Feed on
Posts
Comments
Collegati
Share this page to Telegram

Euforico nichilismo 1.gifImmagina, se vuoi, che un mattino ti svegli in un altro mondo. Appena ti stropicci gli occhi per abituarti alla luce splendente del sole, vedi che sotto molti aspetti non è un mondo molto diverso da questo. Sei circondato da creature che, ai tuoi occhi, appaiono identiche agli esseri umani con cui di solito condividi il mondo.

Li osservi mentre si muovono nelle loro attività giornaliere, vivono le loro vite, s’intrattengono a conversare con gli altri, prendendo le miriadi di scelte e decisioni inerenti alle richieste della vita. Il quadro sembra rassicurante, familiare e normale.

Ma presto scopri che in questo mondo le cose non sono necessariamente come appaiono. Perché questi non sono esseri umani. No, questi sono “organismi corpo/mente” che, a differenza delle loro controparti umane, non hanno la facoltà di scegliere tra più possibilità o di prendere decisioni. Infatti, questi organismi non hanno niente che assomigli lontanamente a quello che chiameremmo libero arbitrio. Le trame delle loro vite furono scritte sulla pietra, molto tempo prima che nascessero, lasciando loro solo la possibilità di compiere meccanicamente degli atti per rappresentare la loro programmazione.

Questi, in apparenza delle creature umane, sembrerebbe, non sono diversi dalle macchine. Mentre apparentemente sembrano comportarsi come normali individui dal pensiero libero, indaffarati nelle loro attività quotidiane, stranamente quando gli viene chiesto, sostengono che non stanno facendo proprio niente. Infatti, in questo mondo peculiare, affermano che non ci sono “coloro i quali agiscono”.

Per di più, nessuno in questo mondo è mai ritenuto responsabile di qualcosa. Anche quando sembra che uno di questi esseri faccia del male ad un altro, non viene percepito nessun rimorso e non viene assegnata nessuna colpa. Se ti capitasse di chiedere a uno di questi organismi corpo/mente qualcosa a proposito, la risposta sarebbe che non c’era nessuno che aveva fatto niente.

L’etica è un concetto sconosciuto da queste parti. Le leggi di natura non sembrano applicabili in questo mirabile nuovo mondo. O forse qui sono state riscritte, dal momento in cui gli esseri sembrano osservare alcune strane leggi. Ti chiedi in quale luogo della Terra potresti essere. Ma non sei sulla Terra, sei atterrato sul Pianeta Advaita.

Sono venuto a Bombay a intervistare Ramesh Balsekar (recentemente scomparso, n.d.r.), uno dei più conosciuti insegnanti dell’Advaita Vedanta. Vive nel cuore di questa vasta, caotica città, in un’esclusiva zona di fronte al mare, che, mi ha informato il mio tassista, è dove abitano molti vip. Il portiere della sua casa, deducendo automaticamente che come occidentale dovessi essere venuto a visitare Ramesh Balsekar, mi diresse ad un piano superiore, dove c’è la spaziosa e ben ammobiliata residenza di Balsekar. Balsekar fu un padrone di casa molto cortese, accogliendomi calorosamente, nel suo immacolato, tradizionale abbigliamento indiano. Il suo atteggiamento era raggiante e vivace, e mi è stato difficile credere che avesse ottant’anni.

Ramesh Balsekar proviene da un ambiente insolito per un guru indiano. Istruito in occidente, ebbe una carriera di successo come dirigente e andò in pensione dalla sua carica di presidente della Banca dell’India all’età di sessant’anni. E mentre afferma di essere sempre stato incline a credere nel destino, fu solo dopo il suo ritiro dal lavoro che iniziò la sua ricerca spirituale, una ricerca che lo condusse velocemente dal suo guru – il rinomato maestro di Advaita Vedanta Sri Nisargadatta Maharaj.

Nisargadatta era un’insegnante impetuoso che divenne famoso in Occidente negli anni ’70 quando fu pubblicata una traduzione inglese dei suoi dialoghi intitolata I Am That (Io sono quello, Astrolabio, Milano, 2001) – un libro che è diventato un classico spirituale moderno. Entro meno di un anno dall’incontro con Nisargadatta, accadde improvvisamente a Balsekar quello che lui ha definito “la comprensione finale” l’illuminazione – mentre stava traducendo per conto del suo guru.

Secondo il racconto di Balsekar, Nisargadatta lo autorizzò ad insegnare appena prima di morire, e da allora, ha costantemente condiviso il suo messaggio come successore di questo maestro molto rispettato. Balsekar ha pubblicato molti libri dei suoi insegnamenti ed ha insegnato in Europa, negli Stati Uniti e in India. Tiene satsang [udienze con un maestro spirituale] ogni mattina nel suo appartamento, e un flusso costante di ricercatori quasi esclusivamente occidentali va a Bombay per vederlo.

All’inizio volevamo intervistare Balsekar, sia perché è un popolare e influente insegnante Advaita – adesso ha autorizzato dei suoi studenti all‘insegnamento – e sia perché è considerato, da molti, il successore di uno dei più riconosciuti insegnanti Advaita dell’era moderna. Nello studiare gli scritti di Balsekar, abbiamo presto realizzato che stava insegnando una forma dell’Advaita insolita e possibilmente eccentrica che induceva, francamente, a nostro parere, a conclusioni opinabili e perfino disturbanti.

Sebbene il pensiero indiano sia stato a lungo criticato per le sue inclinazioni deterministiche, sembrava che Balsekar avesse portato questo fatalismo a un estremo senza precedenti. Fu sia un desiderio di esplorare questi spazi inquietanti, sia di proseguire con il nostro interesse soprattutto per gli insegnamenti Advaita, che alla fine mi portò a Bombay a parlare con lui. E mentre arrivai immaginandomi un incontro impegnativo, guardando a posteriori, mi è chiaro che, mentre ci fu offerto il caffè e ci sistemammo comodamente nel suo soggiorno, non avrei avuto nessuna possibilità di prepararmi al dialogo che stava iniziando.

Chris Parish: Sei sempre più noto come insegnante dell’Advaita Vedanta sia in India sia in Occidente. Puoi descriverci cosa insegni?

Ramesh Balsekar: Posso davvero dirlo con una sola frase. La frase su cui si basa il mio intero insegnamento è: “Sia fatta la tua volontà”. O come lo dicono i Musulmani, Inshallah –“Il volere di Dio.” O nelle parole di Buddha: “Gli eventi accadono, le azioni sono compiute, non c’è alcun individuo che agisce”. Vedi, il conflitto di base nella vita è: “Faccio sempre tutto nel modo giusto quindi mi aspetto la mia ricompensa; egli o ella fanno sempre qualcosa di sbagliato e quindi dovrebbero essere puniti”. Questa è la vita, non è cosi?

Chris Parish: Certamente, accade spesso.

Ramesh Balsekar: Questa è la base di ciò che ho osservato. L’intero problema sorge perché qualcuno dice: “Io ho fatto qualcosa e mi merito una ricompensa, o egli ha fatto qualcosa e perciò lo voglio punire per quello che ha fatto”.

Chris Parish: Come conduci le persone a questo – che “non c’è colui che agisce”?

Ramesh Balsekar: È molto semplice. Se analizzi ciascuna azione che consideri la tua azione, scoprirai che è una reazione del cervello ad un evento esterno sul quale non hai alcun controllo. Un pensiero arriva – non hai controllo sul pensiero in arrivo. Qualcosa viene visto e udito – non hai controllo su ciò che vedrai e udrai in seguito. Tutti questi eventi accadono senza il tuo controllo. E poi che succede? Il cervello reagisce al pensiero o alla cosa vista, udita, gustata, odorata, o toccata. La reazione del cervello è ciò che chiami “la tua azione”. Ma, di fatto, è solamente un concetto.

