La natura della consapevolezza, intervista a Oliver Sacks
Oliver Sacks è professore di neurologia clinica alla facoltà di Medicina Albert Einstein, ed è famoso per le sue intuizioni straordinarie sul mondo interiore dei pazienti affetti da malattie neurologiche, esposte nei suoi libri e nel film Risvegli. Sono andato a trovarlo per ascoltare le sue idee sulla consapevolezza e la coscienza.
Sono andato a trovare il mio collega Oliver Sacks a casa sua, a City Island nel Bronx, per ascoltare le sue idee sulla consapevolezza e la coscienza. Il dr. Sacks è professore di neurologia clinica alla facoltà di Medicina Albert Einstein, ed è famoso per le sue intuizioni straordinarie sul mondo interiore dei pazienti affetti da malattie neurologiche, esposte nei suoi libri: L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Emicrania, Risvegli, Zio Tungsteno, Un antropologo su Marte, Vedere voci, Su una gamba sola, L’isola dei senza colore e l’isola delle Cicadine.
Di Risvegli è stato girato un film, con Robin Williams nelle vesti del dr. Sacks, ma i suoi libri hanno ispirato anche molte recite teatrali, tra cui A Kind of Alaska di Harold Pinter e The Man Who di Peter Brook, oltre a un’opera lirica.
La piccola casa del dr. Sacks è piena di libri; una volta egli l’ha descritta come “una macchina per lavorare”. Le sue opere attingono alla dottrina di molti campi; in particolare, egli è attratto dall’antica letteratura neurologica, piena di descrizioni dettagliate e umanistiche di pazienti affetti da malattie del cervello. Tra i molti interessi del dr. Sacks vi sono la botanica e il nuoto: egli trova ispirazione e rilassamento in frequenti visite ai Giardini botanici del Bronx e nel nuoto intorno a City Island.
Christian Wertenbaker: Come definiresti la consapevolezza?
Oliver Sacks: Oh Dio! Non c’è tempo per riscaldarsi! Ciò attraverso cui una persona osserva le proprie emozioni e processi mentali ed elabora il senso dell’io… Un io storico, sociale e personale. Come Gerald Edelman (nota 1), vorrei distinguere tra una consapevolezza primaria e una di ordine più elevato: la prima è soprattutto percettiva, mentre la seconda è una nozione concettuale del proprio io.
Christian Wertenbaker: Ritieni che gli animali possiedono la consapevolezza percettiva, o nemmeno quella?
Oliver Sacks: Penso che gli animali possono creare scene, costruire scene che sono in grado di percepire e dotare di senso e coerenza; non stanno meramente reagendo a semplici stimoli. Considero la creazione di scene la caratteristica fondamentale di una consapevolezza primaria.
Christian Wertenbaker: E che cosa distingue l’altra consapevolezza?
Oliver Sacks: In parte, la consapevolezza della morte, che nessun animale possiede. In parte, la capacità di ricordare o vedere la propria vita come un tutto; la capacità di immaginare altre prospettive o altri stati mentali; di pensare ipoteticamente o teoricamente, di affrancarsi dal qui e ora.
Christian Wertenbaker: Alcune persone distinguerebbero tra la consapevolezza del mondo e la consapevolezza di essere consapevoli. Pensi che la consapevolezza del proprio io sia una caratteristica che solo noi umani possediamo, e che sia una componente necessaria della nostra consapevolezza?
Oliver Sacks: L’autoconsapevolezza è una componente determinante. Gli animali non arrossiscono. Forse non sono molto consapevoli di essere osservati… Ma, detto ciò, credo che gli animali possono avere anche questo: la nozione di essere nel campo visuale di un’altra creatura è molto primitiva.
Tuttavia, non sono sicuro di essere in grado di parlare della consapevolezza. Recentemente sono usciti tantissimi libri sull’argomento, ce n’è stata un’alluvione. Ovviamente, questo è il punto in cui la neurobiologia, la psicologia e la filosofia convergono.
Christian Wertenbaker: E forse anche la fisica. Per un certo periodo, è sembrato che i fisici fossero più interessati alla consapevolezza dei neuroscienziati.
