le trame delle loro vite furono scritte sulla pietra, molto tempo prima che nascessero, lasciando loro solo la possibilità di compiere meccanicamente degli atti per rappresentare la loro programmazione.

Questi, in apparenza delle creature umane, sembrerebbe, non sono diversi dalle macchine. Mentre apparentemente sembrano comportarsi come normali individui dal pensiero libero, indaffarati nelle loro attività quotidiane, stranamente quando gli viene chiesto, sostengono che non stanno facendo proprio niente. Infatti, in questo mondo peculiare, affermano che non ci sono “coloro i quali agiscono”.

Per di più, nessuno in questo mondo è mai ritenuto responsabile di qualcosa. Anche quando sembra che uno di questi esseri faccia del male ad un altro, non viene percepito nessun rimorso e non viene assegnata nessuna colpa. Se ti capitasse di chiedere a uno di questi organismi corpo/mente qualcosa a proposito, la risposta sarebbe che non c’era nessuno che aveva fatto niente.

L’etica è un concetto sconosciuto da queste parti. Le leggi di natura non sembrano applicabili in questo mirabile nuovo mondo. O forse qui sono state riscritte, dal momento in cui gli esseri sembrano osservare alcune strane leggi. Ti chiedi in quale luogo della Terra potresti essere. Ma non sei sulla Terra, sei atterrato sul Pianeta Advaita.

Sono venuto a Bombay a intervistare Ramesh Balsekar (recentemente scomparso, n.d.r.), uno dei più conosciuti insegnanti dell’Advaita Vedanta. Vive nel cuore di questa vasta, caotica città, in un’esclusiva zona di fronte al mare, che, mi ha informato il mio tassista, è dove abitano molti vip. Il portiere della sua casa, deducendo automaticamente che come occidentale dovessi essere venuto a visitare Ramesh Balsekar, mi diresse ad un piano superiore, dove c’è la spaziosa e ben ammobiliata residenza di Balsekar. Balsekar fu un padrone di casa molto cortese, accogliendomi calorosamente, nel suo immacolato, tradizionale abbigliamento indiano. Il suo atteggiamento era raggiante e vivace, e mi è stato difficile credere che avesse ottant’anni.

Ramesh Balsekar proviene da un ambiente insolito per un guru indiano. Istruito in occidente, ebbe una carriera di successo come dirigente e andò in pensione dalla sua carica di presidente della Banca dell’India all’età di sessant’anni. E mentre afferma di essere sempre stato incline a credere nel destino, fu solo dopo il suo ritiro dal lavoro che iniziò la sua ricerca spirituale, una ricerca che lo condusse velocemente dal suo guru – il rinomato maestro di Advaita Vedanta Sri Nisargadatta Maharaj.

Nisargadatta era un’insegnante impetuoso che divenne famoso in Occidente negli anni ’70 quando fu pubblicata una traduzione inglese dei suoi dialoghi intitolata I Am That (Io sono quello, Astrolabio, Milano, 2001) – un libro che è diventato un classico spirituale moderno. Entro meno di un anno dall’incontro con Nisargadatta, accadde improvvisamente a Balsekar quello che lui ha definito “la comprensione finale” l’illuminazione – mentre stava traducendo per conto del suo guru.

Secondo il racconto di Balsekar, Nisargadatta lo autorizzò ad insegnare appena prima di morire, e da allora, ha costantemente condiviso il suo messaggio come successore di questo maestro molto rispettato. Balsekar ha pubblicato molti libri dei suoi insegnamenti ed ha insegnato in Europa, negli Stati Uniti e in India. Tiene satsang [udienze con un maestro spirituale] ogni mattina nel suo appartamento, e un flusso costante di ricercatori quasi esclusivamente occidentali va a Bombay per vederlo.

All’inizio volevamo intervistare Balsekar, sia perché è un popolare e influente insegnante Advaita – adesso ha autorizzato dei suoi studenti all‘insegnamento – e sia perché è considerato, da molti, il successore di uno dei più riconosciuti insegnanti Advaita dell’era moderna. Nello studiare gli scritti di Balsekar, abbiamo presto realizzato che stava insegnando una forma dell’Advaita insolita e possibilmente eccentrica che induceva, francamente, a nostro parere, a conclusioni opinabili e perfino disturbanti.

Sebbene il pensiero indiano sia stato a lungo criticato per le sue inclinazioni deterministiche, sembrava che Balsekar avesse portato questo fatalismo a un estremo senza precedenti. Fu sia un desiderio di esplorare questi spazi inquietanti, sia di proseguire con il nostro interesse soprattutto per gli insegnamenti Advaita, che alla fine mi portò a Bombay a parlare con lui. E mentre arrivai immaginandomi un incontro impegnativo, guardando a posteriori, mi è chiaro che, mentre ci fu offerto il caffè e ci sistemammo comodamente nel suo soggiorno, non avrei avuto nessuna possibilità di prepararmi al dialogo che stava iniziando.

Chris Parish: Sei sempre più noto come insegnante dell’Advaita Vedanta sia in India sia in Occidente. Puoi descriverci cosa insegni?

Ramesh Balsekar: Posso davvero dirlo con una sola frase. La frase su cui si basa il mio intero insegnamento è: “Sia fatta la tua volontà”. O come lo dicono i Musulmani, Inshallah –“Il volere di Dio.” O nelle parole di Buddha: “Gli eventi accadono, le azioni sono compiute, non c’è alcun individuo che agisce”. Vedi, il conflitto di base nella vita è: “Faccio sempre tutto nel modo giusto quindi mi aspetto la mia ricompensa; egli o ella fanno sempre qualcosa di sbagliato e quindi dovrebbero essere puniti”. Questa è la vita, non è cosi?

Chris Parish: Certamente, accade spesso.

Ramesh Balsekar: Questa è la base di ciò che ho osservato. L’intero problema sorge perché qualcuno dice: “Io ho fatto qualcosa e mi merito una ricompensa, o egli ha fatto qualcosa e perciò lo voglio punire per quello che ha fatto”.

Chris Parish: Come conduci le persone a questo – che “non c’è colui che agisce”?

Ramesh Balsekar: È molto semplice. Se analizzi ciascuna azione che consideri la tua azione, scoprirai che è una reazione del cervello ad un evento esterno sul quale non hai alcun controllo. Un pensiero arriva – non hai controllo sul pensiero in arrivo. Qualcosa viene visto e udito – non hai controllo su ciò che vedrai e udrai in seguito. Tutti questi eventi accadono senza il tuo controllo. E poi che succede? Il cervello reagisce al pensiero o alla cosa vista, udita, gustata, odorata, o toccata. La reazione del cervello è ciò che chiami “la tua azione”. Ma, di fatto, è solamente un concetto.

Chris Parish: Qual è la differenza, quindi, fra i pensieri, le sensazioni e le azioni di una persona illuminata e di una non illuminata?

Ramesh Balsekar: Succede la stessa cosa. La sola differenza è che il saggio capisce che quello è ciò che sta accadendo. Perciò sa che non c’è niente che egli stia facendo – semplicemente le cose accadono. Il saggio sa che “io non sto facendo niente”. Ma l’uomo comune dice: “Io faccio delle cose e loro fanno delle cose. Perciò voglio la mia ricompensa e voglio che loro siano puniti”. La ricompensa o la punizione derivano dal fatto che io, lui, o lei facciamo delle cose.

Chris Parish: Posso capire attraverso la mia esperienza che non abbiamo controllo sui pensieri e le emozioni che affiorano. Ma qualche volta un’azione segue e talaltra no, e mi sembra che c’è una grande differenza tra quando un pensiero si manifesta solamente e quando viene intrapresa un’azione che coinvolge un’altra persona.

