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tibetan_bell.jpgIn Asia, come prima cosa, i monaci anziani interrogano colui che ha espresso il desiderio di prendere gli ordini, esaudendo la richiesta solo se pensano che la persona sia sufficientemente preparata ed esiste un luogo in cui possa ricevere un’adeguata formazione monastica. In occidente viviamo in una società profondamente non-monastica e non-contemplativa. Cominciare profonde pratiche contemplative e adottare lo stile di vita monastico senza un contesto adeguato provoca molti problemi.

B. Alan Wallace ha studiato per dieci anni in monasteri buddisti in India e Svizzera. Insegna teoria e pratica buddista in Europa e in America dal 1976, e ha fatto da interprete a numerosi insegnanti tibetani, tra cui Sua Santità il Dalai Lama. Autore del libro Buddhism with an Attitude (Snow Lion Publication), Wallace ha collaborato a più di trenta libri sul buddismo, la medicina, il linguaggio e la cultura tibetani. Attualmente insegna al Dipartimento di Studi Religiosi dell’Università della California, a Santa Barbara. Questa intervista, fatta da Brian Hodel, è stata già pubblicata in forma ridotta su “Snow Lion”, la newsletter della casa editrice Snow Lion.

Brian Hodel: I maestri buddisti tibetani hanno dovuto fare dei cambiamenti per adattarsi alla fiorente comunità di studenti occidentali?

Alan Wallace: In Asia – in India, nel Nepal, nel Sikkim e nel Bhutan, per esempio – alla fine degli anni sessanta, o dei primi anni settanta, i lama hanno cominciato a tenere pubblici insegnamenti rivolti innanzitutto alla comunità tibetana, ma dove gli occidentali sono sempre stati benvenuti, a meno che gli insegnamenti non fossero molto elevati, come, per esempio, quelli tantrici. Ma anche in quel caso, se gli occidentali avevano i requisiti necessari, se avevano ricevuto le iniziazioni appropriate o erano stati invitati a partecipare dai loro stessi lama, erano benvenuti. Esistono molti monasteri tibetani, nel sud dell’India, dove l’insegnamento è aperto agli occidentali.

Brian Hodel: E in occidente?

Alan Wallace: In occidente, quando i lama tibetani offrono insegnamenti, il formato è diverso, perché spesso questi lama sono in viaggio. Per loro è frequente tenere seminari di una fine settimana o conferenze di una sera. Oppure, se si fermano più a lungo in un luogo, concedono un ritiro di una o due settimane. Ma nella maggior parte dei casi, gli eventi hanno durata limitata. Poi, ci sono dei lama residenti in determinati centri, dove vengono offerti corsi prolungati.

Brian Hodel: Nell’ambiente monastico, gli insegnamenti seguono un ordine coerente. Qual è l’effetto degli insegnamenti, al di fuori di questo contesto?

Alan Wallace: In occidente, è molto comune che un lama arrivi in una città e dia un’iniziazione al buddismo tantrico e un weekend di insegnamenti esoterici sulle pratiche di visualizzazione o sui modi per sperimentare uno stato di pura consapevolezza. Nella gran parte dei casi, ciò che manca è il contesto profondo: il contesto teorico, della fede, di una matura comunità spirituale. Questi insegnamenti sono perfettamente tradizionali, ma vengono inseriti in un contesto radicalmente non tradizionale. E ciò, penso, ha condotto in molte occasioni a un enorme fraintendimento e a molta inutile inquietudine, confusione, sofferenza e conflittualità.

Brian Hodel: Per Il buddismo tibetano in occidente 1.jpgesempio?

Alan Wallace: Verso la fine degli anni settanta, alcuni ottimi lama sono venuti negli Stati Uniti per tenere degli insegnamenti avanzati. Diversi occidentali, ragazzi e ragazze, sono rimasti entusiasti di questi lama, e in parecchi hanno preso i voti in quel momento, su due piedi, al di fuori di qualsiasi contesto: ovvero senza un monastero, un abate e un procuratore che spiegasse loro il significato dei voti, aiutandoli ad assimilarli e applicarli nella vita quotidiana. Penso che la grande maggioranza di loro, se non tutti, alla fine ha abbandonato i voti, perché non esisteva il contesto giusto e perché li avevano presi senza sapere bene cosa stavano facendo.

Brian Hodel: Se un gruppo di persone avesse voluto prendere gli ordini su due piedi in Asia, i lama avrebbero acconsentito? Mi sembra una cosa sbagliata, in entrambi i contesti.