Oliver Sacks: È plausibile. Ma non mi vanno molto a genio le nozioni di consapevolezza quantica ecc., nella misura in cui scavalcano la biologia e in qualche modo la ritengono irrilevante. In realtà, la consapevolezza si è sviluppata nei sistemi nervosi di un tipo e una complessità particolari, grazie all’evoluzione e alle esperienze individuali, e mi sembra che tutto ciò non va scavalcato. Non sto affermando che per principio la consapevolezza non può esistere, eventualmente, in qualcosa fatto di silicio piuttosto che di unità di carbonio, come dicono a Star Trek (risata). Ma sono scettico delle teorie della consapevolezza che non si basano su una profonda conoscenza dell’anatomia, della fisiologia e del comportamento del sistema nervoso, oltre che della sua embriologia e della sua evoluzione.
Christian Wertenbaker: Cosa pensi delle idee di Roger Penrose, in particolare della sua tesi principale secondo cui la consapevolezza è fondamentalmente non-algoritmica, e che quindi una macchina non può mai essere consapevole?
Oliver Sacks: Egli è chiaramente un genio, nel suo campo. Ma passare dalla natura non-algoritmica del pensiero (e sono d’accordo che processi mentali “più elevati” non sono algoritmici) a una teoria meccanico-quantistica della consapevolezza, mi sembra un salto gratuito e non necessario, oltre che improduttivo. Penso che le teorie della consapevolezza possono svilupparsi naturalmente e senza discontinuità dalle esistenti leggi fisiche e fisiologiche. Quanto alla questione se una macchina può essere consapevole, dipende dalla nostra definizione di macchina. Sono sempre esistite metafore meccaniche della percezione o della consapevolezza, dal “mulino” di Leibniz nel diciassettesimo secolo, alla comunicazione telefonica nel ventesimo secolo, fino al computer di adesso. Ma penso che se vogliamo definire macchina il cervello, dobbiamo immaginare una “macchina” di tipo molto più avanzato di tutto ciò che siamo in grado di produrre, oltre che basata su principi diversi. Credo che l’evoluzione, l’emersione, l’apprendimento e l’adattamento si costruiscono nel cervello, e non sono sicuro che esistono degli equivalenti meccanici.
Nel 1948, quando ero un adolescente, vidi la tartaruga di Grey Walter, che era un robot programmato per rispondere in modo particolare a determinati stimoli. Non riesco a immaginare che una cosa del genere possa essere consapevole. D’altra parte, ritengo che alcuni dei manufatti di Edelman rivelano un certo apprendimento e categorizzazione percettivi, e potrebbero, in linea di principio, diventare consapevoli.
Mi interessano i miti del golem, che in un certo senso vertono sulla questione se una macchina può avere la consapevolezza o la coscienza, e se sì, di che tipo. Il primo golem fu creato da un rabbino praghese nel dodicesimo secolo, ed era progettato per essere un famulo, o servitore domestico. Fatto interessante, i golem erano muti; non avevano li linguaggio. Poi, alcuni di loro persero la testa e uccisero i padroni. Gershom Scholem ha scritto un saggio interessante, chiamato The Two Golems, in cui paragona il golem medievale a un computer (stava parlando alla presentazione di un nuovo, grande computer a Rehovot).
Nemmeno i più potenti supercomputer mi hanno mai dato la sensazione di essere consapevoli, mentre il contrario avviene con un cane. Di certo, in alcuni cervelli e meccanismi mentali di livello inferiore esistono forme di calcolo (o di algoritmi, se è per questo). La percezione della profondità, per esempio, può essere spiegabile con un tipo relativamente semplice di algoritmo ripetuto. E la “costruzione” del colore, nella corteccia prestriata, sebbene in forma semplificata, è stata calcolata. Ma il modo in cui una persona crea scene e significati, assegnando valori alle cose, è essenzialmente esperienziale e individuale, a differenza di tutto ciò che è svolto dalle macchine. La conclusione è questa, suppongo: ammetto il calcolo e la meccanica a molti livelli, ma non a quelli più elevati.
