Il Dalai Lama sul contributo individuale alla pace nel mondo
Questo sempre attuale discorso del Dalai Lama è tratto dal libro Il mio Tibet Libero, in pubblicazione per Apogeo/Urra a Luglio, in anteprima per gentile concessione.
Quando ci alziamo la mattina e ascoltiamo la radio o leggiamo il giornale ci troviamo davanti sempre le stesse notizie tragiche: violenza, crimini, guerre e catastrofi naturali. Non riesco a ricordare nemmeno un giorno in cui non abbia sentito parlare di qualche sciagura nel mondo.
Anche nella nostra epoca moderna è evidente che quel bene prezioso che è la vita di un individuo non è affatto al sicuro. Nessuna generazione precedente ha dovuto confrontarsi con così tante notizie tragiche come noi oggi; queste paura e tensione costanti dovrebbero portare qualsiasi individuo sensibile e compassionevole a dubitare seriamente dei progressi raggiunti dal mondo moderno.
Ironicamente i problemi più seri originano dalle società più avanzate a livello industriale. La scienza e la tecnologia hanno compiuto miracoli in molti settori, tuttavia i problemi fondamentali dell’uomo sono sempre i medesimi. Oggi molte più persone di un tempo sanno leggere e scrivere, eppure l’istruzione universale non sembra aver reso gli individui più buoni, ma, al contrario, solo più inquieti e insoddisfatti.
Senza dubbio dobbiamo riconoscere enormi progressi a livello materiale e tecnologico, ma per certi aspetti questo non è sufficiente, poiché non siamo ancora riusciti a creare pace e felicità e a vincere la sofferenza. Da tutto questo possiamo solo dedurre che c’è qualcosa di veramente sbagliato nel nostro progresso e sviluppo, e se non lo scopriamo in tempo potrebbe avere conseguenze disastrose per il futuro dell’umanità.
Non sono assolutamente contrario alla scienza e alla tecnologia: hanno contribuito enormemente a migliorare la vita dell’uomo, gli hanno messo a disposizione comodità e benessere materiale e gli hanno fatto conoscere meglio il mondo in cui vive. Se però le sopravvalutiamo, rischiamo di perdere il contatto con quegli aspetti della coscienza e dell’intelligenza umana che aspirano alla lealtà e all’altruismo.
La scienza e la tecnologia sono in grado di creare benessere materiale incalcolabile, ma non di sostituire i valori secolari spirituali e umanitari che hanno fortemente contraddistinto la nostra civiltà in ogni sua forma nazionale, come la conosciamo oggi.
Nessuno può negare i benefici materiali, senza precedenti, che la scienza e la tecnologia ci hanno messo a disposizione, ma i problemi fondamentali dell’essere umano sono ancora gli stessi; siamo ancora costretti a confrontarci con le stesse sofferenze, paure e tensioni, se non addirittura più di prima. Pertanto, l’unica soluzione logica è cercare di trovare un equilibrio tra sviluppo materiale da una parte, e sviluppo spirituale e dei valori umani dall’altra. Per riuscirci dobbiamo ritornare ai nostri valori umanitari.
Sono sicuro che molte persone condividono la mia preoccupazione per la crisi morale attualmente diffusa in tutto il mondo e che si uniranno al mio appello indirizzato a tutti gli operatori umanitari e i religiosi, altrettanto impegnati a rendere le nostre società più sensibili ai problemi del prossimo, più corrette ed eque. Non parlo da buddista, né da Tibetano. Non parlo nemmeno da esperto di politica internazionale (pur essendo costretto a farvi riferimento).
Parlo semplicemente come essere umano, come difensore di quei valori umanitari che sono il fondamento non solo del buddismo Mahayana, ma di tutte le maggiori religioni mondiali. Da questa prospettiva desidero condividere con voi le mie opinioni sull’argomento. Sono convinto di quanto segue:
1. l’umanitarismo universale è essenziale per risolvere i problemi dell’uomo;
2. la compassione rappresenta la colonna portante della pace mondiale;
3. tutte le religioni del mondo sono già a favore di una pace globale in tal senso, così come lo è chi si dedica all’impegno umanitario, indipendentemente dalla personale ideologia;
4. ogni individuo ha la responsabilità universale di contribuire alla creazione di istituzioni utili al soddisfacimento dei bisogni dell’uomo.
Risolvere i problemi dell’umanità tramite un atteggiamento rinnovato
Dei tanti problemi che ci troviamo oggi ad affrontare, alcuni sono calamità naturali e devono essere accettati e affrontati con spirito equanime. Altri, invece, li abbiamo creati noi stessi, o sono il risultato di equivoci, e devono essere corretti. Quest’ultimo tipo di problemi nasce dal conflitto di ideologie, politiche o religiose, quando gli individui entrano in conflitto gli uni con gli altri per inseguire meschini interessi personali e perdono di vista i valori umani fondamentali che fanno di tutti noi i membri di un’unica famiglia.