Chris Parish: Qual è la differenza, quindi, fra i pensieri, le sensazioni e le azioni di una persona illuminata e di una non illuminata?

Ramesh Balsekar: Succede la stessa cosa. La sola differenza è che il saggio capisce che quello è ciò che sta accadendo. Perciò sa che non c’è niente che egli stia facendo – semplicemente le cose accadono. Il saggio sa che “io non sto facendo niente”. Ma l’uomo comune dice: “Io faccio delle cose e loro fanno delle cose. Perciò voglio la mia ricompensa e voglio che loro siano puniti”. La ricompensa o la punizione derivano dal fatto che io, lui, o lei facciamo delle cose.

Chris Parish: Posso capire attraverso la mia esperienza che non abbiamo controllo sui pensieri e le emozioni che affiorano. Ma qualche volta un’azione segue e talaltra no, e mi sembra che c’è una grande differenza tra quando un pensiero si manifesta solamente e quando viene intrapresa un’azione che coinvolge un’altra persona.

Euforico nichilismo 2.gifRamesh Balsekar: L’azione che accade è il risultato della reazione del cervello al pensiero. Se si è soltanto testimoni del pensiero e il cervello non reagisce a quel pensiero, allora non c’è azione.

Chris Parish: Ma, se come tu dici, non c’è nessuno che decide come rispondere, chi è che causa il manifestarsi o meno di un’azione?

Ramesh Balsekar: Un’azione accade se è nel volere di Dio che accada. Se non è nel suo volere, non accade.

Chris Parish: Vuoi dire che ogni azione che si manifesta è per il volere di Dio?

Ramesh Balsekar: Sì – è il volere di Dio.

Chris Parish: Che agisce attraverso una persona?

Ramesh Balsekar: Sì, attraverso una persona.

Chris Parish: Sia che questa persona sia illuminata oppure no? Attraverso ognuno, in altre parole?

Ramesh Balsekar: Esatto. La sola differenza, come ho detto, è che l’uomo comune pensa: “ È la mia azione”, laddove il saggio sa che è l’azione di nessuno. Il saggio sa che “le azioni sono compiute, gli eventi accadono, ma non c’è un colui individuale che agisce”. Per quanto mi riguarda questa è l’unica differenza. La sola differenza tra un saggio e una persona comune è che la persona comune crede che ogni individuo fa ciò che accade attraverso quell’organismo del corpo/mente. Così dal momento che il saggio sa che non esiste azione che egli compia, se si produce un’azione che ferisce qualcuno, farà tutto ciò che gli è possibile per aiutare quella persona – ma non ci sarà nessun senso di colpa.

Chris Parish: Vuoi dire che se un individuo agisce in modo da ferirne un altro, la persona che l’ha compiuto, o, come dici, l’”organismo corpo/mente” che l’ha agito, non è responsabile?

Ramesh Balsekar: Quello che sto dicendo è che sai che: ”io” non l’ho fatto. Non dico che non sei dispiaciuto di aver ferito qualcuno. Il fatto che qualcuno è stato ferito indurrà un sentimento di compassione e il sentimento di compassione risulterà nel mio tentativo di fare il possibile per lenire la ferita. Ma non ci sarà senso di colpa: io non l’ho fatto! L’altra faccia della medaglia è che accade un’azione lodata dalla società che mi premia per questo. Non dico che non ci sarà felicità causata dalla ricompensa. Così come la compassione si è manifestata a causa della ferita, un sentimento di soddisfazione o felicità può sorgere a causa di una ricompensa. Però, non ci sarà orgoglio.

Chris Parish: Ma intendi letteralmente dire che se io vado a colpire qualcuno, non sono io a farlo? Voglio semplicemente essere chiaro a questo proposito.

Ramesh Balsekar: Il fatto iniziale, il concetto originario, rimane ancora: tu hai colpito qualcuno. Sorge il concetto aggiuntivo che qualsiasi cosa accada è il volere di Dio, e la volontà di Dio relativa ad ogni organismo corpo/mente è il destino di quell’organismo corpo/mente.

Chris Parish: Quindi potrei soltanto dire: “Beh, ho agito per volontà di Dio, non è colpa mia”.

Ramesh Balsekar: Certo. Un atto accade perché è nel destino di quest’organismo corpo/mente, e perché è il volere di Dio. E le conseguenze di quell’azione sono anch’esse il destino di quell’organismo corpo/mente. Se accade una buona azione, quello è il destino. Per esempio, prendiamo Madre Teresa. L’organismo corpo/mente conosciuto come Madre Teresa era stato così programmato affinché accadessero solo buone azioni. Quindi il manifestarsi di buone azioni era il destino dell’organismo corpo/mente chiamato Madre Teresa e le conseguenze furono un premio Nobel, ricompense, onorificenze e donazioni per le varie cause.

Tutto questo era il destino di quell’organismo corpo/mente chiamato Madre Teresa. Dall’altro lato c’è un organismo psicopatico che è programmato in modo tale – dalla stessa Sorgente – che accadano solo azioni cattive o perverse. La manifestazione di queste cattive azioni perverse è il destino di un organismo corpo/mente che la società chiama psicopatico. Ma lo psicopatico non ha scelto di essere tale. Infatti, non c’è uno psicopatico; c’è solo un organismo corpo/mente psicopatico, il cui destino è produrre azioni cattive e perverse. E anche le conseguenze di tali azioni sono il destino di quell’organismo corpo/mente.

Chris Parish: Ritieni che tutto sia predestinato? Che tutto sia programmato dalla nascita?

Ramesh Balsekar: Sì. Uso la parola “programmare” in riferimento alle caratteristiche inerenti all’organismo corpo/mente. La “programmazione” per me significa i geni più i condizionamenti ambientali. Non hai potuto scegliere i tuoi genitori, perciò non hai avuto scelta per quanto riguarda i tuoi geni. Allo stesso modo, non hai avuto voce in capitolo riguardo all’ambiente di nascita. Perciò non hai avuto scelta riguardo i condizionamenti dell’infanzia che hai ricevuto in quell’ambiente, che include i condizionamenti a casa, nella società, a scuola e in chiesa.

Gli psicologi affermano che la somma dei condizionamenti ricevuti entro i tre, quattro anni d’età è il condizionamento di base. Ci saranno condizionamenti ulteriori, ma il condizionamento di base che crea la personalità è la somma dei geni più il condizionamento ambientale. La chiamo programmazione. Ogni organismo corpo/mente è programmato in un modo unico. Non ci sono due organismi corpo/mente uguali.

Chris Parish: Sì, ma non è forse vero che due persone possono avere un assortimento di condizionamenti simile eppure essere completamente diverse l’una dall’altra?

Ramesh Balsekar: Certo. Per questo motivo uso due termini: uno è la programmazione dell’organismo corpo/mente stesso; l’altro è il destino. Il destino è il volere di Dio riguardo a quell’organismo corpo/mente, impresso al momento del concepimento. Il destino di un concepito può essere di non nascere affatto – nel qual caso sarà abortito. Tutto questo è un concetto, non ti sbagliare. Questo è il mio concetto.

Euforico nichilismo. Ramesh

Chris Parish: Affermi che questo è un concetto e, di sicuro tutte le parole sono concetti, ma come facciamo a sapere che questo concetto rappresenta la verità? Tendo a pensare che ognuno abbia delle responsabilità individuali e che, sebbene ci sia una certa quantità di condizionamenti che ereditiamo, possiamo tuttavia scegliere la risposta. Un individuo può trascendere gli aspetti del suo condizionamento, mentre un altro può rimanerci bloccato tutta la vita. Dal momento che questo accade, direi che è dovuto alla volontà dell’individuo di trascendere i condizionamenti, e di aver successo.