Christian Wertenbaker: Tutto ciò ruota fondamentalmente intorno alla domanda: cosa fa di noi degli esseri consapevoli, al contrario di tutte le altre cose che sembrano non esserlo (certamente non nello stesso modo nostro), anche se sono in grado di fare molto di ciò che facciamo noi? Qual è la caratteristica principale che ci distingue?
Oliver Sacks: Un organismo, e soprattutto un organismo umano, deve creare un mondo, oltretutto reagendo a specifici stimoli. Un cane vive nel mondo di un cane, un pipistrello in quello di un pipistrello. Le esperienze conducono a un mondo, e allo stesso tempo sono definite da esso. Henry James una volta disse che le avventure accadono solo a coloro che sono in grado di raccontarle. Quindi, per una mente creatrice di avventure, queste ultime accadono; il mondo, in realtà, consiste in larga misura di avventure. Creiamo uno spazio interiore in cui possiamo muoverci in modo relativamente facile con l’immaginazione e il sentimento. Esiste una notevole libertà di azione… Anche se, quando si è depressi, si perde tale libera volontà e si ha la sensazione che nessuno la possieda. Esiste un bel passaggio, nelle Meditazioni di Cartesio, in cui egli guarda fuori dalla finestra e, vedendo le persone sotto di lui, afferma: “Sembra che esse abbiano volontà e libertà di scelta, ma come posso sapere se non sono ingegnosi burattini o parti del meccanismo di un orologio?”. La volontà è essenziale per definire un organismo e la consapevolezza.
Christian Wertenbaker: In precedenza hai accennato al fatto che la capacità di immaginare la posizione – il mondo – degli altri, è parte integrante della consapevolezza di cui siamo capaci. Adesso stai dicendo che quando siamo depressi, perdiamo la percezione sia della nostra libertà che di quella degli altri. È un fatto interessante.
Oliver Sacks: Ricordo una collega che una volta mi disse che, quando era depressa, pensava che gli altri si muovessero come robot, e che era molto difficile immaginare cosa li motivasse. In modo simile, quando sono depresso, la poesia non riesce a commuovermi; non sono in grado di entrare in essa ed essa non è in grado di entrare in me. Vedo una sorta di superficie tessellata di parole della quale posso forse apprezzare l’abilità prosodica, ma che mi lascia freddo. Questo può succedere anche con le persone affette da autismo. La mia amica Temple Grandin, una donna autistica, è molto musicale, anche se in realtà non ha alcun senso della musica. Ma possiede un’elevata intelligenza musicale. Quando è andata a un concerto di Bach – le Invenzioni a due e tre voci – il suo principale commento è stato che avrebbe desiderato ci fossero state anche invenzioni a quattro e cinque voci! La musica non l’ha toccata minimamente, anche se l’ha giudicata molto ingegnosa.
Volontà. Libertà di azione. Movimento. Penso che nello stile motorio di ognuno vi siano emotività e individualità. La festinazione parkinsoniana sembra meccanica e robotica, priva di stile e musicalità. È come se “esso” camminasse, mentre il soggetto del camminare dovrebbe essere “io”. Una volta ho avuto come paziente un’ex insegnante di musica, descritta in Risvegli, che diceva di essere stata “demusicalizzata” dal morbo di Parkinson, ma che poteva essere “rimusicalizzata”. Penso che stiamo parlando, in parte, di “io” e di “esso”.
Christian Wertenbaker: “Rimusicalizzata” come?
Oliver Sacks: In risposta alla musica stessa. Con la musica lei era in grado di danzare o camminare con grazia e oscillando le braccia, oltre che in modo autonomo e con un senso dell’io. Invece di essere un oggetto agitato dalla festinazione, camminava naturalmente. Forse è necessario usare un temine come identità. La festinazione parkinsoniana non ha identità; è anonima, senza stile.
Christian Wertenbaker: Ma la persona continua ad agire?
Oliver Sacks: Sì, ma i gesti sono un’importante espressione della propria identità. Questa è una delle ragioni per cui ho provato una sensazione strana e imbarazzante quando, per girare Risvegli, Robin Williams si è appropriato di molti dei miei gesti (risata).
