Autorità e sfruttamento, terapisti e maestri
Autorità e sfruttamento: tre voci
Il maestro zen Robert Aitken Roshi e il monaco benedettino fratello David Steindl-rast sono figure di primo piano nel dialogo tra buddismo e cristianesimo.
Robert Aitken è il direttore della Diamond Sangha, una comunità zen con base nelle isole Hawaii e centri affiliati in altri Paesi. Avendo conosciuto lo zen in un campo di prigionia giapponese nel 1945, egli viene considerato oggi, all’età di 73 anni, il decano dei praticanti zen americani. Tra i suoi libri, ricordiamo Taking the Path of Zen e The Mind of Clover.
Fratello David Steindl-rast si è laureato in Psicologia sperimentale all’Università di Vienna. Studioso dello zen da molti anni e conferenziere noto in tutto il mondo, trascorre la maggior parte del tempo all’Immaculate Heart Hermitage (L’Eremo del Cuore Immacolato) di Big Sur, in California.
Nel gennaio 1991 questi due vecchi amici hanno svolto insieme un ritiro di cinque giorni in una capanna isolata nell’Isola Grande delle Hawaii, sedendo in meditazione e discutendo su una lista di interrogativi stilata da fratello David. Le loro riflessioni sono state registrate dal monaco Kieran O’Malley.
“Tricycle” ha chiesto alla dottoressa Diane Shainberg di approfondire la discussione tra Fratello David e Aitken Roshi sull’autorità e lo sfruttamento. Psicoterapeuta che vive e lavora a New York, la dottoressa Shainberg è autrice di Healing in Psychotherapy: The Process of Holistic Change. È stata l’insegnante di molti terapisti e nel suo lavoro di psicoterapeuta integra gli insegnamenti buddisti. Esperta studiosa dello zen e delle tradizioni tibetane, Shainberg attualmente è allieva di Tilak Fernando, un maestro buddista dello Sri Lanka.
Il brano seguente era preceduto, nell’originale, da una discussione sul conflitto tra l’aspirazione all’egualitarismo e la necessità di un’autorità che trasmetta gli insegnamenti spirituali. Da tale discussione è emerso che questo conflitto non rappresenta un problema soltanto nelle comunità buddiste dell’America settentrionale che stanno cercando di assimilare gli insegnamenti orientali, ma anche nelle comunità cristiane. Fratello David, a questo punto, ha chiesto ad Aitken Roshi di dire qualcosa sull’importanza della figura dell’autorità nella pratica spirituale:
Robert Aitken Roshi: Una volta qualcuno ha suggerito un modello radicale di ritiro per Koko An (il nostro centro zen a Honolulu): in esso la gente assumeva a turno la funzione del “roshi”, il maestro. Lo ritengo un suggerimento sbagliato. L’apprendimento, in un contesto di profonda ricerca in cui l’autoinganno è facilissimo, richiede transfert e fiducia. Uno studente può non comprendere la necessità di un’idea o un’azione particolari, ma se a consigliarla è un maestro di cui lo studente si fida, quest’ultimo è in grado di accettarla momentaneamente, lasciando che essa scenda in profondità dentro di lui.
Qualcuno deve reggere lo specchio e dire: “Guarda, questo è ciò che stai facendo, questo è ciò che stai dicendo”; oppure, semplicemente: “No, questo non può essere giusto”. La ragione alla base di ciò è che sia l’insegnante che lo studente sanno cosa è vero, ma lo studente non ne è ancora consapevole. Tuttavia, le persone che provano ancora risentimento verso i genitori o i nonni si trovano in difficoltà; appiccicano il volto del padre sull’insegnante e reagiscono di conseguenza. D’altro canto, se l’insegnante non è fedele al suo insegnamento e alla sua realizzazione, e approfitta del transfert per motivi egoistici, l’intera “sangha” o comunità è avvelenata.
Fratello David: So molto bene che ognuno di noi esercita un’autorità. Se dici: “Io non sono un’autorità”, devi stare attento a chiederti quante persone ti ritengono un’autorità, nonostante tutto.
Mi sto chiedendo se oggi la nostra nozione di autorità non è pericolosamente distorta. Il primo significato di autorità in un dizionario inglese è qualcosa come “Avere il potere di comandare”. Esercitare un potere sugli altri è di certo uno dei significati di autorità, ma il fatto che questo sia diventato il suo primo significato la dice lunga sulla nostra civiltà.
Il significato originario di autorità (e non sto parlando dal punto di vista etimologico) è il fornire, o l’essere, un esempio saldo per la conoscenza e l’azione. Usiamo il termine in questo senso quando diciamo: “Voglio un’opinione autorevole. Devo fare questa operazione o no?”. Allora, in un caso del genere, ci rivolgiamo all’autorità medica.