Ramesh Balsekar: Ma se questo accade può accadere se non è nella volontà di Dio? Supponiamo che ci siano due persone: una cerca di superare i suoi limiti e ce la fa; l’altra non ce la fa. Quello che intendo è: sia colui che ha successo, sia colui che fallisce lo fa perché quello è il destino del suo organismo corpo/mente – che è la volontà di Dio.

Chris Parish: Ma non potremmo più semplicemente dire che è nella volontà di Dio dare ad ogni individuo la libera scelta di prendere le sue decisioni?

Ramesh Balsekar: No. Vedi, la mia domanda è: quale delle due volontà prevale? Quella dell’individuo o quella di Dio? Secondo la tua esperienza fino a che punto il tuo libero arbitrio ha prevalso?

Chris Parish: Penso che, a volte, la volontà dell’individuo possa certamente prevalere.

Ramesh Balsekar: Nei confronti della volontà di Dio? Quando vuoi qualcosa e ti dai da fare per averlo e lo ottieni, lo ottieni perché la tua volontà coincide con quella di Dio.

Chris Parish: Prendiamo l’esempio di un individuo che diventa un tossicodipendente e rimane tale tutta la vita. Uno, può altrettanto facilmente argomentare, che ha fatto questa scelta per andare contro la volontà di Dio e ha avuto successo – precisamente perché c’è il libero arbitrio.

Ramesh Balsekar: Ma sia che tu lo accetti o no di per sé è la volontà di Dio, non lo vedi? Che tu accetti la volontà di Dio o che tu non accetti la volontà di Dio, è la stessa volontà di Dio!

Chris Parish: Affermare che tutto è programmato anticipatamente, che tutto è destino, che non c’è libera scelta, sembra una forma molto estrema di riduzionismo. Secondo questa visione gli esseri umani sono come computer; tutto ciò che ci riguarda è completamente predisposto.

Ramesh Balsekar: Sì, precisamente.

Chris Parish: Ma questa mi sembra una visione senza cuore. Allora siamo soltanto delle macchine – tutto ci accade. Non c’è niente che possiamo agire, niente che possiamo cambiare.

Ramesh Balsekar: Sì, esattamente.

Chris Parish: Ma questo potrebbe facilmente condurre ad una profonda indifferenza verso la vita.

Ramesh Balsekar: Sì, e se accadesse, allora sarebbe ottimo!

Chris Parish: Davvero?

Ramesh Balsekar: Ma questo è il punto! Certo. Poi puoi dire che qualsiasi cosa accada viene accettata. Allora non c’è infelicità; non c’è miseria, non c’è colpa, orgoglio, odio, invidia. Che c’è di sbagliato in questo? E come già ti ho detto, le azioni accadono attraverso questo organismo corpo/mente, e se questo individuo scopre che un atto ha ferito qualcuno, nasce la compassione.

Chris Parish: Ma non appare un po’ strano prima ferire qualcuno e poi provare compassione? Non sarebbe meglio, in primo luogo, non ferirlo?

Ramesh Balsekar: Ma non è sotto il tuo controllo! Se lo fosse stato, in primo luogo non lo avresti mai fatto.

Chris Parish: Ma se uno crede di poter esercitare il controllo opponendosi alla credenza che afferma il contrario, potrebbe scegliere di non farlo.

Ramesh Balsekar: Allora perché l’essere umano non esercita il controlla su ogni azione che si manifesta? Lascia che ti faccia una domanda. È evidente che l’essere umano possegga un intelletto straordinario, un intelletto tale che un piccolo essere umano è stato capace di spedire un uomo sulla luna.

Chris Parish: Sì, è vero.

Ramesh Balsekar: E ha anche l’intelletto per comprendere che se fa certe cose, altre cose terribili accadranno. Ha l’intelletto per sapere che se produce armamenti nucleari o armi chimiche, poi saranno usate e succederanno cose terribili nel mondo. Ha l’intelletto – dunque se possiede il libero arbitrio, allora perché lo fa? Se possiede il libero arbitrio, perché ha ridotto il mondo in queste condizioni?

Chris Parish: Ammetto che la situazione che descrivi è ovviamente malsana. Ma suggerirei che dipenda dal fatto che le persone hanno una volontà debole. E credo che possano cambiare se lo vogliono – se ci tengono.

Ramesh Balsekar: Allora perché non l’hanno fatto?

Chris Parish: Alcune persone cambiano, ma, come ho detto, sfortunatamente sembra che i più abbiano una volontà debole. Il libero arbitrio da solo non ci assicura che agiremo con intelligenza. Come nell’esempio che hai appena portato, è chiaro che la gente spesso scelga di fare delle cose abbastanza dannose.

Ramesh Balsekar: Se dici che abbiamo il libero arbitrio di distruggere il mondo, significa, in altre parole, che stiamo distruggendo il mondo perché lo vogliamo – sapendo benissimo che il mondo sarà distrutto! Il libero arbitrio significa che vuoi farlo.

Chris Parish: Penso che il problema stia più nel fatto che le persone, di solito, non si assumano le conseguenze delle loro azioni. Spesso pensano solo a loro stesse, senza considerare dove possano condurre le loro azioni.

Ramesh Balsekar: Ma l’essere umano è straordinariamente intelligente. Perché non pensa nei modi che tu proponi? La mia risposta è – perché non è previsto che lo faccia.

Chris Parish: Quando dici “non è previsto”, che significa?

Ramesh Balsekar: Non è nella volontà di Dio che gli esseri umani pensino in questi termini. Non è nella volontà di Dio che gli esseri umani siano perfetti. La differenza tra il saggio e la persona comune è che il saggio accetta che sia come Dio vuole, ma – e questo è importante – che ciò non gli impedisca di fare quello che crede che debba essere fatto. E quello che ritiene di dover fare è basato sulla programmazione.

Chris Parish: Ma perché il saggio ”farebbe quello che crede debba essere fatto” se, come hai già spiegato, sa che, in primo luogo, non è lui a pensare?

Ramesh Balsekar: Vuoi dire, come accade l’azione? La risposta è che l’energia all’interno dell’organismo corpo/ mente compie l’azione secondo la programmazione.

Chris Parish: Quindi l’azione, come tu la descrivi, si manifesta solo attraverso la persona.

Ramesh Balsekar: Sì, fluisce. L’azione accade. Pertanto, questo è il punto di ciò che dico – tornando indietro, di nuovo, alle parole del Buddha: “Gli eventi accadono, le azioni sono compiute”.

Chris Parish: Da quello che conosco sul pensiero del Buddha, anch’egli sentiva fortemente che gli individui erano personalmente responsabili delle loro azioni. Non è questa la base del suo intero insegnamento sul karma, sulla causa ed effetto?

Ramesh Balsekar: Non il Buddha!

Euforico nichilismo 4.jpg

Chris Parish: È la mia impressione che Buddha insegnò un bel po’ la “retta azione”. Sembrava che gli stesse molto a cuore quello che la gente faceva, e poneva molta enfasi sulle persone che s’impegnano in modo appropriato per cambiare se stesse.

Ramesh Balsekar: Questa è un’interpretazione successiva del Buddismo. Le parole del Buddha sono molto chiare. Chi ha il controllo di ciò che accade? Dio ha il controllo! Questa è la base di tutte le religioni, come abbiamo visto. E perché ci sono delle guerre religiose se questa è la base di tutte le religioni? Sono coloro che interpretano, la causa di queste guerre! E, ancora, come potrebbe succedere se non fosse nella volontà di Dio?

Chris Parish: È chiaro che tu creda che tutto quello che facciamo, lo facciamo a causa della volontà di Dio. Mi sembra, però, che questo abbia un senso soltanto nel caso di un individuo che sia giunto alla fine del suo cammino spirituale – che abbia concluso con l’ego – perché le azioni di questa persona non sono al servizio di se stessa, e quindi, non ci sarebbe nessuna deformazione della volontà di Dio.