Euforico nichilismo 2.gifRamesh Balsekar: L’azione che accade è il risultato della reazione del cervello al pensiero. Se si è soltanto testimoni del pensiero e il cervello non reagisce a quel pensiero, allora non c’è azione.

Chris Parish: Ma, se come tu dici, non c’è nessuno che decide come rispondere, chi è che causa il manifestarsi o meno di un’azione?

Ramesh Balsekar: Un’azione accade se è nel volere di Dio che accada. Se non è nel suo volere, non accade.

Chris Parish: Vuoi dire che ogni azione che si manifesta è per il volere di Dio?

Ramesh Balsekar: Sì – è il volere di Dio.

Chris Parish: Che agisce attraverso una persona?

Ramesh Balsekar: Sì, attraverso una persona.

Chris Parish: Sia che questa persona sia illuminata oppure no? Attraverso ognuno, in altre parole?

Ramesh Balsekar: Esatto. La sola differenza, come ho detto, è che l’uomo comune pensa: “ È la mia azione”, laddove il saggio sa che è l’azione di nessuno. Il saggio sa che “le azioni sono compiute, gli eventi accadono, ma non c’è un colui individuale che agisce”. Per quanto mi riguarda questa è l’unica differenza. La sola differenza tra un saggio e una persona comune è che la persona comune crede che ogni individuo fa ciò che accade attraverso quell’organismo del corpo/mente. Così dal momento che il saggio sa che non esiste azione che egli compia, se si produce un’azione che ferisce qualcuno, farà tutto ciò che gli è possibile per aiutare quella persona – ma non ci sarà nessun senso di colpa.

Chris Parish: Vuoi dire che se un individuo agisce in modo da ferirne un altro, la persona che l’ha compiuto, o, come dici, l’”organismo corpo/mente” che l’ha agito, non è responsabile?

Ramesh Balsekar: Quello che sto dicendo è che sai che: ”io” non l’ho fatto. Non dico che non sei dispiaciuto di aver ferito qualcuno. Il fatto che qualcuno è stato ferito indurrà un sentimento di compassione e il sentimento di compassione risulterà nel mio tentativo di fare il possibile per lenire la ferita. Ma non ci sarà senso di colpa: io non l’ho fatto! L’altra faccia della medaglia è che accade un’azione lodata dalla società che mi premia per questo. Non dico che non ci sarà felicità causata dalla ricompensa. Così come la compassione si è manifestata a causa della ferita, un sentimento di soddisfazione o felicità può sorgere a causa di una ricompensa. Però, non ci sarà orgoglio.

Chris Parish: Ma intendi letteralmente dire che se io vado a colpire qualcuno, non sono io a farlo? Voglio semplicemente essere chiaro a questo proposito.

Ramesh Balsekar: Il fatto iniziale, il concetto originario, rimane ancora: tu hai colpito qualcuno. Sorge il concetto aggiuntivo che qualsiasi cosa accada è il volere di Dio, e la volontà di Dio relativa ad ogni organismo corpo/mente è il destino di quell’organismo corpo/mente.

Chris Parish: Quindi potrei soltanto dire: “Beh, ho agito per volontà di Dio, non è colpa mia”.

Ramesh Balsekar: Certo. Un atto accade perché è nel destino di quest’organismo corpo/mente, e perché è il volere di Dio. E le conseguenze di quell’azione sono anch’esse il destino di quell’organismo corpo/mente. Se accade una buona azione, quello è il destino. Per esempio, prendiamo Madre Teresa. L’organismo corpo/mente conosciuto come Madre Teresa era stato così programmato affinché accadessero solo buone azioni. Quindi il manifestarsi di buone azioni era il destino dell’organismo corpo/mente chiamato Madre Teresa e le conseguenze furono un premio Nobel, ricompense, onorificenze e donazioni per le varie cause.

Tutto questo era il destino di quell’organismo corpo/mente chiamato Madre Teresa. Dall’altro lato c’è un organismo psicopatico che è programmato in modo tale – dalla stessa Sorgente – che accadano solo azioni cattive o perverse. La manifestazione di queste cattive azioni perverse è il destino di un organismo corpo/mente che la società chiama psicopatico. Ma lo psicopatico non ha scelto di essere tale. Infatti, non c’è uno psicopatico; c’è solo un organismo corpo/mente psicopatico, il cui destino è produrre azioni cattive e perverse. E anche le conseguenze di tali azioni sono il destino di quell’organismo corpo/mente.

Chris Parish: Ritieni che tutto sia predestinato? Che tutto sia programmato dalla nascita?

Ramesh Balsekar: Sì. Uso la parola “programmare” in riferimento alle caratteristiche inerenti all’organismo corpo/mente. La “programmazione” per me significa i geni più i condizionamenti ambientali. Non hai potuto scegliere i tuoi genitori, perciò non hai avuto scelta per quanto riguarda i tuoi geni. Allo stesso modo, non hai avuto voce in capitolo riguardo all’ambiente di nascita. Perciò non hai avuto scelta riguardo i condizionamenti dell’infanzia che hai ricevuto in quell’ambiente, che include i condizionamenti a casa, nella società, a scuola e in chiesa.

Gli psicologi affermano che la somma dei condizionamenti ricevuti entro i tre, quattro anni d’età è il condizionamento di base. Ci saranno condizionamenti ulteriori, ma il condizionamento di base che crea la personalità è la somma dei geni più il condizionamento ambientale. La chiamo programmazione. Ogni organismo corpo/mente è programmato in un modo unico. Non ci sono due organismi corpo/mente uguali.

Chris Parish: Sì, ma non è forse vero che due persone possono avere un assortimento di condizionamenti simile eppure essere completamente diverse l’una dall’altra?

Ramesh Balsekar: Certo. Per questo motivo uso due termini: uno è la programmazione dell’organismo corpo/mente stesso; l’altro è il destino. Il destino è il volere di Dio riguardo a quell’organismo corpo/mente, impresso al momento del concepimento. Il destino di un concepito può essere di non nascere affatto – nel qual caso sarà abortito. Tutto questo è un concetto, non ti sbagliare. Questo è il mio concetto.

Euforico nichilismo. Ramesh

Chris Parish: Affermi che questo è un concetto e, di sicuro tutte le parole sono concetti, ma come facciamo a sapere che questo concetto rappresenta la verità? Tendo a pensare che ognuno abbia delle responsabilità individuali e che, sebbene ci sia una certa quantità di condizionamenti che ereditiamo, possiamo tuttavia scegliere la risposta. Un individuo può trascendere gli aspetti del suo condizionamento, mentre un altro può rimanerci bloccato tutta la vita. Dal momento che questo accade, direi che è dovuto alla volontà dell’individuo di trascendere i condizionamenti, e di aver successo.

Ramesh Balsekar: Ma se questo accade può accadere se non è nella volontà di Dio? Supponiamo che ci siano due persone: una cerca di superare i suoi limiti e ce la fa; l’altra non ce la fa. Quello che intendo è: sia colui che ha successo, sia colui che fallisce lo fa perché quello è il destino del suo organismo corpo/mente – che è la volontà di Dio.

Chris Parish: Ma non potremmo più semplicemente dire che è nella volontà di Dio dare ad ogni individuo la libera scelta di prendere le sue decisioni?

Ramesh Balsekar: No. Vedi, la mia domanda è: quale delle due volontà prevale? Quella dell’individuo o quella di Dio? Secondo la tua esperienza fino a che punto il tuo libero arbitrio ha prevalso?

Chris Parish: Penso che, a volte, la volontà dell’individuo possa certamente prevalere.

Ramesh Balsekar: Nei confronti della volontà di Dio? Quando vuoi qualcosa e ti dai da fare per averlo e lo ottieni, lo ottieni perché la tua volontà coincide con quella di Dio.