Chi fornisce frequentemente un esempio autorevole per la conoscenza e l’azione diventa un’autorità: quando ti ammali, la zia Emily ha sempre il rimedio giusto. Quando sei raffreddato, vai dalla zia Emily. In un paese, questo ruolo viene svolto dalla persona più anziana, dal portavoce o dal capo. Tutto va bene finché l’autorità costituisce un fondamento sicuro per la conoscenza e l’azione. Il problema sorge quando l’autorità non dà o non giustifica più questa fiducia, conservando però il potere: a questo punto, diventa autoritaria.
Come distinguiamo l’autorità legittima da quella autoritaria? A lungo mi sono arrovellato per questo dilemma, ma la risposta, una volta trovata, mi è sembrata ovvia: la persona autoritaria ti sottomette. Questo è l’unico modo in cui coloro che non occupano una posizione superiore possono stare sopra gli altri: sottomettendo questi ultimi.
L’autorità autentica e legittima ti eleva, innalzando la tua conoscenza e la tua capacità di agire correttamente. Essa ti porta verso l’alto, aumentando la tua sicurezza in te stesso e conferendoti più potere. Per cui, la grande responsabilità di ognuno è mettere in dubbio l’autorità. Sto parlando di una critica rispettosa, onesta e franca dell’autorità. Questo è un nostro dovere, non solo un nostro privilegio. È questo che tiene l’autorità sulla strada giusta. Chiunque abbia esercitato un’autorità sa quanto è difficile evitare atteggiamenti autoritari. Dobbiamo essere molto grati a coloro che mettono in dubbio la nostra autorità, permettendoci così di restare sulla retta via.
Aitken Roshi: Naturalmente, oltre a tutto ciò, c’è la questione dell’abuso, compreso lo sfruttamento degli studenti da parte dei maestri. Negli ultimi venti anni, questo è stato un grande problema nei centri buddisti – zen, theravada e tibetani – degli Stati Uniti. Negli ultimi otto anni, non c’è stato praticamente alcun centro immune dagli scandali. Chiaramente, qualcosa è andato storto, qualcosa che per molto tempo non sono riuscito a identificare. In questi recenti casi di abusi sessuali e di sfruttamento della fiducia degli studenti sono coinvolti amici e colleghi con cui ho lavorato nel passato. Ma la questione per me era difficile, perché personalmente non ero in grado di affrontarla. Non avevo mai avuto queste tentazioni. Ovviamente, c’erano state delle studentesse che ritenevo sessualmente attraenti, ma semplicemente non ho mai fatto il primo passo.
A ogni modo, il fatto che non potessi affrontare l’argomento mi ha spinto al silenzio, anche perché non riuscivo a condannare e ad avere un atteggiamento distaccato verso questi amici. Allo stesso tempo non riuscivo davvero a capire cosa stesse succedendo loro. Sapevo per certo che avevano provato la stessa attrazione sessuale che avevo provato anche io, ma non riuscivo a capire come avessero potuto spingersi più in là. Per cui io, e la Diamond Sangha in generale, abbiamo accolto le persone che scappavano da questi centri, ferite dal comportamento dei loro maestri.
Di recente, in un articolo che ho scritto per “Blind Donkey”, ho preso spunto dalla metafisica e l’esperienza buddiste per chiarire quali devono essere le basi della fiducia, nel contesto del transfert, tra insegnanti e discepoli. Ho anche tratto spunto da ciò che ho visto nei miei maestri, che erano al di sopra non solo dell’abuso sessuale, ma anche di qualsiasi tradimento in generale. Non riesco a ricordare alcun caso in cui sono stato “sottomesso” da qualcuno di questi quattro maestri: Senzaki, Nakagawa, Yasutani e Yamada. Ovviamente, la relazione maestro-studente è delicata, e talvolta i sentimenti vengono feriti. Ma un “tradimento” potrebbe anche essere semplicemente un fraintendimento di scarsa importanza o una sorta di incomprensione tra culture.
Concludevo l’articolo dicendo che i veri maestri hanno quasi sempre riconosciuto che la sangha è una famiglia e che il maestro occupa la posizione archetipica del padre o della madre, e che quindi il tradimento sessuale, la seduzione di uno studente da parte del maestro, equivale a un incesto. Ho scritto tutto ciò in questo articolo, cercando di evitare la posizione tipo “io sono più santo di te”, ammettendo che per me è difficilissimo tenere fede ai precetti. Inoltre, riconoscevo che, mentre criticavo questi gravi errori altrui, ero consapevole dei miei, in altri campi. Il mio primo amico zen, R. H. Blythe, una volta mi ha detto: “Quando vengo accusato di qualcosa che non ho commesso, mi inchino riconoscendo tutto ciò che ho commesso davvero”.