Christian Wertenbaker: Questo fatto di entrare nei panni di un altro, in relazione alla consapevolezza, ha molto a che fare con la coscienza. In alcune lingue, per esempio nel francese, i due concetti sono resi dalla stessa parola.
Oliver Sacks: Sì… Un esempio interessante è Phineas Gage, un famoso paziente che ebbe una spaventosa lesione cerebrale verso il 1840. Prima che i suoi lobi frontali venissero accidentalmente tagliati in due da un piede di porco, egli veniva considerato una persona attenta, premurosa, prudente e lungimirante. Dopo il danno cerebrale, divenne incauto, imprudente, sconsiderato, privo di scrupoli e stupido, sebbene l’intelligenza formale – le facoltà cognitive formali come il linguaggio e così via – rimasero intatte. Era come se non fosse più in grado di vedere alcune conseguenze delle sue azioni, o immaginare come gli altri potevano vederle. Per cui, nel suo caso si ebbe un collasso di entrambi gli aspetti della consapevolezza: quello intellettuale, e quella che si potrebbe definire la consapevolezza morale, o coscienza.
Christian Wertenbaker: Si tratta di un’incapacità a concettualizzare o è qualcosa di più sottile? Voglio dire: se gli fosse stato chiesto cosa sarebbe successo facendo questo o quello, egli probabilmente avrebbe potuto rispondere, ma…
Oliver Sacks: Sì, esattamente. Di questo fatto parla spesso Antonio Damasio (nota 2): i pazienti del lobo frontale articolato sono in grado di dire perfettamente, forse, ciò che dovrebbero sentire.
Nella prima guerra mondiale ci fu un giudice che subì una grave lesione al lobo frontale: essa lo rendeva incapace di provare emozioni, ma non colpiva le sue facoltà intellettuali. Si sarebbe potuto pensare che ciò avrebbe fatto di lui un giudice migliore, invece egli abbandonò il seggio, dicendo che poiché non era più in grado di comprendere o immaginare i motivi degli altri, non si riteneva adatto a quel lavoro. Un intuito raro.
Christian Wertenbaker: Mi ricorda l’intuito che la tua amica autistica, Temple Grandin, sembra avere in relazione al proprio funzionamento.
Oliver Sacks: Certamente lei sa intellettualmente che le mancano alcune forme di consapevolezza. A scuola aveva la sensazione che le altre persone comunicassero tra loro mediante un linguaggio complesso, verbale e no, fatto di segni segreti, cenni e allusioni, che lei ignorava e non riusciva a comprendere. Esisteva l’intuizione intellettuale, ma era inutile… Anche se la portò a “esplorare” la mente e gli scopi degli uomini, diventando, nelle sue parole, “un’antropologa su Marte”.
La coscienza è solo un’interiorizzazione della disciplina dei genitori e delle sanzioni sociali, o esiste qualcosa che trascende tutto ciò, un senso del bene e del male? Io credo che esiste una forma trascendente di coscienza, che non ha nulla a che fare con ricompense e punizioni.
Christian Wertenbaker: Questa coscienza è qualcosa che si impara o è innata?
Oliver Sacks: Wittgenstein usava il termine decenza, cioè se si era esseri umani decenti. Non vedo come si può dire se una cosa come questa è appresa o innata, perché la gente, a parte i ragazzi-lupo e cose simili, subisce sin dall’inizio l’influenza del mondo della cultura. È difficile parlare della “natura umana” in quanto tale, perché siamo sempre sotto l’influenza della cultura. Questa è una delle ragioni per cui i ragazzi-lupo sono così affascinanti: per questa idea secondo cui potremmo vedere in essi la natura umana allo stato primitivo.
Christian Wertenbaker: Il sistema visivo è chiaramente sia innato che acquisito: si nasce con un sistema connettivo innato che è massicciamente modificabile dalle esperienze, e che non si svilupperà adeguatamente se non verrà esposto a queste ultime.