Chris Parish: Prendiamo l’esempio di un individuo che diventa un tossicodipendente e rimane tale tutta la vita. Uno, può altrettanto facilmente argomentare, che ha fatto questa scelta per andare contro la volontà di Dio e ha avuto successo – precisamente perché c’è il libero arbitrio.

Ramesh Balsekar: Ma sia che tu lo accetti o no di per sé è la volontà di Dio, non lo vedi? Che tu accetti la volontà di Dio o che tu non accetti la volontà di Dio, è la stessa volontà di Dio!

Chris Parish: Affermare che tutto è programmato anticipatamente, che tutto è destino, che non c’è libera scelta, sembra una forma molto estrema di riduzionismo. Secondo questa visione gli esseri umani sono come computer; tutto ciò che ci riguarda è completamente predisposto.

Ramesh Balsekar: Sì, precisamente.

Chris Parish: Ma questa mi sembra una visione senza cuore. Allora siamo soltanto delle macchine – tutto ci accade. Non c’è niente che possiamo agire, niente che possiamo cambiare.

Ramesh Balsekar: Sì, esattamente.

Chris Parish: Ma questo potrebbe facilmente condurre ad una profonda indifferenza verso la vita.

Ramesh Balsekar: Sì, e se accadesse, allora sarebbe ottimo!

Chris Parish: Davvero?

Ramesh Balsekar: Ma questo è il punto! Certo. Poi puoi dire che qualsiasi cosa accada viene accettata. Allora non c’è infelicità; non c’è miseria, non c’è colpa, orgoglio, odio, invidia. Che c’è di sbagliato in questo? E come già ti ho detto, le azioni accadono attraverso questo organismo corpo/mente, e se questo individuo scopre che un atto ha ferito qualcuno, nasce la compassione.

Chris Parish: Ma non appare un po’ strano prima ferire qualcuno e poi provare compassione? Non sarebbe meglio, in primo luogo, non ferirlo?

Ramesh Balsekar: Ma non è sotto il tuo controllo! Se lo fosse stato, in primo luogo non lo avresti mai fatto.

Chris Parish: Ma se uno crede di poter esercitare il controllo opponendosi alla credenza che afferma il contrario, potrebbe scegliere di non farlo.

Ramesh Balsekar: Allora perché l’essere umano non esercita il controlla su ogni azione che si manifesta? Lascia che ti faccia una domanda. È evidente che l’essere umano possegga un intelletto straordinario, un intelletto tale che un piccolo essere umano è stato capace di spedire un uomo sulla luna.

Chris Parish: Sì, è vero.

Ramesh Balsekar: E ha anche l’intelletto per comprendere che se fa certe cose, altre cose terribili accadranno. Ha l’intelletto per sapere che se produce armamenti nucleari o armi chimiche, poi saranno usate e succederanno cose terribili nel mondo. Ha l’intelletto – dunque se possiede il libero arbitrio, allora perché lo fa? Se possiede il libero arbitrio, perché ha ridotto il mondo in queste condizioni?

Chris Parish: Ammetto che la situazione che descrivi è ovviamente malsana. Ma suggerirei che dipenda dal fatto che le persone hanno una volontà debole. E credo che possano cambiare se lo vogliono – se ci tengono.

Ramesh Balsekar: Allora perché non l’hanno fatto?

Chris Parish: Alcune persone cambiano, ma, come ho detto, sfortunatamente sembra che i più abbiano una volontà debole. Il libero arbitrio da solo non ci assicura che agiremo con intelligenza. Come nell’esempio che hai appena portato, è chiaro che la gente spesso scelga di fare delle cose abbastanza dannose.

Ramesh Balsekar: Se dici che abbiamo il libero arbitrio di distruggere il mondo, significa, in altre parole, che stiamo distruggendo il mondo perché lo vogliamo – sapendo benissimo che il mondo sarà distrutto! Il libero arbitrio significa che vuoi farlo.

Chris Parish: Penso che il problema stia più nel fatto che le persone, di solito, non si assumano le conseguenze delle loro azioni. Spesso pensano solo a loro stesse, senza considerare dove possano condurre le loro azioni.

Ramesh Balsekar: Ma l’essere umano è straordinariamente intelligente. Perché non pensa nei modi che tu proponi? La mia risposta è – perché non è previsto che lo faccia.

Chris Parish: Quando dici “non è previsto”, che significa?

Ramesh Balsekar: Non è nella volontà di Dio che gli esseri umani pensino in questi termini. Non è nella volontà di Dio che gli esseri umani siano perfetti. La differenza tra il saggio e la persona comune è che il saggio accetta che sia come Dio vuole, ma – e questo è importante – che ciò non gli impedisca di fare quello che crede che debba essere fatto. E quello che ritiene di dover fare è basato sulla programmazione.

Chris Parish: Ma perché il saggio ”farebbe quello che crede debba essere fatto” se, come hai già spiegato, sa che, in primo luogo, non è lui a pensare?

Ramesh Balsekar: Vuoi dire, come accade l’azione? La risposta è che l’energia all’interno dell’organismo corpo/ mente compie l’azione secondo la programmazione.

Chris Parish: Quindi l’azione, come tu la descrivi, si manifesta solo attraverso la persona.

Ramesh Balsekar: Sì, fluisce. L’azione accade. Pertanto, questo è il punto di ciò che dico – tornando indietro, di nuovo, alle parole del Buddha: “Gli eventi accadono, le azioni sono compiute”.

Chris Parish: Da quello che conosco sul pensiero del Buddha, anch’egli sentiva fortemente che gli individui erano personalmente responsabili delle loro azioni. Non è questa la base del suo intero insegnamento sul karma, sulla causa ed effetto?

Ramesh Balsekar: Non il Buddha!

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Chris Parish: È la mia impressione che Buddha insegnò un bel po’ la “retta azione”. Sembrava che gli stesse molto a cuore quello che la gente faceva, e poneva molta enfasi sulle persone che s’impegnano in modo appropriato per cambiare se stesse.

Ramesh Balsekar: Questa è un’interpretazione successiva del Buddismo. Le parole del Buddha sono molto chiare. Chi ha il controllo di ciò che accade? Dio ha il controllo! Questa è la base di tutte le religioni, come abbiamo visto. E perché ci sono delle guerre religiose se questa è la base di tutte le religioni? Sono coloro che interpretano, la causa di queste guerre! E, ancora, come potrebbe succedere se non fosse nella volontà di Dio?

Chris Parish: È chiaro che tu creda che tutto quello che facciamo, lo facciamo a causa della volontà di Dio. Mi sembra, però, che questo abbia un senso soltanto nel caso di un individuo che sia giunto alla fine del suo cammino spirituale – che abbia concluso con l’ego – perché le azioni di questa persona non sono al servizio di se stessa, e quindi, non ci sarebbe nessuna deformazione della volontà di Dio.

Ma fino a quel punto, se un individuo agisce male verso un altro, potrebbe essere solo una reazione compulsiva perché si sente egoista. Se quella fosse la causa, allora ciò che dici potrebbe effettivamente essere usato come una giustificazione per un comportamento spiacevole o aggressivo. Potrebbero semplicemente dire: “Tutto è volontà di Dio. Non ha importanza!”

Ramesh Balsekar: Lo so, ma quella è la verità. La tua vera domanda è: “Perché Dio ha creato il mondo in questo modo?”. Vedi, però, un essere umano è solo un oggetto creato che è parte della totalità della manifestazione che è stata generata dalla Sorgente. Così la mia risposta è: “Un oggetto creato non può in alcun modo conoscere il suo creatore!”. Lascia che ti porti una metafora. Immaginiamo che dipingi un quadro, e in quel quadro dipingi una figura. Poi quella figura vuole conoscere, numero uno, perché tu, quale pittore, hai dipinto quel particolare quadro, e, numero due, perché hai fatto la figura così brutta! Vedi, come può un oggetto creato arrivare mai, in alcun modo, a conoscere la volontà del suo creatore? Comunque il mio punto di vista è che questo non t’impedisce di fare ciò che pensi vada fatto! Accettando che niente accada senza la volontà di Dio non impedisce a nessuno di fare ciò che crede vada fatto. Puoi fare altrimenti?