Ma fino a quel punto, se un individuo agisce male verso un altro, potrebbe essere solo una reazione compulsiva perché si sente egoista. Se quella fosse la causa, allora ciò che dici potrebbe effettivamente essere usato come una giustificazione per un comportamento spiacevole o aggressivo. Potrebbero semplicemente dire: “Tutto è volontà di Dio. Non ha importanza!”

Ramesh Balsekar: Lo so, ma quella è la verità. La tua vera domanda è: “Perché Dio ha creato il mondo in questo modo?”. Vedi, però, un essere umano è solo un oggetto creato che è parte della totalità della manifestazione che è stata generata dalla Sorgente. Così la mia risposta è: “Un oggetto creato non può in alcun modo conoscere il suo creatore!”. Lascia che ti porti una metafora. Immaginiamo che dipingi un quadro, e in quel quadro dipingi una figura. Poi quella figura vuole conoscere, numero uno, perché tu, quale pittore, hai dipinto quel particolare quadro, e, numero due, perché hai fatto la figura così brutta! Vedi, come può un oggetto creato arrivare mai, in alcun modo, a conoscere la volontà del suo creatore? Comunque il mio punto di vista è che questo non t’impedisce di fare ciò che pensi vada fatto! Accettando che niente accada senza la volontà di Dio non impedisce a nessuno di fare ciò che crede vada fatto. Puoi fare altrimenti?

Chris Parish: Ma basandomi su questa linea di ragionamento, come ho già detto, penserei che sarebbe piuttosto facile concludere: “D’accordo è tutto nella volontà di Dio; non ha importanza quello che accade”. E poi semplicemente lasciar perdere tutto quanto.

Ramesh Balsekar: Vuoi dire: “Allora perché non stare a letto tutto il giorno”?

Chris Parish: Appunto, perché continuare a fare degli sforzi?

Ramesh Balsekar: La risposta è che l’energia all’interno di questo organismo corpo/mente non permetterà a questo organismo corpo/mente di rimanere inattivo neanche per un momento. L’energia continuerà a produrre qualche azione, fisica o mentale, ogni attimo, secondo la programmazione dell’organismo corpo/mente e il destino dell’organismo corpo/mente, che è la volontà di Dio. Ma questo non t’impedisce, pensando ancora di essere un individuo, di fare ciò che credi vada fatto. Per cui quello che dico, di fatto, è: “Ciò che tu pensi che dovresti fare in ogni situazione, in quel particolare momento, è precisamente ciò che Dio vuole che tu pensi vada fatto! In definitiva l’accettare la volontà di Dio non t’impedisce di fare ciò che pensi vada fatto. Vedi? Infatti, non puoi fare a meno di farlo!

Chris Parish: Ho letto qualcosa su un opuscolo scritto da numerosi tuoi studenti che sembra rilevante a questo proposito. Dice: “Quello che ti piace può essere solo ciò che Dio vuole che ti piaccia. Niente può accadere senza la Sua volontà”. L’opuscolo aggiunge anche: “Non sentirti in colpa neanche se accade un adulterio. Tu, la Sorgente, sei sempre puro”.

Ramesh Balsekar: Questo l’ha detto Ramana Maharshi.

Chris Parish: La Sorgente può essere sempre pura, ma, di nuovo, mi sembra che questo potrebbe essere facilmente preso come il permesso di agire senza coscienza. Potresti dire: “Non ha importanza se commetto un adulterio, non ha importanza se faccio del male ai miei amici, perché quell’azione semplicemente accade”. Può essere facilmente preso come il permesso di agire secondo il desiderio, solo perché mi succede di avere quel desiderio.

Ramesh Balsekar: Ma non è proprio quello che accade?

Chris Parish: Accade, certamente, ma…

Ramesh Balsekar: Vuoi dire che succederebbe più di frequente?

Chris Parish: Potrebbe, con facilità, succedere più spesso. Potrei dire: “Ecco, non ha importanza quel che faccio adesso. Non devo far caso a frenarmi se sento un desiderio”. Ti è chiaro quel che intendo?

Ramesh Balsekar: La domanda comunemente formulata è: “Se in realtà io non faccio niente, che cosa mi impedisce di prendere una mitragliatrice e andare fuori ad uccidere venti persone?”. Questo è ciò che intendi chiedere, non è così?

Chris Parish: Beh, questo è un esempio estremo

Ramesh Balsekar: Sì, prendiamo un esempio estremo!

Chris Parish: Ma io credo sia più interessante prendere in considerazione l’esempio dell’adulterio, perché molte persone non farebbero davvero un gesto così estremo come mitragliare delle altre.

Ramesh Balsekar: Va bene. È la stessa cosa quando parliamo del commettere adulterio. Ho letto che gli psicologi e i biologi, basandosi sulle loro ricerche, sono giunti alla conclusione che se inganni tua moglie, non dovresti fartene una colpa. Sempre di più gli scienziati stanno arrivando alla conclusione che i mistici hanno sempre sostenuto – che qualsiasi azione accada sia rintracciabile nella programmazione.

Euforico nichilismo 5.gif

Chris Parish: Mi rendo conto che in alcuni casi questo potrebbe essere vero, ma diciamo, per esempio, che ho l’urgenza di commettere un adulterio. Potrei dire: “Deve essere nella volontà di Dio che accada, quindi lo farò”. Oppure, potrei trattenermi e non causare un bel po’ di sofferenza ai miei amici. Non sarebbe meglio se mi trattenessi?

Ramesh Balsekar: Allora, chi è che ti impedisce di trattenerti? Fai quello che ti pare! Che cosa t’impedisce di trattenerti? Trattieniti!

Chris Parish: Il mio punto di vista è che è meglio fare così!

Ramesh Balsekar: Anche il mio.

Chris Parish: Ma secondo la tua visione, potrei altrettanto facilmente dire: “Se sento un desiderio è in virtù del volere di Dio”. E poi non trattenermi.

Ramesh Balsekar: Affermi che sai che dovresti trattenerti – allora perché non ti trattieni? Se un organismo corpo/mente è programmato per non ingannare la moglie, qualsiasi cosa dicano gli altri non lo farà. Se sei programmato per non alzare una mano su nessuno, cominceresti ad uccidere le persone? Ora, se ci fosse una legge che ti permettesse di picchiare tua moglie senza correre alcun rischio, cominceresti a picchiare tua moglie? No, senza che l’organismo corpo/mente sia programmato per farlo, e se è programmato per farlo, succederebbe in ogni caso. Così come ho detto, accettare la volontà di Dio non t’impedirà di fare qualsiasi cosa pensi che vada fatta. Falla! Fai esattamente quello che pensi che debba essere fatto!

Chris Parish: Alla fine, tuttavia, come possiamo dire che sappiamo che si tratta del destino o della volontà di Dio? Tutto quello che sappiamo è che certi eventi si manifestano. In seguito, possiamo rivedere ciò che abbiamo fatto e ammettere: “È successo, semplicemente”. E se ci piace possiamo chiamarlo destino. Ma non è più accurato dire che in realtà non sappiamo se si tratti del destino oppure no? Dire che non lo sappiamo è diverso dal dire che: “Sappiamo che è il volere di Dio”. È diverso dal dire che sappiamo che tutto è già predestinato. Vedi, mi sembra che tu voglia affermare che sai che tutto è nella volontà di Dio.

Ramesh Balsekar: Non lo sappiamo, e questo è il dato di fatto; così se preferisci, puoi abbandonare il concetto di destino e dire che nessuno, in realtà sa niente su nulla. Bene. Non c’è bisogno del concetto di destino. Dopotutto, se accetti che qualsiasi cosa accada non sia nelle tue mani, poi chi rimane a preoccuparsi del destino?

Chris Parish: Dal momento che molti ricercatori spirituali vengono da te per ricevere consiglio sul cammino spirituale, vorrei chiederti, quale valore vedi, se ce n’è, nella pratica spirituale come strumento verso l’illuminazione?

