Feed on
Posts
Comments
Collegati
Share this page to Telegram

Enzo Dal Verme è un fotografo italiano che abita tra Parigi e Milano ed ha ritratto celebrità come Donatella Versace, Williem Dafoe o Bianca Jagger. Il suo lavoro è stato pubblicato sulle pagine di Vanity Fair, Marie Claire, Grazia, L’Uomo Vogue, Elle e di tante altre riviste.

Per lui l’atto di fotografare è una sorta di meditazione attiva, un approccio interiore che ha sviluppato nel corso del tempo. Enzo sostiene che la fotografia gli da l’opportunità di osservare la realtà da diversi punti di vista, il che – a volte – lo spinge fuori dal suo territorio familiare, consueto e confortevole. Qualcosa che può rivelarsi difficoltoso, ma anche molto stimolante.

Il suo approccio mi ha incuriosito ed ho voluto intervistarlo.

Toshan Ivo Quartiroli: La fotografia è una tipica arte che si rivolge all’esterno, dove c’è una separazione tra soggetto ed oggetto e dove l’attenzione viene portata verso l’esterno.  I percorsi di consapevolezza e di autoconoscenza spirituali, invece, e la meditazione stessa, sono arti dell’interiore, dove il soggetto, l’oggetto osservato e la consapevolezza che conosce si fondono. Mi sembra di capire che hai sviluppato una “via della fotografia” dove l’interiore e l’esteriore si uniscono. Puoi dire qualcosa a riguardo?

Enzo Dal Verme: Non è necessario fare una distinzione così drastica tra interno ed esterno, dipende tutto da come osservi e percepisci la realtà. Se io considerassi solo le luci e le ombre, i volumi e l’armonia estetica di un’immagine mentre sto scattando, la separazione fra me e il soggetto sarebbe notevole. Ci sarebbe un fotografo che osserva una persona da fotografare: due entità separate. Però quello che mi attira non sono tanto le forme e il loro impatto estetico, ma la vita che si esprime (anche) nelle forme. In tutte le forme. Il che permette al grado di separazione tra me e le persone che fotografo di assottigliarsi molto.

Toshan Ivo Quartiroli: Nei percorsi spirituali tradizionali, il senso della vista è forse quello che può ingannarci maggiormente nel vedere “maya” (il mondo illusorio) invece delle realtà così com’è. A partire già dalla neurofisiologia dell’occhio, fino ad arrivare alle nostre proiezioni ed aspettative psicologiche, non c’è corrispondenza tra le nostre percezioni e la realtà. L’interferenza della mente e dell’ego sulla realtà è ciò che fa dire agli insegnanti spirituali che dormiamo. Come rompi l’incantesimo della mente sulla realtà?

Enzo Dal Verme: Quando sono con le persone che devo fotografare, mentre conversiamo e ci guardiamo prima o durante gli scatti, stiamo già scambiandoci una grande quantità di informazioni. Tutto ciò accade principalmente in modo subliminale. E senza che ce ne rendiamo veramente conto, come in ogni relazione umana, abbiamo la tendenza di guardare la persona di fronte a noi attraverso le lenti deformanti del nostro passato, delle nostre convinzioni, dei nostri pregiudizi…

Nel mio lavoro cerco di essere il più neutrale possibile ed osservo i miei soggetti con curiosità. Un modo per avere uno sguardo fresco sul mondo è immaginare di essere un bambino molto piccolo senza memorie o bagagli emotivi. Questo atteggiamento permette di cogliere una grande quantità di dettagli che normalmente non vengono presi in considerazione perché tendiamo a dare per scontato il fatto di conoscere già ciò che vediamo. Ed anzi, abbiamo anche delle opinioni in proposito!

Alleggerirsi di questi filtri è un grande sollievo. In alcuni casi, però, essere neutrali è davvero troppo difficile. Ma è possibile essere consapevoli della nostra reattività, delle nostre aspettative e dei nostri limiti nel percepire la realtà. Il che aiuta a mantenere la connessione tra fotografo e soggetto semplice e piacevole.