Dobbiamo ricordare che le diverse religioni, ideologie e i sistemi politici del mondo sono stati creati per portare più felicità nella vita degli esseri umani. Teniamo sempre presente questo scopo fondamentale e non anteponiamo mai i mezzi al fine: l’umanità deve sempre avere priorità sulle finalità materiali e ideologiche.
Il pericolo più serio in assoluto per il genere umano – o meglio, per ogni forma vivente del nostro pianeta – è la minaccia di distruzione nucleare. Non c’è bisogno che mi dilunghi su questo pericolo, ma desidero rivolgere un appello a tutti i leader delle potenze nucleari, poiché il futuro del mondo è letteralmente nelle loro mani, agli scienziati e ai tecnici che continuano a creare queste terribili armi di distruzione, e a tutti coloro che, in ogni parte del mondo, hanno la possibilità di influenzare gli uomini di potere.
Vi prego affinché facciate ricorso alla ragione per iniziare a smantellare e a distruggere tutte le armi nucleari. Sappiamo che nel caso di un conflitto nucleare nessuno sarà vincitore, in quanto non vi saranno sopravvissuti.
Non è già di per sé terribile l’ipotesi di una distruzione così spietata e disumana? E non è più logico rimuovere la causa di questa eventuale distruzione, visto che la conosciamo e abbiamo sia il tempo sia i mezzi per farlo? Spesso non possiamo risolvere i problemi perché non ne conosciamo l’origine, oppure, una volta individuata, non siamo in grado di eliminarla. Nel caso della minaccia nucleare la situazione è diversa.
Sia che appartengano a specie più evolute (come quella umana), sia ad altre più semplici (come quelle animali), tutte le creature di questo mondo desiderano in primo luogo pace, benessere e sicurezza. La vita sta a cuore agli animali quanto a noi esseri umani, anche se loro non sono in grado di esprimerlo; anche il più minuscolo insetto cerca di proteggersi dai pericoli che minacciano la sua sopravvivenza. Proprio come ognuno di noi desidera vivere e non vuole morire, così accade a tutte le altre creature dell’universo. Quanto siano in grado di farlo è un’altra questione.
In generale possiamo affermare che esistono due tipi di felicità e di sofferenza: quella psicologica e quella fisica. Delle due credo che la felicità e la sofferenza psicologiche siano le più intense. È per questo che invito sempre ad allenare lo spirito a sopportare meglio il dolore e a raggiungere una condizione di felicità più durevole. In ogni caso, io ho anche un’idea più generale e concreta della felicità: una combinazione di pace interiore, sviluppo economico e, soprattutto, di pace a livello globale.
Per raggiungere questi obiettivi ritengo sia necessario sviluppare un senso di responsabilità universale e una profonda partecipazione nei confronti del prossimo, indipendentemente dal credo, dal colore, dal sesso o dalla nazionalità.
Dietro questa idea di responsabilità universale vi è il semplice fatto che, in termini generali, tutti desideriamo le stesse cose. Ogni creatura desidera la felicità e vuole evitare il dolore. Se noi, in quanto esseri umani dotati di intelletto, non accettiamo questo fatto, su questo pianeta vi sarà sempre più sofferenza. Se adottiamo un approccio individuale alla vita e cerchiamo continuamente di sfruttare il prossimo per il nostro tornaconto personale, forse otterremo vantaggi temporanei, ma non riusciremo mai a essere veramente felici, e la pace del pianeta sarà del tutto impossibile.
Nella loro ricerca della felicità gli esseri umani hanno adottato metodi differenti, molti dei quali si sono rivelati crudeli e ripugnanti. Agendo in un modo che va contro la loro stessa natura, essi infliggono sofferenza ad altri esseri umani e creature viventi per scopi egoistici. Alla fine, però, questo comportamento poco accorto reca dolore a se stessi e agli altri.
Essere nati come esseri umani è già di per sé un evento eccezionale, quindi dovremmo utilizzare il nostro potenziale nel modo più efficace e intelligente possibile. Dobbiamo adottare una prospettiva più corretta, che tenga conto dell’universalità del processo della vita e ci impedisca di perseguire la felicità e la stima di un individuo o di un gruppo a discapito di altri.
Tutto questo richiede un nuovo approccio ai problemi globali. Il mondo diventa ogni giorno più piccolo e interdipendente in seguito ai rapidi progressi tecnologici, all’ampliamento del commercio internazionale e di altre relazioni tra un Paese e l’altro. Oggi siamo tutti fortemente dipendenti gli uni dagli altri.
Nell’antichità i problemi riguardavano per lo più la famiglia o il clan, infatti erano affrontati a livello familiare, ma oggi la situazione è cambiata. Siamo ormai così interdipendenti, così strettamente connessi gli uni agli altri, che senza un senso di responsabilità globale, di fratellanza universale e la consapevolezza di essere veramente parte di un’unica famiglia, non possiamo sperare di superare i pericoli della nostra esistenza – per non parlare di creare pace e felicità.