Ramesh Balsekar: Se la sadhana [la pratica spirituale] è necessaria, un organismo corpo/mente è programmato per fare sadhana.

Chris Parish: In altre parole se deve accadere accade?

Ramesh Balsekar: Giusto. Le persone talvolta mi chiedono: “Se niente è nella mie mani (se non posso intervenire su niente), dovrei meditare oppure non dovrei?”. La mia risposta è molto semplice. Se ti piace meditare, medita; se non ti piace, non forzarti a farlo.

Chris Parish: La ricerca spirituale, allora, è un ostacolo all’illuminazione?

Ramesh Balsekar: Sì, ricercare è il più grande ostacolo a causa della presenza del ricercatore. Il ricercatore è l’ostacolo – non il ricercare; il ricercare accade da solo. Il ricercare accade perché l’organismo corpo/mente è programmato per ricercare. Così se il ricercare l’illuminazione accade, allora l’organismo corpo/mente è stato programmato per ricercare. L’ostacolo è il ricercatore che dice: “Voglio l’illuminazione”.

Chris Parish: Allora perché tanti saggi hanno parlato dell’importanza del ricercare? Ramana Maharshi ha detto che il ricercatore deve volere l’illuminazione così intensamente come un uomo che sta annegando vuole l’aria – con tale livello di concentrazione e sincerità.

Ramesh Balsekar: Certo. Quello che vuole dire, quindi, è che ci debba essere quel tipo d’intensità nel ricercare. Ma ha anche detto: “Se vuoi fare uno sforzo, devi fare uno sforzo; ma se è destino che lo sforzo non debba essere fatto, lo sforzo non sarà fatto”. Ramana ha detto questo. Così, vedi, se uno ricerca o non ricerca non è sotto il suo controllo. Se la ricerca di Dio o la ricerca del denaro accade, non è né un tuo merito né una tua colpa.

Chris Parish: In uno dei tuoi libri hai scritto che uno ha raggiunto una certa profondità di comprensione quando può dire: “Non m’importa se l’illuminazione accade o non accade a questo organismo corpo/mente”.

Ramesh Balsekar: È vero. Quando raggiunge quello stadio, allora significa che il ricercatore non c’è più. È estremamente vicino all’illuminazione perché se non c’è nessuno ad interessarsene, allora non c’è più nessun ricercatore.

Chris Parish: Ma il risultato non potrebbe essere soltanto un’indifferenza straordinariamente profonda – che non è l’illuminazione?

Ramesh Balsekar: Quello potrebbe condurre all’illuminazione!

Chris Parish: Ho ancora una domanda. Spesso affermi che dovremmo “solo accettare ciò che è”

Ramesh Balsekar: Sì, se ti è possibile farlo – e questo non è sotto il tuo controllo!

Euforico nichilismo 6.jpg

Epilogo

Mentre passai barcollando accanto al portiere e uscii nelle strade affollate di Bombay la mia mente vacillava. Come poteva essere, mi chiesi mentre mi facevo largo tra la folla, che un uomo intelligente ed educato come Ramesh Balsekar potesse veramente credere che ogni cosa è predestinata, che prima di essere nati, il nostro destino è già inciso in una sorta di granito etereo? Poteva essere veramente serio nella sua insistenza che la nostra intera vita, con il suo apparente flusso senza fine di scelte e decisioni, di precarie opportunità per sistemarne il corso per il meglio o per il peggio, sia veramente, dal primo respiro, un destino? Mentre traversavo il marciapiede alla ricerca di un caffè nel quale trovare ristoro dal caos, i difficili passaggi del nostro breve dialogo mi vorticavano in testa.

Si, “Così sia” è l’essenza della maggior parte delle religioni, pensavo tra me e me, ma per i più grandi mistici e saggi che avevano fatto queste affermazioni nella storia, l’arrendersi alla volontà di Dio ha significato molto di più del semplice accettare che non c’è nulla che si possa fare per influenzare le circostanze della vita. Certamente quello che tradizionalmente è stato riportato come “volontà di Dio” è quello che uno scopre quando ha completamente abbandonato l’ego, quando tutte le motivazioni egoistiche sono state bruciate, lasciandolo completamente arreso ad eseguire la volontà di Dio, qualsiasi essa sia!

Per un Gesù, o un Ramakrishna o un Ramana Maharshi dire che si era arreso alla volontà di Dio era un fatto. Ma dire che questo sia vero per tutti sembrava riflettere, al momento, una forma pericolosa e particolare di pazzia e di un tipo che poteva essere usato per giustificare le più estreme forme di comportamento. L’affermazione di Balsekar “Quello che pensi di dover fare in ogni situazione… è precisamente ciò che Dio vuole che tu pensi che debba essere fatto” significa che per lui il Buddha illuminato non sta facendo in misura maggiore la volontà di Dio, di un serial killer che sta attaccando la sua prossima vittima.

Ero venuto all’intervista aspettandomi qualche disaccordo, ma in qualche modo perfino i libri di Balsekar sui quali tutte queste idee sono ripetutamente e chiaramente espresse, non mi avevano preparato all’incontro con l’uomo stesso. Come gli erano venute queste idee? Mi chiedevo. E perché?

I miei pensieri giravano e rigiravano, richiamando ogni fatto della sua rabbrividente affermazione che perfino quando facciamo del male a qualcuno, non abbiamo bisogno di sentirci in colpa, perché non siamo responsabili delle nostre azioni – “che perfino Hitler fu un mero strumento attraverso cui gli orribili eventi che dovettero accadere accaddero” – alla sua dichiarazione, che andava oltre il buon senso, che non abbiamo il potere di controllare il nostro comportamento o perfino di influenzare quello degli altri. E tutto ciò nel contesto della sua descrizione fantascientifica di tutti noi come degli “organismi corpo/mente” che recitano la loro ”programmazione”.

Improvvisamente la benvenuta vista di un the shop apparve tra lo smog, e mentre mi facevo largo per entrare, provai sollievo nel trovare quel tipo di oasi quieta nella quale avevo sperato. Fu lì, a uno dei molti tavolini vuoti, mentre il primo sorso di tè al latte dal sapore dolce e vellutato scivolava tra le mie labbra, che, in un flash, mi colpì. Non stavo bevendo quel tè! Non ero seduto a quella tavola! Infatti, non ero quello che era entrato nel the-shop. E non ero quello che si era appena tormentato per un’ora discutendo con un uomo che in quel momento cominciava ad assomigliare ad un individuo sano. Infatti, non avevo fatto nulla. Era come se un peso che avevo portato per tutta la vita si fosse sollevato improvvisamente nel cielo grazie ad un pallone (ad aria calda), spedito lontano, per non ritornare più.

Tutti quegli anni avevo combattuto per diventare un essere umano migliore, più onesto e generoso – tutto quello sforzo che avevo fatto per rinunciare alle mie inclinazioni di superiorità, egoismo e aggressività – sono stati tutti una folle impresa, tutti stupidamente e senza necessità basati sull’idea importante che avevo un qualche controllo sul mio destino, e la meschina presunzione che quello che facevo importasse agli “altri”. Come avevo potuto essere così fuori strada?

Ma aspetta, non ero io neppure colui che fu condotto fuori strada! Come se si separassero le nuvole, all’improvviso ora vedo chiaramente, che quello che avevo pensato come “la mia vita” era stato solo un processo meccanico. La persona che pensavo di essere era solo una macchina. Ed il mondo nel quale pensavo di vivere non era, come avevo dedotto, un mondo di complessità umana, ma uno di meccanicistica semplicità, di ordine perfetto, un matematico svolgersi di programmi in movimento dall’inizio del tempo.

