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Almaas4.jpgIl Diamond Approach, il percorso creato da Hameed Ali, meglio conosciuto con il nome di penna di Almaas, valorizza l’amore della verità fine a se stessa. La ricerca avviene tramite un processo di “inquiry”, di interrogazione interiore, che include la soggettività del ricercatore come passaggio per arrivare ad una condizione di oggettività della conoscenza dell’anima e del divino. In questa intervista, Hameed Ali parla della ricerca, dei ricercatori e della natura dell’anima.

Toshan Ivo Quartiroli: La ricerca della verità in occidente (dal punto di vista scientifico, filosofico e metafisico) si è sviluppata attraverso varie fasi. Nella tradizione Scolastica era presa in considerazione la soggettività dei contenuti interiori, finché venne Cartesio, che rifiutò questa tradizione. In nome di una “chiara e distinta percezione” egli ritenne necessario staccarci dalla nostra soggettività e assumere un approccio oggettivo, “come quello di Dio”. Dopotutto, secondo la concezione giudeo-cristiana, Dio ha creato l’uomo nell’ultimo giorno della creazione, e a sua immagine. Secondo questa credenza, la creazione è qualcosa di esterno agli esseri umani, qualcosa che esisteva prima della mente e dell’anima umane. Quindi, per conoscere la creazione e la mente del creatore, l’uomo dovrebbe seguire le tracce del cammino di Dio e mettersi alla ricerca di ciò che va al di là della dimensione umana E in ogni caso, poiché l’uomo era nato nel peccato, non c’era comunque granché di buono da scoprire al suo interno. La concezione astronomica di Copernico, che non poneva più la Terra al centro dell’universo, fu possibile grazie a questo nuova approccio, così come molte altre scoperte scientifiche e tecnologiche. L’era moderna si caratterizzò come scientifica, materialistica e “oggettiva”. Ma Kant stava già cominciando a minare questo paradigma, affermando che non conosceremo mai “la cosa in sé”. In seguito, sono venuti la fisica quantica con i principi di indeterminazione e il teorema di Gödel che limitava la portata dei sistemi formali. In questa era post-moderna non esiste più un terreno sicuro per la verità. La tua tecnica di esplorazione sembra rappresentare una fase nuova nella ricerca della verità, poiché trae spunto sia dalla concezione soggettiva che da quella oggettiva; inoltre, affermi che la conoscenza interiore può essere ancora più oggettiva, chiara e precisa di quella esteriore. Ciò capovolge il rapporto fondamentale che la cultura occidentale ha stabilito tra ciò che è interiore-soggettivo e ciò che è esteriore-oggettivo. Come è possibile raggiungere la verità oggettiva nella sfera dell’esperienza umana, e in che modo quest’ultima può essere esplorata?

Hameed Ali: È una buona domanda, e per le persone cresciute in occidente sarà importante comprendere questo punto, perché potrebbe influenzare il modo in cui l’esperienza spirituale e l’illuminazione vengono concepite. Innanzitutto, per quanto riguarda l’oggettività e la soggettività, il mio modo di lavorare con la verità non capovolge davvero i fondamenti della cultura occidentale. Al contrario, fa ritorno ai fondamenti autentici, che il nostro occidente moderno ha quasi dimenticato. In altre parole, il “Diamond Approach” che insegno è uno sviluppo della ricerca occidentale della verità, ma fatto in modo tale da riunire ciò che negli ultimi secoli è stato diviso. È una fase nuova, ma una fase che è fondamentalmente l’evoluzione di un potenziale già esistente nella storia occidentale.

Originariamente, nella cultura greca, in quella giudeo-cristiana o nella tradizione Scolastica da te menzionata, non c’era distinzione tra la concezione oggettiva e soggettiva della realtà. La separazione e la divisione sono giunte nell’età dei lumi, anche se cominciarono prima, dagli sviluppi del pensiero cristiano. Penso che la divisione sia stata proficua per la civiltà occidentale, in quanto ha permesso la nascita della scienza e i progressi tecnologici, ma allo stesso tempo ha creato una dissociazione che non è intrinseca alla realtà e al sapere, e che ha i suoi effetti alienanti.

Nella mia comprensione, il sapere è qualcosa di molto più vasto di quanto oggi ritiene la nostra filosofia positivista. Esso ha un fondamento mistico o intuitivo, cioè la conoscenza diretta dei contenuti dell’esperienza, in genere definita “gnosi”. I greci l’hanno espressa bene nel concetto di “nous”, l’intelletto superiore o divino. Plotino ha detto chiaramente che nel nous il sapere e l’essere sono inseparabili. Ma il pensiero occidentale, che conosceva il concetto di nous nel pensiero greco ed ebraico, si è sviluppato in modo tale da separarne le due dimensioni o elementi. Nella conoscenza “di tipo nous”, esiste la presenza della Mente Divina o Intelletto, che è un dominio o un fondamento della consapevolezza, ed esistono le forme che si manifestano in essa come oggetti di conoscenza. Le forme sono quelle del dominio della presenza, ma poiché tale presenza è quella della consapevolezza, questo dominio conosce queste forme. Ne ha una conoscenza diretta, perché sono forme del suo dominio; la sua intelligenza pervade tutte le forme.

Lo sviluppo del pensiero occidentale, per varie ragioni (buone e cattive) ha diviso il fondamento del sapere – l’essere o la presenza – dalle forme che tale fondamento manifesta. A quel punto, generalmente parlando, questi due elementi si sono sviluppati in due ambiti diversi. Il fondamento dell’essere è diventato l’oggetto della metafisica, della religione e del misticismo; le forme sono diventate l’oggetto delle scienze appena nate. La religione e il misticismo hanno cominciato a sottolineare che il fondamento dell’Essere (o, monoteisticamente, la presenza divina) è misterioso e intrinsecamente inconoscibile. E che la sua esperienza è antitetica alla logica e all’indagine scientifico-sperimentale.

Dal versante della scienza e del positivismo, del fondamento della consapevolezza e del sapere è rimasto semplicemente il conoscitore individuale, l’io con la sua mente che conosce. Le forme della conoscenza sono divenute oggetti staccati, non direttamente collegati al conoscitore. E il sapere si è trasformato nell’osservazione, da parte dell’io separato, degli oggetti di conoscenza. Come hai detto tu, l’idea si è evoluta grazie a Renato Cartesio, secondo cui le forme esistono in sé e possono essere conosciute per ciò che sono, quando l’io le osserva da lontano e non interferisce in esse con la propria soggettività. Per cui, la conoscenza oggettiva è venuta a significare la conoscenza degli oggetti senza le distorsioni soggettive dell’io o del ricercatore.

Amore della verita 1.gifEbbene, nel Diamond Approach concordiamo su questa definizione della conoscenza oggettiva: essa è la conoscenza libera dalle contaminazioni delle distorsioni soggettive di colui che conosce. Ma non condividiamo l’opinione di Cartesio secondo cui l’oggettività si raggiunge sterilizzando l’esplorazione, rimuovendo il soggetto dal dominio di esplorazione. Innanzitutto, sappiamo dalle nostre conoscenze fondamentali sul sapere che non siamo in grado di separare completamente il soggetto che conosce dall’oggetto conosciuto. Non possiamo, perché il soggetto conoscente non è altro che la ricaduta del dominio della presenza e della consapevolezza in un io conoscente. Sappiamo anche che questi oggetti di conoscenza non sono altro che la reificazione di forme che sorgono in questo dominio, e inseparabili da esso. Per questo, la formula di Cartesio vale solo come approssimazione, e non può essere applicata in modo assoluto. Penso che la teoria quantica ha già scoperto questo limite nella formulazione del principio di indeterminazione di Heisenberg, secondo cui, semplicemente, non possiamo isolare completamente l’osservatore dai fenomeni osservati.

La formula di Cartesio ha funzionato come efficace approssimazione, e in quanto tale è ancora utilizzata nella maggior parte delle ricerche scientifiche, perché queste ultime non possono penetrare in quelle regioni dove tale approssimazione decade. In realtà, possiamo dire che la filosofia della scienza di Cartesio era un’approssimazione efficace allo stesso modo in cui la classica teoria della fisica di Newton lo era per le leggi della fisica. Oggi sappiamo che la fisica newtoniana collassa ai due estremi della scala delle misurazioni fisiche, ovvero alla dimensione macroscopica e a quella microscopica, dove è stata sostituita da due teorie più esatte, rispettamene quella generale della relatività e quella quantica.