Chris Parish: Ma basandomi su questa linea di ragionamento, come ho già detto, penserei che sarebbe piuttosto facile concludere: “D’accordo è tutto nella volontà di Dio; non ha importanza quello che accade”. E poi semplicemente lasciar perdere tutto quanto.

Ramesh Balsekar: Vuoi dire: “Allora perché non stare a letto tutto il giorno”?

Chris Parish: Appunto, perché continuare a fare degli sforzi?

Ramesh Balsekar: La risposta è che l’energia all’interno di questo organismo corpo/mente non permetterà a questo organismo corpo/mente di rimanere inattivo neanche per un momento. L’energia continuerà a produrre qualche azione, fisica o mentale, ogni attimo, secondo la programmazione dell’organismo corpo/mente e il destino dell’organismo corpo/mente, che è la volontà di Dio. Ma questo non t’impedisce, pensando ancora di essere un individuo, di fare ciò che credi vada fatto. Per cui quello che dico, di fatto, è: “Ciò che tu pensi che dovresti fare in ogni situazione, in quel particolare momento, è precisamente ciò che Dio vuole che tu pensi vada fatto! In definitiva l’accettare la volontà di Dio non t’impedisce di fare ciò che pensi vada fatto. Vedi? Infatti, non puoi fare a meno di farlo!

Chris Parish: Ho letto qualcosa su un opuscolo scritto da numerosi tuoi studenti che sembra rilevante a questo proposito. Dice: “Quello che ti piace può essere solo ciò che Dio vuole che ti piaccia. Niente può accadere senza la Sua volontà”. L’opuscolo aggiunge anche: “Non sentirti in colpa neanche se accade un adulterio. Tu, la Sorgente, sei sempre puro”.

Ramesh Balsekar: Questo l’ha detto Ramana Maharshi.

Chris Parish: La Sorgente può essere sempre pura, ma, di nuovo, mi sembra che questo potrebbe essere facilmente preso come il permesso di agire senza coscienza. Potresti dire: “Non ha importanza se commetto un adulterio, non ha importanza se faccio del male ai miei amici, perché quell’azione semplicemente accade”. Può essere facilmente preso come il permesso di agire secondo il desiderio, solo perché mi succede di avere quel desiderio.

Ramesh Balsekar: Ma non è proprio quello che accade?

Chris Parish: Accade, certamente, ma…

Ramesh Balsekar: Vuoi dire che succederebbe più di frequente?

Chris Parish: Potrebbe, con facilità, succedere più spesso. Potrei dire: “Ecco, non ha importanza quel che faccio adesso. Non devo far caso a frenarmi se sento un desiderio”. Ti è chiaro quel che intendo?

Ramesh Balsekar: La domanda comunemente formulata è: “Se in realtà io non faccio niente, che cosa mi impedisce di prendere una mitragliatrice e andare fuori ad uccidere venti persone?”. Questo è ciò che intendi chiedere, non è così?

Chris Parish: Beh, questo è un esempio estremo

Ramesh Balsekar: Sì, prendiamo un esempio estremo!

Chris Parish: Ma io credo sia più interessante prendere in considerazione l’esempio dell’adulterio, perché molte persone non farebbero davvero un gesto così estremo come mitragliare delle altre.

Ramesh Balsekar: Va bene. È la stessa cosa quando parliamo del commettere adulterio. Ho letto che gli psicologi e i biologi, basandosi sulle loro ricerche, sono giunti alla conclusione che se inganni tua moglie, non dovresti fartene una colpa. Sempre di più gli scienziati stanno arrivando alla conclusione che i mistici hanno sempre sostenuto – che qualsiasi azione accada sia rintracciabile nella programmazione.

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Chris Parish: Mi rendo conto che in alcuni casi questo potrebbe essere vero, ma diciamo, per esempio, che ho l’urgenza di commettere un adulterio. Potrei dire: “Deve essere nella volontà di Dio che accada, quindi lo farò”. Oppure, potrei trattenermi e non causare un bel po’ di sofferenza ai miei amici. Non sarebbe meglio se mi trattenessi?

Ramesh Balsekar: Allora, chi è che ti impedisce di trattenerti? Fai quello che ti pare! Che cosa t’impedisce di trattenerti? Trattieniti!

Chris Parish: Il mio punto di vista è che è meglio fare così!

Ramesh Balsekar: Anche il mio.

Chris Parish: Ma secondo la tua visione, potrei altrettanto facilmente dire: “Se sento un desiderio è in virtù del volere di Dio”. E poi non trattenermi.

Ramesh Balsekar: Affermi che sai che dovresti trattenerti – allora perché non ti trattieni? Se un organismo corpo/mente è programmato per non ingannare la moglie, qualsiasi cosa dicano gli altri non lo farà. Se sei programmato per non alzare una mano su nessuno, cominceresti ad uccidere le persone? Ora, se ci fosse una legge che ti permettesse di picchiare tua moglie senza correre alcun rischio, cominceresti a picchiare tua moglie? No, senza che l’organismo corpo/mente sia programmato per farlo, e se è programmato per farlo, succederebbe in ogni caso. Così come ho detto, accettare la volontà di Dio non t’impedirà di fare qualsiasi cosa pensi che vada fatta. Falla! Fai esattamente quello che pensi che debba essere fatto!

Chris Parish: Alla fine, tuttavia, come possiamo dire che sappiamo che si tratta del destino o della volontà di Dio? Tutto quello che sappiamo è che certi eventi si manifestano. In seguito, possiamo rivedere ciò che abbiamo fatto e ammettere: “È successo, semplicemente”. E se ci piace possiamo chiamarlo destino. Ma non è più accurato dire che in realtà non sappiamo se si tratti del destino oppure no? Dire che non lo sappiamo è diverso dal dire che: “Sappiamo che è il volere di Dio”. È diverso dal dire che sappiamo che tutto è già predestinato. Vedi, mi sembra che tu voglia affermare che sai che tutto è nella volontà di Dio.

Ramesh Balsekar: Non lo sappiamo, e questo è il dato di fatto; così se preferisci, puoi abbandonare il concetto di destino e dire che nessuno, in realtà sa niente su nulla. Bene. Non c’è bisogno del concetto di destino. Dopotutto, se accetti che qualsiasi cosa accada non sia nelle tue mani, poi chi rimane a preoccuparsi del destino?

Chris Parish: Dal momento che molti ricercatori spirituali vengono da te per ricevere consiglio sul cammino spirituale, vorrei chiederti, quale valore vedi, se ce n’è, nella pratica spirituale come strumento verso l’illuminazione?

Ramesh Balsekar: Se la sadhana [la pratica spirituale] è necessaria, un organismo corpo/mente è programmato per fare sadhana.

Chris Parish: In altre parole se deve accadere accade?

Ramesh Balsekar: Giusto. Le persone talvolta mi chiedono: “Se niente è nella mie mani (se non posso intervenire su niente), dovrei meditare oppure non dovrei?”. La mia risposta è molto semplice. Se ti piace meditare, medita; se non ti piace, non forzarti a farlo.

Chris Parish: La ricerca spirituale, allora, è un ostacolo all’illuminazione?

Ramesh Balsekar: Sì, ricercare è il più grande ostacolo a causa della presenza del ricercatore. Il ricercatore è l’ostacolo – non il ricercare; il ricercare accade da solo. Il ricercare accade perché l’organismo corpo/mente è programmato per ricercare. Così se il ricercare l’illuminazione accade, allora l’organismo corpo/mente è stato programmato per ricercare. L’ostacolo è il ricercatore che dice: “Voglio l’illuminazione”.