Alan Wallace: In Asia, come prima cosa, i monaci anziani interrogano colui che ha espresso il desiderio di prendere gli ordini, esaudendo tale richiesta solo se pensano che il futuro monaco o la futura monaca è sufficientemente preparato/a ed esiste un luogo in cui i novizi possono ricevere un’adeguata formazione monastica. Qui, in occidente, viviamo in una società profondamente non-monastica e non-contemplativa. E quindi, cominciare queste profonde ed esoteriche pratiche contemplative e adottare lo stile di vita monastico senza un contesto adeguato provoca molti problemi. E non sono sicuro che questo fatto sia stato ponderato a sufficienza da molti lama che di fatto vivono in Asia e occasionalmente vengono in occidente per qualche settimana. Sembra che essi pensino che, siccome ciò che stanno dando fa parte della tradizione, verrà ricevuto in modo tradizionale. Ma in molti casi, semplicemente non è così.

Brian Hodel: Stai dicendo che questo gruppo di lama che ha dato l’ordinazione non era consapevole del fatto che quelle persone non disponevano di alcun contesto?

Alan Wallace: Che il contesto non esistesse, era abbastanza ovvio. Quindi, su quale fondamento logico questi lama hanno concesso gli ordini e impartito insegnamenti avanzati sulla meditazione? Ho sentito alcuni lama dire: “Sto gettando semi, ed è meglio che la gente conosca il buddismo imperfettamente, che non lo conosca affatto”. E, per riprendere una parabola evangelica, alcuni semi cadranno sulle rocce e saranno mangiati dagli uccelli, mentre altri cadranno sul terreno, riceveranno nutrimento e germoglieranno. Potrebbe trattarsi di una piccola minoranza di coloro che seguono gli insegnamenti, ma per alcune persone questi ultimi getteranno i semi di una pratica spirituale appagante e prolungata, che li farà maturare e porterà beneficio a loro stessi e gli altri. E per quanto riguarda le altre persone e il fondamento logico dei lama, ho sentito alcuni di loro dire che almeno queste persone erano entrate in contatto con il dharma.

Brian Hodel: Esistono altri esempi più recenti di questo problema?

Alan Wallace: La mia sensazione è che le iniziazioni, le pratiche e i voti del buddismo tantrico vengono spesso concessi troppo indiscriminatamente. Tutte queste pratiche comportano un serio impegno, e se persone con poca o nessuna conoscenza di base del buddismo prendono tali voti, è possibile che provino disincanto o confusione.

Brian Hodel: Perché non attenersi semplicemente agli insegnamenti basilari, fondamentali? Perché gli insegnamenti elevati vengono impartiti addirittura a mo’ di introduzione?

Alan Wallace: Penso che la risposta sia molto semplice: se i lama si limitassero a insegnare argomenti come la disciplina etica, la rinuncia e la pratica della gentilezza amorevole e della compassione, poca gente sarebbe attratta. Prima di partire, i lama chiedono spesso che tipo di insegnamenti vogliono sentire gli occidentali, e frequentemente la risposta è: quelli avanzati. Per esempio, sullo dzogchen o il mahamudra, che trattano l’esplorazione della natura della consapevolezza pura e concettualmente non strutturata, o della propria interiore natura di Buddha. Per compassione e per desiderio di esaudire i desideri altrui, molti lama accondiscendono. Forse la loro logica è che le persone trarranno probabilmente più beneficio ascoltando qualcosa cui sono davvero interessate, piuttosto che nell’ascoltare preziosi insegnamenti verso cui non hanno interesse. In questo ultimo caso, è probabile che le persone non verrebbero affatto.

Quindi, abbiamo una situazione commerciale di domanda e offerta, molto diversa dalla scena del dharma in Asia. In occidente, gli insegnamenti sono pubblicizzati e se ne ricava un profitto. Quindi, che ci piaccia o no, nella grande maggioranza dei casi c’è un aspetto commerciale negli insegnamenti. E anche se i lama hanno ricchi benefattori che si prendono cura di loro, qualcuno deve ancora pagare le spese di viaggio e l’uso del luogo di insegnamento. Questo è tutto quello che si può dire.

Brian Hodel: Ma non viene esercitato un richiamo verso l’ego? Io potrei richiedere gli insegnamenti più elevati perché voglio conseguire la realizzazione il prima possibile. Che valore hanno, però, gli insegnamenti più elevati se non ho assorbito quelli fondamentali? Non è come gettare semi sulle rocce?