Come la clinica perfezione del piano scientifico di Dio iniziò ad aprirsi davanti a me, l’estatico trillo della libertà assoluta – dalla preoccupazione, dall’occuparsi, dall’obbligo, dalla colpa – iniziò a correre attraverso le mie vene come un torrente di fiumi senza argini. E con quello sopraggiunse una pace avvolgente, risuonante, un’assoluta mancanza di tensione, nel riconoscimento che non importa quale ambiguità apparente o quale incertezza potessi incontrare da lì in poi, non importa quali decisioni apparentemente difficili potessi incontrare, potevo sempre riposare con la certezza che qualsiasi scelta facessi era esattamente la scelta che Dio voleva che io facessi. Il misterioso senso di uno Sconosciuto che mi aveva trascinato per così tanto tempo era evaporato.

Gli altri nel caffè voltarono la testa mentre ridevo rumorosamente, una lunga risata di pancia, e riflettevo tra me e me che gioco fantastico sarebbe la vita se tutti capissero come va veramente, se ognuno potesse avere almeno un bagliore di come saremmo liberi, se vivessimo tutti sul Pianeta Advaita.

Acquista i libri con Internetbookshop

Nisargadatta Maharaj. Io sono quello. Astrolabio. 2001. ISBN: 8834013638

Ramesh Balsekar. La coscienza parla. Astrolabio. 1996. ISBN: 8834012038

Copyright originale “What is Enlightenment” magazine www.wie.org
Traduzione di Nityama Elsa Masetti. Revisione di Toshan Ivo Quartiroli.
Copyright per l’edizione italiana Innernet

60 Responses to “Euforico nichilismo, intervista con Ramesh Balsekar”

  1. paritoshluca ha detto:

    dice Paolo
    …….(credo che sia molto utile prescindere il più possibile dalle connotazioni storiche e culturali di cui una parola può risultare corredata, essendo queste connotazioni legate a contingenze momentanee ed estranee al significato più immediato ed essenziale, al quale a mio avviso conviene limitarsi; altrimenti si dà via libera al gioco infinito e inconcludente delle associazioni mentali soggettive e diventa impossibile arrivare a una forma di comunicazione sufficentemente oggettiva, ossia a un effettivo scambio di idee e informazioni.)…………
    Parole sante..quoto e straquoto..!
    Ma a questo piunto..se evitiamo le connotazioni storiche delle parole..perchè non evitare anche le connotazioni personali..?
    Senza connotazioni personali finalmente le parole potrebbero ripulirsi dei significati che gli abbiamo dato e risultare limpide e chiare alla comprensione..che..aimè..è ancora una volta personale..
    Credo che alla fine si arrivi alla saggia comprensione che le parole ..quando non identifichino oggetti materiali ben visibili..siano scatole etichettate all’esterno e misteriose all’interno..e solo per gioco facciamo finta che le due cose corrispondano..mentre invece sono ben lontane ..
    Capito ciò..possiamo continuare a giocare e non dare troppa importanza a ciò che scambiamo…e se vediamo scatole ripiene di niente e non di Vuoto..invece di por mano alla pistola come Goering ..potremo sorridere come ultima speranza di tornare seri..

  2. eckhart ha detto:

    dice Paritosh:
    Credo che alla fine si arrivi alla saggia comprensione che le parole ..quando non identifichino oggetti materiali ben visibili..siano scatole etichettate all’esterno e misteriose all’interno..e solo per gioco facciamo finta che le due cose corrispondano..mentre invece sono ben lontane ..

    °°°

    Beh..mi sembra una vecchia storia mi pare..
    quelle delle dita (le parole) che indicano la luna (il reale) ma non sono mai la stessa.
    :-)

  3. Giusy Figliolini ha detto:

    dice Paritosh:
    “Credo che alla fine si arrivi alla saggia comprensione che le parole ..quando non identifichino oggetti materiali ben visibili..siano scatole etichettate all’esterno e misteriose all’interno..e solo per gioco facciamo finta che le due cose corrispondano..mentre invece sono ben lontane ..”

    L’ovvio è difficile da osservare proprio perchè sotto i nostri occhi da sempre: personalmente solo da poco sto finalmente comprendendo che ciascuno vede ciò che può/sà vedere, e non solo nel mondo della spiritualità (esiste poi una distinzione, un mondo a parte per la spiritualità mi domando?) ma anche in quello che comunemente definiamo materiale… comincio a constatare sempre più chiaramente che anche “una mela” sia vissuta come qualcosa di molto soggettivo in termini di osservazione: ciascuno vede la sua idea della mela, percepisce il suo senso del colore e del sapore… dispersivo pensare di condividere l’esperienza… in ogni campo… ciascuno, come nella torre di Babele, parla e comprende una sua lingua apparentemente simile a quella dell’altro ma con sostanziali differenze non osservabili proprio perchè ciascuno parte dalla propria oggettiva pensando che sia uguale all’altro, salvo poi entrare in distonia discorsiva quando le due osservazioni non compaciano come credeva.

  4. eckhart ha detto:

    Il mondo condivisibile (almeno nelle intenzioni) è quello percettivo inteso come “senso comune”;
    ma nella soggettività si sa.. ad ognuno il “suo mondo”..
    Al di là di “questo mondo” non ci si illude di condividere più nulla,ma sì è comunque la stessa “cosa”:
    quindi vi potrà essere soltanto un riconoscimento di “identità”, che si voglia condividere o meno.
    :-)

  5. atisha ha detto:

    giusy: ciascuno vede la sua idea della mela, percepisce il suo senso del colore e del sapore…

    Ogni uomo si trova ad un differente stadio evolutivo, ovvero si trova ad una determinata distanza dall’Uno..
    per cui ognuno di noi si sta comportando e sta vedendo in modo perfetto relativamente al suo stato di coscienza..

    ciao :)

  6. atisha ha detto:

    eckhart: Al di là di “questo mondo” non ci si illude di condividere più nulla,ma sì è comunque la stessa “cosa”:

    ..quanti sono realmente al di là di “questo mondo”?

  7. Sak ha detto:

    Condivido ciò che dice Eckhart con chiarezza e semplicità.
    Infatti, la convergenza unitaria, reale, è possibile solo, aldilà del proprio mondo personale.
    Nel mondo delle soggettività, s’incontrano quasi solamente interessi e affinità accidentali di ogni genere.
    Il riconoscimento d’identità superiore non accade mai nel regno di maya, per quanta buona volontà i soggetti possano impiegnarsi per averlo.
    E’ una comprensione che avviene ad un diverso livello di coscienza,
    su un piano impersonale. Su questo piano è inevitabile il riconoscimento d’identità trascendente.

  8. paritoshluca ha detto:

    Il punto era sul valore simbolico delle parole..non sulla Luna ma sul dito che la indica..
    Premesso che non possono esistere due menti uguali come due corpi uguali..e che il pensiero divide mentre la Coscienza unisce perchè appartenente ad una condizione non individuale..ne risulta che il linguaggio..e intendo quello dei Maestri ..è solo un artificio mentale relativo ai tempi ..ai luoghi e alle specificità individuali e culturali per veicolare quel senso metamentale che poi si svela nella meditazione senza oggetto o Coscienza di Sé..identificata con l’Essere e Oltre..
    Insomma..la “percezione di esistere” è l’unica cosa condivisibile con chiunque la voglia condividere perchè esattamente uguale in tutti..anche se in diverso grado…quel diverso grado che nelle parole comuni evidenzia il guna di riferimento..
    Insomma..come i Maestri usano artifici linguistici per eccitare o calmare la mente rendendola pronta a sciogliersi da certi nodi..così chiunque usa il linguaggio per veicolare ciò che c’è oltre le parole..e cosa ci sia qualifica il senso del parlare..per cui lo stesso discorso significa cose diverse a seconda di chi lo dice o ascolta facendoci così comprendere dove volgere l’attenzione se vogliamo stabilire certezze inattaccabili dalle opinioni..