Fratello David: La gran parte di ciò che hai detto su questo argomento sembra ruotare intorno al tema dell’incesto. Ma qualcuno potrebbe chiedere: “Cosa c’è di sbagliato nell’incesto?”, senza dare per scontata la risposta.
Aitken Roshi: In una rivista letteraria ho visto un annuncio, probabilmente inserito da qualche studioso, che invitava coloro che avessero avuto esperienze sessuali positive con i genitori o i parenti a raccontare la propria storia. Questo ci fa capire che qualcuno può anche ritenere positive tali esperienze.
Non è una questione di bianco o nero. La seduzione deliberata di una donna – approfittando della sua fiducia – nel contesto del transfert è sicuramente un errore. Ma tutti conosciamo matrimoni felici cominciati come relazioni tra un insegnante e una studentessa in un college, o tra psicologo e cliente. In questo caso, se la parte dominante (l’insegnante o lo psicologo) pensa che il cliente o lo studente sia qualcuno con cui vuole trascorrere il resto della propria vita, può mettere da parte il transfert.
Fratello David: Non è un processo facile.
Aitken Roshi: Non è affatto un processo facile. Ma è stato fatto con successo. Ciò di cui sto parlando qui, e che è la causa di tanti dolori e lamentele, è lo spietato sfruttamento sessuale dei clienti o degli studenti.
Fratello David: Sfruttamento è la parola chiave. Ho posto la domanda sull’incesto perché (come anche la tua risposta ha messo in evidenza) ciò che rende un incesto un incesto non è l’intimità sessuale tra figli e genitori, ma il contesto all’interno del quale essa avviene. Non sto parlando di rapporti sessuali completi tra figli e genitori, ma di ciò che alcuni amici mi hanno descritto e che conosco dalla mia esperienza di psicologo. Io affermo senza esitazioni che alcune forme di intimità tra figli e genitori, che a certe persone potrebbero apparire incestuose, possono essere estremamente utili. Ho tirato in ballo questo argomento non solo perché hai dato tanta importanza all’incesto (e questa è una parola fondamentale in tale contesto), ma anche perché ritengo tutta la nostra società sessualmente perversa. Tale perversione si manifesta non solo nelle aberrazioni e nello sfruttamento sessuale, ma anche nel loro opposto, nell’aberrazione ugualmente folle di un pudore eccessivo.
Non sono certo un sostenitore delle violenze sui bambini, ma non lo sono nemmeno della campagna stampa in atto contro tali violenze. Capisci di cosa sto parlando?
Aitken Roshi: Quelli che dobbiamo riconoscere sono gli archetipi profondi insiti in una relazione incestuosa.
Fratello David: I genitori di cui sto parlando hanno relazioni sane con i loro bambini, ma allo stesso tempo sono molto rispettosi. Tuttavia, la nostra società è diventata tanto sensibile a qualsiasi intimità fisica tra genitori e bambini che oggi tantissimi nonni non vogliono più nemmeno vedere i nipoti. Qualsiasi carezza può essere interpretata, dai genitori o dai vicini, come violenza sui bambini. I nonni non riescono più ad abbracciare o accarezzare i nipoti; non possono mostrarsi affettuosi, teneri e delicati. L’intero business della pornografia ha fatto meno danno alla nostra società di questa isteria scandalistica. Di questo sono fermissimamente convinto.
Aitken Roshi: Naturalmente, i genitori e i nonni che si sentono liberi di avere intimità fisica con i propri bambini rispettano una certa linea oltre la quale non si spingono.
Fratello David: Assolutamente. Ma vorrei ancora approfondire i motivi per cui definisci sbagliata la relazione tra studente e insegnante spirituale usando questa nozione dell’incesto. Suggerirei che una delle importanti funzioni psicologiche delle relazioni sessuali è l’accertare il grado di appartenenza. In che misura mi appartieni davvero? Le avance sessuali sono un modo inconscio per verificare ciò. Quando l’appartenenza reciproca è certa al di là di ogni dubbio – cioè è data a un livello molto più elevato o profondo – la verifica a livello fisico diventa inappropriata.
Questo è il motivo per cui definirei totalmente inappropriata la relazione sessuale tra genitori e figli o tra fratelli: perché l’appartenenza accertata in questo modo è di gran lunga superata dalla relazione già esistente all’interno della famiglia.