I problemi di una nazione non si possono risolvere in modo soddisfacente a livello nazionale, poiché dipendiamo troppo dagli interessi, dal comportamento e dalla cooperazione di altri Stati. Un approccio umanitario ai problemi del mondo sembra essere l’unica base logica per la pace a livello mondiale.
Cosa significa questo? Se ci rifacciamo all’osservazione precedente secondo la quale tutte le creature viventi aspirano alla felicità e vogliono evitare la sofferenza, capiamo che diventa eticamente scorretto e poco saggio in termini concreti perseguire solo la felicità del singolo senza tenere conto dei sentimenti e delle aspirazioni di tutti gli altri componenti dell’unica, grande famiglia di esseri umani.
La via più sensata è ricordarsi anche della felicità del prossimo quando cerchiamo di realizzare la nostra. Così facendo si perseguirebbe quello che io chiamo un “saggio interesse individuale”, che idealmente dovrebbe trasformarsi in un “interesse individuale aperto al compromesso”, o meglio, un “interesse reciproco”.
Nonostante si possa ipotizzare che la crescente interdipendenza tra le nazioni generi più solidarietà e collaborazione, è difficile riuscire ad adottare un tale spirito finché si rimane indifferenti ai sentimenti e alla felicità del prossimo. Quando la gente è spinta soprattutto dall’avidità e dalla gelosia, non riesce a vivere in armonia. Un approccio spirituale non riuscirà probabilmente a risolvere i problemi politici generati dall’egoismo imperante, ma a lungo termine riuscirà a superare la base dei problemi che oggi ci assillano.
Dall’altro lato, se l’umanità continua a voler risolvere i problemi considerando solo i vantaggi immediati, le generazioni future si troveranno ad affrontare enormi difficoltà. La popolazione globale è in aumento e le risorse che abbiamo a disposizione si esauriscono rapidamente. Basta guardare le foreste. Nessuno conosce esattamente quali disastrose conseguenze potrà avere il disboscamento massiccio sul clima, sul suolo e sull’ecologia mondiale in generale.
Ci troviamo di fronte a problemi perché la gente si concentra unicamente sui vantaggi personali immediati, senza ricordare che siamo tutti membri di un’unica famiglia. Non pensiamo alla Terra e alle conseguenze a lungo termine sulla vita in generale. Se noi, che rappresentiamo la generazione attuale, non cominciamo subito a riflettere su tutto questo, le generazioni future potrebbero non essere più in grado di risolvere tali problemi.
La compassione come sostegno della pace globale
Secondo la psicologia buddista, i problemi che ci troviamo di fronte sono, per la maggior parte conseguenza del nostro desiderio passionale e del nostro attaccamento nei confronti di cose che consideriamo erroneamente entità durevoli. Questa tendenza ci porta a ricorrere all’aggressione e alla competizione, che riteniamo strumenti di sicuro successo. Si tratta di un atteggiamento psicologico che trova velocemente applicazione nella pratica e ha come logica conseguenza la tendenza sempre più diffusa all’aggressione.
Sono schemi psicologici connaturati alla psiche umana, ma che soprattutto in epoca moderna hanno trovato applicazione pratica. Cosa possiamo fare per controllare e regolare “veleni” come la delusione, l’invidia e l’aggressività? È importante capirlo, poiché sono proprio loro all’origine di tutti i problemi del mondo.
In quanto persona educata secondo la tradizione del buddismo Mahayana credo che l’amore e la compassione siano il tessuto morale di cui è fatta la pace globale. Permettetemi di chiarire cosa intendo per “compassione”. Quando proviamo pietà o compassione per qualcuno molto povero gli dimostriamo solidarietà per la sua condizione; in tal caso la nostra compassione è basata su considerazioni altruistiche. Dall’altro lato, l’amore per il partner, per i figli o gli amici cari è solitamente basato sull’attaccamento.
Quando l’attaccamento cambia, cambia anche la gentilezza verso gli altri, tanto che in alcuni casi può arrivare a sparire. Questo non è vero amore. Il vero amore non è basato sull’attaccamento, ma sull’altruismo. In questo caso la compassione continuerà a essere una reazione umana alla sofferenza finché gli esseri umani continueranno a soffrire.
È questo tipo di compassione che dobbiamo sforzarci di coltivare in noi, facendola crescere all’infinito. Una compassione indiscriminata, spontanea e illimitata per ogni essere senziente non è esattamente l’amore che si prova per un amico o per un famigliare, che si mescola invece a ignoranza, desiderio e attaccamento. Il tipo di amore che dovremmo sviluppare è un amore più esteso, che si può provare anche per qualcuno che ci ha fatto del male, vale a dire il nostro nemico.
La motivazione logica della compassione è il fatto che ciascuno di noi desidera evitare la sofferenza e raggiungere la felicità. Questo, a sua volta, origina da una legittima coscienza di sé, che determina il desiderio universale di felicità. In effetti tutti gli esseri nascono con desideri simili e dovrebbero avere lo stesso diritto di realizzarli. Se mi confronto con altri esseri, che sono innumerevoli, sento che sono più importanti di me, perché loro sono tanti, mentre io una persona sola.
