I voti del Bodhisattva
I Grandi Voti, noti come i Voti del Bodhisattva, sono nati probabilmente in Cina intorno al sesto secolo come derivazione di un precedente “gatha” (canto) sanscrito. Alla fine dell’VIII secolo li troviamo spiegati dal maestro zen cinese Hui-Neng. Oggi sono recitati alla fine delle funzioni religiose nella maggior parte dei centri Mahayana.
Composti di sette caratteri cinesi per verso, i Grandi Voti sono poeticamente espressi in rime, reiterazioni e analogie. Le traduzioni inglesi contemporanee dei Grandi Voti si rifanno massicciamente alla versione di D. T. Suzuki, pubblicata per la prima volta nel 1935. Egli usò il titolo “I quattro grandi voti”, abbreviazione di quello utilizzato da Hui Neng, “I quattro grandi voti larghi”, dove “larghi” significa “per una larga diffusione”.
Nakagawa Soen Roshi (1908-83) coniò il titolo “I Grandi Voti per Tutti” nella sua traduzione del 1957, e due anni dopo, al Diamond Sangha – una comunità appena formatisi a Honolulu – usammo questo titolo nel nostro primo libro sui sutra. Oggi le nostre traduzioni si sono fatte molto più precise, e tale titolo è praticamente l’unica parte dei voti a non essere cambiata.
I Quattro Grandi Voti esprimono le aspirazioni nei confronti dei Tre Tesori del buddismo: redimere la “sangha”, smettere di svilire i Tre Tesori, comprendere chiaramente il dharma e conseguire la buddhità. In quanto tali, i Voti sono la versione Mahayana della “Ti-sarana-gamana”, la cerimonia con cui si prende rifugio nei Tre Tesori, presente in tutte le tradizioni buddiste.
Shu jo mu hen sei gan do
I molti esseri, senza limite, voto, portare attraverso.
Gli esseri viventi sono infiniti; faccio voto di salvarli.
“Shu” vuol dire i molti o tutti. “Jo” è letteralmente nascita o germogliare, ed è il termine per un essere o esistenza. Il termine composto “shujo”, i molti esseri, è una traduzione allargata del sanscrito “sattva”, che a sua volta vuol dire un essere o esistenza. “Shujo”, i molti esseri, include il regno vegetale, come sottolineano Soothill e Hodous nel loro dizionario buddista, ma io includerei ne i molti esseri tutto ciò che esiste.
In altri contesti si trova una parola composta pronunciata “ujo”, senziente, usata come traduzione di “sattva”. “Ujo” limita il significato di esseri al regno animale, o più probabilmente alla sola umanità. Ma nei Grandi Voti troviamo “shujo”, i molti esseri, non “ujo”. I nostri antenati asiatici intendevano sicuramente includere ogni cosa; usare esseri senzienti in tale contesto, come fanno alcuni centri occidentali, pone limiti antropocentrici al nostro spirito di bodhisattva.
“Do” è una traduzione del sanscrito “paramita”, che ha due possibili significati. Il primo è perfezione – lo stato e la pratica – mentre il secondo è attraversare. “Do” segue questa seconda interpretazione, ed è causativo: render(li) in grado di attraversare. Alcuni centri del dharma usano illuminarli, e – benché i cespugli e le erbe si stiano evolvendo verso l’«anuttara-samyak-sambodhi» – la parola illuminazione, riguardando gli esseri umani, sembra escludere ancora una volta tutto ciò che non è umano.
Gli studenti alle prime armi chiedono spesso come sia possibile fare sinceramente voto di salvare tutti gli esseri. Un simile voto ricorda l’arroganza missionaria. Hui-neng offre una risposta: “Li stai salvando nella tua mente”. Stai coltivando la “bodhichitta”, ovvero l’aspirazione alla saggezza e alla compassione, oltre che alla determinazione di mettere queste ultime in pratica al meglio delle tue possibilità.
Bon no mu jin sei gan dan
Dolore, angoscia, senza esaurimento, voto, concludere.
Odio, avidità e ignoranza sono inesauribili; faccio voto di abbandonarli.
La parola giapponese “bonno” traduce il sanscrito “klesha”, dolore, afflizione, angoscia, e questo termine è interpretato dai buddisti cinesi come “illusioni, prove o tentazioni delle passioni che disturbano e angosciano la mente”; più brevemente, è interpretato come “I Tre Veleni”. I Tre Veleni sono “l’odio, l’avidità e l’ignoranza”, e noi ci siamo basati su questa interpretazione, in quanto più precisa.
Ostacoli sembra una traduzione generica, mentre termini come passioni o veleni ricordano il calvinismo più che il buddismo. Senza passioni sembreremmo dei morti che camminano, e senza desideri non cammineremmo neanche. “Dan” significa concludere, terminare, tagliare, e in alcune versioni occidentali è reso con sradicare.