Toshan Ivo Quartiroli: Con la disponibilità di connessioni veloci, Internet si è mosso da un medium prevalentemente testuale ad uno dove le immagini e i video, cioè immagini in sequenza veloce, hanno un ruolo sempre più presente. A mio parere questo movimento dalle parole alle immagini ha indebolito la narrativa profonda e complessa. Il tuo lavoro riguarda le immagini e anche l’autoconoscenza. Qual è l’uso delle immagini verso il supporto della ricerca interiore e del vero?

Enzo Dal Verme: Sono pienamente d’accordo con te, in questo momento storico siamo sottoposti a una grande quantità di immagini che consumiamo voracemente. Molte fotografie hanno lo scopo di stupirci e mantenere vivo il nostro consumo spropositato. Ma non tutte le immagini sono uguali. Alcune mettono a fuoco ciò che c’è dietro la superficie…

Toshan Ivo Quartiroli: Puoi spiegarti meglio?

Enzo Dal Verme: Io sono attirato da ciò che c’è dietro la maschera sociale della persona di fronte a me. A volte i miei soggetti cercano di sedurre la mia macchina fotografica, apparire carini, interessanti, speciali… un sacco di rumore. Il silenzio che ogni persona ha (o forse dovrei dire “è”) dietro tutta quell’agitazione, sembra essere dimenticato. Ma quella è la parte più interessante! E, per me, è anche molto interessante mettere a fuoco una piccola timidezza, una esitazione, un senso di tenerezza o una forza interiore. Naturalmente mi riferisco a qualcosa di autentico, non a uno stato d’animo recitato per attirare l’attenzione. E questo genere di finzioni abbondano nella nostra società altamente narcisista…

Quando scatto un ritratto, nella maggior parte dei casi, riesco a vedere la maschera cadere. Ma, a volte, il soggetto vuole mostrarmi solo un’identità idealizzata. Il che può anche essere molto interessante… In ogni caso, anche se ho scattato il ritratto più intenso e profondo, ci sarà sempre qualcuno che non sarà per nulla toccato da quella immagine. Come quella donna che, ascoltando la registrazione di una preghiera di un lama tibetano durante una mia mostra, ha commentato: “Ma che roba è? Sembra che abbia mal di pancia!”

Toshan Ivo Quartiroli:  Qual è praticamente il tuo approccio verso la fotografia?

Enzo Dal Verme: Cerco di connettermi con una sfumatura della profondità di quella persona e poi scatto. Però non cerco di “fare” una foto ma lascio che la foto accada. In altre parole preparo semplicemente le condizioni che mi sembrano più adatte, la foto nascerà dall’incontro tra me e il soggetto nell’obbiettivo. Detto questo, sicuramente il mio obbiettivo non è obbiettivo.

Io ho un mio punto di vista e nel mio ritratto sottolineo un aspetto che mi colpisce di quella persona. E intanto mi domando: sto fotografando qualcosa che c’è realmente oppure l’opinione che ho di questa persona? Oppure una sua idealizzazione? Come mi sento mentre scatto? C’è qualcosa che mi mette a disagio? Che mi eccita? Che vorrei evitare? Più sono limpido nell’osservare me stesso e la situazione, meno interferenze ci saranno tra la realtà e l’immagine del ritratto.

Toshan Ivo Quartiroli: C’è qualche aneddoto interessante riguardo i tuoi ritratti?

Enzo Dal Verme: Ce ne sono moltissimi…. Dirò qualcosa che è successo recentemente. Ero in Inghilterra e dovevo scattare alcuni ritratti per una rivista di moda, servivano ad illustrare un’intervista. Procedendo, tutto è andato per il meglio e sono riuscito a fotografare diverse sfaccettature di quella persona. In una foto aveva l’aspetto molto autorevole, in un’altra rideva divertita, in un’altra la sua espressione era tenera… e in ogni immagine c’era quella quiete che a me piace così tanto.

Non ha mai recitato o preteso di essere diversa da ciò che era. Io la guidavo e creavo delle situazioni che la aiutavano a fare emergere un certo stato d’animo, ma non ho mai forzato la situazione. In seguito, osservando le fotografie, lei sembrava commossa. In particolare, riferendosi a una certa fotografia, mi ha domandato ridendo: “Oh Dio, questa sono io? Non mi riconosco!”