L’approssimazione di Cartesio si rivela inadeguata anche quando si tratta di comprendere la consapevolezza, la natura dell’anima e Dio. Il misticismo ha sempre compreso queste cose, e sapeva che la conoscenza autentica delle realtà spirituali può avvenire soltanto grazie all’esperienza diretta, alla conoscenza da parte dell’essere, all’identità tra conoscitore e conosciuto. Ma il misticismo e la maggior parte degli insegnamenti spirituali ritenevano che la logica e la conoscenza razionale erano opposte a tale conoscenza mistica o gnosi, che gli hindu hanno chiamato “jnana” e i tibetani “yeshes”. Quindi, da molto tempo ormai si pensa che la conoscenza spirituale mistica o diretta può solo essere vaga, intuitiva, misteriosa, non-concettuale, incomunicabile e così via. Ciò, secondo me, è dovuto alla stessa divisione: credere che le forme specifiche e precise sono separate dal fondamento dell’essere e della conoscenza, e che prestare attenzione a tali specificità ci allontanerà dall’esperienza mistica.

Amore della verita 2.jpgNel Diamond Approach siamo più vicini alle idee degli antichi Greci, come Pitagora, Platone e Plotino, secondo i quali il fondamento dell’essere, il nous, è il fondamento delle idee platoniche, delle varie forme di manifestazione. In altre parole, riteniamo che la conoscenza mistica diretta e la conoscenza precisa delle forme specifiche possono essere unite, perché in origine erano una cosa sola, non-duale. Questo vuol dire che possiamo avere una conoscenza mistica (cioè la conoscenza da parte dell’identità) precisa, chiara, specifica e dettagliata.

Ciò ha due conseguenze che forniscono la risposta alla tua domanda. La prima: è possibile una conoscenza scientifica di tipo diretto; ovvero, una gnosi precisa e dettagliata di forme di manifestazione. In essa non esiste divisione, e quindi siamo al di fuori dell’approssimazione di Cartesio. Di fatto, poiché non ci basiamo sull’approssimazione, ma sulla realtà, la nostra conoscenza può essere totalmente precisa e chiara. Essa è in grado di penetrare regioni inaccessibili al tipo di indagine fondato sull’approssimazione cartesiana. Tutto ciò è necessario per comprendere la consapevolezza, l’esistenza, l’anima, Dio, lo spirito e così via. È come per le dimensioni microscopica e macroscopica delle misurazioni scientifiche, ma nel campo della psicologia e della metafisica.

E che dire dell’oggettività? Come possiamo essere sicuri della sua esistenza o del fatto che le nostre distorsioni soggettive non alterano questa conoscenza?

Penso che la tesi di molti insegnamenti spirituali secondo cui l’esperienza mistica è antitetica alla mente e alla ragione espone tale esperienza alle distorsioni soggettive. E questa è stata la critica degli scienziati e dei filosofi della scienza a tale tipo di esperienza. Comunque, ricorrere all’approssimazione di Cartesio non è di aiuto, perché essa ci allontana dall’elemento mistico, quello dell’esperienza diretta o della conoscenza da parte dell’essere.

Ma esiste un’altra via, quella che il Diamond Approach adotta in modo molto efficace: includere nella nostra esplorazione non solo ciò che sperimentiamo o conosciamo, ma anche lo stesso polo soggettivo. Includiamo l’osservazione del soggetto conoscente, l’io, nell’esplorazione sullo spirito, Dio o come preferisci chiamarlo. La nostra esplorazione non è mai rivolta soltanto a ciò che sperimentiamo, ma anche ai nostri atteggiamenti e reazioni alla nostra esperienza. In tal modo, diventiamo consapevoli delle nostre distorsioni soggettive e del modo in cui influenzano la nostra esperienza. Guardando al di là di queste distorsioni soggettive, la nostra conoscenza di ciò che sta succedendo diventa gradualmente più oggettiva.

A mano a mano che scorgiamo i nostri pregiudizi, convinzioni, desideri, punti di vista e così via, essi cominciano a dissolversi, soprattutto perché la nostra esplorazione è guidata dall’amore per la verità fine a se stessa. Dal momento che vogliamo davvero conoscere ciò che sta succedendo, desideriamo abbandonare le nostre distorsioni, perché siamo in grado di vedere subito come esse oscurano la verità che amiamo. Quando la nostra conoscenza si fa più profonda, la nostra obiettività si espande.

Via via che le distorsioni soggettive vengono scorte e abbandonate, la nostra obiettività si espande. Questo è un processo che continua per tutto il cammino dell’esplorazione dell’esperienza, dove la verità di quest’ultima si manifesta gradualmente man mano che le nostre distorsioni vengono portate alla luce e abbandonate.

Amore della verita 3.jpgEsistono diversi gradi di oggettività, ognuno dei quali è oggettivo all’interno della cornice soggettiva con cui lavoriamo. In altre parole, se usiamo la cornice secondo cui nel mondo ordinario siamo individui separati, la verità oggettiva sarà diversa da quella che vedremo all’interno di una cornice sprovvista di tale assunto sull’individualità separata. Di nuovo, oggettività ha un significato diverso se consideriamo l’esistenza e la non-esistenza due opposti antitetici o due realtà inseparabili e coemergenti.

Questo approccio non utilizza l’approssimazione di Cartesio, perché riconosce che non è possibile isolare l’io dall’oggetto di esplorazione. L’approccio si basa sull’idea che la consapevolezza e la capacità di conoscenza dell’io sono il dominio che costituisce la sostanza di tutti gli oggetti di esplorazione. Esso raggiunge l’obiettività liberando la consapevolezza che conosce dalle sue distorsioni soggettive. In un primo momento, l’Approccio include tali distorsioni nella sua determinazione della realtà, ma negli stadi più profondi del cammino è in grado di esplorare in modo libero da tali distorsioni. La dissoluzione di tali distorsioni e punti di vista a un certo punto provoca la dissoluzione della convinzione in un io distinto, oltre che di quella secondo cui gli oggetti di studio sono distinti da colui che esplora.

L’oggettività è completa quando non esiste più un io distinto con le sue alterazioni, il che equivale a riconoscere che tutte le forme di manifestazione sono forme assunte dalla nostra consapevolezza e presenza. Questo è il punto di vista illuminato cui arriviamo imparando a essere autenticamente e pienamente oggettivi. Tale concezione, di fatto, trascende il principio di indeterminazione della teoria quantica, perché non esiste più un osservatore separato da ciò che viene osservato. Comprendiamo che il principio di indeterminazione ha senso finché esiste una dualità, ma dal punto di vista illuminato non c’è più la dualità tra osservatore e osservato. È un fenomeno che conosce se stesso totalmente, completamente, obiettivamente e precisamente, ma non dualisticamente. Conosce se stesso perché è se stesso con una discriminazione totale e affinata come un diamante. Qui ci rendiamo conto che persino nel principio di indeterminazione esiste un’approssimazione, più sottile di quella di Cartesio, ma sempre un’approssimazione, perché finisce con il rendere probabilistica la nostra conoscenza. Penso che Einstein pensasse qualcosa di simile quando non accettò completamente la teoria quantica; egli pensava che Dio non giocava a dadi.

Ritengo che questo tipo di esplorazione, totalmente chiara e aperta, riunisce l’indagine logico-scientifica e l’approccio mistico dell’esperienza diretta. Questa via era nota nell’antico mondo occidentale, come attesta l’uso della matematica da parte di Pitagora nel lavoro spirituale interiore, ma non si è sviluppata granché a causa della scissione tra scienza e religione che ha preso avvio nel Rinascimento e nell’età dei lumi. Non esistono motivi per cui essa non possa svilupparsi ulteriormente, come abbiamo fatto noi nel nostro lavoro, né ci sono motivi per cui la scienza non può adottarla, almeno in principio. È difficile condurre tale esplorazione in modo scientifico, perché ancora non sappiamo come includere la soggettività del ricercatore nella sua ricerca, ma penso che a un certo punto saremo costretti a farlo, se vogliamo davvero scoprire i segreti dell’esistenza. In alcune aree scientifiche esistono già dei segni di un tale sviluppo, della necessità di includere la consapevolezza per avere una teoria unificata dell’universo.

Analizzo più in dettaglio questa idea della conoscenza nel libro Inner Journey Home, dove esamino approfonditamente le implicazioni per il pensiero e la cultura occidentali. Nel libro, la discussione si amplia grazie alla comprensione più profonda ed allargata della realtà resa possibile dal Diamond Approach.

