James Hillman “100 anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio” recensione
Dopo un secolo di psicoterapia, che avrebbe dovuto accrescere la sensibilità dell’uomo, il mondo sembra peggiorare. Per James Hillman, la radice del problema risiede nell’esclusione del mondo stesso dal processo psicoanalitico. La sofferenza dell’anima di fronte a un pianeta inquinato, rumoroso, esteticamente impoverito e carico di conflitti non viene considerata.
James Hillman, allievo di Jung e direttore dello Jung Institute di Zurigo, incarna una coscienza profonda all’interno del panorama psicoanalitico. Con il suo spirito provocatorio e fertile, Hillman mette spesso in discussione i fondamenti stessi della pratica analitica, specialmente in relazione ai legami tra psicoanalisi e società. È il “bambino ribelle” della psicoanalisi.
Nel libro Cent’anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio, Hillman unisce le forze con Michael Ventura, giornalista ed eretico pensatore dei mali moderni. Questa singolare coppia inizia il loro dialogo davanti all’oceano californiano e lo prosegue attraverso lo scambio di lettere, una modalità antica e ricca di fascino. Questo formato evoca i primi tempi della psicoanalisi, quando le riflessioni sull’anima avevano la precedenza sulla ricerca di soluzioni rapide o classificazioni patologiche.
La forma di questi dialoghi si contrappone nettamente alla moderna industria delle comunicazioni, che, secondo Hillman, “non allevia, e sottolineo il non, la mia solitudine, ma la intensifica”. L’essere scollegati dall’immensa rete, l’impossibilità di essere raggiunti, sembra generare un senso di vuoto e non esistenza. Per difendersi da questo, si scivola in ciò che Hillman definisce “comunicomania”. Egli confronta quindi la comunicazione moderna con la scrittura tradizionale, nella quale ci si sottrae al meccanismo di dipendenza tecnologica, trovando un raccoglimento solitario ma non solitudine, in un ambiente silenzioso, rotto soltanto “dal leggero fruscio del pennino o dal ronzio della macchina da scrivere. Non sono disperso nella rete, ma concentrato, non connesso, bensì raccolto.”
Il libro, scritto nel 1993, proprio agli albori di Internet, dimostra la straordinaria capacità di Hillman di prevedere l’alienazione e la solitudine che oggi caratterizzano la nostra società iperconnessa. Sebbene la rete globale fosse solo agli inizi, Hillman intuì già allora come l’industria della comunicazione avrebbe potuto intensificare la sensazione di isolamento, anziché alleviarla, rendendo gli individui sempre più dipendenti da connessioni virtuali che non soddisfano realmente il bisogno umano di contatto autentico e profondo.
Ma perché, dopo un secolo di psicoterapia, che avrebbe dovuto accrescere la sensibilità dell’uomo, il mondo continua a peggiorare? Secondo Hillman, il problema sta nell’aver escluso il mondo stesso dalla psicoanalisi. La psicoterapia si occupa unicamente dell’individuo, ignorando che il malessere del paziente non è soltanto una questione interiore, ma una risposta all’anima sofferente di fronte a un mondo inquinato, rumoroso, esteticamente sgradevole e costellato di conflitti. La terapia non riconosce questi disagi come segnali del mondo esterno, trattandoli invece come proiezioni di problematiche personali. Si finisce così per adattare il paziente al mondo, trascurando l’anima del mondo stesso. Hillman vede l’emotività non solo come un fenomeno individuale, ma come un ponte che ci collega al mondo, una realtà sociale.
Gli studi degli psicoanalisti, che secondo Hillman potrebbero diventare cellule rivoluzionarie impegnate sui problemi del pianeta, in realtà finiscono per anestetizzare la passione e la frustrazione del paziente, alimentando il narcisismo del “bambino interiore”, il quale grida il suo desiderio di crescere e di ottenere più potere. Tuttavia, per Hillman, lo scopo della psicoanalisi non è la crescita, bensì la perdita: la perdita delle parti di sé che non sono più autentiche e delle illusioni su ciò che pensiamo di essere, affinché possa emergere il nucleo più profondo dell’anima. Il tema dell’unicità dell’anima individuale è stato ulteriormente esplorato nei lavori successivi di Hillman, in particolare in Il codice dell’anima e La forza del carattere.
L’interiorità può diventare un rifugio che perpetua la visione cartesiana, secondo la quale esiste un mondo “là fuori”, fondamentalmente privo di anima, e un mondo vivente “qui dentro”. Se ci convinciamo che solo gli esseri umani possiedano l’anima, allora non esiteremo a trattare le risorse del pianeta come semplice materia inanimata, senza alcun legame con la nostra essenza.
In questo contesto, il motto galenico mens sana in corpore sano assume un nuovo significato: la mente è sana solo quando anche il “corpo del mondo”, che accoglie l’anima del pianeta, gode di salute. Trascurare l’ambiente, il corpo del mondo, equivale a coltivare patologie mentali.
James Hillman, maestro della psiche e delle sue connessioni con il collettivo e l’anima mundi, ci invita a scoprire e riconoscere la nostra anima unica e irripetibile. Non si avventura nel parlare di illuminazione, del mondo dello spirito, né di non-sé. Tuttavia, ogni praticante spirituale che desideri abbandonare il proprio ego deve prima possederne uno, ed è tanto meglio se tale ego è autentico.