Oliver Sacks: Giusto. Direi che allo stesso modo può esistere una sorta di primitivo sistema connettivo morale all’interno dei lobi frontali, e tra questi e il sistema limbico ecc., lo sviluppo del quale può dipendere da complesse esperienze sociali e morali. La cosiddetta empatia è innata o acquisita?
Quando guido, sono affascinato dal comportamento sconsiderato, impulsivo, egoista, violento o criminale di certi guidatori. Questo mi fa sorgere il desiderio di conoscere più da vicino il loro tipo morale, così spesso li raggiungo per vedere la loro fisionomia morale, la posa, l’espressione dei volti.
Sono ossessionato dalla nozione delle bugie, o delle non-verità – mie o di qualcun altro – incluse quelle cose inconsapevoli che sono quasi automatiche. Nel mio lavoro, trovo che talvolta sono necessarie varie riscritture per raggiungere una sorta di correttezza morale e di equilibrio intellettuale. A proposito delle bugie, ho conosciuto una famiglia in California, proveniente dal Messico rurale, di raccoglitori stagionali di carciofi, in cui cinque dei bambini erano congenitamente sordi e non conoscevano alcun linguaggio. Non avevano mai incontrato altre persone, né erano andati a scuola. Non avevano nessun vero linguaggio gestuale, solo una sorta di lingua dei segni “fatta in casa”, con pochissimi elementi. Comunicavano tra loro, con la famiglia e forse con alcuni vicini, ma il loro non era un vero linguaggio. E i due più giovani, un ragazzo e una ragazza adolescenti, adesso stanno imparando il linguaggio gestuale americano. La ragione per cui parlo di questo è che la ragazza, che ora ha quindici anni, è diventata ossessionata dall’idea delle bugie. Ha la sensazione che lei o gli altri possano mentire, come se l’acquisizione del linguaggio avesse portato con sé il concetto di bugia.
Christian Wertenbaker: Interessante. Si può vedere subito che per comprendere l’idea di bugia devi conoscere il linguaggio, ma…
Oliver Sacks: Hughlings Jackons parla del fatto che le persone afasiche, ovvero persone che hanno perso il linguaggio a causa di un danno cerebrale, non possono fare proposizioni, non sono in grado di pensare a se stesse. Possiedono solo un linguaggio emotivo, fatto di esclamazioni.
Christian Wertenbaker: Come quel tuo paziente artista che, avendo perso la visione dei colori, non riusciva più nemmeno a immaginare questi ultimi, anche se intellettualmente sapeva tutto su di essi.
Cambiando argomento: pensi che esistono livelli intermedi di consapevolezza, oltre al sonno e la veglia?
Oliver Sacks: Oh sì. Ci sono dei momenti in cui si è più sensibili, in cui il proprio intuito è più vasto e profondo. Uno dei poteri dell’arte è rendere più grande e profonda, in modi diversi, la consapevolezza di una persona, che si tratti di consapevolezza estetica, morale o mistica. Questa è una funzione anche della scienza e della filosofia: favorire forme di consapevolezza intellettuale più ampie e profonde. Una persona ha degli stati d’animo, o degli umori, nei quali la consapevolezza sembra espandersi e farsi più comprensiva, accogliente, generosa, sensibile e anche particolareggiata, mentre in altre occasioni sembra restringersi. L’educazione andrebbe considerata come educazione della consapevolezza, e non solo come l’insegnamento delle varie professioni.
Esistono molte forme di consapevolezza. Per esempio, leggendo Simone Weil, avverto una straordinaria consapevolezza mistica e religiosa. Anche se non è alla mia portata e non rientra nei miei gusti preferiti, riesco ad avere un’intuizione dello spazio in cui si trova lei.
Christian Wertenbaker: Quando si sperimentano questo allargamento e questa “consapevolezza particolareggiata”, non siamo nello stesso campo di cui sta parlando Simone Weil?
Oliver Sacks: Forse. Esistono le esaltazioni. Come diceva Flaubert? “Anche la mente ha le sue erezioni”. William James pensava che le droghe, compreso l’alcool, erano mistagogiche, e certamente l’espressione “espansione di consapevolezza” era molto in voga negli anni sessanta. Anche la perdita e il dolore possono espandere la consapevolezza. Ho scritto la maggior parte di Risvegli subito dopo la morte di mia madre. Tutti i tipi di esperienza possono espandere la consapevolezza, e forse in questo c’è un elemento mistico.