Alan Wallace: Nella mia esperienza, i lama che desiderano impartire questi insegnamenti avanzati sottolineeranno molto l’importanza degli insegnamenti e delle pratiche fondamentali, per esempio quelli che riguardano l’esercizio della rinuncia e della compassione. Uno dei miei insegnanti, Gyatrul Rinpoche, ha spesso impartito insegnamenti avanzati sul mahamudra e lo dzogchen, ma ripetendo in continuazione questo messaggio: “Sì, questi sono gli insegnamenti profondi. Sì, possono essere molto utili per la vostra pratica. Allo stesso tempo, non tralasciate gli insegnamenti fondamentali, perché questi ultimi sono quelli che con più probabilità, ora, provocheranno un miglioramento nella vostra mente e nella vostra vita”. Gyatrul Rinpoche ha insegnato per più di due decenni negli Stati Uniti. Egli sottolinea ancora l’importanza degli insegnamenti fondamentali, ma a volte gli studenti si lamentano di conoscerli già e di non volerli più sentire. In molti casi, anche se questi studenti non hanno compreso gli insegnamenti fondamentali attraverso la pratica, li hanno uditi e più o meno compresi intellettualmente. Ma a causa della consuetudine hanno perso interesse in tali insegnamenti e non desiderano più praticarli; vogliono qualcosa di nuovo, di profondo, che prometta quel tipo di trasformazione spirituale che non hanno ancora raggiunto.

Come Gyatrul Rinpoche ha spesso detto, non è che i lama non vogliono farci ascoltare o praticare questi insegnamenti più elevati. Semplicemente, non vogliono che li facciamo al posto degli insegnamenti fondamentali, perché in quel caso non ne trarremo beneficio. E poiché allo stesso tempo trascuriamo le pratiche basilari, non impariamo davvero nulla. Il consiglio che ho udito e fatto mio è che dobbiamo tenere i piedi sulla terra degli insegnamenti fondamentali, raggiungendo il cielo grazie agli insegnamenti più avanzati.

Brian Hodel: Se molti studenti occidentali ricevono gli insegnamenti più elevati all’inizio, ma dopo devono tornare a quelli fondamentali, non è controproducente?

Alan Wallace: Può esserlo di sicuro!

Brian Hodel: Non sembra qualcosa di molto efficiente.

Il buddismo tibetano in occidente 2.gifAlan Wallace: Nel complesso, non penso che ci sia molta efficienza nel modo in cui gli insegnamenti vengono impartiti o praticati in occidente, anche se noi, essendo una società consumista e orientata sugli affari, diamo una grande importanza all’efficienza. Inoltre, in occidente, molti lama dei vari ordini del buddismo tibetano passano da una città all’altra tenendo eventi di una fine settimana. Questo vuol dire che in un weekend hai la possibilità di venire in contatto con un miscuglio di insegnamenti e iniziazioni, e la tua conoscenza del buddismo si fa episodica. È come andare a un buffet: prendi ciò che trovi, senza ordine, continuità né sviluppo progressivo. È qualcosa di estremamente inefficiente. Questo può fare di molte persone dei dilettanti, perché dà loro un assaggio del buddismo e le fa passare da un’esperienza all’altra, senza acquisire competenza in nulla.

Questa mancanza di continuità è dovuta, in parte, a una mancanza di pazienza. Poiché siamo una società consumista, vogliamo risultati rapidi. In certa misura, è questo che intendiamo con efficienza. Se ascoltiamo un insegnamento, vogliamo vedere i risultati entro un weekend, o almeno entro una settimana! E alcuni insegnanti vogliono venire incontro a questo tipo di mentalità. Ho persino visto pubblicità di eventi di buddismo tibetano che assomigliano alle aggressive pubblicità di Madison Avenue.

Il risultato è che molti lama in genere considerano gli occidentali – con poche, ottime eccezioni – impazienti, superficiali e incostanti. E nella società tibetana, l’incostanza è considerata uno dei vizi peggiori, mentre l’affidabilità, l’integrità, la credibilità e la perseveranza sono tenute in altissima considerazione. Per cui, oggi, alcuni dei lama migliori si rifiutano perfino di venire in occidente, perché preferiscono insegnare ai tibetani in Asia o andare semplicemente in ritiro a meditare. Alcuni ritengono – data la brevità e la preziosità della vita umana – che dedicare il tempo a gente tanto incostante e di poca fede vorrebbe dire sprecarlo.

Brian Hodel: Oltre all’inefficienza di questi “insegnamenti-buffet”, non c’è anche il rischio che la gente scelga pezzi qui e là per costruirsi una “scala per il paradiso” di proprio gradimento?

Alan Wallace: C’è questo pericolo, sì. Ma credo che bisogna sempre trovare il giusto mezzo. Un estremo è quello che hai appena suggerito, l’individualismo: “So cosa va bene per me! Sceglierò quello che mi piace”. Questo è come un bambino che va al ristorante e dice: “Prendo solo quello che ha un buon sapore”.

Il problema di questo atteggiamento è che, dopotutto, ci stiamo volgendo al dharma perché non siamo illuminati, non perché lo siamo già. Se non siamo illuminati, vuol dire che viviamo nell’illusione: questo è il tema centrale del buddismo. E quindi, una persona ignorante e vittima delle illusioni dice: “Mi metto al di sopra della tradizione, delle sue regole e della sequenza di pratiche che gli esseri illuminati offrono da molte generazioni”.