Chris Parish: Allora perché tanti saggi hanno parlato dell’importanza del ricercare? Ramana Maharshi ha detto che il ricercatore deve volere l’illuminazione così intensamente come un uomo che sta annegando vuole l’aria – con tale livello di concentrazione e sincerità.

Ramesh Balsekar: Certo. Quello che vuole dire, quindi, è che ci debba essere quel tipo d’intensità nel ricercare. Ma ha anche detto: “Se vuoi fare uno sforzo, devi fare uno sforzo; ma se è destino che lo sforzo non debba essere fatto, lo sforzo non sarà fatto”. Ramana ha detto questo. Così, vedi, se uno ricerca o non ricerca non è sotto il suo controllo. Se la ricerca di Dio o la ricerca del denaro accade, non è né un tuo merito né una tua colpa.

Chris Parish: In uno dei tuoi libri hai scritto che uno ha raggiunto una certa profondità di comprensione quando può dire: “Non m’importa se l’illuminazione accade o non accade a questo organismo corpo/mente”.

Ramesh Balsekar: È vero. Quando raggiunge quello stadio, allora significa che il ricercatore non c’è più. È estremamente vicino all’illuminazione perché se non c’è nessuno ad interessarsene, allora non c’è più nessun ricercatore.

Chris Parish: Ma il risultato non potrebbe essere soltanto un’indifferenza straordinariamente profonda – che non è l’illuminazione?

Ramesh Balsekar: Quello potrebbe condurre all’illuminazione!

Chris Parish: Ho ancora una domanda. Spesso affermi che dovremmo “solo accettare ciò che è”

Ramesh Balsekar: Sì, se ti è possibile farlo – e questo non è sotto il tuo controllo!

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Epilogo

Mentre passai barcollando accanto al portiere e uscii nelle strade affollate di Bombay la mia mente vacillava. Come poteva essere, mi chiesi mentre mi facevo largo tra la folla, che un uomo intelligente ed educato come Ramesh Balsekar potesse veramente credere che ogni cosa è predestinata, che prima di essere nati, il nostro destino è già inciso in una sorta di granito etereo? Poteva essere veramente serio nella sua insistenza che la nostra intera vita, con il suo apparente flusso senza fine di scelte e decisioni, di precarie opportunità per sistemarne il corso per il meglio o per il peggio, sia veramente, dal primo respiro, un destino? Mentre traversavo il marciapiede alla ricerca di un caffè nel quale trovare ristoro dal caos, i difficili passaggi del nostro breve dialogo mi vorticavano in testa.

Si, “Così sia” è l’essenza della maggior parte delle religioni, pensavo tra me e me, ma per i più grandi mistici e saggi che avevano fatto queste affermazioni nella storia, l’arrendersi alla volontà di Dio ha significato molto di più del semplice accettare che non c’è nulla che si possa fare per influenzare le circostanze della vita. Certamente quello che tradizionalmente è stato riportato come “volontà di Dio” è quello che uno scopre quando ha completamente abbandonato l’ego, quando tutte le motivazioni egoistiche sono state bruciate, lasciandolo completamente arreso ad eseguire la volontà di Dio, qualsiasi essa sia!

Per un Gesù, o un Ramakrishna o un Ramana Maharshi dire che si era arreso alla volontà di Dio era un fatto. Ma dire che questo sia vero per tutti sembrava riflettere, al momento, una forma pericolosa e particolare di pazzia e di un tipo che poteva essere usato per giustificare le più estreme forme di comportamento. L’affermazione di Balsekar “Quello che pensi di dover fare in ogni situazione… è precisamente ciò che Dio vuole che tu pensi che debba essere fatto” significa che per lui il Buddha illuminato non sta facendo in misura maggiore la volontà di Dio, di un serial killer che sta attaccando la sua prossima vittima.

Ero venuto all’intervista aspettandomi qualche disaccordo, ma in qualche modo perfino i libri di Balsekar sui quali tutte queste idee sono ripetutamente e chiaramente espresse, non mi avevano preparato all’incontro con l’uomo stesso. Come gli erano venute queste idee? Mi chiedevo. E perché?

I miei pensieri giravano e rigiravano, richiamando ogni fatto della sua rabbrividente affermazione che perfino quando facciamo del male a qualcuno, non abbiamo bisogno di sentirci in colpa, perché non siamo responsabili delle nostre azioni – “che perfino Hitler fu un mero strumento attraverso cui gli orribili eventi che dovettero accadere accaddero” – alla sua dichiarazione, che andava oltre il buon senso, che non abbiamo il potere di controllare il nostro comportamento o perfino di influenzare quello degli altri. E tutto ciò nel contesto della sua descrizione fantascientifica di tutti noi come degli “organismi corpo/mente” che recitano la loro ”programmazione”.

Improvvisamente la benvenuta vista di un the shop apparve tra lo smog, e mentre mi facevo largo per entrare, provai sollievo nel trovare quel tipo di oasi quieta nella quale avevo sperato. Fu lì, a uno dei molti tavolini vuoti, mentre il primo sorso di tè al latte dal sapore dolce e vellutato scivolava tra le mie labbra, che, in un flash, mi colpì. Non stavo bevendo quel tè! Non ero seduto a quella tavola! Infatti, non ero quello che era entrato nel the-shop. E non ero quello che si era appena tormentato per un’ora discutendo con un uomo che in quel momento cominciava ad assomigliare ad un individuo sano. Infatti, non avevo fatto nulla. Era come se un peso che avevo portato per tutta la vita si fosse sollevato improvvisamente nel cielo grazie ad un pallone (ad aria calda), spedito lontano, per non ritornare più.

Tutti quegli anni avevo combattuto per diventare un essere umano migliore, più onesto e generoso – tutto quello sforzo che avevo fatto per rinunciare alle mie inclinazioni di superiorità, egoismo e aggressività – sono stati tutti una folle impresa, tutti stupidamente e senza necessità basati sull’idea importante che avevo un qualche controllo sul mio destino, e la meschina presunzione che quello che facevo importasse agli “altri”. Come avevo potuto essere così fuori strada?

Ma aspetta, non ero io neppure colui che fu condotto fuori strada! Come se si separassero le nuvole, all’improvviso ora vedo chiaramente, che quello che avevo pensato come “la mia vita” era stato solo un processo meccanico. La persona che pensavo di essere era solo una macchina. Ed il mondo nel quale pensavo di vivere non era, come avevo dedotto, un mondo di complessità umana, ma uno di meccanicistica semplicità, di ordine perfetto, un matematico svolgersi di programmi in movimento dall’inizio del tempo.

Come la clinica perfezione del piano scientifico di Dio iniziò ad aprirsi davanti a me, l’estatico trillo della libertà assoluta – dalla preoccupazione, dall’occuparsi, dall’obbligo, dalla colpa – iniziò a correre attraverso le mie vene come un torrente di fiumi senza argini. E con quello sopraggiunse una pace avvolgente, risuonante, un’assoluta mancanza di tensione, nel riconoscimento che non importa quale ambiguità apparente o quale incertezza potessi incontrare da lì in poi, non importa quali decisioni apparentemente difficili potessi incontrare, potevo sempre riposare con la certezza che qualsiasi scelta facessi era esattamente la scelta che Dio voleva che io facessi. Il misterioso senso di uno Sconosciuto che mi aveva trascinato per così tanto tempo era evaporato.

Gli altri nel caffè voltarono la testa mentre ridevo rumorosamente, una lunga risata di pancia, e riflettevo tra me e me che gioco fantastico sarebbe la vita se tutti capissero come va veramente, se ognuno potesse avere almeno un bagliore di come saremmo liberi, se vivessimo tutti sul Pianeta Advaita.

