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La telepatia, le premonizioni e la sensazione di essere osservati non hanno attualmente una spiegazione in termini scientifici. La loro stessa esistenza è anzi controversa. Pare che accadano, ma se tutti i possibili tipi di forze, campi e modi di trasferire le informazioni sono già noti alla scienza, allora non dovrebbero esistere. Forse la nostra comprensione scientifica dei principi fondamentali è già essenzialmente completa? È stata data una risposta a tutte le grandi domande? Tratto da “La mente estesa” di Rupert Sheldrake – Urra ed.

La mente oltre il cervello
Se il settimo senso è reale, esso indica una visione più ampia della mente, una visione letteralmente allargata in cui le menti si estendono nel mondo intorno ai corpi. E non soltanto i corpi umani, ma anche quelli degli animali non umani.

In questo libro prospetto che in realtà le menti siano estese; si estendono attraverso campi che collegano gli organismi al loro ambiente e gli uni con gli altri. Questi campi possono aiutare a spiegare la telepatia, la sensazione di essere osservati e altri aspetti del settimo senso. Ma la cosa più importante è che essi aiutano anche a spiegare le percezioni normali. Le nostre menti sono estese nel mondo intorno a noi, e ci collegano con tutto ciò che vediamo.

Se fissiamo qualcuno da dietro, e questa persona non sa che siamo lì, a volte si gira e ci guarda a sua volta. A volte siamo noi a girarci improvvisamente per scoprire qualcuno che ci sta fissando. La maggior parte delle persone ha avuto esperienze come queste. La sensazione di essere osservati non dovrebbe aver luogo se l’attenzione fosse all’interno della testa. Ma se l’attenzione si estende all’esterno e ci collega con ciò che stiamo guardando, allora il nostro guardare potrebbe influenzare l’oggetto guardato.

Io suggerisco che, tramite la nostra attenzione, noi creiamo campi percettivi che si estendono intorno a noi, collegandoci con ciò che stiamo guardando. Attraverso tali campi, l’osservatore e l’osservato sono interconnessi.

I campi mentali che si estendono oltre il cervello possono anche aiutare a spiegare la telepatia. Nel mondo moderno, il genere più comune di telepatia si verifica in connessione con le chiamate telefoniche, come vedremo nel Capitolo 6. Molte persone affermano di sapere talvolta chi li sta chiamando prima di rispondere al telefono.

La telepatia sembra essere estremamente diffusa nel regno animale e fa parte della nostra natura biologica, sebbene i nostri poteri telepatici siano generalmente scarsi in confronto a quelli di cani, gatti, cavalli, pappagalli e altre specie di mammiferi e uccelli. Ho discusso una grande mole di prove della telepatia nelle specie non umane nel mio libro I poteri straordinari degli animali.

Sebbene il presente lavoro si occupi principalmente del settimo senso umano, riassumerò anche le prove del settimo senso negli animali, prendendo in considerazione ulteriori prove provenienti dalla mia continua ricerca. Soltanto considerando il settimo senso umano nel suo più ampio contesto biologico possiamo cominciare a comprenderlo, e iniziare a vedere in che modo è legato alla natura delle menti umane e animali.

Come la sensazione di essere osservati, la telepatia è paranormale soltanto se definiamo “normale” la teoria secondo cui la mente è confinata al cervello. Ma se le nostre menti si estendono oltre il cervello, come pare che sia, e si collegano con altre menti, come pare che sia, allora fenomeni come la telepatia e la sensazione di essere osservati paiono normali. Non sono paurosi o bizzarri, ai margini di una psicologia umana anormale, ma fanno parte della nostra natura biologica.

Ovviamente, non sto dicendo che il cervello sia irrilevante nella nostra comprensione della mente. È molto rilevante, e recenti progressi nella ricerca sul cervello hanno molto da dirci. Le menti sono centrate nei corpi, e in particolare nel cervello. Io suggerisco però che non sono confinate ai nostri cervelli, ma si estendono oltre di essi. Questa estensione si verifica attraverso i campi della mente, o campi mentali, che esistono sia dentro che al di là del cervello.

L’idea di campi intorno ai corpi materiali è già familiare. I campi magnetici sono incentrati sui magneti; i campi gravitazionali sono incentrati su corpi materiali come la Terra. Il campo di un magnete non è confinato alla parte interna del magnete, ma si estende al di là di esso. Il campo gravitazionale della Terra si estende ben oltre la sua superficie, inglobando i satelliti e la luna che vi orbita intorno.