La tradizione del buddismo tibetano ci insegna inoltre a considerare tutti gli esseri senzienti come nostre madri e a dimostrare gratitudine nei loro confronti attraverso il nostro amore. Secondo la teoria buddista, infatti, noi nasciamo e rinasciamo un numero infinito di volte, pertanto risulta del tutto concepibile l’ipotesi che ogni essere sia stato prima o poi nostra madre. In base a questa visione tutte le creature dell’universo sono legate fra loro come membri di un’unica famiglia.
Sia che si creda alla religione o meno, non esiste individuo che non apprezzi l’amore e la compassione. Fin dal momento della nascita godiamo dell’amore e delle cure dei nostri genitori; più avanti nella vita, quando siamo costretti ad affrontare le sofferenze legate alle malattie e alla vecchiaia, dipendiamo ancora dalla benevolenza degli altri. Se quindi siamo così legati alla bontà del prossimo sia all’inizio sia alla fine della nostra vita, perché non dovremmo dimostrarci buoni verso gli altri durante la vita?
Sviluppare un animo gentile (nel senso di sentirsi vicini e obbligati nei confronti del prossimo) non implica quella religiosità che di norma associamo a pratiche di culto convenzionali. Non è un compito riservato a coloro che credono in una religione, ma è accessibile a tutti, indipendentemente dalla etnia o dal credo politico o religioso.
È possibile per chiunque consideri se stesso in primo luogo come membro della grande famiglia comune a tutti noi e veda le cose da questa prospettiva più ampia e duratura. È una sensazione potente, che dovremmo coltivare e tradurre nella pratica; spesso invece la trascuriamo, soprattutto nel fiore degli anni, in cui sperimentiamo un falso senso di sicurezza.
Se prendiamo in considerazione un punto di vista più esteso, ossia il fatto che tutti noi desideriamo raggiungere la felicità ed evitare la sofferenza, e teniamo presente che risultiamo insignificanti rispetto al numero incalcolabile di altri individui, possiamo giungere alla conclusione che vale la pena di condividere ciò che abbiamo con il prossimo.
Se vi esercitate ad adottare questa prospettiva, riuscirete a sviluppare anche un autentico senso della compassione – vero amore e rispetto per gli altri. A quel punto la felicità individuale non sarà più una costante ricerca di se stessi, ma diventerà una conseguenza automatica e superiore dell’intero processo di amore e di servizio verso il prossimo.
Un’altra conseguenza dell’evoluzione spirituale, più che mai utile nella vita di ogni giorno, è la calma e la presenza di spirito. La nostra vita è in continuo movimento e ci presenta molte difficoltà. Se le affrontiamo con mente libera e tranquilla, riusciamo a risolverle.
Quando invece l’odio, l’egoismo, la gelosia e la rabbia ci fanno perdere il controllo sui nostri pensieri, perdiamo anche la capacità di giudizio. Il nostro spirito è come accecato e in quei momenti può accadere di tutto, persino scoppiare una guerra. Pertanto la pratica della compassione e della saggezza è utile a tutti, soprattutto a chi ha la responsabilità di dirigere una Nazione e ha il potere e l’opportunità di creare le basi per la pace globale.
Le religioni del mondo per la pace universale
I principi finora discussi concordano con l’insegnamento etico di tutte le religioni mondiali. Buddismo, cristianesimo, confucianesimo, induismo, islam, jainismo, ebraismo, religione sik, taoismo e zoroastrismo condividono gli stessi ideali di amore e si propongono tutte di aiutare i seguaci attraverso la pratica spirituale e fare di loro esseri umani migliori. Tutte le religioni insegnano precetti morali che puntano a perfezionare il livello spirituale, fisico e linguistico.
Tutte ci insegnano a non mentire, a non rubare o a non uccidere, e via dicendo. Lo scopo comune a tutti i precetti morali formulati per iscritto dai grandi maestri dell’umanità è l’altruismo. Essi hanno sempre cercato di convincere i seguaci ad abbandonare la via delle cattive azioni, causate dall’ignoranza, e di far loro intraprendere quella della bontà.
Tutte le religioni riconoscono la necessità di esercitare un controllo sulla mente indisciplinata, che nutre l’egoismo e altre cause di sofferenza, e ognuna indica una strada che conduce a una condizione spirituale di pace, disciplina, moralità e saggezza. È in questo senso che credo che tutte le religioni trasmettano essenzialmente lo stesso messaggio.
Le differenze dogmatiche possono essere la conseguenza di diverse epoche, circostanze e ambiti culturali in cui ciascuna di loro si è sviluppata. Se consideriamo solo l’aspetto metafisico della religione, possiamo continuare a discutere all’infinito. È invece molto più utile cercare di applicare alla vita quotidiana i precetti comuni a tutte le religioni e finalizzati a rendere l’uomo più buono, anziché limitarsi a discutere su irrilevanti differenze tra i vari approcci.