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Nisargadatta Maharaj. Io sono quello. Astrolabio. 2001. ISBN: 8834013638

Ramesh Balsekar. La coscienza parla. Astrolabio. 1996. ISBN: 8834012038

Copyright originale “What is Enlightenment” magazine www.wie.org
Traduzione di Nityama Elsa Masetti. Revisione di Toshan Ivo Quartiroli.
Copyright per l’edizione italiana Innernet

60 Responses to “Euforico nichilismo, intervista con Ramesh Balsekar”

  1. BaoTzeBao ha detto:

    Vertiginoso, abissale, curvo, completo.
    Grazie di questa segnalazione.

    Nella mia, evidente quanto immensa ignoranza, osservo che certi luoghi del pensiero/poiesis cui Balsekar allude, mi par di averli già provati e sentiti risuonare, per esempio, in altri testi – prevalentemente ma non assolutamente ‘orientali’.

    La frase che mi pare, che pare a me, portante è quella cui B, in risposta a P che lo incalza sulla ‘volontà di dio’ e il ‘destino’, risponde:

    Ramesh Balsekar: Non lo sappiamo, e questo è il dato di fatto; così se preferisci, puoi abbandonare il concetto di destino e dire che nessuno, in realtà sa niente su nulla. Bene. Non c’è bisogno del concetto di destino. Dopotutto, se accetti che qualsiasi cosa accada non sia nelle tue mani, poi chi rimane a preoccuparsi del destino?

    E di conseguenza – oso cogliere io – nemmeno di Dio.

    Pare dunque a me che ‘ l’ostacolo maggiore ‘ sia proprio Lui, se viene ‘ricercato’.

    Grazie ancora, Valerio.

    PS Mi viene in mente, così di colpo, Herr Franz Kafka nei suoi Quaderni di Zurau. Cito a memoria: ” credere nell’indistruttibile e non aspirare ad esso “

  2. Paolo ha detto:

    Non mi convince per nulla, come tutte le risposte a “domande fondamentali” (in questo caso la domanda “cos’è il libero arbitrio?”) che mi appaiono troppo assolute e semplicistiche, “semplicistiche” e non “semplici”, in quanto nel considerare un problema, lo semplificano mascherandolo, ossia ignorandone alcuni aspetti.
    Le domande fondamentali non hanno risposte nette e precise, perché le “risposte” non sono esprimibili con esattezza in termini razionali, anche se ritengo sia comunque utile cercare di avvicinarsi il più possibile, in termini razionali, al “senso” di queste risposte.
    Per poter rispondere alla domanda sul libero arbitrio, bisogna prima rispondere a “chi, o cosa, decide le nostre azioni?”. Rispondere “Dio” equivale a rispondere “no comment”, a meno che non si chiarisca cosa si intende con “Dio” (concetto estremamente ambiguo e privo di definizioni universalmente condivise).
    Significativamente, a risposte come queste, si contrappongono visioni in cui la libertà individuale assume dimensioni cosmiche: “siamo noi i soli artefici del nostro destino”, “tutto quello siamo e tutto ciò che ci accade è così perché noi lo abbiamo deciso”. Visioni che attribuiscono un potere pressoché illimitato all’immaginazione, alla volontà, e ad azioni basate su convinzione, autoconvinzione, suggestione e autosuggestione, ossia all’orientamento cosciente e sistematico del pensiero (“pensiero positivo”) e della sfera emozionale.
    In questo caso l’uomo in quanto individuo si identifica con “Dio” (in quanto onnisciente, onnipotente, onnicomprensivo), mentre nel caso degli abolitori del libero arbitrio “Dio” è qualcosa di esterno, estraneo, “altro”, qualcosa che si contrappone all’individualità umana, la quale si riduce a mera “illusione” (altro concetto sfuggente usato spesso con disinvoltura) o poco più.
    Come per tutte le domande fondamentali la verità, a mio avviso, sta non nel mezzo, ma “oltre” le due polarità di pensiero, oltre il pensiero stesso. Ma questo non ci impedisce di prendere ciò che ci risulta utile da entrambe le polarità.
    In questo caso dalla “polarità del destino” possiamo prendere l’attitudine a ridare all’ego la sua giusta dimensione e il suo giusto ruolo, e dissolvere o quantomeno alleggerire il fardello di ambizioni, rancori, doveri, rimorsi, rimpianti che si porta appresso. Dalla “polarità della volontà individuale”, la fiducia nelle nostre capacità e possibilità, e il senso di libertà e sicurezza che questa fiducia ci dona.

  3. eckhart ha detto:

    Dice Paolo:
    dalla “polarità del destino” possiamo prendere l’attitudine a ridare all’ego la sua giusta dimensione e il suo giusto ruolo, e dissolvere o quantomeno alleggerire il fardello di ambizioni, rancori, doveri, rimorsi, rimpianti che si porta appresso. Dalla “polarità della volontà individuale”, la fiducia nelle nostre capacità e possibilità, e il senso di libertà e sicurezza che questa fiducia ci dona.

    Oh beh sì..bei compromessi per compiacere l’ego..
    :-)

  4. Giusy Figliolini ha detto:

    Credo di avere già letto l’articolo tempo fa… ma come spesso accade certe letture rilette a distanza ti fanno altri effetti e ti consentono anche di capire come ti confronti con esse nel dato momento storico e puoi cogliere la differenza tra un tuo stato e un altro precedente.

    Oggi provo una certa sana invidia per l’intervistatore… a prescindere il mio essere concorde con la visione di Balsekar o meno, non ha più importanza ormai per me, l’unica cosa che colgo è quello stato di liberazione che prova il suo interlocutore quando, tra una sorsata di te e l’altra, “realizza” il senso di quanto ha appena ascoltato dalla voce di Balsekar.

    L’Advaita sarà deresponsabilizzante? Questo è certo.
    E’ un bene? E’ un male? Scoprire di non avere libero arbitrio?
    Scoprire che siamo “anche” o “solo” macchine programmate (quante volte a tratti l’ho potuto osservare guardandomi intorno e anche dentro).

    Che invidia riuscire a realizzare questo.
    Non voglio chiedermi nemmeno per quanto tempo questo stato di deresponbilizzazione liberatoria è durata nel nostro personaggio, se durasse per sempre o solo un attimo deve essere un momento di vera libidine spirituale!

  5. Giusy Figliolini ha detto:

    Sostituisci deresponsabilizzazione con depersonalizzazione…
    ciao Eckart| ;-)

  6. eckhart ha detto:

    Giusy F. :
    L’Advaita sarà deresponsabilizzante? Questo è certo.


    Deresponsabilizzante?
    Beh..non credo proprio…
    sarebbe come confutare la Gyta e il Dharma che lo stesso Balsekar ha commentato,d’altronde..
    Insomma…tutto dipende ,come sempre,da Chi “usa & consuma” quei concetti..è un vecchio argomento mi pare..
    difatti B. ,nell’intervista ben distingue sempre il Saggio che afferma tutto ciò, dall’uomo ordinario.
    Per questo Balsekar diviene pericolosamente fraintendibile..
    Ciao,Namastè :-)

  7. eckhart ha detto:

    Giusy: Sostituisci deresponsabilizzazione con depersonalizzazione


    Fatto! :-)))
    Ciao! ;-)

  8. Sak ha detto:

    Giusy F. :
    L’Advaita sarà deresponsabilizzante? Questo è certo.