Ma ha continuato ad osservare quella espressione e dopo un po’ di giorni mi ha rivelato che osservando quel ritratto era riuscita a ricollegarsi ad una sensazione innocente di felicità della sua infanzia che pensava fosse andata persa per sempre. “Il tuo ritratto è stato terapeutico per me”. Commenti come il suo sono abbastanza comuni per i miei ritratti. E, naturalmente, scattare una foto è terapeutico anche per me.

Toshan Ivo Quartiroli: In che modo?

Enzo Dal Verme: Sono affascinato dalla moltitudine di approcci che noi – esseri umani – abbiamo nei confronti delle esperienze della vita. I modi in cui affrontiamo le nostre paure, i sogni, le ambizioni, le sfide… Probabilmente questo è il motivo per cui trovo estremamente interessante la maggior parte delle persone che fotografo. Guardo una celebrità attraverso le lenti della mia macchina fotografica con lo stesso interesse con il quale osservo un contadino, uno scienziato o una prostituta.

Scattare un ritratto è un modo di esplorare la realtà ed ogni volta che fotografo qualcuno alla fine mi sembra di conoscere un po’ meglio anche me stesso. A volte riconosco uno stato d’animo che ho vissuto anche io, altre volte osservo qualcosa che non ha mai avuto modo di svilupparsi in me oppure sono testimone di un’emozione che conosco in modo leggermente diverso… è un processo molto interessante. Potrei dire che osservo i soggetti dei miei ritratti come se stessi osservando me stesso espresso in una forma diversa. Siamo diversi, ma non così diversi.

Ognuno ha punti di riferimento diversi, storie diverse, ma un terrorista, una casalinga o una spogliarellista sanno tutti che cosa significa essere tristi o essere eccitati, sanno che cos’è la paura del rifiuto e – anche se non ne sono necessariamente consapevoli – desiderano tutti l’esperienza più desiderabile che ci sia: l’amore.

Toshan Ivo Quartiroli: Dimmi qualcosa del tuo workshop, ho sentito dire che è un’esperienza molto intensa.

Enzo Dal Verme: I miei workshops sono due giorni e mezzo di immersione totale per affinare l’abilità del fotografo di comporre rapidamente e intuitivamente l’immagine ed entrare in contatto con qualche aspetto che rende speciale o unica la persona che si vuole fotografare (forse qualcosa di cui non è neppure consapevole).

Dedico molto tempo alla relazione tra il fotografo e il soggetto. Esploriamo approfonditamente le dinamiche di una sessione di ritratto. Ci sono esercizi studiati per spingere (gentilmente) i partecipanti ad affrontare le proprie paure ed inibizioni nella loro veste di fotografi ed altri che hanno lo scopo di incrementare la capacità di interagire. Lavoriamo sulle percezioni, empatia, creatività, composizione, luce naturale… Durante gli esercizi, gli studenti si fotografano tra di loro e poi selezioniamo alcune immagini da guardare e commentare tutti insieme per capire che cosa potrebbe essere migliorato prima di riprendere in mano la macchina fotografica.

Toshan Ivo Quartiroli: Chi sono i tuoi studenti e cosa portano a casa dall’esperienza?

Enzo Dal Verme: Fotoamatori, studenti di fotografia, fotografi professionisti. Alla fine di un mio workshop sembrano molto eccitati e ispirati. Non mi sorprende. Le esplorazioni che facciamo insieme suggeriscono loro una prospettiva completamente diversa sulle loro capacità e potenzialità. A giudicare da ciò che mi dicono o che mi scrivono, per la maggior parte di loro il workshop segna un punto di svolta importante. E, dal momento che il lavoro è così intenso e interattivo, si creano dei contatti umani interessanti.

Il blog di Enzo Dal Verme.

One Response to “Fotografarsi dentro”

  1. watts ha detto:

    “Vanity Fair, Marie Claire, Grazia, L’Uomo Vogue, Elle”.
    Buona bibliografia! (anzi fototeca … o meglio emeroteca?)
    “Dal momento che il lavoro è così intenso e interattivo”, come dice Enzo, “si creano dei contatti umani ….interessanti”.
    Ma mi spiace molto che una buona occasione, come e’ stata “Innernet”, vada sprecata.
    Ma forse nulla si spreca veramente!

Leave a Reply