Vi sono molte religioni differenti che si propongono di guidare l’essere umano verso il benessere e la felicità, esattamente come esistono particolari medicine per determinate malattie. Ogni religione, infatti, a modo suo, cerca di aiutare le persone a evitare la sofferenza e a raggiungere la felicità. Nonostante possiamo preferire per particolari ragioni determinate interpretazioni di verità religiose, vi sono molti più motivi per considerarle un’unica entità, che origina dal cuore dell’essere umano.
Ogni religione opera in un modo tutto proprio per combattere la sofferenza umana e contribuire alla civiltà. Non si tratta di convertire. Io, per esempio, non cerco di convertire altri al buddismo, né di promuovere la causa buddista. Piuttosto, in quanto buddista impegnato a livello umanitario, mi chiedo in che modo possa contribuire alla felicità dell’umanità.
Sottolineando le principali affinità tra le varie religioni del mondo non ne sostengo una in particolare rispetto alle altre, né sono alla ricerca di una nuova “religione mondiale”. Tutte le varie religioni del mondo sono necessarie per arricchire l’esperienza umana e la civilizzazione. Lo spirito di ciascun individuo, proprio perché diverso da tutti gli altri, richiede un differente approccio per trovare la strada verso la pace e la felicità.
È come con il cibo. Alcuni si sentono attratti dal cristianesimo, altri preferiscono il buddismo, perché non prevede un dio creatore e fa dipendere ogni cosa dalle azioni individuali. Possiamo avanzare argomentazioni simili per quasi tutte le altre religioni. Il punto della questione è comunque chiaro: l’umanità ha bisogno di religioni diverse, poiché diversi sono gli stili di vita, le esigenze spirituali e le tradizioni culturali di ciascun Paese.
È da questa prospettiva che accolgo con gioia ogni sforzo proveniente da ogni parte del mondo a favore di una maggiore comprensione tra le varie religioni. In questo momento è più che mai urgente. Se tutte le religioni si ponessero come principale obiettivo il miglioramento dell’essere umano, riuscirebbero facilmente a collaborare in armonia per la pace nel mondo.
La comprensione tra le diverse religioni favorirà l’unità necessaria per poter lavorare in comune accordo. Questo rappresenterebbe davvero un passo avanti importante, ma non dobbiamo dimenticare che non esistono soluzioni rapide e immediate.
Non possiamo nascondere le differenze delle varie dottrine religiose, né sperare di sostituire le religioni esistenti con un nuovo credo universale. Ogni religione deve dare il proprio diverso contributo e ognuna, a modo suo, è adatta per un particolare popolo, in base al suo particolare modo di concepire la vita. Pertanto il mondo ha bisogno di tutte le religioni.
I religiosi praticanti impegnati nel promuovere la pace mondiale hanno due compiti fondamentali da svolgere. Prima di tutto si deve promuovere una maggiore comprensione tra le varie religioni, in modo da creare una base comune sulla quale lavorare. Possiamo riuscire a farlo, in parte, rispettando la fede altrui e contribuendo maggiormente al benessere dell’umanità. In secondo luogo dobbiamo trovare un accordo accettabile, basato su valori spirituali fondamentali e in grado di raggiungere il cuore di ognuno e recare più felicità al genere umano. Questo significa che dobbiamo sottolineare il comune denominatore di tutte le religioni, vale a dire gli ideali umanitari. Queste due mosse ci permetteranno di agire sia individualmente, sia insieme, per creare le condizioni spirituali necessarie alla pace nel mondo.
Noi che pratichiamo religioni differenti possiamo lavorare insieme per favorire la pace mondiale, se guardiamo alle nostre religioni come semplici strumenti per rendere il nostro cuore più buono e in tal modo favorire l’amore e il rispetto per il prossimo e un vero senso di comunione. La cosa più importante è concentrarsi sull’obiettivo della religione, e non sui dettagli della teologia e della metafisica, che possono farci perdere in meandri concettuali.
Credo che tutte le principali religioni del mondo possano contribuire alla pace mondiale e lavorare insieme a vantaggio dell’umanità, se mettiamo da parte le sottili differenze metafisiche che all’interno di ciascuna costituiscono davvero l’interesse principale.
Nonostante la progressiva secolarizzazione attuata dalla modernizzazione globale, e nonostante i ripetuti tentativi in alcune zone del mondo, di annientare i valori spirituali, l’ampia maggioranza dell’umanità continua a credere in una religione o in un’altra. L’eterna fede nella religione, evidente persino all’interno di sistemi politici laici, dimostra chiaramente il potere da essa esercitato. Questa energia e questo potere spirituale possono essere impiegati per realizzare le condizioni spirituali necessarie per una pace globale. I capi religiosi e umanitari di tutto il mondo hanno un ruolo speciale da svolgere a tale proposito.
Sia che riusciamo o meno a realizzare la pace nel mondo, non abbiamo altra strada se non provare a raggiungere tale obiettivo. Se il nostro spirito è dominato dall’ira, non possiamo beneficiare della parte migliore dell’intelletto umano: la saggezza, la capacità di distinguere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Nella nostra epoca, l’ira è uno dei problemi più gravi del mondo.