Alla fine del mio libro L’isola dei senza colore, descrivo una passeggiata nella foresta in cui la percezione dell’antidiluviano, di prospettive immense del tempo, sembrava portarmi da un orizzonte egoico meschino, pressante e ordinario, a qualcosa di più spazioso e trascendentale… Un sentimento di amicizia con la terra, la sensazione di essere quasi coevo del mondo. È molto interessante muoversi tra piante, rocce, animali e isole molto più antichi dell’uomo.
Circa tre mesi fa c’è stata un’eclissi totale di luna. E io, che normalmente sono troppo timido per parlare in strada con la gente, sono uscito di corsa con il binocolo e un piccolo telescopio, dicendo: «Guardate, guardate!». Sono addirittura intervenuto in una discussione che si stava svolgendo nel parcheggio sotto casa mia, tra una donna e il custode, dicendo: «Fermatevi, voi due! Fermatevi per un minuto, e guardate il cielo! È una vista meravigliosa che non vedrete mai più. Date un’occhiata e poi, se proprio non potete farne a meno, ricominciate a discutere». Sono stati così colti di sorpresa che si sono messi a guardare – avevo dato loro il binocolo e il cannocchiale – e penso che abbiano provato un istante di meraviglia, di stupore e di una sorta di sensazione trascendentale. Poi mi hanno restituito le cose e sono tornati a discutere (risata).
La musica, in particolare la musica religiosa vocale, come Bach, talvolta mi trasporta in sfere e stati di consapevolezza altrimenti inaccessibili. Mi sono sentito sopraffatto quando ho ascoltato la Passione secondo S. Matteo di Jonathan Miller, l’altra domenica. Jonathan Miller è un mio vecchio amico, e come me è un ebreo ateo. Tuttavia, questo ebreo ateo ha elaborato una visione affascinante e profondamente commovente della Passione.
Il discorso è simile per le arti visive. Dopo aver visto Vermeer ed essermene saturato, posso rimanerne così influenzato da vedere la luce, le ombre e le pose umane in modo del tutto nuovo.
Quando stavo in Sudafrica, ho incontrato un mio quasi omonimo, un uomo chiamato Albie Sachs (poi abbiamo scoperto che i nostri nonni venivano dalla stessa regione della Lituania). Egli è un grande amico di Nelson Mandela, e come lui ha vissuto moltissime esperienze: quando cercarono di assassinarlo, ha perso un braccio. Ma, come Mandela, egli è completamente privo di amarezza o risentimento. La sua presenza mi incuteva timore reverenziale. Avevo la sensazione di trovarmi di fronte un genio morale, un essere straordinario, con una consapevolezza… una coscienza morale trascendente ed espansa. E semplicemente camminando con lui, penso di avere assorbito qualcosa, così come quando, passeggiando con una persona molto sensibile e poetica, si comincia a condividerne la visione per un po’. E forse qualcosa resta anche dopo.
Christian Wertenbaker: Anche passeggiare con una persona che non conosce il luogo in cui stiamo camminando può aiutare a sperimentare quel luogo come fosse nuovo.
Oliver Sacks: Assolutamente. Ogni contatto umano ha il potenziale di cambiare la consapevolezza, perché ci si imbatte in una concezione e una costruzione del mondo diverse dalla propria.
Christian Wertenbaker: Sei davvero ateo?
Oliver Sacks: Oh, non lo so.
Christian Wertenbaker: Mi ricordo la tua espressione “comprendere il primo compositore”, che è bellissima.