    Deresponsabilizzante?
    Beh..non credo proprio…
    sarebbe come confutare la Gyta e il Dharma che lo stesso Balsekar ha commentato,d’altronde..
    Insomma…tutto dipende ,come sempre,da Chi “usa & consuma” quei concetti..è un vecchio argomento mi pare..
    difatti B. ,nell’intervista ben distingue sempre il Saggio che afferma tutto ciò, dall’uomo ordinario.
    Per questo Balsekar diviene pericolosamente fraintendibile..
    Ciao,Namastè :-)

  9. Sak ha detto:

    Giusy:
    Che invidia riuscire a realizzare questo.
    Non voglio chiedermi nemmeno per quanto tempo questo stato di deresponbilizzazione liberatoria è durata nel nostro personaggio, se durasse per sempre o solo un attimo deve essere un momento di vera libidine spirituale!
    —-
    Capisco. :-)
    La chiave per quella vertigine irreversibile è l’arresa.
    Non è possibile che ci accada quella “libidine esistenziale” altrimenti.
    Sak :-)

  10. salvatoreR ha detto:

    La resa totale e incondizionata alla volontà di Dio equivale alla ghigliottina dell’ego e alla liberazione da ogni concetto.
    Namastè!.
    SalvatoreR.

  11. Paolo ha detto:

    Eckart scrive:
    >Oh beh sì..bei compromessi per compiacere l’ego..
    Non capisco cosa vuoi dire esattamente. Perchè compromessi? Compromessi tra chi o cosa? E cosa ti fa pensare che quello che suggerisco serva a “compiacere l’ego”?
    Il mio punto di riferimento è il benessere: secondo me ciò che dà un senso di libertà, sicurezza, armonia, pace, è ciò che può guidare verso una crescita interiore. Considerato che le polarità del pensiero non possono esprimere la realtà delle cose, perché non usare le suggestioni che queste polarità ci offrono per aiutare noi stessi a liberarci dai parassiti dell’anima, come appunto “ambizioni, rancori, doveri, rimorsi, rimpianti” ma anche paura, insicurezza, senso di impotenza e inutilità? Meno parassiti abbiamo, più possibilità abbiamo di cogliere il senso della verità trascendente che sta al di là dei concetti. E le polarità, con la loro nettezza, ci illuminano sia sulle cause che sui rimedi a questi parassiti.
    Ogni polarità può essere presa come causa di una categoria di parassiti e come rimedio di un’altra: la visione egocentrica è quella che genera “ambizioni, rancori, doveri, rimorsi, rimpianti” mentre la visione fatalistica, in cui siamo in balìa di un destino indifferente, reca con sé la paura, il senso di insicurezza e di impotenza. Ma, d’altra parte, la visione egocentrica ci rende consci dei poteri e della libertà di cui disponiamo e la visione fatalistica ci rende consci dei nostri limiti e della vanità dell’autoaffermazione. Come tutte le polarità del pensiero, sembrano essere in contraddizione insanabile, ma questa stessa contraddizione ci indica la necessità di trascendenza e ci fa vedere meglio ciò che ci debilita (i parassiti) e ciò che ci espande e ci illumina (ciò che reca benessere, pace e gioia).
    E se di questo benessere l’ego dovesse compiacersi, che c’è di male? Una cosa è sovralimentare l’ego lasciando che cresca a dismisura e assuma il comando delle nostre azioni, altra cosa è agire con la guida di senzazioni, pensieri e sentimenti “positivi”, nel senso di portatori di benessere, il quale benessere non vedo perchè non possa compiacere anche l’ego.
    Non sono per nulla convinto che l’ego vada combattuto, mortificato, o “ghigliottinato” (per citare dall’intervento di SalvatoreR). L’ego, come tutte le componenti del nostro essere, se c’è è perché serve a qualcosa. Infatti cosa, se non l’ego, ci dà il senso della nostra individualità, della nostra autonomia, che sussiste nonostante la nostra dipendenza da tutto il resto? Cosa, se non l’ego, costituisce un nodo della rete di comunicazione in cui siamo immersi?
    Come da molti è stato detto, l’ego è uno strumento e come tale va usato. Il punto è evitare che da strumento diventi fine, come continuamente accade. L’ego fine a sé stesso ritengo sia la causa di tutti i problemi sociali e interiori da cui siamo afflitti, ma l’ego in quanto strumento costituisce il mezzo del nostro agire nel mondo, e del nostro scambio comunicativo.
    Certo, quando l’ego diventa un fine anche il “benessere” diviene oggetto di distorsione ed equivoco e si scambia la sensazione inebriante, euforizzante del potere e dell’autoaffermazione col benessere e la gioia. Ma basta un po’ di consapevolezza, un po’ di vigilanza per evitare che l’ego esca dai suoi confini, non c’è bisogno di vedere l’ego, tout court, come un nemico da combattere.

  12. eckhart ha detto:

    Paolo:
    Il mio punto di riferimento è il benessere: secondo me ciò che dà un senso di libertà, sicurezza, armonia, pace, è ciò che può guidare verso una crescita interiore.

    Vedi Paolo, non sto condannando l’ego (che è quel che è..e come dici tu basta la consapevolezza per constatarlo )
    nè giudico te,se adesso affermo che la new age e i suoi buoni propositi…proprio non sono di mio interesse..
    Vedi.. non ho scelto questo o quello..
    per me è semplicemente così:dento o fuori senza sicurezze o aspettative di benessere.
    ciao
    :-)

  13. Sak ha detto:

    Paolo:
    “Ma basta un po’ di consapevolezza, un po’ di vigilanza per evitare che l’ego esca dai suoi confini, non c’è bisogno di vedere l’ego, tout court, come un nemico da combattere.”
    *******
    Sono d’accordo. Ma ne occorre molta di consapevolezza e vigilanza, non credo solo un po’.

    >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>
    Eckhart:
    … senza sicurezze o aspettative di benessere
    ***
    Sono d’accordo anche con te, Eck…
    Sì, senza attese di benessere o timori di malessere, armonia, pace, crescita interiore…… ma solo presenza e disponibilità piena al ciò che accade.
    In questo spazio di coscienza, l’ego non ha più appigli, perde energia, sfiorisce e, quindi, non ha alcun senso combatterlo. Quando l’ego non si autocombatte, perchè riconosciuto dalla consapevolezza, si ritira nella mera funzione di servizio mondano.
    Quando l’ego perde potere, il benessere, l’armonia, la pace, sorgono, hanno la possibilità di sorgere.

    Sak :-)

  14. eckhart ha detto:

    Sak:
    “Quando l’ego perde potere, il benessere, l’armonia, la pace, sorgono, hanno la possibilità di sorgere.”


    Dici bene..sorgono..
    spontaneamente…e non perchè si è ambìto ad essi:
    in pratica si è innaffiata la pianta della consapevolezza e son spuntati fuori pure i fiori..
    Un vero Regalo.
    :-)

  15. Watts ha detto:

    Se la luna, mentre completa il suo eterno viaggio intorno alla terra, ricevesse il dono dell’autocoscienza, sarebbe certamente convinta di stare viaggiando secondo la propria decisione lungo la sua strada con la forza di una decisione presa una volta per tutte. Allo stesso modo un Essere dotato d’intuizione superiore e di una perfetta intelligenza, che osservasse l’uomo e le sue azioni, sorriderebbe dell’illusione umana che lo spinge a credere di poter agire secondo il proprio libero arbitrio.