Impegno individuale per l’organizzazione delle istituzioni
L’ira gioca un ruolo non indifferente nei conflitti attualmente in corso, come quelli nel Medio Oriente, nel Sud-Est asiatico, il problema tra Nord e Sud, e via dicendo. Essi sono il risultato della nostra incapacità di comprendere che anche i nostri nemici sono esseri umani. Non è con il dispiegamento e l’impiego di ulteriori forze militari, né con la corsa agli armamenti che si potranno risolvere. La soluzione di tali conflitti non può avvenire a livello puramente politico né tecnologico, ma va ricercata a livello spirituale, nel senso che quello che serve è una consapevole presa di coscienza della condizione di essere umano comune a tutti noi.
L’odio e la lotta non rendono felici nessuno, nemmeno i vincitori delle battaglie. La violenza genera sempre sofferenza, pertanto si rivela sempre controproducente. È quindi ora che i leader mondiali imparino a guardare oltre la differenza di etnia, cultura e ideologia e comincino a considerare il prossimo nell’ottica della comune situazione di esseri umani. Se ci riuscissero, ne trarrebbero vantaggio i singoli individui, le comunità, le Nazioni e infine il mondo nella sua globalità.
Le attuali tensioni a livello internazionale sembrano essere dovute al conflitto tra “blocco orientale” e “blocco occidentale” risalente all’epoca della Seconda Guerra Mondiale. Ciascuno dei due blocchi tende a considerare e a rappresentare l’altro sotto una luce del tutto sfavorevole. Questa continua e assurda lotta è alimentata dalla mancanza di rispetto e affetto verso l’altro, poiché non lo si considera un essere umano nostro pari. Quelli del blocco orientale dovrebbero smettere di provare odio nei confronti del blocco occidentale, poiché anch’esso è costituito da esseri umani – uomini, donne e bambini.
Allo stesso modo, l’Occidente dovrebbe moderare l’odio nei confronti dell’Oriente, poiché anche lì vivono esseri umani. I leader mondiali possono giocare un ruolo rilevante nel promuovere questo processo. Prima di tutto, però, devono riconoscere per primi la loro umanità di fondo, così come quella dell’ipotetico avversario. Senza questa indispensabile presa di coscienza non è possibile ridurre in modo considerevole l’avversione organizzata nei confronti dell’altro.
Se per esempio il capo degli Stati Uniti d’America e quello dell’Unione Sovietica si incontrassero casualmente su un’isola deserta, sono sicuro che si accetterebbero spontaneamente l’un l’altro, in quanto esseri umani nella stessa condizione. Eppure, non appena si riconoscessero come “Presidente degli Stati Uniti” e “Segretario Generale dell’URSS”, tornerebbe a emergere un muro di sospetto e di malintesi.
Un maggiore contatto umano, sotto forma di più incontri informali non previsti in agenda, favorirebbe una maggiore intesa tra loro; imparerebbero a considerarsi entrambi esseri umani alla pari e, su tale base, potrebbero provare a risolvere i problemi internazionali. Un clima di sospetto e di odio reciproco non permette alcun dialogo costruttivo tra le due parti, tanto meno se hanno alle spalle una storia di forte antagonismo.
Suggerisco ai leader mondiali di riunirsi circa una volta l’anno in una piacevole località senza particolari scopi, se non quello di conoscersi meglio l’un l’altro in quanto esseri umani. Più avanti potranno organizzare altri incontri per discutere problemi bilaterali e a livello mondiale. Sono certo che altri condividano questo mio desiderio di vedere i leader mondiali seduti alla tavola di conferenze in un’atmosfera di rispetto reciproco e di comprensione della comune condizione di esseri umani.
Per favorire in generale il contatto tra gli individui dei vari Paesi, auspico un maggiore sostegno al turismo internazionale. I mass media, in particolare quelli delle società democratiche, possono contribuire in larga misura alla pace nel mondo, dando sempre più spazio a tematiche di interesse umanistico, che riflettano la fondamentale uguaglianza tra le genti. Con l’ascesa di poche grandi potenze nella scena internazionale si è cominciato a evitare o a ignorare il ruolo umanitario delle organizzazioni internazionali.
Spero che questo smetta di accadere e che tutte le organizzazioni internazionali, prima fra tutte l’Organizzazione delle Nazioni Unite, possano svolgere un ruolo più attivo ed efficace nell’assicurare i massimi benefici all’umanità e nel promuovere la comprensione a livello internazionale. Sarebbe davvero tragico se le poche potenze mondiali continuassero ad abusare di organi internazionali come l’ONU per i propri interessi unilaterali.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite deve diventare uno strumento di pace a livello mondiale. Questo organo internazionale deve essere rispettato da tutti, poiché rappresenta l’unica fonte di speranza per le piccole Nazioni oppresse, e quindi per l’intero pianeta.
