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28
Feb
2008
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Ricerca interiore: ormai è una cosa “comune”…

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Lavoro gruppo pugniSi comincia a fare ricerca interiore anche in ambiti che finora sembravano impermeabili, nella vita e nel lavoro di tutti i giorni: negli enti locali, soprattutto nei comuni. Alcune tecniche di meditazione, visualizzazione, gestione dello stress erano già entrate in aziende e ospedali, nella vendita e nello sport. Ma il personale degli enti locali, quelli che devono “fare comunità”, ovvero lavorare al servizio di tutti, finora dovevano occuparsi del proprio benessere interiore solo privatamente. Ora qualcosa comincia a cambiare.

Questi luoghi di lavoro sono noti, spesso a torto, come gironi pieni di condannati allo stress e all’assenteismo. Ma sto sperimentando una cosa interessante. Io sono un giornalista e scrittore, conduco anche gruppi ed esperienze di crescita personale. Sono anche ambientalista, giornalista e istruttore di psicodinamica, una tecnica per il benessere e la creatività, e conduco esperienze di ecologia profonda.

In questo periodo, tutte queste tre cose le ho messe insieme per fare un’esperienza particolare: conduco cicli di incontri di formazione rivolti al personale direttivo e ai responsabili di servizio di alcuni comuni, che devono aggiornarsi, trovare il modo di essere più creativi e propositivi, studiare nuove strategie per migliorare i rapporti con i cittadini e la qualità della loro vita. Lo faccio con una società di consulenza per la qualità nella Pubblica Amministrazione.

È un grande cambiamento di prospettiva, per molti di loro. Ma è una necessità, ed è anche un’opportunità. È un percorso richiesto dalla Comunità europea e dal governo italiano, con il Dipartimento della Funzione Pubblica che ha dato direttive per instaurare il “benessere organizzativo“. I comuni devono lavorare meglio, adeguarsi alle novità se non vogliono diventare “vecchi”; devono essere sempre più “in rete”, aperti, vicini ai cittadini, capaci di guardare lontano. Non possono più essere solo centri di potere e di amministrazione, i cittadini sono maggiorenni, autonomi; i “servizi” devono diventare davvero tali, non ostacoli burocratici.

Chi ci lavora deve usare al meglio le proprie potenzialità. Gli enti locali devono avere una nuova visione strategica di se stessi, diventare “volano della qualità territoriale”. Che comprende la tutela dell’ambiente, dei prodotti sani e tipici, delle culture e dei saperi locali, della qualità della vita: anche questa è una necessità insieme sociale ed economica.

Ma per far questo devono cambiare visione, allora i più accorti e lungimiranti ricorrono alla formazione. Quella a cui contribuisco io è basata sull’ecologia della mente: agisco come un facilitatore più che come conduttore e seguo i principi della comunicazione “ecologica”, ovvero quella che valorizza le diversità e se ne serve per creare un nuovo equilibrio nel gruppo. E i risultati sono molto interessanti.

È un tipo di formazione nuovo per gli enti locali. Prima ci sono giornate informative classiche sugli aspetti tecnico-legislativi dell’innovazione. Poi ho il compito di far affrontare ai dirigenti dei comuni e ai responsabili dei vari servizi (ufficio relazioni con il pubblico, servizi sociali, responsabili informatici e così via) anche esperienze più pratiche e coinvolgenti, che finora avevo proposto solo in percorsi di crescita personale, a insegnanti o ad aziende private. Il lavoro è prima di tutto su se stessi e sulla propria immagine interiore; quindi sulle proprie relazioni e sul modo in cui si lavora in gruppo.

Gli strumenti sono vari: psicodinamica e visualizzazione creativa, qi gong, esercizi ripresi dalla PNL, ascolto musicale e danza espressiva, immaginazione guidata, animazione, comunicazione non verbale. Così si sciolgono le resistenze, si risveglia la creatività, migliora la collaborazione nel gruppo.

Dapprima si crea lo spirito di gruppo attraverso giochi ed esperienze di relazione, poi si lavora su obiettivi concreti con metodi quali brain storming, mappe mentali, lavoro per obiettivi. Ciò che succede è che le persone riescono a vedersi in modo nuovo, scoprendo di essere qualcosa di più che i ruoli o le funzioni dietro i quali di solito restano nascosti. E che anche i colleghi hanno talenti, sentimenti, aspirazioni, obiettivi, sensibilità. Chi già sta facendo per conto proprio ricerca interiore si sente ora in grado di condividerla, “autorizzato” da questo nuovo genere di formazione non direttiva né tecnica ma che punta a cambiare la visione collettiva. Questo fa scatenare energie prima latenti o compresse.

Ci si rende conto della radice… comune delle parole “Comune, comunità, comunicazione”: mettere in comune, appunto. Si riescono a impostare progetti nuovi per il comune a costo zero, ovvero senza oneri per i comuni stessi, utilizzando solo al meglio le opportunità che già esistono: la loro professionalità che altrimenti resterebbe frustrata e sprecata, i locali in disuso, mezzi semplici di comunicazione che sono più efficaci e accessibili ai cittadini rispetto a complicati media, uso migliore degli uffici per le relazioni con il pubblico. Ma soprattutto si risveglia l’attenzione e la passione per quello che si sta facendo: al di là di quello che si pensa, non ci sono solo “fannulloni” negli enti locali, anzi ci sono persone capaci, di grande cultura e responsabilità, e anche piene di entusiasmo.

Quello che ancora manca in genere è la capacità di vedere se stessi al di là dei ruoli e delle funzioni, come persone complete piene di risorse e responsabili al di là del ruolo gerarchico: è questo il lavoro di introspezione che si comincia a fare. Per cambiare, secondo me bisogna far leva su questo piuttosto che lamentarsi di ciò che non funziona. La formazione per me non è solo trasmissione di dati ma un modo per far emergere il meglio delle persone: è accompagnare la crescita e il cambiamento, è trovare un terreno comune, uscire dai ruoli e incontrarsi come persone per compiere un pezzo di strada insieme. Guardarsi dentro per sentire ciò che abbiamo in comune, appunto.

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