Toshan Ivo Quartiroli: Tu insegni che, per quanto riguarda le manifestazioni e l’attività dell’anima, esiste in ogni essere umano un centro oggettivo comune che va al di là dei condizionamenti personali, le convinzioni e l’immagine di sé. Ma allo stesso tempo le esperienze vissute in passato possono andare molto in profondità ed avere un peso tale da impedire o facilitare l’unione con il divino. Per esempio, aver avuto una fase problematica di fusione con la madre nei primissimi anni di vita oppure avere una credenza cognitiva del tipo: “Esiste un solo figlio di Dio e nessun altro potrà unirsi a Lui in questa vita” possono impedire l’unione con il divino. In che modo distingui tra ciò che è universale nell’anima degli esseri umani e ciò che è indotto dalla storia personale o dalla cultura? Questa parte comune è quella che viene chiamata la “filosofia perenne”, secondo la quale esiste un fondamento comune nelle diverse tradizioni spirituali?

Hameed Ali: È il tipo di esplorazione che pratichiamo in questo sentiero che rende possibile conoscere cosa è storicamente incidentale e cosa è intrinsecamente universale. Quando esploriamo la nostra esperienza e percezione, cominciamo a vedere la presenza della nostra soggettività in esse, che le modella e le plasma. Quando il nostro sguardo va al di là di queste convinzioni, punti di vista e idee soggettive, riconoscendole come tali, esse cominciano a dissolversi. Tutte le influenze storiche e culturali sono il contenuto di questa soggettività. Poiché esse non fanno parte intrinseca del momento presente, ma vi vengono portate dal passato attraverso la memoria e il condizionamento, la loro comprensione tende a eliminarle. Ma gli elementi dell’esperienza che sono intrinsecamente presenti e non vengono creati da influenze storiche non si dissolvono, perché sono davvero presenti. Comprenderli tende a rivelarli ulteriormente e a portare alla luce la loro realtà intrinseca. In altre parole, l’esplorazione (così come in generale altre tecniche spirituali) tende a dissolvere la mente ordinaria con i suoi contenuti. Tutte le influenze storiche e culturali sono il contenuto di questa mente, della natura del pensiero, e per questo si dissolveranno sotto l’occhio indagatore dell’esplorazione.

Ciò che resterà sarà ciò che è fondamentalmente presente. Inoltre, i modelli o i processi che resteranno verranno considerati fondamentali. Ma fondamentale non vuol dire universale, né oggettivamente comune a tutte le persone. Infatti, esso potrebbe essere determinato, per esempio, dal proprio patrimonio genetico. Ma qui l’approccio scientifico aiuta moltissimo. La scienza ha molti modi per determinare se le proprietà di determinati oggetti sono comuni a tutte le classi di tali oggetti (per esempio, se le proprietà dell’acqua sono comuni a tutte le molecole dell’acqua): di essi, uno dei più importanti è il principio della ripetibilità. Finché possiamo ripetere i risultati di un esperimento, siamo in grado di determinarne la validità. Nel nostro lavoro facciamo la stessa cosa. Determiniamo non solo se una cosa è fondamentalmente presente, ma anche se l’esplorazione e le osservazioni ripetute su molte persone conducono allo stesso risultato. Quindi, viene di nuovo applicato il principio della ripetibilità.

Il Diamond Approach è guidato nella sua esplorazione da un tipo di intelligenza che rende possibile accertare se una cosa è fondamentale o meno, universale o meno. Sto parlando dell’intelligenza della Guida di Diamante, l’intelligenza essenziale che guida l’esplorazione. Quando tale guida è integrata (cosa che in parte vuol dire che possiamo esplorare e allo stesso tempo vedere le nostre distorsioni soggettive), diventa chiaro cosa è fondamentale e universale. Io uso sia questa intelligenza diretta che il metodo scientifico, per arrivare all’oggettività su queste questioni.

Nel mio libro Spacecruiser Inquiry discuto nei dettagli la nostra esplorazione e la sua intelligenza e obiettività.

Amore della verita 4.jpgQuesta parte comune è ciò che viene chiamata “filosofia perenne”? Sì e no. Sì, se con “perenne” intendiamo quello che è universale a tutte le anime. Ma la mia sensazione è che la filosofia perenne si spinge oltre. Essa ritiene che tutti gli insegnamenti spirituali creati dal genere umano sono formulazioni diverse della stessa verità, esperienza o percezione. In quel caso, la mia risposta è no. Non penso che sia vero che il vuoto buddista è la stessa cosa dell’amore sufi, e che entrambi sono uguali al Padre cristiano, e che tutti insieme equivalgono al Tao taoista e così via, solo con formulazioni diverse.

La mia comprensione è che ogni autentico insegnamento parla di qualcosa di fondamentale e universale per tutti gli esseri umani, ma non necessariamente tutti gli insegnamenti fanno riferimento alle stesse verità universali e fondamentali. Esistono molte verità fondamentali e universali, così come esistono molte dimensioni e aspetti della natura autentica o realtà. Ciascun insegnamento tende a sottolineare una certa verità, dimensione o aspetto fondamentale e universale. Quindi, gli insegnamenti parlano della stessa cosa, ma non esattamente. Le differenze non sono dovute tanto a formulazioni o concettualizzazioni diverse, quanto al fatto che vengono evidenziati aspetti diversi della verità. Più esattamente, i vari insegnamenti sono diversi perché hanno diversi “logos” di insegnamento. Ogni insegnamento ha il suo logos caratteristico nel linguaggio, la concezione, la logica e la dinamica. La stessa cosa avviene con il Diamond Approach: esso ha una comprensione specifica dell’essenza e dell’anima. È possibile trovare analogie con altri insegnamenti, ma niente di completamente uguale. Discuto la questione dei logos degli insegnamenti in un’appendice di The Inner Journey Home.

Toshan Ivo Quartiroli: Nel Diamond Approach non ho visto molta enfasi sull’illuminazione, al contrario che in altre tradizioni o scuole. Qual è il ruolo di questo “evento” nel tuo insegnamento? In particolare, cosa pensi dell’illuminazione improvvisa tipo “advaita”? È possibile aggirare le pratiche e l’esplorazione psico-spirituale e raggiungere la liberazione eterna?

Hameed Ali: Faccio un uso raro del concetto di illuminazione perché lo adopero in modo tecnico. Con esso non intendo semplicemente l’esperienza, il riconoscimento, la realizzazione o anche il prendere dimora nella natura autentica, che quest’ultima sia non-duale o meno. Molte persone, inclusi diversi insegnanti, usano il termine con i significati sopradetti. Ecco perché di solito uso il concetto di realizzazione, che distinguo dall’illuminazione, anche se sono consapevole del fatto che molti insegnanti usano indifferentemente entrambi i termini.

Per realizzazione intendo la capacità di prendere dimora nella natura autentica, di riconoscere ed essere la natura autentica. Poiché quest’ultima ha molte dimensioni, o gradi di sottigliezza, esistono gradi o livelli di realizzazione. E poiché esistono molti gradi di completezza di realizzazione o di capacità di dimorare nella natura autentica, esistono molti livelli di realizzazione. Quindi, la realizzazione può svilupparsi e maturare grazie a una comprensione più sottile, profonda e totale della natura autentica, e a seconda della capacità di una persona di prendere dimora nella natura autentica. Quindi, anche se si è raggiunto un certo grado di realizzazione, è possibile che esistano ancora diversi offuscamenti, problemi, condizionamenti storici o personali non ancora affrontati, o che potrebbero emergere.

Quando la realizzazione diventa completa e permanente, la definisco illuminazione. Essa ha due conseguenze. La prima è che non esistono più offuscamenti (o la possibilità di un loro affiorare); spariscono i problemi, i limiti interiori alla propria esperienza e la mancanza di chiarezza. La seconda è la piena e permanente consapevolezza della totalità della natura autentica, in tutte le sue sottigliezze e dimensioni, che ora è completamente libera di manifestarsi in tutti i modi necessari. Questi due aspetti, insieme, implicano il vivere permanentemente nella pienezza del mondo autentico, senza aggrapparsi a un insegnamento o una prospettiva particolari, a una concezione dell’illuminazione o al bisogno di essa.

Poiché molti insegnanti intendono con illuminazione ciò io chiamo realizzazione, essa ha ovviamente un posto nel Diamond Approach. È un’esperienza che dà l’avvio a un tipo permanente di conseguimento. Nel Diamond Approach ne esistono molti tipi e gradi.