  9. eckhart ha detto:

    Paritosh:come i Maestri usano artifici linguistici per eccitare o calmare la mente rendendola pronta a sciogliersi da certi nodi..così chiunque usa il linguaggio per veicolare ciò che c’è oltre le parole..e cosa ci sia qualifica il senso del parlare..per cui lo stesso discorso significa cose diverse a seconda di chi lo dice o ascolta facendoci così comprendere dove volgere l’attenzione se vogliamo stabilire certezze inattaccabili dalle opinioni..
    ***
    Concordo.
    :-)

  10. Sak ha detto:

    Paritosh:

    … per cui lo stesso discorso significa cose diverse a seconda di chi lo dice o ascolta facendoci così comprendere dove volgere l’attenzione se vogliamo stabilire certezze inattaccabili dalle opinioni..

    °°°
    Anch’io su ciò concordo pienamente.

  11. Paolo ha detto:

    Eckart scrive:
    > Mah..scusa paolo,ma nel mio primo intervento non ironizzavo per
    > niente,e ho commentato solo quella tua frase perché mi
    > pareva,racchiudesse un po’ tutto il succo del tuo argomentare,
    > o meglio,ne era la chiave di volta,chiaramente secondo me.
    ————-
    Niente di male anche se ci fosse stata ironia. Quello di cui ho sentito la mancanza era ed è, una spiegazione delle motivazioni del tuo commento e di cosa ti risultasse scorretto o fuorviante nel pensiero che ho espresso.
    Comunque, mi rallegro di aver frainteso le tue intenzioni, e rinnovo la domanda (riporto integralmente):
    ———————————–
    Eckart:
    Oh beh sì..bei compromessi per compiacere l’ego..
    Paolo:
    Non capisco cosa vuoi dire esattamente. Perchè compromessi?
    Compromessi tra chi o cosa? E cosa ti fa pensare che quello che
    suggerisco serva a “compiacere l’ego”?
    ————————————-
    Aggiungo ora:
    Cosa significa per te “compiacere l’ego”? Pensi che sia qualcosa da evitare?
    Perchè ritieni che la frase che riportavi esprima il succo del mio discorso?

    Preciso che secondo me il vero succo del discorso sta nel notare come la visione del “destino” o “volontà di Dio” sia solo una polarità, una estremità di una gamma di interpretazioni che solo nel loro insieme e nella loro contradditorietà (per semplicità possiamo prendere solo gli estremi: volontà di Dio o del destino vs volontà individuale onnipotente) riescono a formare il dito che indica la luna.
    E che spostarsi verso uno o l’altro dei poli possa però avere delle motivazioni pratiche contingenti, per orientare quel magma che chiamiamo “personalità” (e che nel mio modo di vedere è qualcosa di diverso dall'”ego”) in un senso o in un altro.

  12. Paolo ha detto:

    Eckart scrive:
    > Ci sarebbe da chiedersi ,chi è “vede” questo ragionamento
    > e lo fa “filare” (e che sarebbe in altri termini il trascenderlo.)
    > E se lo si trascende ci si pone necessariamente oltre la personalità
    > che, pur se non scissa e attiva ad un livello più periferico ma
    > alquanto “dimagrita”,non è più il centro delle “scelte”,
    > che vengono colte e osservate per il limite stesso che rappresentano.
    > Ma a chi,a questo punto ci si chiede,se non a quella personalità
    > possono servire/interessare i concetti (o la loro effettualità pratica)
    > di determinismo e libero arbitrio?

    Appunto, alla personalità, ma la personalità secondo me è importante, come tutte le componenti dell’essere umano. Nulla, secondo me, va rifiutato (anche perché, a mio parere, l’unico mezzo che abbiamo per “eliminare” o “dissolvere” parti del nostro essere, personalità ed ego compresi, è la menzogna); tutto andrebbe curato, nei limiti delle proprie possibilità. Senza personalità non c’è modo di comunicare con gli altri esseri umani, senza ego risulta difficile esprimere la molteplicità delle manifestazioni e localizzazioni della coscienza.
    Per me si tratta non di eliminare questo o quello ma di rimettere ordine e di ristabilire i ruoli appropriati, e di non fissarsi su un unico punto di vista ma sviluppare la capacità di vedere tutti gli aspetti di ciò che percepiamo, nella sua semplicità e nella sua complessità.

    Ma la domanda che fai:
    “chi ‘vede’ questo ragionamento e lo fa ‘filare’?”
    mi riconduce a una domanda che ponevo in un altro intervento: “chi, o cosa, decide le nostre azioni?”. Questa, secondo me, è la domanda fondamentale, in relazione al nostro argomento.
    A me pare che rispondere “Dio” o “il Destino” oppure “il caso”, come fanno i riduzionisti, siano solo diversi modi di eludere la domanda. Infatti queste risposte non fanno altro che appiccicare un’etichetta con un nome scritto sopra a qualcosa che rimane comunque totalmente opaco, indefinito e inspiegato, con o senza etichetta.
    Mentre rispondere che siamo “noi” a decidere, non fa che rimandare alla domanda “cosa intendiamo per ‘noi’?”
    Tu cosa risponderesti?

  13. Paolo ha detto:

    Paritoshluca scrive:
    > Ma a questo piunto..se evitiamo le connotazioni storiche delle
    > parole..perchè non evitare anche le connotazioni personali..?
    > Senza connotazioni personali finalmente le parole potrebbero
    > ripulirsi dei significati che gli abbiamo dato e risultare limpide
    > e chiare alla comprensione..che..aimè..è ancora una volta personale..

    Mi sembra difficile che si possano eliminare le connotazioni personali dal significato delle parole, e neppure mi sembra auspicabile, dal momento che costituiscono il nostro contributo alla formazione ed evoluzione del significato, che globalmente è il risultato combinato di ogni singolo contributo individuale. Non dimentichiamo che le parole sono simboli, e per quanto li possiamo ripulire, possono esprimere solo aspetti parziali della realtà, per mezzo di una operazione di astrazione.
    Tuttavia, a seconda di come definiamo e usiamo le parole, possiamo rendere la comunicazione piuttosto precisa (come nei linguaggi formali della matematica o della logica formale) oppure estremamente ambigua (come nell’uso delle parole che fanno alcuni “malati di mente”, oppure i politici).
    Il suggerimento che davo è molto pratico (e qui rispondo anche a Watts): non lasciamo la formazione del senso in mano ai mezzi di comunicazione di massa, ai giornalisti, alla pubblicità, ai politici. Non assumiamo un atteggiamento passivo, ma partecipiamo a questo processo di formazione e trasformazione dei significati usando le parole per come servono a noi, o per come le interpretiamo noi, e non seguendo necessariamente mode o tendenze legate al presente periodo storico. E, aggiungo, prestiamo attenzione alla storia di questi significati, all’etimologia, che a volte ci rivela qualcosa di molto profondo sul modo in cui la coscienza collettiva, sociale, si è formata ed evoluta, e sulle categorie essenziali che formano la trama di questa coscienza collettiva.

  14. eckhart ha detto:

    dice Paolo:quel magma che chiamiamo “personalità” (e che nel mio modo di vedere è qualcosa di diverso dall’”ego”) in un senso o in un altro.