L’altro estremo è un dogmatismo che prescinde totalmente dall’esperienza concreta della pratica del dharma. Generazioni di tibetani hanno elaborato strategie, insegnamenti, rituali e sequenze di pratiche specificatamente per i tibetani. Non si sono limitati a replicare il buddismo indiano. Sono sicuro che hanno conservato il nucleo, l’essenza di quest’ultimo. Ma la loro è anche una tradizione che si è modificata nei secoli per adattarsi meglio alla mentalità, l’ambiente e i costumi tibetani. Ebbene, quello che conta sono i fatti, e il risultato è stato una generazione dietro l’altra di grandi maestri tibetani. Pensiamo a Padmasambhava, Sakya Pandita, Milarepa, Tsong-kha-pa, fino al ventesimo secolo: la tradizione ha funzionato!

Davanti a tale successo, si può concludere che, poiché hanno funzionato per i tibetani, noi occidentali dobbiamo fare nostre le tradizioni e gli insegnamenti puri del Tibet, introducendoli a Los Angeles o New York City esattamente come vengono insegnati laggiù. Ma la ragione per cui quegli insegnamenti vengono considerati puri è perché hanno funzionato in Tibet. La domanda è: funzioneranno ancora? Se quegli stessi insegnamenti, nello stesso formato, senza adattamenti per l’occidente, vengono trapiantati in Europa o in America, ignorando le differenze del contesto culturale e senza vedere se producono gli stessi meravigliosi effetti e trasformazioni nei praticanti occidentali, il risultato può essere qualcosa di rigido, fondamentalista e dogmatico.

Se non producono gli stessi benefici… Se dopo trenta anni di buddismo tibetano in occidente, non abbiamo persone che sono ascese sul cammino dell’illuminazione, sviluppando stati di profonda concentrazione meditativa, intuizione contemplativa e intensa compassione, e scoprendo le molte meravigliose risorse della consapevolezza stessa, forse dobbiamo porci la domanda: gli insegnamenti che hanno funzionato per i tibetani sono ugualmente efficaci per gli occidentali? Oggi abbiamo adepti occidentali paragonabili ai venticinque discepoli principali di Padmasambhava, che raggiunse stati straordinari di realizzazione spirituale?

Se i discepoli occidentali contemporanei, che apparentemente stanno facendo le stesse pratiche dei loro predecessori tibetani, non stanno conseguendo una realizzazione paragonabile, bisogna chiedersi in che modo questi insegnamenti e pratiche vanno cambiati nel formato, la sequenza e il contesto. Fino a che punto le teorie devono avviare un dialogo con le idee occidentali? Portare le idee, la meditazione e lo stile di vita buddista a dialogare con le concezioni scientifiche e filosofiche dell’occidente, con i suoi valori e punti di vista: questo è qualcosa che relativamente pochi lama tibetani stanno facendo, in misura significativa.

Dopo tutto, in occidente esiste una civiltà. E venire qui come se non avessimo alcuna civiltà, come se gli insegnamenti andassero calati su una “tabula rasa” culturale, non è ragionevole. Questo è l’altro estremo, in cui gli insegnanti proclamano: “Noi abbiamo gli insegnamenti puri!”, senza nemmeno chiedersi se quei cosiddetti “insegnamenti puri” producono davvero buoni risultati, o se stanno solo creando fondamentalisti rigidi, arroganti ed elitari, che dichiarano: “Noi possediamo l’unica via!”. Per le proporzioni che questo fenomeno sta assumendo in occidente, mi sembra che il buddismo si stia rapidamente trasformando in un pezzo da museo, o peggio.

Brian Hodel: In quali proporzioni sta succedendo?

Il buddismo tibetano in occidente 3.jpgAlan Wallace: Temo che sia qualcosa di piuttosto comune, specialmente negli ambienti del dharma in cui gli studenti devono ascoltare silenziosamente gli insegnamenti del lama, accettandoli e mettendoli in atto senza discutere. Quando agli studenti viene data l’idea che il lama è infallibile e che qualsiasi problema o incertezza è solo colpa loro, abbiamo una ricetta per il fondamentalismo. Ho sentito alcuni avidi studenti del dharma rispondere a qualsiasi obiezione sull’ortodossia del loro centro del dharma con la frase: “Ma il lama dice…”, come se questa fosse la soluzione a tutti i problemi.

Brian Hodel: Cosa c’è tra questi estremi, allora?

Alan Wallace: Una soluzione è un dialogo ravvicinato e rispettoso tra discepoli occidentali e insegnanti tibetani. Se questi ultimi non conoscono già l’occidente, bisogna cercare di informarli sul luogo in cui stanno venendo, su quali valori, stili di vita e concezioni del mondo sono considerate la norma, qui. E dove c’è resistenza a ricevere i tradizionali insegnamenti tibetani, occorre cercare di capire perché c’è questa resistenza, se tali insegnamenti possono essere modificati o se gli occidentali hanno bisogno di insegnamenti preliminari prima di affrontare quelli più tradizionali. Occorre davvero molta creatività.