Con l’espressione illuminazione istantanea si fa fondamentalmente riferimento a una distinzione tra la preparazione a un’esperienza e la scoperta di essa nella sua interezza. Penso che la distinzione sia avvenuta soprattutto in ambito buddista, a causa della distinzione operata dai buddisti tra il vuoto e la natura del Buddha. Le scuole secondo le quali la realtà assoluta è il vuoto, tendono a pensare in termini di illuminazione graduale, perché il vuoto viene realizzato demolendo a poco a poco l’io. Le scuole buddiste secondo le quali la realtà assoluta è la natura del Buddha (ovvero una sorta di presenza eterna) tendono a pensare in termini di illuminazione improvvisa. Questo perché la natura del Buddha viene scoperta così come è, in quanto sin dal primo momento è completa e integra. Ma in entrambi i casi esiste un cammino che va seguito con costanza. Così avviene nello zen, la famosissima dottrina che insegna l’illuminazione istantanea. Pur credendo in quest’ultima, lo zen prevede certamente una lunga pratica. Inoltre, come è ben noto, esso distingue tra molti tipi e livelli di satori o di realizzazione. Si dice che dopo ogni satori c’è un altro satori. In altre parole, anche nelle scuole che includono nel loro insegnamento l’illuminazione o realizzazione istantanea, quest’ultima non viene in genere concepita come una sorta di cataclisma che pone termine a tutto il cammino, rendendo inutili una pratica, un lavoro o un’integrazione ulteriori.

Questo è anche il caso dell’advaita vedanta. Altrimenti, come possiamo distinguere i diversi gradi di profondità o l’ampiezza della realizzazione dei vari guru e maestri? Il semplice fatto che un maestro dice di essere illuminato non vuol dire che lo sia allo stesso livello di un altro maestro, o che abbia lo stesso tipo di illuminazione. Né significa che lui o lei non ha più alcun lavoro da svolgere. Di solito, gli insegnamenti tradizionali (come il vedanta) definiscono “integrazione” il lavoro necessario dopo tale esperienza. Ma “integrazione” non vuol dire farsi i fatti propri mentre tutto il resto accade da sé. Altrimenti, tutti gli insegnanti della tradizione vedanta sarebbero uguali per profondità e potenza della realizzazione. L’integrazione, in realtà, consiste nel vedere al di là dell’ignoranza, le abitudini, i punti di vista, i pregiudizi, gli schemi ecc. Non è un lavoro diverso da quello che bisogna fare prima di tale esperienza; la differenza è che ora si è permeati della saggezza di tale esperienza, e forse anche dal permanere in tale esperienza.

Credo che, poiché nella nostra cultura non è mai esistita la disputa buddista sul vuoto e il fondamento eterno, la distinzione tra illuminazione istantanea e graduale ha poco senso. L’essenza viene scoperta così come è; non viene creata gradualmente. Allo stesso tempo, la mente lascia cadere un po’ alla volta la propria ignoranza, o il proprio attaccamento a tale ignoranza.

Nel mio caso personale, ho avuto molto presto un’esperienza che può definirsi di illuminazione, in cui l’ego si è totalmente dissolto nell’oceano della consapevolezza e dell’amore. C’è stata una cessazione totale della consapevolezza che ha portato a tale percezione cosmica. Ma quell’esperienza è stata l’inizio di un nuovo cammino che ha rivelato molte qualità e dimensioni della natura autentica, e in cui ho penetrato l’ego pezzo dopo pezzo, problema dopo problema. Anche questo cammino è stato punteggiato da scoperte e realizzazioni che potrebbero definirsi illuminazioni istantanee. Dopo molti anni sul cammino, alla fine sono tornato al punto dell’illuminazione iniziale, ma da allora il percorso è proseguito verso nuove tappe e livelli di realizzazione. Per cui, in un certo senso, il mio cammino ha incluso sia la via istantanea che quella graduale. Credo che questo sia ciò che accade di solito alla maggior parte degli individui, a prescindere dall’insegnamento o cammino seguito.

Sono rari i casi di persone che si ritrovano improvvisamente nell’assoluto e vi restano senza tornare indietro per integrare le altre dimensioni. Non è questa la norma, nemmeno nel vedanta o nello zen. Ma anche in tali casi esiste il lavoro dell’integrazione… Non credo che esiste un modo per evitare completamente di affrontare la propria ignoranza e i propri schemi, a meno che non ci accontentiamo di una realizzazione parziale.

Dobbiamo anche ricordare che nel Diamond Approach vediamo che esistono due tipi di cammino. Uno è quello della scoperta e realizzazione della natura autentica; l’altro, quello dell’individuazione dell’anima, cioè la maturazione dell’essere umano. Quest’ultimo tipo consiste inevitabilmente in uno sviluppo e una crescita graduali, perché si tratta di integrare le esperienze e le capacità di una persona nella sua realizzazione.

Toshan Ivo Quartiroli: Quali sono le qualità più importanti che un ricercatore deve integrare nel cammino?

Hameed Ali: La più importante, secondo me, è l’amore della verità fine a se stessa. Ciò comporta l’avere una mente totalmente aperta a ogni verità in cui potremmo imbatterci. Inoltre, il ricercatore deve avere un atteggiamento libero da pregiudizi, senza aspettative o desideri di un risultato particolare. Questo implica la necessità di un atteggiamento di pura ricerca scientifica. Altrimenti, la ricerca sarà distorta dai desideri e fini soggettivi. Poi, deve essere coinvolto il cuore del ricercatore, cioè la passione, la gioia e la giocosità, e il coinvolgimento deve avvenire senza attaccamento. Avere coraggio, intelligenza e concentrazione è di grande aiuto.

In Spacecruiser Inquiry analizzo tutto ciò nei dettagli. Un intero capitolo è dedicato a ciascuna delle qualità occorrenti per l’esplorazione e la ricerca.

Toshan Ivo Quartiroli: Come mai talvolta il comportamento di alcuni maestri spirituali è criticabile per quanto riguarda il potere, il sesso e il denaro? Avviene perché sono “al di sopra” dei valori e della morale umani o perché in realtà ne sono “al di sotto”, non avendo mai risolto i problemi psicologici correlati?

Hameed Ali: Gli insegnanti spirituali sono come tutti gli altri esseri umani. Se non hanno risolto problemi e conflitti personali, questi ultimi possono manifestarsi attraverso tali comportamenti. Queste tendenze non risolte della personalità possono diventare ancora maggiori sotto la pressione dell’espansione e dell’energia che deriva dalla realizzazione. Ciò è simile a quello che avviene agli individui comuni quando raggiungono una posizione di potere o ricchezza: queste situazioni, talvolta, amplificano le tendenze preesistenti.

È vero che alcune tradizioni parlano di “pazza saggezza” o cose del genere, ma essa viene considerata una possibilità molto rara e avanzata, raramente conseguita. Penso che i noti casi di comportamento aberrante o criticabile da parte di alcuni maestri indicano generalmente che la realizzazione di questi ultimi è limitata. Non esiste qualcosa come un essere illuminato nevrotico. Quando i maestri sono nevrotici o si comportano in modo strano, ciò di solito vuol dire che non sono venuti a capo di alcuni problemi della personalità e delle loro tendenze animali. Quindi, anche se hanno conseguito un certo grado di realizzazione, quest’ultima non è completa, cioè non si tratta ancora dell’illuminazione.

Se comprendiamo questa situazione, non c’è niente di insolito o difficile da capire in questi episodi. Certe persone non riescono a comprenderli perché partono dal presupposto che gli individui sono pienamente illuminati, quindi hanno bisogno di trovare qualche spiegazione bizzarra o semplicemente restano nella confusione.

Toshan Ivo Quartiroli: Per molto tempo, l’anima umana è stata considerata fuori dal campo di indagine della scienza occidentale. Quando alla fine è arrivata la psicoanalisi, la sua attenzione si è concentrata sul lato oscuro, le nevrosi e le psicosi, evidentemente nella convinzione profonda che in qualche modo l’anima è nata corrotta. Anche negli ambienti spirituali, l’ego – che dopotutto è parte dell’anima umana – viene spesso considerato un “nemico” che va “ignorato” o addirittura “ucciso”. Qual è la tua opinione sull’ego? È possibile che l’ego sostenga le parti più profonde dell’anima nell’esplorazione e il riconoscimento della verità?

Hameed Ali: Può esistere l’ego senza l’anima? No, è impossibile. Tutte le esperienze di noi stessi devono appartenere all’anima, che sia libera (e quindi l’esperienza riguarda la sua natura essenziale) o identificata con un’immagine o concetto (e quindi si tratta dell’ego). In altre parole, l’ego non è altro che una manifestazione della nostra anima, la nostra consapevolezza individuale, strutturata attraverso i concetti e le impressioni del passato. In tale situazione, l’anima sperimenta se stessa attraverso questa lente di concetti e impressioni, e tale mancanza di immediatezza e spontaneità si manifesta sotto forma di sé alienato, quello che gli insegnamenti spirituali chiamano “ego”. Non si tratta esattamente dell’ego della psicanalisi, ma di ciò che la maggior parte della gente considera il proprio senso dell’io.