I campi magnetici, così come i campi elettrici e gravitazionali, sono invisibili ma in grado di produrre effetti a distanza. Allo stesso modo, i nostri campi mentali non sono confinati alla parte interna del cranio, ma si estendono al di fuori. Io suggerisco che la nostra attività mentale dipende da campi invisibili che possono anche produrre effetti a distanza. Discuterò ulteriormente di questi campi mentali e del loro funzionamento nel Capitolo 19.

Immagini fuori dalla nostra testa

Guardati intorno adesso. Le immagini di ciò che vedi sono dentro il tuo cervello? Oppure sono fuori di te, proprio dove sembrano essere?

Io suggerisco che la tua mente si estenda oltre il cervello, nel mondo intorno a te. La vista comporta un processo bidirezionale: un movimento di luce da una proiezione esterna delle immagini. Per contrasto, secondo la teoria convenzionale, esiste soltanto un processo a senso unico: la luce entra, ma niente viene proiettato verso l’esterno.

Il movimento della luce verso l’interno è piuttosto familiare. Mentre leggi questo libro, la luce riflessa si sposta dal libro fin dentro i tuoi occhi attraverso il campo elettromagnetico. Le lenti dei tuoi occhi concentrano una luce che forma immagini capovolte sulle retine. La luce che cade sui coni e sui bastoncelli della retina provoca cambiamenti ritmici al loro interno, e questi innescano cambiamenti nei nervi che collegano le cellule al cervello.

Gli impulsi nervosi stimolano i nervi ottici e penetrano nel cervello, dove danno vita a schemi complessi di attività elettrica e chimica. Fin qui, tutto bene. Tutti questi processi possono e sono stati studiati in grande dettaglio dai neurofisiologi e da altri esperti delle capacità visive e dell’attività cerebrale.

Ma poi accade qualcosa di molto misterioso. Fai esperienza cosciente di ciò che stai vedendo, le pagine di questo libro. Divieni anche cosciente delle parole stampate e dei loro significati. Dal punto di vista della teoria dominante, non c’è alcuna ragione per cui tu debba essere cosciente. I meccanismi del cervello dovrebbero poter avvenire altrettanto bene senza alcuna coscienza. E qui abbiamo un ulteriore problema. Quando vedi questo libro, non percepisci la sua immagine come se fosse dentro il tuo cervello, dove dovrebbe essere. Al contrario, percepisci l’immagine del libro ponendola a qualche decina di centimetri di fronte a te, dove si trova il libro stesso. L’immagine è al di fuori del corpo.

Con tutta la sua sofisticazione fisiologica, la teoria dominante non offre spiegazioni per la tua esperienza più immediata e diretta. Essa suppone che tutta la tua esperienza si trovi all’interno del cervello, non dove sembra essere.

L’idea di base che sto proponendo è così semplice che è difficile afferrarla. La tua immagine di questo libro è esattamente dove sembra essere, di fronte ai tuoi occhi, non dietro gli occhi. Non è dentro il cervello. La tua mente la sta proiettando verso l’esterno, dove sembra essere.

Le immagini che proiettiamo verso l’esterno quando vediamo qualcosa coincidono di solito molto bene con ciò che stiamo guardando. Se così non fosse, non saremmo in grado di camminare, andare in bicicletta o guidare un’auto senza sbattere continuamente in ciò che abbiamo di fronte. Fortunatamente, le illusioni e le allucinazioni sono relativamente rare. Collegamenti di grande precisione tra le nostre percezioni e il mondo circostante sono per noi di ovvio vantaggio, così come lo sono per qualsiasi specie. Senza dubbio sono stati fortemente favoriti dalla selezione naturale.

Tutti i nostri sensi, non soltanto la vista, sono profondamente radicati nella storia evolutiva. La storia di come vediamo può essere fatta risalire non soltanto al nostro passato umano, ma alla storia evolutiva dei mammiferi, dei rettili e dei pesci, che vedono come noi, che cioè vedono immagini. Altre storie evolutive indipendenti si trovano nei cefalopodi, come le piovre, le quali hanno globi oculari, lenti e retine comparabili ai nostri.