Prima delle radicali trasformazioni causate dall’invasione cinese nel 1949, i cambiamenti nella società tibetana avvenivano a un ritmo molto più lento che nell’occidente moderno. Lì esisteva una tradizione spirituale che stava producendo un elevato numero di contemplativi e studiosi di tutto rispetto, per cui non c’era bisogno di molte innovazioni. In quella situazione, si poneva l’accento sulla preservazione della tradizione, piuttosto che sull’ingegnosità. Ma ora che per il buddismo il contesto sociale in Asia sta cambiando tanto drammaticamente e rapidamente, per non parlare del buddismo in occidente, c’è bisogno di molto più equilibrio tra la preservazione e l’adattamento intelligente, e i tibetani e gli occidentali devono discutere insieme di queste cose.

Brian Hodel: I lama tibetani in occidente parlano di queste cose? Fanno domande sull’efficacia dei loro insegnamenti?

Alan Wallace: Devono esserci degli insegnanti – sia lama tibetani che buddisti occidentali – che prestano attenzione a ciò. Ma non ho sentito grandi dibattiti in proposito; questo è un argomento delicato. Se gli studenti non ricevono benefici profondi dalla pratica buddista, così come è stata loro insegnata secondo la tradizione tibetana, gli viene detto che il difetto è in loro e non negli insegnamenti, i quali sono puri e infallibili. Un’alternativa è non concludere che il buddha-dharma è difettoso, ma chiedere: all’interno della vasta gamma delle pratiche insegnate dal Buddha e successivamente dagli insegnanti indiani e tibetani, quali e in che sequenza possono essere insegnate agli studenti occidentali affinché questi ultimi ne ricavino il massimo beneficio?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo reintrodurre una dose massiccia di empirismo e pragmatismo, che sono perfettamente coerenti con gli insegnamenti del Buddha. E cosa aiuta davvero a purificare la mente, in modo che le afflizioni mentali diminuiscano, provocando appagamento, serenità, saggezza e compassione più grandi? Cosa funziona davvero?

Brian Hodel: Una volta hai detto che per la salute di una religione, specialmente del buddismo, è essenziale produrre continuamente contemplativi di professione, ovvero persone totalmente dedite alla vita contemplativa. Perché questo è importante?

Alan Wallace: Il Dalai Lama ha detto, in un’occasione, che nel buddismo esistono affermazioni straordinarie sul potenziale della consapevolezza umana e sui risultati raggiunti dai contemplativi del passato, tra cui la concentrazione meditativa, le intuizioni contemplative e una vasta gamma di capacità paranormali culminanti nell’illuminazione stessa. Il Dalai Lama ha paragonato questi racconti alla cartamoneta, che ha valore se la gente crede che dietro di essa esiste un sistema aureo. Il “sistema aureo” della cartamoneta di tali affermazioni buddiste è che le persone dell’attuale generazione raggiungano simili stati di realizzazione. Anche se solo un decimo dell’uno per cento della popolazione buddista conseguisse tale profonda realizzazione, vorrebbe dire che in ogni generazione esistono almeno alcuni individui che hanno raggiunto il “sistema aureo” degli insegnamenti. Se in una comunità buddista hai mezza dozzina di persone che hanno conseguito il samadhi profondo, mostrando notevoli capacità come risultato delle loro realizzazioni contemplative e raggiungendo alla morte il “corpo di arcobaleno”, lasciandosi dietro solo i capelli e le unghie, beh, è qualcosa di molto affascinante! Quindi, se vogliamo risvegliare l’aspirazione a conseguire queste realizzazioni elevate, abbiamo bisogno di esempi viventi. Non abbiamo molti esempi di occidentali, e possiamo chiederci se qualcuno di essi abbia mai raggiunto questi stati avanzati di realizzazione. E man mano che i lama anziani muoiono, ci si può chiedere anche se oggi esistono contemplativi asiatici che hanno raggiunto quegli stati. Altrimenti, la cartamoneta del buddismo sembrerà sempre più priva di valore.

Per conservare gli insegnamenti buddisti nella loro integrità, abbiamo bisogno sia di studiosi di professione che di contemplativi, ovvero di persone che si dedicano totalmente, con motivazioni pure, allo studio prolungato e alla pratica meditativa. E non solo per qualche mese, ma per tutta la vita. Inoltre, il laicato buddista deve dedicarsi al mantenimento dei monaci, delle monache e dei seri praticanti laici che desiderano assumersi tale impegno. Questo è stato un elemento chiave della fioritura del buddismo in Asia, ed è un errore pensare che in occidente possa avvenire altrettanto senza un impegno simile da parte degli insegnanti, gli studenti e la comunità buddista in generale.

Brian Hodel: A questo punto, secondo te, cosa può funzionare?