Tale identificazione con la storia e le esperienze passate è il primo ostacolo alla realizzazione spirituale, perché quest’ultima è semplicemente l’anima che sperimenta se stessa senza alcun filtro, ma direttamente, immediatamente e nel momento. Quando l’anima sperimenta se stessa e il mondo con questo tipo di immediatezza, riconosce la presenza della sua natura autentica, e riconosce che questa è la sua verità ontologica. Poiché il fraintendimento dell’anima su se stessa è l’ostacolo principale, esso viene frequentemente considerato il nemico del cammino spirituale. Lo è, ma non è un nemico che vuole semplicemente il nostro fallimento o la nostra infelicità. Quindi, ciò che occorre non è l’aggressione o l’uccisione (che non sarebbe possibile, perché non possiamo uccidere la nostra anima), ma la comprensione e l’amore, che permetteranno di aprirsi e abbandonare le identificazioni, i punti di vista e le convinzioni rigide.

Quando affrontiamo l’ego con aggressività e rifiuto, chi è il soggetto di questo comportamento? Deve essere l’ego, perché la natura autentica, o l’anima non separata dalla natura autentica, non può rifiutare od odiare. Può solo avere le qualità della natura autentica, cioè amore, saggezza, comprensione e così via. In altre parole, il rifiuto ci rende semplicemente più identificati con la posizione dell’ego.

Amore della verita 5.gifNelle prime fasi del cammino, l’ego può essere un aiuto. Questo perché all’inizio non possiamo essere la nostra anima senza essere l’ego. Quindi, all’inizio è l’ego a compiere il lavoro, a seguire il cammino interiore. In realtà è sempre l’anima, ma qui essa è identificata con il concetto dell’ego. Col tempo, l’ego diventa trasparente e comincia a dissolversi. Ciò vuol dire che l’anima comincia a sperimentare se stessa senza questa lente di concetti e impressioni del passato. Senza tale lente, cominciamo a comprendere la realtà, cosa siamo davvero noi e il mondo. Per cui, in un certo senso l’ego muore, ma questo non vuol dire che esiste davvero un’entità separata che muore. Piuttosto, è l’anima che lascia cadere il concetto di ego. Possiamo sperimentare ciò come una specie di morte, ma questo avviene perché crediamo ancora di essere l’ego, e che quest’ultimo è un’entità reale ed esistente. Ciò che muore è la nostra ignoranza, non un’entità chiamata ego.

Toshan Ivo Quartiroli: Tu vedi negli aspetti essenziali della forza, la compassione, la chiarezza, la gioia e altri, il ponte tra l’umano e il divino. È in corso un acceso dibattito sull’ingegneria genetica. Ho come la sensazione che esiste la tentazione di cercare “l’essenza” dell’essere umano, in particolare i suoi attributi “migliori”, a livello biologico. Pensi che la manipolazione del DNA può aiutare a integrare gli stati essenziali o è solo un pericoloso “giocare a Dio”?

Hameed Ali: Queste qualità spirituali, in realtà, non sono altro che gli attributi del divino, nel suo manifestarsi e diventare immanente nel mondo e nell’anima. Possiamo sperimentarle nella nostra anima individuale e relazionarci a esse come alle nostre qualità, o alle qualità essenziali affioranti dal divino, e in tal modo fungono da ponte verso il divino nella sua dimensione trascendente.

Ho osservato che talvolta è difficile, per alcune persone, sperimentare certe qualità spirituali o essenziali, e in rari casi ciò sembra dovuto a una deficienza genetica. Penso che possa essere necessario che la composizione genetica dei nostri corpi diventi un vaso completamente trasparente delle qualità divine. Ciò mi riporta alla mente la scoperta dei geni della gioia e della maternità… Ma queste – la gioia e il nutrimento materno – sono due qualità essenziali, quindi potrebbero esistere altre qualità essenziali parzialmente regolate da geni specifici. Tale osservazione rafforza l’idea che il nostro corpo deve essere il più integro e completo possibile per poterci permettere l’esperienza del nostro potenziale essenziale. Quindi, se ci manca un determinato gene, o se il corpo o il cervello hanno qualche carenza, potremo avere delle difficoltà nell’essere aperti ad alcune qualità. E poiché nella genetica un gene è solo uno dei fattori determinanti, la sua mancanza non implica l’impossibilità di una qualità, né il suo possesso la presenza automatica di quest’ultima.

Amore della verita 6.jpgSe c’è del vero in questa idea, è lecito pensare che l’ingegneria genetica può essere di aiuto, fornendo i geni mancanti in grado di donarci l’apertura normale, o media, verso una particolare qualità essenziale. Ma ciò non equivale a dire che l’ingegneria genetica ci donerà l’illuminazione, perché a ogni modo già possediamo quasi tutti i geni necessari.

Questo è ciò che posso dire. Se la manipolazione del DNA può aiutarci a integrare ulteriormente gli stati essenziali, non lo so. Penso che l’ingegneria genetica può avere un potenziale spirituale, ma dubito che essa sostituirà il lavoro e la pratica interiori.

Toshan Ivo Quartiroli: Ho una forma di artrite da quando ero un ragazzo. Come per molte altre persone con malattie fisiche croniche, sul cammino spirituale ciò ha operato sia da stimolo che da frustrazione. Il fatto che anche tu hai delle limitazioni fisiche ha influito sul tuo cammino spirituale e i tuoi insegnamenti? In generale, in che modo il Diamond Approach considera il rapporto con il corpo?

Hameed Ali: Naturalmente, i miei limiti fisici hanno influenzato il mio cammino spirituale. La poliomielite che ho contratto all’età di due anni mi ha reso fisicamente vulnerabile e dipendente dagli altri, fatto questo che mi ha aiutato a diventare un individuo socialmente sensibile, ma anche interiormente autonomo. Inoltre, mi ha obbligato a volgermi all’interiorità per sperimentare la vita. Il fatto di dover usare una stampella per camminare ha inciso sul mio corpo in modo tale da non potere più trascurare ciò che sentivo dentro di me. Per cui, ho sviluppato una sensibilità e una dinamica vita interiore che sono sempre state indipendenti dalle situazioni esterne. La poliomielite ha creato un limite dal punto di vista fisico e sociale, ma ha anche permesso la crescita di una certa forza interiore.

Sembra che possiamo volgere a nostro vantaggio i limiti fisici, oppure, imparando a convivere con essi, possiamo maturare in modo non comune. Penso che ciò richieda innanzitutto altri elementi di sostegno, come un’educazione sana, un talento ecc. La cosa più importante è non gettare la spugna e non portare rancore, ma affrontare i nostri limiti e imparare a essere aperti alla vita e all’esperienza. Penso che la maggior parte delle persone tende a non affrontare in modo adeguato i propri limiti; diventano rancorose, arrabbiate, depresse o prive di intelligenza. Ma talvolta l’individuo riesce ad affrontare la situazione, sviluppando diverse qualità o capacità per venirne a capo o creare una compensazione.

Anche la natura del limite fisico è importante. Certi limiti possono interferire con la capacità di percezione, pensiero, intuizione, sentimento ecc. In simili frangenti è più difficile affrontare adeguatamente la situazione, e diventa meno probabile che l’individuo cresca e maturi grazie ai suoi limiti. Questo è ovvio nel caso del dolore. In presenza di alcuni dolori è ancora possibile pensare, contemplare e sentire, a patto che li affrontiamo e facciamo del nostro meglio. Ma altri sono di natura tale da rendere difficile l’applicazione di questa facoltà, e per essi occorrerà una forza d’animo maggiore di quella solitamente disponibile alla persona media. Ciò non vuol dire che in tali casi è impossibile crescere, ma che è più difficile e che occorre un aiuto maggiore. E quindi, solo raramente un individuo riuscirà ad affrontare la situazione in modo idoneo per la crescita e lo sviluppo interiori.