Poiché oggi tutte le Nazioni dipendono più che mai l’una dall’altra a livello economico, la tolleranza deve superare le barriere nazionali e abbracciare l’intera comunità internazionale. Infatti, se non riusciremo a creare un clima di sincera collaborazione, evitando il ricorso alle minacce o alla violenza ma favorendo la tolleranza e la partecipazione, i problemi del mondo non faranno che aumentare.
Se le popolazioni dei Paesi più poveri continueranno a vedersi negare la felicità e il benessere che desiderano e che si meritano, si sentiranno ovviamente sempre più frustrati e creeranno problemi ai Paesi ricchi. Se alcuni popoli continueranno a vedersi imporre forme sociali, politiche e culturali contro la propria volontà, sarà molto difficile riuscire a ottenere la pace mondiale. Se invece si cercherà di venire umanamente incontro alle loro richieste, senza dubbio la pace non tarderà ad arrivare.
All’interno di ogni Nazione, l’individuo dovrebbe avere il diritto alla felicità e, a livello internazionale, si dovrebbe tenere in uguale considerazione il benessere di tutte le Nazioni, anche di quelle più piccole. Con questo non sto dicendo che un sistema sia migliore di un altro e che tutti lo debbano adottare.
Al contrario, il fatto che esista una varietà di sistemi politici e ideologie è positivo e riflette le diverse indoli degli individui. Questa molteplicità sostiene l’essere umano nella sua continua ricerca della felicità. Pertanto, in base al principio dell’autodeterminazione, ogni comunità dovrebbe essere libera di decidere il proprio sistema politico e socioeconomico.
Riuscire a ottenere giustizia, armonia e pace dipende da diversi fattori. Nel valutare questi ultimi, tuttavia, dovremmo sempre tenere presente il bene dell’umanità a lungo termine piuttosto che a breve termine. Mi rendo conto che ci troviamo davanti un compito immenso, ma non vedo alternative se non quella che sto proponendo, basata sul riconoscimento della comune condizione di esseri umani. Le nazioni non hanno scelta.
Devono impegnarsi per il bene del prossimo, non tanto per una questione di valori morali, quanto piuttosto perché farlo è nell’interesse reciproco e futuro di tutti. Il sorgere di organizzazioni economiche locali o continentali come la Comunità Economica Europea, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico e altre è una dimostrazione che si sta cominciando a riconoscere questa nuova realtà. Spero che nascano altre organizzazioni transnazionali, soprattutto nelle regioni in cui lo sviluppo economico e la stabilità regionale sono ancora insufficienti.
Nella situazione attuale vi è senza dubbio un bisogno sempre maggiore di comprensione umana e di senso di responsabilità globale. Per riuscire a svilupparli dobbiamo coltivare bontà d’animo e gentilezza, perché senza di essi non creeremo né felicità, né pace duratura a livello mondiale. La pace non si stabilisce sulla carta. Nella realtà, se da una parte l’umanità promuove la responsabilità e la fratellanza universale, dall’altra è organizzata in entità separate che prendono il nome di Nazioni.
Quindi, da un punto di vista realistico, penso che siano proprio queste Nazioni a dover diventare i mattoni su cui costruire la pace mondiale. In passato si è cercato di creare società più giuste ed eque. Si sono fondate istituzioni con nobili principi per combattere le forze antisociali. Sfortunatamente questi intenti sono sempre stati sconfitti dall’egoismo.
Oggi più che mai siamo costretti a riconoscere che la morale e i nobili principi sono spesso oscurati dall’ombra degli interessi personali, in particolare nella sfera politica. Vi è una scuola di pensiero che invita addirittura a mantenere le distanze dalla politica, in quanto ormai sinonimo di amoralità. Una politica priva di principi etici non favorisce il bene dell’umanità, e la vita priva di morale riduce gli uomini a livello di bestie.
In ogni caso, la politica non è da considerarsi per forza “sporca”. Si tratta semplicemente del fatto che gli strumenti della nostra cultura politica hanno distorto gli alti ideali e i nobili concetti che si pensava avrebbero favorito il bene dell’umanità. Naturalmente gli individui con una profonda coscienza spirituale esprimono tutta la loro preoccupazione quando vedono un capo religioso che si lascia “traviare” dalla politica, poiché temono che i suoi “sporchi” interessi possano in qualche modo contaminare la religione stessa.
Contesto la diffusa opinione secondo la quale religione e morale non avrebbero alcun posto in politica e i religiosi si dovrebbero ritirare dal mondo come eremiti. Si tratta di una visione della religione troppo unilaterale, che non tiene in considerazione il rapporto dell’individuo con la società e il ruolo della religione nelle nostre vite. La morale è fondamentale per un politico quanto per un religioso.
Se i politici e i capi di Stato non fondassero più il loro agire su principi morali, dovremmo aspettarci pericolose conseguenze. Sia che crediamo in Dio, sia che crediamo al Karma, la morale è il fondamento di ogni religione.
Qualità umane come la moralità, la compassione, il decoro, la saggezza e via dicendo rappresentano i valori di base di tutte le civiltà. Le dobbiamo coltivare e favorire per mezzo di una sistematica educazione morale all’interno di un ambiente sociale favorevole, così da creare un mondo più umano.