Alan Wallace: Come ho detto prima, in occidente viviamo in una società non-contemplativa in cui non esiste alcun contesto teorico, pratico o sociale per una profonda pratica buddista. Ma molte persone sono interessate ad approfondire la conoscenza sul buddismo, e naturalmente vorrebbero farlo nel modo più efficiente possibile. Secondo me, questo dimostra la necessità di centri educativi che offrano un’istruzione rigorosa e prolungata sui vari elementi della filosofia, la psicologia, l’etica, la meditazione ecc. del buddismo. Ma tali insegnamenti devono essere accompagnati da un dialogo con la civiltà occidentale, o almeno devono mostrare sensibilità nei suoi riguardi.

Secondo: occorrono centri di formazione contemplativa pensati per offrire un ambiente favorevole a una pratica lunga e rigorosa. E in tali centri potremmo anche fare ricorso a elementi della nostra tradizione occidentale, come la psicologia ecc., per vedere se la pratica sta dando quei benefici per cui è stata concepita. Se è così, ottimo! Altrimenti, in stretto dialogo con gli insegnanti tibetani, dobbiamo vedere in che modo può essere modificata per produrre negli occidentali le intuizioni e le trasformazioni desiderate. Possiamo cominciare questa impresa con uno spirito di avventura. Se vogliamo, possiamo accettare per fede le affermazioni straordinarie degli insegnanti buddisti sulla natura e il potenziale della consapevolezza. Ma a quel punto, invece di fare della nostra fede un credo dogmatico, possiamo usarla come un’ipotesi di lavoro e metterla alla prova dell’esperienza. Quale avventura è più grande dell’esplorazione delle profondità della consapevolezza?

Brian Hodel: Dove pensi che porterà tutto ciò?

Alan Wallace: Se la commercializzazione del buddismo continua, e con essa la perdita di gran parte del suo straordinario rigore intellettuale e contemplativo, il buddismo tibetano corre il pericolo di perdere la sua integrità in occidente e farsi assimilare totalmente in un’amorfa cultura New Age. D’altra parte, tra molti buddisti tibetani in oriente e in occidente scorgo una grande apertura, sincerità e spirito di ricerca: ciò mi fa sperare che questa tradizione sta attraversando un rinascimento vitale. Forse il suo momento migliore sta nel futuro. Come si svilupperà, resta da vedere. Dipende da noi.

Fede

Tratto dal libro Buddhism with an Attitude di B. Alan Wallace

Il Buddha stesso, così come i veri insegnanti buddisti di oggi, non si presenta come un’autorità indiscutibile sulla natura della realtà, né come un maestro infallibile che ci insegna a vivere. Questi insegnanti si offrono a noi anzitutto come amici, in particolare come amici spirituali, e come guide di un viaggio esperienziale alla ricerca della conoscenza e della trasformazione personali. Ma quando li incontriamo per la prima volta, sono degli sconosciuti, ed è perfettamente appropriato reagire ai loro insegnamenti con scetticismo e agnosticismo. Dopotutto, quando assumiamo un atteggiamento agnostico, stiamo realisticamente riconoscendo di non sapere: il primo passo verso la saggezza! E assumendo una posizione di agnosticismo, stiamo in effetti dicendo: “Dubito che anche tu sappia qualcosa”. Considerando la vasta gamma di affermazioni categoriche oggi esistenti su ogni cosa, dalla natura della consapevolezza agli UFO, in molti casi questo scetticismo appare ben fondato.

Ma se vogliamo fare scoperte autentiche su quelle che per noi sono questioni di vita o di morte, dobbiamo andare oltre l’agnosticismo. Se siamo fermamente convinti che nessuno ha scoperto ciò che vogliamo conoscere, non possiamo fare affidamento su altri che noi stessi. Se dobbiamo essere scettici, sicuramente dovremmo cominciare dallo scetticismo verso ciò che crediamo di sapere sugli altri! Se sono davvero agnostico, devo cominciare da questa premessa: non so se hai fatto delle scoperte importanti che mi sono sfuggite. In modo simile, solo perché la nostra civiltà è ignorante in certi campi, sarebbe sciocco assumere che nessuna altra civiltà vi abbia mai fatto importanti scoperte.

Quando si tratta del sapere, la civiltà occidentale ha compiuto dei passi da gigante, soprattutto dopo la rivoluzione scientifica. Possiamo essere orgogliosi e soddisfatti delle tantissime scoperte sul mondo che ci circonda. Ma un dominio della realtà in cui restiamo ancora scientificamente all’oscuro è la dimensione della consapevolezza. Semplicemente, questo non è il punto forte della scienza. Ma precisamente laddove la scienza è più debole, la tradizione buddista fa le sue affermazioni più forti e straordinarie. L’unico modo in cui conosciamo l’esistenza della consapevolezza è attraverso l’esperienza in prima persona, e la tradizione buddista ha inventato molte tecniche ingegnose per rinforzare e affinare questa modalità della percezione, così che possiamo sondare più profondamente la natura, le origini e il potenziale della consapevolezza. In qualsiasi racconto antico della vita e degli insegnamenti del Buddha, è ovvio che egli affermava di avere fatto scoperte indubitabili basate sulla sua esperienza. Leggendo le sue affermazioni su gran parte della metafisica dell’epoca, è chiaro che egli non era il tipo da adottare a scatola chiusa le credenze dei contemporanei.