Possiamo pensare al nostro corpo come a una dimensione della nostra vita. Ciascuno di noi è un’anima la cui natura autentica è data dall’essenza, e dove il corpo rappresenta un vaso o un veicolo per l’esperienza e l’azione nel mondo. L’anima è il vaso dell’essenza, e il corpo è il vaso dell’anima. E così come l’anima deve essere trasparente all’essenza per farne l’esperienza e riconoscerla, il corpo – in quanto vaso più esterno della nostra esperienza – deve essere trasparente alle altre dimensioni. E come l’anima può essere trasparente all’essenza in alcune delle sue manifestazioni ma non in altre, lo stesso accade per il corpo. Quest’ultimo può essere trasparente in alcuni modi all’anima e all’essenza, ma non in altri. Può essere trasparente nella regione del cuore ma non in quella della pancia, oppure nella testa ma non nel cuore. Ciò fa sì che il nostro accesso avviene prevalentemente attraverso un centro o un altro.

La qualità più importante per la trasparenza del corpo, così come per l’anima, è la sensibilità. Ciò vuol dire che il punto non è se certi organi o parti del nostro corpo sono forti, sani e normali, ma quanto sono sensibili all’esperienza interiore e come influenzano la sensibilità dell’anima. I fattori che influenzano la sensibilità possono essere fisici, ma di solito sono le conseguenze psicologiche della situazione o del limite fisici.

Per sensibilità non intendo essere reattivi o troppo delicati; mi riferisco alla capacità di sperimentare stimoli di un’intensità e una qualità sempre maggiori senza interruzioni o chiusure.

Toshan Ivo Quartiroli: Il mondo è nel caos ecologico, sociale e politico. Esistono insegnanti secondo i quali ciò che sta avvenendo è solo un’illusione, “maya”, e non dovremmo preoccuparci, a meno che il nostro corpo-mente non sia meccanicamente programmato per affrontare questi argomenti. Potrebbe essere un’altra forma di attaccamento, ma la prospettiva della fine dell’incredibile esperimento della vita muove qualcosa dentro di me. I ricercatori spirituali possono avere un ruolo nella cura del corpo e dell’anima del mondo?

Hameed Ali: So che secondo alcuni insegnamenti il mondo è un’illusione, ma penso che questa sia un’eccessiva semplificazione che non comunica il messaggio originario. È una frase che cattura l’attenzione, ma la verità è più sottile e interessante. Quando cominciamo a riconoscere la visione egoica del mondo come fondamentalmente concettuale, tale visione appare illusoria. Percepiamo il mondo come un’illusione, ma andando più a fondo scopriamo che la sensazione di tale illusione è dovuta al fatto che stiamo ancora considerando la concezione egoica del mondo. Essa non dice nulla sul mondo. Ma quando guardiamo direttamente e immediatamente – cioè quando i concetti dell’ego sul mondo si sono dissolti – il mondo appare reale, ma come un’espressione di luce e presenza. Scopriamo che la percezione del mondo da parte dell’ego è una distorsione della condizione vera del mondo, del mondo autentico.

Abbiamo due modi per stare in questo mondo autentico. O siamo la natura autentica del mondo, ciò che lo rende reale, che trascende le forme del mondo; oppure siamo la natura autentica che si manifesta sotto forma di anima individuale. In quest’ultima condizione sperimentiamo il nostro io non solo come trascendente, ma anche come un organo, un’azione o una percezione del trascendente.

In tale mondo autentico ogni cosa appare giusta e perfetta. Ma questo non vuol dire che i particolari del mondo, lo stato delle cose, rientrino nella nostra definizione di perfezione. Più che altro, il nostro sguardo è rivolto alla natura fondamentale del mondo, che è purezza e perfezione.

In altre parole, possiamo scorgere la purezza autentica e riconoscere allo stesso tempo che lo stato delle cose non è salutare per gli esseri umani, ed è qui che la natura autentica manifesta il suo amore e la sua compassione. Possiamo impegnarci, nel senso che la nostra compassione ci porta a vedere la sofferenza e a sentirci inclini ad alleviarla. Allo stesso tempo, comprendiamo che il vero problema non è lo stato particolare delle cose, ma l’ignoranza della natura autentica, che è sottintesa alla dolorosa situazione generale. Riconosciamo che solo attraverso la dissoluzione dell’ignoranza un essere umano può essere libero, ma possiamo anche vedere che, per dissolvere questa ignoranza, la nostra compassione e il nostro amore agiscono in modi che corrispondono a uno stato delle cose più sano. In altre parole, più siamo realizzati, più comprendiamo le vere ragioni della sofferenza e del conflitto, e ci rendiamo conto di quali azioni saranno di aiuto. Di fatto, l’azione della realizzazione autentica è sempre diretta alla guarigione del mondo, ma potrebbe non manifestarsi nei modi in cui ci aspettiamo. Può succedere. Ma nello stato di realizzazione, esiste qualcosa come un’azione nel mondo?

Nella condizione trascendente vediamo che nessuno può agire, che ogni azione è fondamentalmente la trasformazione della sembianza dell’essere divino. In altre parole, non esistono azioni individuali. Ma questo è un punto sottile, perché anche se tale è l’esperienza dell’individuo realizzato, quest’ultimo sembra agire in modi che tendono a risanare la situazione intorno a lui/lei. Quindi, è vero che è un’illusione cercare di fare qualcosa, ma questo tipo di comprensione si accompagna a un grado di realizzazione in cui gli eventi intorno a tale individuo cominciano a muoversi verso l’integrità. Quindi, anche se non si stanno compiendo azioni individuali, lo stato delle cose si trasforma per riflettere le perfette qualità della realizzazione: per esempio, l’intelligenza, l’amore e la compassione. Inoltre, dal punto di vista delle persone intorno all’individuo realizzato, quest’ultimo sembra agire in modo sano e salutare.

Nella condizione personificata in cui siamo l’anima inseparabile dalla sua fonte – una cellula nell’essere divino – capiamo che possiamo compiere azioni individuali, ma tali azioni sono in realtà quelle del divino che si manifesta tramite noi. Quindi, c’è la percezione dell’azione individuale, ma anche il riconoscimento che esiste una sola entità ad agire. In tale condizione sperimentiamo le nostre azioni come prive di sforzo e salutari per lo stato delle cose, sia per gli altri che per l’ambiente.

Per cui, l’attaccamento in questo caso non riguarda l’atto di aiutare il mondo, ma la convinzione che l’atto individuale sia una verità assoluta. Se, volendo aiutare il mondo, ci stiamo meramente aggrappando alla nostra convinzione del carattere assoluto dell’atto individuale, siamo di fronte a un attaccamento che riflette un’illusione. Ma l’azione può fluire senza che noi si assuma questa posizione. In tal modo, l’azione può apparire una parte dello svolgimento universale delle apparenze del mondo, oppure l’azione del divino che si manifesta attraverso un’anima individuale.

Se osserviamo la vita degli individui realizzati, tutti hanno contribuito a risanare l’ambiente che li circondava, umano, animale o inanimato. Un modo migliore di dire la stessa cosa è affermare che gli individui davvero realizzati contribuiscono al cammino generale dell’umanità e del mondo verso una maggiore consapevolezza della natura autentica.

Toshan Ivo Quartiroli: Pensi che il sistema scolastico e sociale possa favorire il riconoscimento e l’integrazione delle qualità essenziali nei bambini?

Hameed Ali: Certamente, ma non sempre questo accade. Il punto non è se i bambini possono, ma se c’è la volontà in questa direzione. E ciò significa che le persone dietro tali sistemi devono essere sagge abbastanza da includere tale educazione nei sistemi stessi. Sono esistiti dei casi, nella storia, in cui persone sagge nei posti di potere hanno patrocinato insegnamenti e valori spirituali, favorendo la loro diffusione nella società. Questo è avvenuto nella tradizione ebraica, sufi, buddista e in altre. Generalmente, ciò accade in alcune comunità all’interno della società, che probabilmente in qualche caso hanno incluso l’educazione dei bambini. Un esempio interessante è quello dell’epoca greco-romana, quando i potenti mandavano, talvolta, i figli a studiare dal sapiente dell’epoca, come Platone in Alessandria e Plotino a Roma.

Toshan Ivo Quartiroli: I Veda hanno prodotto non solo conoscenza spirituale, ma anche il sapere scientifico dei tempi antichi. Si dice che tale sapere sia stato scoperto da esseri illuminati attraverso stati meditativi. La tecnica di esplorazione da te insegnata può essere applicata alla medicina, la fisica, la cosmologia, la scienza sociale e altri campi scientifici? In tal caso, cosa ci sarebbe di diverso rispetto all’attuale ricerca scientifica?

Hameed Ali: Senza dubbio. L’esplorazione, nel Diamond Approach, consiste di ricerca e indagine, e può applicarsi a qualsiasi campo di attività. È mio desiderio che questo accada, a un certo punto. Saranno necessarie alcune modifiche per favorire l’adattamento a ciascun campo, e bisognerà trovare un modo per includere l’esplorazione nella consapevolezza del ricercatore.