In una famiglia sana, l’appartenenza reciproca che potrebbe essere accertata sessualmente è già data al di là di ogni dubbio. Ciò spiega, fino a un certo punto, la diffusa regola sociale secondo cui bisogna sposarsi al di fuori del proprio clan e del proprio paese.
Questo si applica anche alla relazione maestro-studente. Di nuovo, l’appartenenza che viene verificata sessualmente è superata di molto da quella già esistente. Tra l’altro, in questo modo si comprende anche perché sono inappropriate le relazioni sessuali in una comunità in cui vige il voto di castità: non perché c’è qualcosa di sbagliato nel sesso, ma perché verificare quanto strettamente “mi appartieni” è totalmente inappropriato in questa intima comunità. Non faremmo parte di questa comunità se non appartenessimo gli uni agli altri in un senso molto più profondo di quello che può essere accertato per via sessuale.
Aitken Roshi: Ciò che stai dicendo è che il sesso nei suoi aspetti spirituali (ma anche nel suo aspetto fisico) è un’unità con l’altro, e un membro della famiglia non è un altro. La figura paterna dello psichiatra o del maestro zen non è l’altro. Nemmeno il fratello è l’altro. E quindi ciò che stiamo facendo qui è temperarci a un livello fondamentale, con i modelli più profondi dell’uomo.
“Tricycle” chiede alla dottoressa Diane Shainberg: Il fratello David Steindl-rast ci invita a chiederci onestamente “cosa c’è di sbagliato nell’incesto?”. La risposta più comune ruota intorno allo sfruttamento. Conosci qualche caso in cui l’incesto può essere salutare, reciprocamente benefico o avvenire senza sfruttamento?
Diane Shainberg: No. Il padre è una figura idealizzata, qualcuno che la figlia guarda alzando gli occhi, e i cui valori e ambizioni possono essere da lei usati come modelli. È impossibile spezzare tutte le convenzioni e fare ancora in modo che la figlia si senta supportata.
Tricycle: Perché hai dato per scontato che stavamo parlando di padre e figlia, come se questo fosse l’unico incesto possibile?
Diane Shainberg: Non lo è, ma in terapia ci sono più donne che uomini. E più donne tirano fuori questo argomento. Gli uomini che hanno sofferto sono molti, ma il rapporto tra uomini e donne che vanno in terapia è probabilmente di uno a tre. Per cui, questo è ciò che il terapista si sente dire. E questo è ciò di cui Aitken Roshi e fratello David hanno parlato.
Tricycle: Esistono esempi di relazioni studente-maestro che si sono dimostrate benefiche per lo studente?
Diane Shainberg: Non ho mai visto nulla che definirei nemmeno lontanamente benefico. Nulla. Ipoteticamente, se una donna è già in contatto con le sue sensazioni corporee ed ha realizzato i suoi desideri e bisogni, allora forse può trattarsi di una scelta. In tale situazione, la persona non è alla ricerca di un oggetto trasformazionale, né sta cercando di trasformarsi attraverso una relazione umana. Sta invece cercando di giocare, amare, creare, divertirsi con un maestro spirituale. Io, però, non ho mai incontrato una persona del genere. La pratica spirituale offre un accesso allo spazio interiore. Il semplice sedersi a meditare permette alla gente di creare uno spazio tranquillo, dando a essa una volta ancora una possibilità di guarigione che consiste nell’accesso ai propri pensieri, sensazioni, immaginazioni, fantasie e sentimenti.
Tricycle: È possibile che il terapista senta parlare di una dinamica psicologica che in realtà non è più o meno complessa, o piena di ambivalenza di una qualsiasi dinamica tra amanti?
Diane Shainberg: Sì e, paradossalmente, no. Tutte le persone che vanno dalla psicoterapeuta parlano della propria esperienza. Per le donne che hanno avuto relazioni sessuali con un insegnante spirituale, l’esperienza consiste in un senso di tradimento, confusione e perdita di contatto con i propri sogni. Queste donne sentono di non avere il coraggio di entrare in se stesse o di comprendere ciò che è avvenuto.