Per esempio, nelle più antiche cronache della sua illuminazione è scritto chiaramente che le sue affermazioni sulla realtà e la continuazione della consapevolezza individuale dopo la morte erano basate su una conoscenza diretta. Possiamo dargli ragione o torto, ma non c’è nulla che ci autorizza a credere che egli fosse agnostico o che avesse preso queste concezioni da qualcun altro. A quell’epoca, non esisteva nulla di simile alle sue idee sulla rinascita e il karma. Una sua importante affermazione, inizialmente ispirata da altri contemplativi, è quella secondo cui la vastità e la precisione della percezione mentale possono essere molto migliorate dalla pratica della concentrazione meditativa. In senso generale, egli sosteneva che le nostre afflizioni mentali – per esempio, l’ostilità, l’avidità, l’ansia e l’illusione – non sono immutabili. È possibile attenuarle grazie a una determinata pratica, fino a eliminarle completamente. Come sappiamo se conosceva ciò di cui stava parlando? Per essere chiari: non lo sappiamo.

Noi cominciamo come agnostici. Se vogliamo scoprire qualcosa, l’unico modo è mettere la pratica alla prova dell’esperienza. Questo non è il momento dello scetticismo, ma di una fede intelligente.

Quando per la prima volta incontriamo il Buddha indirettamente (attraverso i suoi insegnamenti), o un insegnante buddista contemporaneo direttamente, abbiamo di fronte uno sconosciuto. Ma se approfondiamo la relazione, col tempo, l’insegnante diventa un amico cui possiamo rivolgerci per questioni che attualmente sono al di là della nostra comprensione. Dopo aver conosciuto un particolare insegnante buddista, se lo troviamo inutile o non degno di fiducia, siamo liberi di sceglierne un altro. Molti miei lama, alla fine di una pubblica lezione, hanno detto: “Se trovate questi insegnamenti utili e validi, metteteli in pratica con tutti i mezzi. Altrimenti, continuate a cercare!”.

Allo stesso tempo, dobbiamo mettere alla prova questi insegnamenti con grande intelligenza. Esistono discutibili affermazioni buddiste che vanno contro la ragione o l’evidenza empirica? O vanno semplicemente contro le supposizioni nostre e di chi ci circonda? Cosa sappiamo veramente, e quali sono le supposizioni e i preconcetti non dimostrati che abbiamo ereditato dalla nostra società? Questo è il momento dello scetticismo su noi stessi. E se mettiamo in pratica gli insegnamenti e li troviamo inefficaci, dove sta l’inefficacia: negli insegnamenti o nel modo in cui li viviamo? Per esempio, il Buddha e molti contemplativi buddisti posteriori affermano di aver conseguito una libertà irreversibile da diverse afflizioni mentali. Se noi non ci riusciamo, cosa abbiamo dimostrato? Che non ci riuscirono neanche loro o semplicemente che non abbiamo praticato con la diligenza e l’intelligenza sufficienti?

Il Buddha è simile a una persona che esca a nuoto per venirci incontro e mostrarci la direzione della spiaggia. Lui afferma di essere stato là, e che molte scoperte ci attendono, sulla terraferma, se ci staccheremo dalla boa della nostra incertezza, la nostra debolezza e il nostro scetticismo. Naturalmente, non c’è nulla che ci obblighi a fidarci di lui o di un insegnante buddista posteriore. Possiamo restare agnostici e scettici finché vogliamo. Ma se accettiamo la sfida del cammino buddista di esplorazione contemplativa, dobbiamo abbandonare le nostre insicurezze e tuffarci nella pratica. Per fare questo, dobbiamo accettare alcune affermazioni del Buddha come ipotesi di lavoro. La tradizione buddista parla di tre tipi di fede, e questo è il primo: la fede nella credenza.

Riprodotto su licenza della Snow Lion Publications.

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B. Alan Wallace (Editor). Buddhism and Science. Columbia University Press. 2003. ISBN: 0231123353

B. Alan Wallace, Lynn Quirolo (Editor). Buddhism with an Attitude. Snow Lion. 2001. ISBN: 1559392002

B. Alan Wallace, Steven Wilhelm. Tibetan Buddhism from the Ground Up: A Practical Approach for Modern Life. Wisdom Publications. 1993. ISBN: 0861710754

B. Alan Wallace. Choosing Reality. Snow Lion. 2003. ISBN: 1559391995

Originalmente pubblicato su Tricycle magazine, www.tricycle.com
Copyright originale B. Alan Wallace, per gentile concessione.
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini.
Copyright per l’edizione Italiana: Innernet.