Oggi, il nostro metodo scientifico cerca di isolare il ricercatore (come abbiamo già detto), ma non esiste una ragione indiscutibile per non includerlo. Ciò crea un’approssimazione migliore di quella cartesiana. Comunque, non è una cosa semplice come il metodo cartesiano, che cerca di isolare il più possibile il ricercatore dall’oggetto di ricerca. L’individuo medio non può farlo, e questo vale per la maggior parte dei nostri scienziati. Penso che se ciò accadrà, sarà grazie agli scienziati che hanno già una certa realizzazione e comprensione della consapevolezza e della sua natura. Credo che sarà interessante vedere in che modo la scienza si svilupperà partendo da questa prospettiva più vasta e profonda. Nella filosofia della scienza potrebbe verificarsi una rivoluzione simile a quella Einstein provocò nella fisica.

Toshan Ivo Quartiroli: Ti ho sentito dire che esiste una relazione tra gli aspetti essenziali e il sistema endocrino. Potresti dire qualcosa al riguardo?

Hameed Ali: Non ne so granché. Ma so che, così come l’energia-shakti e il sistema dei chakra sono collegati al sistema nervoso e ai vari plessi, gli aspetti essenziali e il sistema “lataif” sono collegati al sistema endocrino e le sue ghiandole. Come esperienza, l’energia shakti è simile a una scarica elettrica, mentre la presenza essenziale è simile allo scorrere dei fluidi. Credo che sarebbe interessante svolgere una ricerca dettagliata su questa corrispondenza.

Toshan Ivo Quartiroli: La tua scuola ha l’aspetto di una scuola misterica, con poca pubblicità, mentre i tuoi libri, anche se molto apprezzati dai ricercatori, sono stati pubblicati in proprio e non hanno raggiunto il mercato di massa. Da un paio di anni hai cominciato a pubblicare con un grosso editore e il tuo nuovo libro, Inner Journey Home, avrà una grossa promozione. Quali sono le nuove sfide, e cosa provi a essere oggetto di attenzione da parte dei media e delle masse? Quale sarà l’argomento di Inner Journey Home?

Hameed Ali: La mia funzione è trasmettere il Diamond Approach in tutti i modi possibili. L’idea è quella di raggiungere il massimo numero di persone in sintonia con esso, affinché lo usino secondo le loro possibilità. Faccio questo attraverso gli insegnamenti, il training per insegnanti, gli eventi pubblici e le pubblicazioni. Parte della funzione delle pubblicazioni è rendere disponibile alla gente il nuovo paradigma e le intuizioni del Diamond Approach. Le pubblicazioni non sono un metodo efficace come l’insegnamento, ma hanno la loro utilità, in quanto sono educative (nel senso positivo della parola).

Se questo richiederà l’attenzione dei mass media, non mi è chiaro. Personalmente tendo a essere riservato, e non mi piace l’attenzione delle masse. Ma se ciò comincia ad accadere e aiuta la trasmissione degli insegnamenti a un numero maggiore di persone, continuerò su questa strada, come parte del mio servizio all’insegnamento.

Pubblicando con la casa editrice Shambhala, l’intento è, in parte, allargare il pubblico raggiungibile dai libri. Questo, in realtà, non è il livello dei mass media.

Non stiamo cercando di divulgare gli insegnamenti a livello delle masse, perché il nostro lavoro si basa molto sulla figura dell’insegnante, e possiamo accogliere solo un numero di studenti proporzionale ai nostri insegnanti. Ma i libri non hanno questi limiti, e possono raggiungere un pubblico molto più vasto senza che la scuola debba accogliere nuovi studenti, anche se ciò ci metterà più pressione.

The Inner Journey Home, in pubblicazione nella primavera del 2004, è in parte un libro sull’anima e in parte una panoramica particolareggiata del cammino del Diamond Approach. La prima parte è una descrizione dettagliata dell’anima, che ne analizza la natura, le proprietà e funzioni, le dimensioni, la crescita, la realizzazione e la maturità. Il Diamond Approach sviluppa l’antico concetto occidentale dell’anima, esposto per la prima volta da Socrate e ampliato dalle scuole esoteriche delle tradizioni monoteiste, fino a includere il moderno campo della psicologia e la nozione dell’io. L’accento è su come l’anima è ciò che siamo, la nostra consapevolezza individuale, che ha l’essenza come sua natura e fondamento ontologico, ma che tra le sue dimensioni o possibilità include anche ciò che chiamiamo mente, cuore e volontà.

Il libro analizza nei dettagli il modo in cui l’anima si evolve nell’io comune attraverso lo sviluppo dell’ego, e come e perché questo l’aliena dalla sua natura essenziale.

Tutto ciò viene riconosciuto come uno stadio di un processo più vasto di evoluzione che comprende lo sviluppo essenziale, la realizzazione della natura autentica e l’integrazione di quest’ultima nel mondo, sotto forma di individuazione e maturazione dell’anima. Il libro poi tratta in modo particolareggiato la natura essenziale dell’anima, le dimensioni della natura autentica e la loro realizzazione e integrazione nel cammino; include un esame molto approfondito, sottile e dettagliato della natura autentica; si chiude con un’analisi del viaggio di discesa e l’integrazione di tutte le dimensioni della Realtà autentica, la condizione autentica dell’esistenza, oltre ai suoi rapporti con l’idea di un Dio personale.

Un tema importante che percorre tutto il libro è il legame tra gli insegnamenti del Diamond Approach e la tradizione del pensiero occidentale. Viene analizzato in che modo il Diamond Approach è una possibile e positiva evoluzione della cultura e dei valori occidentali. Ciò viene fatto esaminando la dissociazione e l’unità delle nozioni di Dio/Essere, io/Anima e mondo/Cosmo.

Per maggiori informazioni su libri e articoli di Almaas, http://www.ahalmaas.com/
Il sito della scuola Ridhwan: www.ridhwan.org

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Almaas. Essenza. Il nucleo divino nell’uomo. Crisalide. 1999. ISBN: 8871830873

Almaas. Il cuore del diamante. Elementi del reale nell’uomo. Crisalide. 1999. ISBN: 8871830776

Almaas. L’elisir dell’illuminazione. Crisalide. 2002. ISBN: 887183125X

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Almaas. Inner Journey Home: The Soul’s Realization of the Unity of Reality. Shambhala. 2004. ISBN: 1590301099

Almaas. Diamond Heart Book 2 The Freedom to Be. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713046

Almaas. Diamond Heart Book 3: Being and the Meaning of Life. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713054

Almaas. Diamond Heart Book 4: Indestructible Innocence. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713119

Almaas. Facets of Unity: The Enneagram of Holy Ideas. Diamond Books. 2000. ISBN: 0936713143

Almaas. Luminous Night’s Journey: An Autobiographical Fragment. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713089

Almaas. Spacecruiser Inquiry: True Guidance for the Inner Journey. Shambhala. 2002. ISBN: 1570628599

Almaas. The Pearl Beyond Price: Integration of Personality into Being, an Object Relations Approach. Shambhala. 2000. ISBN: 093671302X

Almaas. The Point of Existence: Transformations of Narcissism in Self-Realization. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713097

Almaas. The Void: Inner Spaciousness and Ego Structure. Shambhala. 2000. ISBN: 0936713062

Almaas. Work on the Superego. Diamond Books.1992. ASIN: 0936713070

Traduzione di Gagan Daniele Pietrini
Copyright: Innernet.

75 Responses to “L’amore della verità fine a se stessa”

  1. eckhart ha detto:

    PS Volevo segnalarti che uno dei miei libri giovanili “di formazione” è stato: “I nutrimenti terrestri” di Andrè Gide,che son sicuro apprezzerai.
    Ricordo ancora qualche frase che ai tempi mi folgorò:
    “L’importante sia nel tuo occhio,non nella cosa guardata.
    Nataneele,io t’insegnerò il fervore.”

    ;-)

  2. Alain ha detto:

    doxa
    eikasia
    pistis
    dianoia
    noesis

    (Platone che Aristotele non seppe leggere)

  3. atisha ha detto:

    -Forse e’ a questo che il “nostro” Eckhart allude non alla fuga nella Quiete anestetica, che De Martino identifica come il fine ultimo del “progetto gnostico postmoderno”-

    come può l’uomo rifugiarsi in una quiete anestetica?
    può l’ego identificarsi stabilmente in quella posizione come fine ultimo?
    la mia risposta è no..
    con un minimo di ragionamento sulla struttura dell’ego identificato si capisce il perchè..

    un saluto a tutti :)

  4. Alain ha detto:

    Puo’ eccome.
    Per esempio i Buddisti parlano di assorbimento nel mondo senza forma (arupakaya mi pare si dica). Samadhi che puo’ durare oltre questa vita stessa, sino a quando il karma che l’ha generato si esaurisce (lunghe sedute di pratica di Samatha lo hanno generato).