Gli occhi composti degli insetti hanno ancora un’altra eredità evolutiva. Tutte queste storie risalgono a centinaia di milioni di anni fa. E se la vista umana comporta una proiezione esterna dell’immagine, sembra probabile che nel processo visivo innumerevoli altre specie proiettino anch’esse le immagini verso l’esterno, e lo abbiano fatto fin dal momento in cui si evolsero i primi occhi.

Le nostre menti ci collegano al mondo intorno a noi, proprio come sembrano fare. Questo collegamento, attraverso i nostri organi di senso, ci collega direttamente a ciò che percepiamo. Ciò che vediamo è un’immagine nella nostra mente. Ma non è dentro il cervello. Il cervello è confinato al cranio. La mente si estende nello spazio, e nel mondo all’intorno. Essa si estende a toccare ciò che vediamo. Se vediamo una montagna distante 10 chilometri, la mente si estende di 10 chilometri. Se vediamo una stella distante, la mente si sta estendendo su distanze letteralmente astronomiche.

L’ipotesi sconcertante

Come abbiamo visto, secondo la teoria convenzionale la vista è un processo a senso unico. La luce si sposta negli occhi i cui impulsi viaggiano lungo i nervi ottici, dando vita a complessi schemi d’attività nella corteccia visiva e in altre parti del cervello. Poi in qualche modo appaiono le immagini, e vengono soggettivamente sperimentate all’interno del cervello. Le nostre immagini visive si trovano all’interno del cervello, anche se sembrano essere nel mondo intorno a noi.

È facile dimenticare quanto questa teoria entri in conflitto con la nostra esperienza, quante spiegazioni non fornisca, e quanto siano poche le prove che la sostengono. Dopotutto, nessuno ha mai osservato un’immagine dentro un cervello. La maggior parte di noi ha accettato la teoria della “mente dentro il cervello” senza aver mai avuto la possibilità di metterla in discussione. L’abbiamo data per scontata, ed è sembrato che sia sostenuta da tutte le autorità scientifiche.

Nel suo studio sullo sviluppo intellettuale dei bambini, lo psicologo svizzero Jean Piaget ha scoperto che prima dell’età di 10 o 11 anni la maggior parte dei bambini europei da lui esaminati erano come persone “primitive”, nel senso che non sapevano che la mente era confinata alla testa. Essi pensavano che si estendesse nel mondo intorno a loro. Ma all’incirca intorno all’età di 11 anni, la maggior parte assimilava ciò che Piaget ha definito la visione “corretta”, e cioè che “le immagini e i pensieri si trovano nella testa.”

Forse è a causa del fatto che nessuno vuole apparire stupido, infantile o primitivo che questa visione “scientificamente corretta” viene messa in dubbio in pubblico così raramente dalle persone istruite. Ma essa si scontra inevitabilmente con la nostra esperienza più immediata ogni volta che ci guardiamo attorno. Inoltre porta a una negazione dogmatica dell’esistenza di fenomeni inspiegati come la telepatia.

La teoria materialista cozza ancor più con la nostra esperienza nell’affermare che la nostra coscienza in realtà non fa nulla. È un “epifenomeno” di attività cerebrale, più o meno come un’ombra, oppure coincide esattamente con l’attività cerebrale. Un epifenomeno è il risultato meramente accidentale di un processo, ma non influenza il processo stesso. Da questo punto di vista, la coscienza non è altro che un accompagnamento accidentale degli schemi d’attività fisica e chimica della corteccia cerebrale, senza alcuno scopo o funzione.

La teoria dell’identità afferma che l’attività mentale non è altro che l’esperienza soggettiva dell’attività cerebrale. Francis Crick, premio Nobel e uno dei padri fondatori della biologia molecolare, l’ha definita l’ipotesi sconcertante: “Tu, le tue gioie e i tuoi dolori, i tuoi ricordi e le tue ambizioni, il tuo senso d’identità personale e di libero arbitrio, non sei altro che il comportamento di un vasto insieme di cellule nervose e molecole ad esse associate (…) Questa ipotesi è così aliena alle idee della maggior parte della gente in vita oggi da poter essere tranquillamente definita sconcertante.”

Crick ha senz’altro ragione. Si tratta effettivamente di un’affermazione sconcertante. Anche se costituisce la norma, il punto di vista ortodosso all’interno della scienza istituzionale, essa cozza con ogni aspetto della nostra esperienza immediata. È aliena alle idee della maggior parte delle persone e al buon senso. Rende un’idiozia i nostri sistemi sociali e legali, i quali ritengono che adulti in grado d’intendere e di volere siano responsabili delle proprie azioni. In pratica, le persone non possono essere trattate come meri automi senza libertà di scelta o libero arbitrio, né la maggioranza pensano davvero d’essere dei meccanismi senza possibilità di scelta alcuna.