Un membro della comunità ha sostenuto che sradicare sembra un termine troppo “macho”, almeno nella sua traduzione inglese (“cut”), per cui abbiamo scelto “abbandonarli”. Questo termine implica che tali azioni venivano prima giudicate positivamente, cosa che corrisponde alla realtà.
Come il primo, anche il secondo verso riguarda la propria mente. Esso esprime l’aspirazione a “sradicare la via della mente”, per usare le parole di Wu-men, la volontà di tagliare il nastro dell’incessante chiacchierio, il monologo interiore vertente esclusivamente su “ciò che ero, ciò che sono e ciò che sarò”. Nel silenzio che segue, ci si dedica naturalmente al benessere agli altri, così come il Buddha ha rivolto la mente ai cinque discepoli di Benares, quando ha tagliato il suo nastro incessante.
Ho mon mu ryo sei gan gaku
Le porte del dharma, senza misura, voto, imparare.
Le porte del dharma sono infinite; faccio voto di risvegliarmi a esse.
Quando la nostra sangha cominciò a studiare la terminologia dei voti, sedici anni fa, Stephen Mitchell (che all’epoca stava traducendo Il libro di Giobbe), ci suggerì di usare l’espressione “vasto e insondabile”, che appare nella prima risposta di Giobbe a Bildad il Suchita. Omettemmo il problematico “porte” e traducemmo: “Sebbene il dharma sia vasto e insondabile”. Ma nella nostra nuova versione abbiamo ripristinato il termine “porte”, perché questi sono davvero gli accessi al dharma – la nostra possibilità di realizzare le tantissime realtà che abbiamo davanti a noi – quando siamo aperti a essi.
Un’altra difficoltà di questo verso è data dalla parola “gaku”, imparare o studiare. Questo carattere si trova nei composti significanti scuola, istituto e studente. Di solito, viene tradotto con comprendere o padroneggiare, ma nessuno di questi due termini dà l’idea di un essere ricettivi a, che “gaku” sembra suggerire. Dopotutto, come è possibile padroneggiare o comprendere un’opportunità? Questo verso richiama la sfida del maestro zen Bassui: “Chi sta udendo quel suono?”. Quando sei ricettivo e non sei prigioniero dei pensieri, quel suono, tocco, bagliore o aroma è la tua grande possibilità.
Butsu do mu jo sei gan jo
Buddha, via, senza paragoni, voto, diventare.
La via del Buddha è insuperata; faccio voto di incarnarla completamente.
“Butsu” è Buddha, mentre “do” è Tao; quindi “Butsudo” è il Tao o il dharma del Buddha, la via del Buddha, e la pratica del buddismo. A un livello più basilare, si tratta della pratica perenne, così come è stata esposta dal Buddha e i suoi successori.
“Mujo” vuol dire letteralmente niente di superiore, dove “jo” significa superiore. Gary Snider traduce così questo verso: “La via del Buddha è senza fine; faccio voto di seguirla fino in fondo”. Nel nostro primo seminario, abbiamo avuto delle difficoltà con “jo”. Dopo alcune discussioni, abbiamo optato per “incarnare”, aggiungendo “completamente” per dare ai Voti un aspetto di completezza.
Questo verso finale è il nostro voto a percorrere l’Ottuplice Sentiero del Buddha, con lo stesso rigore e la stessa nobiltà di quest’ultimo. Questa è la Via che comincia dalle Rette Opinioni: la chiara intuizione della natura insostanziale dell’io e di tutte le cose, l’armonia innata dell’organismo universale e l’unicità di ciascun essere individuale. La Via si estende poi all’applicazione di queste Opinioni nei pensieri, le parole, la condotta, i mezzi di sussistenza, lo stile di vita, il raccoglimento e la meditazione.
Robert Aitken è direttore della Diamond Sangha di Honolulu. Tra i suoi libri, ricordiamo Taking the Path of Zen e The Mind of Clover (North Point Press).
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Robert Aitken. Taking the Path of Zen. North Point Press. 1985. ISBN: 0865470804
Copyright originale: Robert Aitken, per gentile concessione.
Originalmente pubblicato su Tricycle magazine,
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini
Copyright per l’edizione Italiana: Innernet.
interessante.. queste nozioni le avevo apprese quando frequentavo il buddhismo (occidentale) di Nichiren… [non la soka gakkai :-))) ]
Ciao :)
Proprio una bella lezioncina…
peccato che mi è rimasta in testa solo questa frase:
“Chi sta udendo quel suono?”. Quando sei ricettivo e non sei prigioniero dei pensieri, quel suono, tocco, bagliore o aroma è la tua grande possibilità.” :-P
Eckh…e’ Mahayana purissimo..non c’e’ solo la Prajna….