Tali qualità devono essere insegnate ai bambini fin dalla tenera età. Non possiamo aspettare che sia la prossima generazione a operare questo cambiamento; è quella presente a dover tentare un rinnovamento fondato sui valori umani. Se c’è qualche speranza, è nelle generazioni future, ma a condizione che noi operiamo un radicale cambiamento a livello globale del nostro sistema educativo attuale. Abbiamo bisogno di una rivoluzione nel nostro rapporto teorico e pratico con i valori umani universali.
Non è sufficiente denunciare con fastidiose lamentele la degenerazione morale; dobbiamo agire anche concretamente. Poiché gli attuali governi non si fanno carico di queste responsabilità “religiose”, gli operatori impegnati in ambito spirituale e umanitario devono rafforzare le organizzazioni civili, sociali, culturali, pedagogiche e religiose per favorire la rinascita di valori umanitari e spirituali. Laddove necessario, dobbiamo istituire nuove organizzazioni per raggiungere questi obiettivi. Solo facendo così possiamo sperare di creare una base più stabile per la pace mondiale.
Poiché viviamo in una società, dobbiamo imparare a condividere la sofferenza del prossimo e praticare la compassione e la tolleranza non solo nei confronti di chi amiamo, ma anche dei nostri nemici. È questa la prova della nostra forza morale. Dobbiamo essere di esempio in prima persona, poiché non possiamo convincere gli altri del valore della religione solo a parole.
Dobbiamo vivere adottando gli stessi alti livelli di integrità e sacrificio che chiediamo agli altri. La finalità ultima di ogni religione è servire e fare del bene all’umanità. È questo il motivo per cui è così importante che il ricorso alla religione sia sempre finalizzato alla felicità e alla pace degli esseri umani, e non solo alla conversione.
Nella religione non esistono confini nazionali. La religione è a disposizione di chiunque ne tragga beneficio, società o singolo individuo. Ciò che è importante, è che chi intraprende il cammino religioso scelga la fede più adatta a sé. Abbracciare una determinata religione non significa comunque il rifiuto di un’altra o della propria comunità.
È anzi fondamentale che chi si converte non si estranei dalla società, ma continui a vivere al suo interno e in armonia con i sui membri. Fuggendo dalla propria comunità ci si preclude la possibilità di fare del bene al prossimo, che in ultima analisi è l’obiettivo principale di ogni religione.
Da questo punto di vista vi sono due cose importanti da tener presente: l’esame di coscienza e il miglioramento di se stessi. Dovremmo controllare costantemente il nostro atteggiamento verso gli altri, attuando un esame attento di noi stessi, e correggerci immediatamente nel momento in cui scopriamo di essere nel torto.
Per concludere, una breve riflessione sul progresso materiale. Mi giungono continuamente all’orecchio numerose lamentele sul progresso da parte degli occidentali, sebbene – paradossalmente – esso rappresenti il vero orgoglio dei loro Paesi. Non vedo niente di sbagliato nel progresso in sé, a condizione che non ci si dimentichi di dare sempre priorità all’essere umano. Sono fermamente convinto che per risolvere i problemi dell’umanità a tutti i livelli dobbiamo combinare e armonizzare lo sviluppo economico con la crescita spirituale.
È quindi importante riconoscere i limiti del progresso materiale. Le conoscenze nell’ambito della scienza e della tecnologia hanno contribuito enormemente al benessere dell’uomo; ciò nonostante esse non sono sufficienti a creare una felicità durevole.
In America, per esempio, dove lo sviluppo tecnologico è forse più avanzato che in ogni altro Paese, vi è ancora una grande sofferenza a livello spirituale. Questo avviene perché la conoscenza materialistica è solo in grado di fornire una sorta di felicità legata alle condizioni fisiche, ma non può garantire quella felicità che origina dallo sviluppo interiore e che è indipendente da fattori esterni.
Per favorire una rinascita dei valori umani e il raggiungimento della felicità durevole dobbiamo tenere presente il comune bagaglio di valori umanitari ereditato da ogni nazione. Mi auguro che questo saggio possa servire a ricordarci quei valori umani che legano tutti noi e ci rendono membri di un’unica, grande famiglia.
Ho scritto tutto questo per esprimere la mia costante preoccupazione.
Ogni qual volta incontro uno “straniero” provo sempre la stessa sensazione: “Sto conoscendo un altro componente della famiglia dell’umanità.” Questo atteggiamento ha reso più profondo il mio affetto e il mio rispetto per tutti gli esseri umani.
Che questo spontaneo desiderio possa essere il mio piccolo contributo alla pace nel mondo. Prego affinché la famiglia umana presente su questo pianeta sia sempre più amichevole, più attenta e più comprensiva.
Questo è il mio caloroso appello a tutti coloro che non amano la sofferenza e che perseguono la felicità duratura.
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Questo discorso è tratto dal libro Il mio Tibet Libero, in pubblicazione per Apogeo/Urra a Luglio. Per gentile concessione.
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