Tutti i sistemi di democrazia politica si basano sull’idea di scelta, libero arbitrio e responsabilità, così come le religioni. Dai punti di vista religioso, politico, legale, sociale e personale non siamo soltanto l’attività automatica di vasti insiemi di cellule nervose e delle molecole ad esse associate. Come amava dire Carl Sagan, “affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie.” Dove sono le prove straordinarie della sconcertante affermazione secondo cui la mente non è altro che l’attività del cervello?

Non ce ne sono quasi. Nessuno ha mai visto un pensiero o un’immagine dentro il cervello di qualcun altro, o dentro al proprio. Facciamo esperienza di immagini fuori di noi stessi, non soltanto dentro le nostre teste. Sentiamo che i nostri corpi occupano spazio. La mia esperienza delle dita si trova nelle dita, non nella testa. L’esperienza diretta non sostiene in alcun modo l’affermazione straordinaria secondi cui tutte le nostre esperienze si trovano all’interno del cervello. L’esperienza diretta non è irrilevante per la natura della coscienza; essa è la coscienza.

Tutto ciò che troviamo sono prove di un qualche tipo di rapporto esistente tra l’attività mentale e quella del cervello. Quando decido di alzarmi in piedi o di mettermi a sedere, nel cervello e negli impulsi nervosi si verificano dei cambiamenti che vengono trasmessi ai muscoli. La coscienza influenza il cervello. E il cervello influisce sulla coscienza. I cambiamenti nel cervello provocati dai sensi, o dalle droghe tramite stimolazione elettrica o danni cerebrali possono portare a cambiamenti nella coscienza. Tutti sono concordi nel ritenere che la mente e il cervello siano strettamente connessi. Ma questo non prova che la mente sia il cervello.

Gli autisti sono strettamente interconnessi con le proprie auto. Un cambiamento in uno dei due può influenzare l’altra. Ma non sono identici. Allo stesso modo, i pianisti sono strettamente collegati ai propri strumenti musicali. Le attività delle loro dita sono strettamente collegate ai suoni prodotti dal piano. Ma ciò non significa che i pianisti siano i loro pianoforti, o meri epifenomeni dei loro strumenti, come apparizioni accidentali.

Per fare un’analogia meno dualistica, pensiamo a un televisore. Le immagini sullo schermo e i suoni che produce sono strettamente collegati agli schemi di attività elettrica all’interno del ricevitore. Ma c’è ben altro oltre a questo. Ciò che vediamo e udiamo dipende da influssi che si spostano tramite campi invisibili raccolti dall’atmosfera. Queste immagini dipendono dal canale su cui si è sintonizzati, e dal programma che stanno trasmettendo. L’immagine dipende anche dalla risposta dello spettatore: se il programma non cattura la sua attenzione, può cambiare canale, smettere di guardare la TV oppure spegnerla.

È vero che alcune esperienze coscienti sono associate con determinate attività in determinate aree del cervello. Le tecniche di scansione moderne dimostrano come particolari aree del cervello “si illuminino” in corrispondenza di determinate attività mentali. Ma è anche vero che le immagini sullo schermo televisivo e i suoni provenienti dagli altoparlanti dipendono da schemi di attività elettrica dentro il ricevitore. Inoltre, nella produzione di immagini e suoni sono coinvolte parti diverse dei circuiti elettrici. Ma questo non dimostra che tutto ciò che vediamo e sentiamo alla TV si origini dentro il ricevitore, e non sia altro che l’attività del ricevitore stesso.

In breve, il fatto che la mente e il cervello siano correlati non prova che siano la stessa cosa. L’idea secondo cui lo sono non è altro che un presupposto. Se seguiamo Francis Crick nel considerare questo presupposto come un’ipotesi scientifica, invece che un dogma filosofico, allora dovrebbe essere sottoposta a prove. Dovrebbe in effetti essere confutabile.

Che cosa potrebbe confutarla? Prima di tutto, l’esperienza diretta. Non vediamo le cose dentro il cervello, ma tutt’intorno a noi. Ma i credenti nell’ipotesi sconcertante non si lasciano impressionare da prove di questo genere. Sono per definizione soggettive, non oggettive, e in forza di ciò si sentono autorizzati a liquidarle.