Si anche i vegetali hanno la natura di Buddha…anche i minerali. Purtroppo nella maggior parte delle wcuole Mahayana e successive Vajrayana questa sensibilita’ e’ andata perduta…anche se l’indicazione “tutto e’ coscienza” e’ presente sin dall’inizio.
Cio’ che molti ignorano del Mahayana, quindi anche dello Zen o del Chan, e’ che i Buddha sono infiniti, non c’e’ un solo Buddha. Il Jainismo per esempio si ferma qui. Nel Buddismo c’e’ un Buddha Primordiale, essenza di tutti i Buddha, ma i Buddha individuali sono infiniti.
Lo spazio intorno a voi in questo momento ne e’ pervaso, solo che non li vedete (si possono vedere)…e voi siete un Buddha…o meglio la vostra natura dei Buddha e’ Buddha…cioe’ la vostra consapevolezza, il vostro sentire spontaneo. Quella consapevolezza nel Sambhogakaya puo’ manifestarsi come un Buddha di Luce…e quello e’ il nostro vero Corpo di Luce. Nell’Advaita e’ Ishvara.
…se a qualcuno interessa approfondire, per esempio come Hui Neng spiegava questa cosa…cosi magari smette di credere di praticare l’Advaita continuando ad avere il concetto dell’ Onnipontente come sorgente dell’Essere….
Secondo voi io potrei dire che quando ero bambino ero più vicino alla natura di buddha in quanto più spensierato? Essere libero dai pensieri basta sul serio? Non è necessario sapere nient’altro? Quindi perchè studiare i testi buddisti quando ci si potrebbe impegnare solamente a cercare di non essere schiavi dei propri pensieri e di vivere il presente?
Giusto Saba, ma il problema non e’ studiare o meno i testi Buddisti, quanto il fare le esperienze che la Vita ci dona (un bambino si prepara a farle..). ( Per restare in tema Mahayana e’ L’Upaya che porta insieme alla Prajna alla trasformazione della saggezza delle esperienze in saggezza simile allo specchio ).
Saba:..ci si potrebbe impegnare solamente a cercare di non essere schiavi dei propri pensieri e di vivere il presente?
Ti sembra impresa da poco?
E’ la base di qualsiasi insegnamento..la Porta della Comprensione..
No.Non serve altro,secondo me..
Yam?
Approfondisci pure…sono tutto orecchi…
(l’approccio è quello sopra,non c’è altro..a parte qualche concetto..)
Non ci sono concetti, la porta della comprensione non e’ sufficiente. Si apre e si chiude..oppure rimane aperta ma se manca il contatto con la Realta’ della manifestazione non e’ niente.
Appena ho tempo approfondisco i tre corpi del Buddha con un articolo.
La Comprensione è lo stesso Contatto.
Il concetto è solo un modo per esprimersi a parole.
Attendo il tuo approfondimento,comunque.
Eckh: La Comprensione è lo stesso Contatto
Y: Si..se e’ autentica e quindi calata nella realta’…
Senti come lo spiega bene Maitreya Ishwara:
“La potenza trasformativa dell’Advaita è quella che fornisce una base razionale all’abbandono alla vita-in quanto-Dio. L’Advaita sa che la consapevolezza è tutto quello che c’è; quindi sei già quello che stai cercando.
Senza un sufficiente approfondimento nella meditazione,comunque,l’approccio intellettuale dell’Advaita è
suscettibile a convinzioni non verificate nell’assoluta verità, un tranello che trattengono i cercatori inconsapevoli
in una concettuale illusione di libertà. Se l’Advaita è applicata ad un abbandonarsi momento per momento alla vita in quanto gioco della divina Consapevolezza,accade una rapida crescita. Se ciò è creduto senza una verifica esperienziale, l’Advaita diventa una trappola per l’ego spirituale e d’intralcio verso una reale crescita in consapevolezza.”
Si e’ molto bello. I tre corpi del Buddha sono proprio una chiave. Questo numero tre e’ lo stesso in ogni tradizione (casuale, sottile e grossolano) e non sono altro che qualificazioni della consapevolezza.
Mi è piaciuta molto la spiegazione di questo Maitreya Ishwara (anche se non l’ho capita tutta!). La meditazione molto probabilmente è l’unica porta verso l’illuminazione. Io ho cominciato da poco a meditare perchè sui libri ho sempre letto che era meglio non cominciare senza la guida di qualcuno…
Dì pure saba..se c’è qualcosa che si può chiarire meglio..
(anche se penso che un pò di “dubbio mentale” non sia male..
la vera comprensione è più in fondo ..ce l’abbiamo di già,ma tentiamo vanamente di fissarla con la mente..)
La meditazione è una faccenda sin troppo personale e si impara sul campo..certo con un Maestro “esteriore” (in carne ed ossa) sarà forse più facile e meglio verificare..(mai fatto da parte mia..)
Ma credo che già questo “Contatto” in rete, se ben utilizzato..