  5. eckhart ha detto:

    Non c’entra nulla il samadhi con la “quiete anestetica” (?).
    Ma..cosa c’entra ciò con l’ego a cui si riferiva Atisha?

  6. eckhart ha detto:

    Lo “stolto” guarda ancora il dito
    quando il saggio sta già osservando il “cielo”.

  7. Alain ha detto:

    Lo “stolto” guarda ancora il dito
    quando il saggio sta già osservando il “cielo”…… e cosi con la testa per aria casca nel primo buco che incontra sulla via…..:)

  8. eckhart ha detto:

    No,perché il cielo sta anche sotto..

    vedo che stai ancora guardando il dito.. :-))

  9. paritoshluca ha detto:

    A questo punto è necessario un intervento per ribadire che anche la filosofia non è contraria alla saggezzza..a condizione che sia un saggio a esporla..
    Cioè..anche l’Illuminazione può essere oggetto di studio filosofico..senza perdersi i chiacchiere eccessive ..e ho presente Guenon degli stati molteplici dell’Essere…dove salta a piè pari l’Occidente e arriva all’Advaita Vedanta..che è poi ciò che ci interessa in quanto meditatori e iniziati..almeno chi lo è..
    Ciò che disturba invece è quel tipico atteggiamento sentimentale che fa il palo all’atteggiamento morale.. che nega il valore della ragione quando non ci piace per privilegiare un qualche oscuro vitalismo o irrazionalità benefica che verrebbe mortificata dal Testimone o dal Centro considerato come una palude stagnante..
    Bè..l’iniziazione non è per tutti..e Gurdjief..Osho..Almaas..cercano di trasmettere l’incomunicabile che chiarifica tutto una volta che lo si è compreso..
    ma se non lo si è compreso..e si vuol giudicare il Principio..saremo come i famosi elefanti nella cristalleria..elefanti intellettuali ma sempre pachidermi..e il messaggio dei Maestri..non viene colto..
    Una volta capito il punto..il problema è percorrere la strada..
    ed evitare gli errori..o quantomeno non soffermarsi troppo a contemplarli..ma è proprio qui che si vede il valore..il valore di chi è stato chiamato a trascendere l’ego e ad affermare la vita..a scegliere la virtù dell’attenzione e non il vizio del luogo comune..

    Voialtri pochi che drizzaste il collo
    per tempo al pan de li angeli, del quale
    vivesi qui ma non sen vien satollo,

    metter potete ben per l’alto sale
    vostro navigio, servando mio solco
    dinanzi a l’acqua che ritorna equale.

    Ecco..a complicare le cose ci sta anche il fatto che l’unico solco da osservare è il nostro..

  10. eckhart ha detto:

    Paritosh:
    l’Advaita Vedanta..che è poi ciò che ci interessa in quanto meditatori e iniziati..almeno chi lo è..
    Ciò che disturba invece è quel tipico atteggiamento sentimentale che fa il palo all’atteggiamento morale.. che nega il valore della ragione quando non ci piace per privilegiare un qualche oscuro vitalismo o irrazionalità benefica che verrebbe mortificata dal Testimone o dal Centro considerato come una palude stagnante..
    Bè..l’iniziazione non è per tutti..e Gurdjief..Osho..Almaas..cercano di trasmettere l’incomunicabile che chiarifica tutto una volta che lo si è compreso..
    ***
    La filosofia realizzativa (in pratica l’advaita)indica bene certi Stadi,è vero:non coglierlo è già farne un’opinione,un pensiero,un concetto da contrapporre,un immagine di perfezione come riferimento (certo vitalismo sentimental-moralistico ,come ben evidenzi).
    Sì..è questo l’atteggiamento dell’ego intellettuale,ma perché disturbarsene..
    Per l’iniziazione si è evidentemente chiamati.. è così.
    :-)

  11. Alain ha detto:

    No,perché il cielo sta anche sotto..

    vedo che stai ancora guardando il dito..
    ..e anche il dito e’ cielo.

  12. eckhart ha detto:

    Beh..dipende pure da “chi” lo guarda per vederlo cielo.

  13. Gianni De Martino ha detto:

    Alain, mi riferivo proprio all’assorbimento mentale conosciuto come samatha, sia presso gli yogi indu che altri non buddhisti.

    Arupakaya è il corpo immateriale dei Deva, ottenuto dopo la morte dalla pratica dell’assorbimento meditativo.

    Se ci si esercita nel samatha basandosi sulla “presa di rifugio nei tre gioielli”, allora questa pratica diventa una condotta specificamente buddhista.

    Nel tantra buddhista la pratica samatha è motivata da bodhi-citta, ovvero dal pensiero di realizzare l’illuminazione per essere di beneficio alle creature. Si tratta del voto proprio dei bodhisattva ( quegli autentici esseri-per-gli- altri che rinunciano sia all’attaccamento al samsara – continuo venire all’esistenza dell’esistenza condizionata) sia ai terrori del nirvana.

    Nella pratica buddhista, samatha permea di calma il metodo della “vista penetrante” o vipasyana, metodo complementare a samatha. Il clima è caldo e compassionevole come il sole di cui parla eckart e, a un tempo, tagliente come la spada di Manjushri – in genere rappresentato con la spada acuminata, il loto e il libro).

    Samatha non è niente di speciale, benché sia di primordiale importanza e arduo da realizzare: è caratterizzato dalla stabile concentrazione, in modo da vedere la natura ultima dell’oggetto di meditazione con tranquillità e con calma, da un punto di osservazione ben fermo.

    Ci sarebbero alcune cose da dire sulle condizioni richieste, in ambito buddhista, per la realizzazione della calma mentale. Spero che l’occasione non mancherà.

  14. Alain ha detto:

    Beh..dipende pure da “chi” lo guarda per vederlo cielo.

    Se e’ solo cielo non c’e’ nessun chi, non c’e’ nessuno che guarda e non c’e’ un qualcosa che e’ guardato.

  15. eckhart ha detto:

    Bene..è quel che intendevo anch’io.
    :-)

  16. Alain ha detto:

    Sei furbo te che confondi il punto di vista relativo con la realizzazione dell’assoluto.

    Gianni non ci sono terrori nel nirvana. E’ che il Mahayana-Vajrayana considera il Nirvana del Theravada come qualcosa di ancora imperfetto, infatti lo colloca solo all’ottavo Bhumi. Cioe’ ci sarebbero ancora delle sottili latenze (samskaravasana) da purificare.

  17. eckhart ha detto:

    Alain:
    ci sarebbero ancora delle sottili latenze (samskaravasana) da purificare.
    ***

    ..e già ..le latenze (sottili o ancora grossolane?)
    Forse è meglio occuparci di queste piuttosto che del Nirvana.
    Sì,c’è tanto ancora da purificare..
    :-)

  18. atisha ha detto:

    tutte chiacchiere alla fine…
    cielo, buche in terra, dito che indica.. saggio, non saggio.. erudita, theravada, samatha ecc..
    mi fanno ormai sorridere tutte queste definizioni..
    ogni sforzo per comunicare l’incomunicabile.. l’esperienza.
    esperienza che resta individuale e noi la vogliamo far capire al mondo.
    impossibile. difficile. manca l’apertura del Cuore.
    E’ tutto più semplice e non lo si vuole vedere.. basterebbe l’osservazione di sé costante..
    basterebbe questo esercizio a interrompere ogni flusso e disturbo del proprio ego..
    già partire e mantenere vivo questo proposito è difficile..

    saluti :)

  19. eckhart ha detto:

    atisha:tutte chiacchiere alla fine…
    manca l’apertura del Cuore.

    ***
    ..mi sa che anch’io passo su facebook se ho proprio voglia di chiacchierare.
    Almeno so che son chiacchiere
    :-))

  20. watts ha detto:

    POLONIUS: What do you read, my lord?
    HAMLET: Words, words, words.
    POLONIUS: What is the matter, my lord?
    HAMLET: Between who?
    POLONIUS: I mean the matter you read,my lord
    Hamlet
    THE BARD :Words, words, mere words, no matter from the heart.
    Troilus and Cressida

    Almeno dall’ intervento 29 in poi.
    Prima forse … uno squarcio!

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