7 Responses to “Il buddismo tibetano in occidente funziona?”

  1. atisha ha detto:

    “Quando agli studenti viene data l’idea che il lama è infallibile e che qualsiasi problema o incertezza è solo colpa loro, abbiamo una ricetta per il fondamentalismo. ”

    sono daccordo per metà…
    ad un certo punto (è necessaria un’Autorità

  2. atisha ha detto:

    sono daccordo per metà…
    ad un certo punto (per l’ego) è necessaria un’Autorità…
    da soli si va avanti poco..
    si può arrivare anche al Risveglio, ma se non troveremo dinnanzi a noi un utile specchio a cui affidarci… lo stesso Risveglio potrebbe anche riassopirsi… o trovare numerose difficoltà.. che alcuni conoscono.

    ciao :)

  3. eckhart ha detto:

    d’accordo Ati..
    ma qui per Autorità s’intenderebbe più qualcosa di politico..
    come quella di un Papa..
    Se invece parliamo dello specchio del Maestro..allora sì..

    Ciao :-)

  4. atisha ha detto:

    in realtà il Papa o chi per esso dovrebbe aver raggiunto la massima Illuminazione… dovrebbe essere il Prescelto dallo Spirito Santo incarnato degli apostoli (o congrega che ne fa le veci) spiritualmente parlando..
    illuminazione che un bravo seguace dovrebbe appunto “seguire” come una scia luminosa..

    purtroppo dal dire al fare… :)))
    ma cogliamo cmq il punto, senza buttarla nella “paura” e nella politica “aziendale”…

    ciao

  5. sento ha detto:

    questo articolo non lo ho letto tutto perche non ne ho il tempo , e poi mi basta il titolo.
    conosco bene il tema ho seguito nsegnamenti tibetani per circa 20 anni.

    ogni giorno che passa capisco e ringrazio per gli insegnamenti avuti, contemporaneamene occorre integrarli nella vita cogliendo come dice “di pietro idv ” la luna ma non il dito.

    per la questione degli insegnamenti evoluti è un vecchio tema affrontato già dalla comunità tibetana.

    l’iniziazione di kalachacra ad esempio era una iniziazione soloper praticanti esperti e karmicamente si diceva che fosse deleterio dare questa iniziazione a chi non fosse pronto in quanto avrebbe inevitabilmente rotto i voti che detta iniziazione imponeva.

    poi siccome non si trovavano piu’ persone adatte a riceverla, si è iniziato a darla pubblicamente per non disperdere quegli insegnamenti e per creare una connessione karmica futura.
    per i voti qualcuno inizio a dire che si potevano rinnovare ad ogni iniziazione e quindi era meglio roperli e poi di nuovo riprenderli che non averli.

    l’iniziazione pubbilca di Kalachacra fu data per primo per primo dal Pancen lama diversi secoli or sono; fu’ aspramente criticato per questo approccio da molti eminenti lama…., dopo di che pero’ preso atto dell’enorme numero di persone che si avvicinavano al Dharma per ricevere l’iniziazione , divenne pratica comune concedere iniziazioni a chiunque manifestasse il desiderio di riceverle.
    anzi l’iniziazione divenne un momento importante per riprendere i voti e rinnovare l’impegno a seguirli.

    in conclusione ben venga il tibet e la sua magnifica cultura, a noi il compito di tradurla in linguaggio e simbologia moderna.
    ciao
    Sento/massimo

  6. debraee ha detto:

    IL monachesimo in occidente significa darsi una calmata vale a dire che la persona dovrebbe essere di mezza età: non ha stimoli ormonali per inseguire altre mete. Presi invece in tenera età come i piccoli monaci tibetani significa che si abituano a quel genere di rutine senza ricercare al di fuori o prendere iniziative. Si rendono sottomessi al supremo ordine con i voti sacri e divenano di conseguenza loro stessi sacri.Il laico può aspirare di seguire il buddismo tibetano in forma blanda anche con la famiglia.

  7. angiolo daddi ha detto:

    Egregi signori,

    Ho fatto la traduzione in italiano del Dhammapada, del Tao te Ching e del libro di Grillot de Givry La Grande Opera.
    Questi tre libri sono pubblicati in un unico volume.
    Prezzo di copertina 20 euro, ma ve lo offro a 10 euro.
    Se vi interessa questo libro chiedetemelo e ve lo mando.
    Disponibilità illimitata.
    Non posso fare fattura.

    In attesa di vostre notizie porgo cordiali saluti.
    Angiolo Daddi.

    tel 3347349025

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