    Forse conviene prima partire da qui..
    Qual è la differenza essenziale per te?
    Vedo la personalità (o forse meglio le personalità) come maschere che assume l’ego nel rappresentarsi.
    Non so per te..
    Per il resto ,ovvero per quanto riguarda l’ego,mi piace la sintetica versione che ne da Almaas in un’intervista proprio pubblicata su questo sito e che fa:
    “Ciò che muore è la nostra ignoranza, non un’entità chiamata ego.”
    Dunque chi redime,condanna ,giudica,cancella ,uccide l’ego?
    Se se ne impone la necessità , può solo fare harakiri mi pare..
    è dunque un non problema,del quale ,come aggiungi ce ne serviamo per (soprav)vivere.
    Da questa riflessione ,forse adesso un po’ più chiara,nascono e possono comprendersi meglio le altre già date,forse.
    Ciao
    :-)

  15. eckhart ha detto:

    Paolo:A me pare che rispondere “Dio” o “il Destino” oppure “il caso”, come fanno i riduzionisti, siano solo diversi modi di eludere la domanda. Infatti queste risposte non fanno altro che appiccicare un’etichetta con un nome scritto sopra a qualcosa che rimane comunque totalmente opaco, indefinito e inspiegato, con o senza etichetta.
    Mentre rispondere che siamo “noi” a decidere, non fa che rimandare alla domanda “cosa intendiamo per ”˜noi’?”
    Tu cosa risponderesti?

    Io direi che vi è il mondo delle necessità ove compare l’ego e il suo agire,e se vediamo solo questo,che come indicato prima è un’illusoria identificazione, non si può che rispondere /oscillare tra libero arbitrio e Destino.
    Ma se in quel “noi” riusciamo a vedere anche i fili che sono quell’ego stesso,forse accettiamo quella marionetta senza più esserlo nell’ identificarsene ,ma utilizzarla, e veder-Ci in un campo più vasto che potremmo indicare come consapevolezza di sé,o Sé.

  16. paritoshluca ha detto:

    dice Paolo..
    (Tuttavia, a seconda di come definiamo e usiamo le parole, possiamo rendere la comunicazione piuttosto precisa (come nei linguaggi formali della matematica o della logica formale) oppure estremamente ambigua (come nell’uso delle parole che fanno alcuni “malati di mente”, oppure i politici) )

    Per tutti gli sforzi che possiamo fare alla fine il significato di una parola dipende dalla comprensione di chi l’ascolta..
    Allora la precisione di linguaggio sarà relativa all’omogeneità ..spirituale..? mentale..?..iniziatica..? culturale..? castale..? tipologica..?
    Cioè..la vera comunicazione in realtà metamentali non appartiene al linguaggio..ma all’uso sapiente che se ne fa..
    qualità questa più vicina all’arte che alla scienza..all’intuizione che alle regole..
    E riguardo al suggerimento di non lasciare in mano ai politici o alla TV la gestione del significato..mi sembra un po’ difficile da realizzare..anche perchè non è che abbiamo tutto questo potere..
    Un linguaggio rigoroso è sempre un prodotto di scuola come una cultura di scuola è necessario per comprenderlo..e fuori dalla scuola è utile imparare il linguaggio dei “selvaggi”..se non vogliamo finire in pentola..

  17. doghen ha detto:

    Io sono Dio, dunque è impossibile che qualcuno mi controlli.

  18. Claudio Vestrni ha detto:

    A seguito dei vostri commenti, direi che quest’ultimo di Doghen è particolarmente azzeccato. Proprio perché non esisto come individuo, esisto come Dio.

  19. Claudio Vestrni ha detto:

    Credo di essere pienamente in linea con i contenuti dell’intervista a Balsekar. In effetti la mia comprensione dell’Advaita coincide pienamente con quanto viene esposto di sopra.
    Vorrei con semplicità riassumere le linee fondamentali del pensiero di Ramesh per chiarire le idee a chi, neofita o semplicemente curioso, avesse bisogno di ulteriori lumi.
    C’è un’unica sostanza senza inizio e senza fine, lo Spirito Eterno, pura Coscienza, diciamo per semplicità Dio. Questo Spirito, dinamico ed intelligente, eternamente “è”, c’è solo Lui, ma proprio per questa sua caratteristica di unicità assoluta, non si auto percepisce, non può fare alcuna esperienza, a parte essere. Come un grosso sole che brilla di se stesso senza esserne conscio, non ha uno spazio da illuminare, perché c’e solo lui. Per uscire da questa grossa limitazione Dio, lo Spirito, mette in atto la sua forza creativa e si diversifica in mille forme viventi, dotate di sensi tra le quali l’uomo. Tutto ciò che definiamo materia, carne e sangue, in realtà e Spirito che si da una forma, senza per questo allontanarsi da se stesso.
    Dio usa come veicolo le forme viventi per potersi percepire, conoscere e fare esperienza di se, proprio tramite i sensi di queste: vista, tatto, udito, olfatto, gusto. Il mondo fenomenico, come lo conosciamo, non ha di per se alcun senso se non quello di soddisfare questo desiderio di sperimentare. L’uomo mentre vive in un ambiente diversificato, vede, sente, persone oggetti e situazioni, il cane a sua volta fa lo stesso, così vale per l’aquila ecc. Tutti gli esseri dotati di sensi (senzienti) sono coinvolti in questo gioco, ma il fruitore delle loro esperienze è solo Dio. Il paradosso è che in questa interazione continua, nessuno di questi esseri veramente percepisce o esperisce individualmente alcunché, perché nessuno di loro è dotato della minima autonomia, l’unico agente è Dio. Quindi la nostra esistenza individuale è un illusione. L’intera creazione non può essere altro che un gioco, un sogno. Il sogno di Dio, fatto per compiacere se stesso.
    Ma se siamo solo strumenti, robot, quale è il motivo della sofferenza e del disagio che sperimentiamo, o crediamo di sperimentare, nella vita? Secondo l’Advaita ogni sofferenza e frutto dell’ignoranza su come stanno le cose. Ci riteniamo i fruitori di quella stessa sofferenza mentre viene sperimentata tramite noi, che siamo fruiti. Ci riteniamo gli attori e invece siamo agiti, ci riteniamo separati ed invece siamo uno.
    L’uomo, che tra gli esseri senzienti è quello che ha le potenzialità per uscire da questo stato di ignoranza e di cecità, può essere informato, risvegliato su quanto esposto sopra. La liberazione che ne consegue, sia ben chiaro, non dipende da lui ma dalla volontà divina. Infatti egli non ha nessuna autonomia neanche nell’auto emancipazione. L’Advaita è il tramite, capita di ascoltarla o di conoscerla. Il solo ascoltare questo messaggio, se è volontà di Dio, ci libera dalla sofferenza. La vera illuminazione dell’individuo è esser messo al corrente e capire che non esiste alcun individuo. La vera liberazione dalla sofferenza, è capire che non ci appartiene. Non è mai esistito nessuno al di fuori di Dio, lo Spirito Supremo, l’unica sostanza. Ma l’uomo che ignora tutto questo, soffre ancora di più, perche si sforza di mettere fine ai disagi e agli imprevisti della propria vita, partendo dal concetto che egli è l’attore principale e che il suo destino dipende in toto dalle proprie azioni. Questo aggrava la situazione perché genera in una spirale di azioni senza speranza, atte a fallire, perché di base non esiste alcun individuo.
    Un caro saluto a tutti.

  20. […] Immagina, se vuoi, che un mattino ti svegli in un altro mondo. Appena ti stropicci gli occhi per abituarti alla luce splendente del sole, vedi che sotto molti aspetti non è un mondo molto diverso da questo. Sei circondato da creature che, ai tuoi occhi, appaiono identiche agli esseri umani con cui di solito condividi il mondo.Li osservi mentre si muovono nelle loro attività giornaliere, vivono le loro vite, s’intrattengono a conversare con gli altri, prendendo le miriadi di scelte e decisioni inerenti alle richieste della vita. Il quadro sembra rassicurante, familiare e normale.Ma presto scopri che in questo mondo le cose non sono necessariamente come appaiono. Perché questi non sono esseri umani. No, questi sono “organismi corpo/mente” che, a differenza delle loro controparti umane, non hanno la facoltà di scegliere tra più possibilità o di prendere decisioni.  ( segue) […]

Leave a Reply