E allora che dire delle prove del settimo senso? Forse gli effetti dell’attenzione e dell’intenzione a distanza non sembrano contraddire l’ipotesi sconcertante? Certo che sì. Ecco perché la telepatia e altri aspetti del settimo senso sono oggetto di polemiche così accese.

Come vedremo nei capitoli successivi, ci sono moltissime prove che l’attenzione e l’intenzione possano estendersi ben oltre il cervello in cui sono centrate.

La mente estesa

L’idea secondo cui la mente o l’anima si estendono oltre il corpo si ritrova nelle società tradizionali di tutto il mondo, e viene data per scontata dalla gran parte delle religioni. Essa corrisponde all’esperienza, e fa parte del comune buon senso tradizionale. Sia i filosofi antichi che quelli moderni l’hanno sostenuta. Discuto di questo background storico e filosofico nel Capitolo 13 e nell’Appendice C.

Tutti noi conosciamo la mente estesa dall’infanzia, sebbene sia possibile che non abbiamo mai formulato questo concetto tramite le parole, e che ci siamo dimenticati di ciò che un tempo davamo per scontato. L’idea della mente estesa è anche implicita nel nostro linguaggio. Le parole attenzione e intenzione vengono dalla radice latina tendere, “distendere”, legata anche al termine “tensione”.

Attenzione viene da ad + tendere, letteralmente “distendere (la mente) verso qualcosa”. Intenzione viene da in + tendere, “distendere (la mente) verso l’interno”. Ed estendere ovviamente viene da ex + tendere, cioè “allungare verso l’esterno”.

Ma l’idea della mente estesa non è soltanto teoria filosofica. Si tratta di un’ipotesi scientifica che porta a previsioni verificabili. È già supportata da una grande mole di prove provenienti sia da esperienze spontanee che da esperimenti controllati.

Nelle prime tre parti di questo libro, esploro le prove dell’esistenza di un settimo senso, e quindi della mente estesa. La Parte 1 discute della telepatia negli esseri umani e negli animali; la Parte 2 esplora la sensazione di essere osservati; infine la Parte 3 esamina la vista a distanza, le premonizioni e la precognizione. Dimostro come l’idea della mente estesa possa essere messa alla prova ed esplorata scientificamente.

Infine, la Parte 4 discute che cos’è la mente estesa, come funziona e come può aiutarci a spiegare il settimo senso. Suggerisco che la mente si estende verso l’esterno attraverso i campi mentali. Tramite questi campi, animali e persone sono in grado sia di sentire le cose che di agire a distanza.

Di cosa sono fatti i campi mentali, e come funzionano? Ritengo che i campi mentali siano costituiti da uno o più tipi di campi morfici. Si tratta di un nuovo tipo di campi, oltre ai campi gravitazionali, elettrici, magnetici e quantici già riconosciuti dai fisici. La parola morfico viene dal greco morphé, e significa “forma”.

Come ho descritto nel mio libro The Presence of the Past, altri tipi di campi morfici comprendono i campi morfogenetici (da morphé + genesis, “genesi della forma”) responsabili dello sviluppo di animali e piante, di plasmare la forma in cui crescono. I campi comportamentali organizzano il comportamento degli animali modellando le attività delle cellule nervose nel loro cervello.

I campi sociali collegano fra loro i membri di gruppi sociali e aiutano a coordinare le loro attività in modo tale che la società agisce come un unico organismo, come avviene nelle colonie di formiche, negli stormi di uccelli, nei branchi di pesci o di lupi. I campi morfogenetici, i campi comportamentali, i campi sociali e i campi mentali sono tutti tipi diversi di campi morfici.

Tutti i campi morfici hanno proprietà comuni, e tutti contengono una memoria implicita data da un processo denominato risonanza morfica. Nel Capitolo 19 riassumo questa ipotesi dei campi morfici e dimostro come può aiutarci a comprendere fenomeni altrimenti inspiegati come la telepatia e la sensazione di essere osservati.

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Sheldrake Rupert, La mente estesa, Apogeo-Urra 2006, ISBN 8850324626

Il presente articolo è tratto dal libro La mente estesa, di Rupert Sheldrake, edito da Urra – Apogeo, www.urraonline.com per gentile concessione.

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