    Albert Einstein

    Ma rimanendo in un ambito ispirato alla filosofia buddista, una volta accettata la premessa di “anatma” e di “karma”, e’ evidente che, anche qui, resta ben poco spazio al concetto tutto occidentale di “libero arbitrio”.
    Se l’ io e’ una costruzione mentale e noi portiamo il peso sulle nostre spalle delle azioni compiute generazione dopo generazione (“reincarnazione dopo reincarnazione”) cosa puo’ ancora essere oggetto di scelta ? forse (?) il colore di un abito, una pietanza piuttosto che un’altra nel menu’ quotidiano, ma poco altro di determinante nella vita dell’ uomo.
    Per un occidentale (british) come Chris Parish a cui, come a tutti noi, sin dalla prima infanzia, e’ stato inculcato che il destino e’ nelle nostre mani, che persino le nostre emozioni possono essere modificare con un sforzo di volonta’ ( You “MUST relax , tu “DEVI” essere rilassato, un tipico esempio di “doppio legame” imposto dalla cultura occidentale e ben analizzato da Gregory Bateson) , per un occidentale, dicevo, pur sensibile al messaggio del Buddha, la consapevolezza dell’ assenza di reale libero arbitrio, puo’ arrivare solo per via meta-razionale, anzi nel pieno di uno “stato confusionale”, che preluda all’ illuminazione “improvvisa”.
    Eppure la diatriba sull ”˜esistenza o meno del libero arbitrio e antica come le religioni ed e’ presente tanto in occidente quanto in oriente.
    Si pensi a Lutero (per il quale solo la grazia puo’ salvare l’ uomo) e , seppur agli antipodi culturali, all’ Amidismo , che prevede la salvezza non tramite le opere , la meditazione, la vita monastica , ma solo attraverso un’ invocazione sincera al Budda Amida, che puo’ essere “efficace” anche nell’ ultimo istante di una vita tutta condotta in opposizione ai “precetti” da parte dell’ ultimo dei peccatori.
    Il “fiat voluntas tua” pare presente e cruciale in tutte le religioni e ne rappresenta probabilmente il nucleo generatore.
    Ma nelle religioni orientali e’ particolarmente evidente la preminenza assoluta della “visione” sulle opere : solo tramite la consapevolezza assoluta si puo’ superare definitivamente il perenne dibattito tra fede e opere.
    In ogni caso il cosiddetto “libro arbitrio” e’ un elemento fortemente concettuale cosi’ come lo e’ il concetto di “determinismo”. Entrambi sono ampiamente dibattuti da filosofi e teologi di tutti i tempi.
    Wittgestein esprime per primo , in filosofia, il concetto che non esista alcuna legge nella spiegazione di un particolare fenomeno: in tale contesto, anche il problema del libero arbitrio si colloca dunque su un piano completamente diverso da quello del determinismo: “Non c’è ragione per cui, anche se ci fosse regolarità nelle decisioni umane, io non dovrei essere libero. Riguardo alla regolarità, non c’è niente che renda qualcosa libero o meno. La nozione di costrizione viene in gioco se pensate alla regolarità come costretta; come prodotta da binari” . Se invece si ritiene possibile che i fatti di natura possano veramente essere spiegati tutti in termini di strette leggi scientifiche, nemmeno allora potremmo dirci in grado di avere risolto il problema, eliminando del tutto il libero arbitrio, dato che, ad un tale contesto ipotetico, in cui assisteremmo ad un mutamento così radicale della nostra visione del mondo, sarebbe strettamente connessa l’adozione di una grammatica mentale completamente differente, dove probabilmente i concetti di determinismo e di libero arbitrio potrebbero ragionevolmente non essere nemmeno contemplati.
    Dunque, per Wittgestein, libero arbitrio e determinismo sono solo elementi grammaticali.
    Sulla base di tali premesse , sono pertanto , prescindendo dal concetto di “ benessere” (che oggi appare troppo correlato con quello di beauty-farm) , completamente d’accordo con Paolo.

  16. eckhart ha detto:

    …Ecco che si riperde sempre il punto,se non si sposta lo sguardo e il punto di visione dal personale all’impesonale e che rende superfluo ogni ragionamento dicotomico libero arbitrio-determinismo.
    Ripeto:Balsekar parla qui con l’occhio della Totalità che osserva e che vede ben oltre la discriminazione-lettura di ogni singolo atto compiuto (che è comunque interconnesso ad altri atti e solo così andrebbe visto).
    Per questo mi fa sorridere il prendere seriamente l’analisi fornita da Wittgenstein:
    ”Chi” sta parlando..chi sta affermando qui in assoluto che cosa?

  17. Watts ha detto:

    Eckhart
    “…Per questo mi fa sorridere il prendere seriamente l’analisi fornita da Wittgenstein”

    Il punto di vista di Wittgestein potra’ far sorridere Eckhart, ma non si possono non riconoscere le profonde analogie che esistono tra i presupposti da cui questo autore si muove e le posizioni del buddismo zen.
    Wittgenstein si ritrova infatti ad affrontare gli stessi problemi che avevano impegnato i saggi d’India, Cina e Giappone. Questo semplicemente perché il campo della sua indagine e’ il medesimo: il linguaggio.
    Wittgenstein si accorge che i problemi della filosofia sono falsi problemi, dunque la sua indagine si sposta sull’analisi di questi pseudo-problemi. Lo scopo della filosofia di Wittgenstein è esclusivamente mostrare ed eliminare gli pseudo-problemi.
    Wittgenstein non e’ il primo logico a individuare nell’ambiguità e fallacia del linguaggio l’origine dei problemi speculativi e dunque degli errori dell’intera filosofia. In India, con una abilità altrettanto pari, Nagarjuna riuscì a mostrare la vacuità di ogni concetto e di ogni parola. Le somiglianze fra l’insegnamento di Nagarjuna e Wittgenstein non possono non stupire.
    L’errore umano è confondere il pensiero con il mondo. L’errore della filosofia occidentale è il tentativo di spiegare il mondo con il pensiero.
    Il pensiero può spiegare soltanto il pensiero, e la vita è altra cosa.

    Forse sono andato un po’ fuori tema , ma mi premeva di sottolineare questa importante analogia, che lega uno dei filosofi piu’ brillanti della nostra era e alcuni aspetti della visione buddista
    e cercare di dimostrare come il suo pensiero sul libero arbitrio partisse da una premessa critica sul linguaggio, che troverebbe d’ accordo molti maestri zen.

  18. eckhart ha detto:

    Anche a me piace Wittgeinstein:sorridevo non di lui,ma perchè mi pareva c’entrasse poco .
    L’aspetto linguistico è uno tra quelli da discriminare ,senza dubbio.
    Ma trovo nell’evidenza più essenziale che si ponga nella “crisi del soggetto” stesso l’eventuale dubbio o dilemma da sciogliere
    A parte Nietzsche tra i moderni in occidente,non mi pare che nessuno abbia toccato quest’ambito,e non so quanti se ne sono accorti,ha decretato la morte del soggetto stesso.
    Ecco che quindi i parallelismi tra oriente e filosofia occidentale decadono subito in virtù del supposto agente soggetto-maschera,rappresentazione considerata illusoria in tutto l’Oriente.

  19. BaoTzeBao ha detto:

    In punta, cheddico, in piùchepuntadipiedi – per rispetto e davvero grande incompetenza – già sottolinearla è immodesto, oltre che pleonastico – da curioso e attento mi, vi chiedo: non sarà che, da noi qui, figli di Occidente, certe assonanze, certe parole, certi suoni vadano ritrovate più in Arte che in Filosofia ?

    Per questo citavo herr Kafka, lassù in apertura.

    Ma anche, che ne so, in certi assoli di sassofono, o in certi versi che, come tracciò Mr T.S. Eliot, sono come
    ” Dust in the air suspended Marks the place where a story ended ”

    E infine, fosse invece tutto semplice, ma così TANTO semplice da star dentro una frase come quella che sentiamo pronunciare sull’autobus da quella donna anziana vicino a noi cui è stata raccontata una bella o una tragica storia ?

    Sorride luminosa e guarda negli occhi l’interlocutore, oppure abbassa i suoi sospirando, inclina la testa e apre entrambe le mani, come potesse raccogliere là quel dolore, quel piacere e dice in un soffio…
    ” Capita ” .

    Vi chedo scusa se non ho capito niente. E se rideste di me ne sarei lieto. Buone Sere

  20. eckhart ha detto:

    e che squole avrebbe fatto la nonnina?
    :-))))

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