Oliver Sacks: In realtà, credo che fosse una citazione di Sir Thomas Browne. Essa si trova in The Twins [in L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello]. E ci sono molti contenuti mistici e religiosi anche nel libro della gamba (Su una gamba sola). Ma non riesco più a vedermi in alcuni di quegli stati mentali. Non ne sento il bisogno, e non vedo più spazio per un “protettore”, un Padre Celeste o qualsiasi cosa non abbia a che fare con la scienza. Non scorgo “Disegni” o “Scopi”. D’altra parte sento, per parafrasare Darwin, che esiste una sorta di grandiosità nella visione dell’evoluzione. Ma non è il tipo di grandiosità che può essere emotivamente soddisfacente o che può fare su una persona lo stesso effetto, per dire, degli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni, con la loro raffigurazione di un cosmo ruotante intorno all’uomo e un paradiso dal quale qualcuno guarda in basso verso di te, prestandoti attenzione. Non riesco a immaginare nessuna divinità personificata.
Christian Wertenbaker: L’idea di un Dio che guarda in basso verso di te è chiaramente non-atea, ma è anche possibile considerarsi più piccoli di una cellula, dal punto di vista dell’attenzione ricevuta, e continuare a percepire l’esistenza di una sorta di scopo.
Oliver Sacks: Sì, in un certo senso si contribuisce alla storia dell’universo… Ma, detto questo, mi accorgo che parole come paradiso e inferno, benedizione e maledizione, preghiera e ringraziamento, sono spesso sulle mie labbra. Sul mio comodino tengo una Bibbia e un dizionario. Non posso dire di leggere la Bibba come se fosse letteratura, o perché mi piace il linguaggio della versione di Re Giacomo, anche se è così. Forse è un po’ come Vermeer o Bach: trovare un accesso almeno indiretto a un altro mondo o a molti altri mondi. Penso che occorre avere un atteggiamento di gratitudine per il fatto di essere vivi, e che bisogna sentirsi benedetti o privilegiati per essere qui, avere il pieno possesso delle proprie facoltà mentali e godere di discreta salute. Non sono sicuro del nome da dare a questo sentimento. Non si tratta solo di un sentimento morale. Spesso voglio dire grazie, ma a chi? Per cosa? Mi piace lavorare in un’atmosfera religiosa: tutti i mercoledì lavoro al mattino in un ospedale ebraico, e al pomeriggio in una casa cattolica.
Christian Wertenbaker: Nel pensiero medico dell’India, la mente viene considerata un altro organo di senso. Tu stai descrivendo un rapporto con il mondo che richiede la mente, perché essa può conoscere il significato di ciò che vedo; ma allo stesso tempo tale rapporto richiede qualcosa di più, perché la mente da sola non conduce a quel tipo di sentimento.
Oliver Sacks: Quando mi sento bene, ho la sensazione di essere un germoglio che sta sbocciando: questa sensazione, questa immagine biologica, per me, è l’immagine della consapevolezza e della coscienza. Non è assolutamente un’immagine meccanica. Winnicott sentiva che all’interno di ognuno c’era qualcosa di simile, che lui paragonava a un tulipano: un’identità unica e autonoma, inaccessibile alla consapevolezza, protetta da interventi o interferenze nei modi più comuni, e pensava che uno dei compiti della psicoanalisi fosse mantenere il terreno sgombro da tali interferenze. Credo che una delle ragioni per cui mi piacciono le piante sia la sensazione della loro persistenza in ciò che sono, senza essere – per così dire – spugne delle influenze sociali o altro.
Prendo la maggior parte delle mie metafore dal mondo biologico, e un numero sorprendente da quello vegetale. La gente direbbe subito: “Beh, siamo animali”, usando quindi metafore animali, ma penso che la nozione vegetale di un germoglio in fioritura sia un buon simbolo per la consapevolezza. Sono più sensibile al mondo nella natura che a quello della cultura e degli uomini. Che si tratti delle stelle, della foresta o di immersioni subacquee nelle barriere coralline, sento che queste cose espandono la consapevolezza.
Nota 1. Il dr. Edelman, direttore dell’Istituto di neuroscienze e presidente del Dipartimento di neurobiologia allo Scripps Research Institute, ha scritto molti libri sulle basi neurali della consapevolezza. Nella sua concezione viene messa in particolare rilievo la natura biologica ed evolutiva del cervello e della mente umani. Egli ha anche creato molte macchine computerizzate che simulano alcuni aspetti dell’attività mentale umana.