Devo chiedermi – e qualche volta lo faccio anche per me stessa – cosa porta molte persone alla pratica spirituale. Voglio dire: perché scelgono questo cammino? E quindi, una volta che stai parlando di un’altra possibile figura trasformazionale, ecco comparire una sorta di magica aspettativa su quella persona. In chi è stato ferito o trascurato, la speranza di una trasformazione è molto grande. È improbabile che le persone comincino una pratica spirituale senza un motivo psicologico. Quindi, non sono sicura che ciò che ho visto accade solo nell’ufficio del terapista. La pratica spirituale è un mezzo – come tutte le cose – per trovare ciò di cui abbiamo bisogno per guarire e anche per rivivere le antiche ferite. La cosa interessante è il modo in cui lo studente o la studentessa rivive con il maestro le proprie vecchie ferite. È esattamente la stessa cosa del transfert; non ci sono differenze. Tuttavia, nel paradigma terapeutico, quelle ferite, quella danza viene guidata, contenuta, valutata, osservata e permessa dal terapista, mentre nella pratica spirituale quelle stesse ricostruzioni prendono il posto delle antiche ferite, e la funzione del maestro è (secondo me) quella di aiutare la persona a trascendere l’intero processo psicologico.
Tricycle: Non metto in dubbio la tua esperienza di terapista, e posso capire una coerente presa di posizione etica riguardo il rapporto maestro/studente, ma trovo difficile credere che qualsiasi dinamica sessuale venga sperimentata con la stessa concordanza che suggerisci, o sia del tutto priva di ambivalenza.
Diane Shainberg: È difficile vedere il sesso fuori dalla dimensione dei propri bisogni personali. In quel caso, non so nemmeno se lo definirei sesso. Potrei chiamarla comunione, comunione sessuale. Ma i casi di rapporti sessuali tra maestro e studente che conosciamo non sembrano esperienze trascendenti.
Tricycle: Nessuno può essere descritto come una comunione sessuale?
Diane Shainberg: Mai. In tutti i casi, la donna non è riuscita a capire ciò che stava avvenendo, né era in contatto con i propri bisogni e desideri. Si era rivolta all’autorità per trovare una convalida di sé, ma questo non è successo. È stata trasformata in un oggetto sessuale e alla fine ha avuto la sensazione di essere stata abbandonata, non solo dall’autorità (il maestro spirituale), ma anche dalla sangha e, alla fine, da se stessa. I suoi bisogni, desideri, pensieri e sentimenti sono stati negati dal maestro, dal padre, da se stessa, per cui era diventato impossibile trovare conforto in se stessa. Le donne che hanno avuto rapporti sessuali con il maestro spirituale non riuscivano a essere in pace con se stesse prima di tale esperienza, né ci riescono dopo. E ciò vuol dire che la notte non riescono a dormire, non sono in grado di sognare e non riescono ad avere fiducia negli altri.
Tricycle: Data la concordanza delle tue esperienze, su cosa basi la tua affermazione sulla possibile esistenza di una comunione sessuale? Qual è la fonte di questa unione idealizzata?
Diane Shainberg: L’evoluzione della consapevolezza umana. Da ciò che sappiamo della nostra intima, personale esperienza spirituale, la fonte della sofferenza non si esaurisce praticamente mai. Non cesseremo mai di respirare e non smetteremo mai di arrabbiarci. È solo una questione di gradazioni. Alla fine, dovremo trascendere tutti i nostri tipi di dolore psicologico. Nella pratica spirituale, possiamo imparare a farlo. Quindi, potrei dire che una volta che riesco a praticare la trascendenza, ad accettare il dolore, la sofferenza, le aspirazioni, la confusione; una volta che riesco ad accettarmi psicologicamente e a capire di cosa ho bisogno e cosa desidero; una volta che riesco ad accettare il mio mondo interiore con tutte le sue vicissitudini, allora sono pronta a fare qualcosa che si chiama trascendenza; allora non mi aspetto di guarire completamente dal mio dolore, dalla mia rabbia o dai miei sentimenti interiori. In altre parole, ricaviamo questa idea della comunione spirituale da persone che hanno conosciuto a fondo la propria realtà psicologica, accettandola. E quelle sono le persone in grado di fare la pratica della trascendenza. Questi individui esistono, non ne ho alcun dubbio; è solo che le donne di cui stiamo parlando, e che ho conosciuto, non si trovano in quello spazio.
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Robert Aitken. Taking the Path of Zen. North Point Press. 1985. ISBN: 0865470804
David Steindl-Rast. Gratefulness: The Heart of Prayer. Paulist Press. 1990. ISBN: 0809126281
Originalmente pubblicato su Tricycle magazine, www.tricycle.com
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini
Copyright per l’edizione Italiana: Innernet.
Evviva la trascendenza. Fedele compagna di viaggio non si scoraggia mai. Quando l’ascesa sembra impossibile sorregge e dà la forza per continuare. Nella mia esperienza ho imparato la trascendenza con un insegnamento olistico. Non ho bisogno di fare niente. Quando è necessaria si manifesta. Grazie non conoscevo i personaggi riportati.