Nota 2. Il dr. Damasio, professore e presidente del Dipartimento di neurologia nella facoltà di Medicina dell’Università dello Iowa, è universalmente considerato uno dei più importanti studiosi degli effetti dei danni cerebrali sull’attività mentale. Il suo libro del 1994, L’errore di Cartesio, sottolinea il ruolo dell’emozione nella cognizione e razionalità umane. Inoltre, esso contiene una descrizione dettagliata del caso di Phineas Gage, che fu importantissimo per comprendere la funzione dei lobi frontali nell’uomo.
Il dr. Christian Wertenbaker è professore clinico aggiunto di neurologia e oftalmologia alla facoltà di Medicina Albert Einstein, e un redattore capo della rivista “Parabola”.
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Oliver Sacks. Emicrania. Adelphi. 1992. ISBN: 8845909328
Oliver Sacks. L’isola dei senza colore e l’isola delle Cicadine. Adelphi. 1997. ISBN: 8845912825
Oliver Sacks. L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello. Adelphi. 2001. ISBN: 8845916251
Oliver Sacks. Risvegli. Adelphi. 1995. ISBN: 8845911470
Oliver Sacks. Su una gamba sola. Adelphi. 1991. ISBN: 8845908283
Oliver Sacks. Un antropologo su Marte. Adelphi. 1998. ISBN: 8845913961
Oliver Sacks. Vedere voci. Adelphi. 1999. ISBN: 8845907538
Oliver Sacks. Zio Tungsteno. Ricordi di un’infanzia chimica. Adelphi. 2002. ISBN: 8845916855
Originalmente apparso sulla rivista Parabola: The Magazine of Myth and Tradition www.parabola.org
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini
non so…non voglio dire eresie,considerando ciò che è considerato Sacks..
Però sembra che si riferisca più ad una “coscienza” (consciousness ) indicandola invece come “consapevolezza” (awareness)…
Forse è una tipica confusione della scienza occidentale…
La consapevolezza non ha “forme”:
la caratterizzazione appartiene piuttosto ,solo ad una una sensibilità personale verso un’ aspetto umano..e non è consapevolezza, secondo me,che invece non ha nulla di personale e soggettivo..
La consapevolezza descritta dal professore è certamente molo vicina, se non identica, alla consapevolezza dell'”uno” classico della civiltà greca italica.
Consapevolezza ed evoluzione ecco per cosa vale spendere la vita di tutti.
Il mio augurio per tutti è avviarsi per tale Via.
Ragazzi… ma vi rendete conto “la tipica confusione della scienza occidentale…” cioè tu, Eckart, sei in una posizione per poter tranquilllamente dire di cosa stiamo parlando? Ci si stanno rompendo la testa tutti quanti e tu invece, per via del fatto che credi di sapere che tutto è in relazione con tutto, hai potuto saltare tranquillamente tutti i passaggi? Siamo a posto, domani prendo un aereo olistico e vado olisticamente e globalmente immerso in un tutto continuo al mio congresso.
Questo sito è bellissimo, ci sono capitato per caso per via del fatto che stavo cercando propio Sacks, però ragazzi… conviviamo con il mistero, facciamoci un pò di coraggio per favore e stiamocene se non capiamo.
Sia ben inteso: non credo che esista alcun particolare baco nell’olismo solo che in bocca a tutti diventa una sorta di faciloneria. La scienza, la filosofia, così come la poesia (forse questa più di tutte) non sono per tutti! Sono di tutti, ma solo pochi possono parlarne come se la sapesssero lunga.
Ciao!
Bellissima intervista, Oliver Sacks mi piace moltissimo, sia come scrittore che come persona che traspare dai suoi libri.
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“…Credo che una delle ragioni per cui mi piacciono le piante sia la sensazione della loro persistenza in ciò che sono, senza essere ”“ per così dire ”“ spugne delle influenze sociali o altro.”
Questo di O. SAcks mi ha fatto venire in mente l’inizio folgorante della seguente famosa poesia=
La cipolla (Wislawa Szymborska)
La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
Fino alla cipollità…