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La mente scimmia, che espressione adatta! Chiunque abbia cercato di meditare sa cosa significa. I pensieri spingono l’attenzione qui e là, diventando ossessivi e portandoci apparentemente fuori dalla meditazione. Nutrire le scimmie vuol dire contribuire alla proliferazione e reificazione dei pensieri, facendosi sviare da essi.

La mente scimmia, che espressione adatta! Chiunque abbia cercato di meditare sa cosa significa. I pensieri spingono l’attenzione qui e là, diventando ossessivi e portandoci apparentemente fuori dalla meditazione. Nutrire le scimmie vuol dire contribuire alla proliferazione e reificazione dei pensieri, facendosi sviare da essi.

Una metafora appropriata è la scimmia che si tende al massimo per cercare di catturare il riflesso della luna sull’acqua. Essa non può capire di star cercando nel posto sbagliato.

Praticamente tutte le descrizioni della meditazione della consapevolezza nel Canone Pali comprendono affermazioni come: “…Tutti i ricordi e le decisioni pertinenti alla vita domestica sono abbandonati”, oppure “…Metti da parte quelle cure mondane in cui la depressione e il piacere mettono radici” (vedi nota 1). Più facile a dirsi che a farsi.

Non conosco una sola tecnica in grado di domare la scimmia, e ci sono cose da imparare osservando le contorsioni di quest’ultima. La risposta migliore al pensiero o alla formazione concettuale ossessivi (in termini buddisti: “papañca”) dipende dallo stato mentale del meditatore in quel momento e dalla forza delle emozioni che stanno guidando i suoi pensieri.

Le tecniche consigliate dal canone Pali e dagli insegnamenti contemporanei possono dividersi in due categorie elementari: 1) volgersi altrove, 2) esaminare. La prima è la pratica più comune, mentre la comprensione attraverso l’osservazione e l’indagine è la tecnica principale descritta nel Satipatthâna Sutta (vedi nota 2).

Volgersi altrove o reprimere

Dobbiamo cercare di ignorare i salti della scimmia per concentrarci su qualcosa che sia alla nostra portata, come il corpo o il respiro? Dobbiamo sostituirli con un oggetto di meditazione “produttivo”, sperando che la scimmia non ci sorprenderà alle spalle? Dobbiamo diventare cattivi e tirare pietre alla scimmia, se le tecniche più moderate non sono riuscite a impedirle di distrarci?

La soppressione può essere una semplice sostituzione, una scelta di volgere altrove l’attenzione, di “mettere da parte quelle cure mondane”; oppure può essere la ferma decisione di arrestare il flusso di pensieri. Non credo che la soppressione adirata sia mai consigliabile.

L’ostilità verso un qualsiasi aspetto della nostra vita può provocare un dolore sul quale in seguito dovremo lavorare. Possiamo spaventare e allontanare la scimmia (temporaneamente), ma ci rimane la sensazione frustrante e deprimente che questo approccio non ci stia portando davvero nella direzione voluta.

La rabbia verso la mente vagabonda o i “pensieri inutili” è un’esperienza molto comune, e talvolta non viene nemmeno riconosciuta. Cerca di essere chiaro verso la rabbia, l’autocritica o l’impazienza quando accadono; poi, prova ad avere accettazione e compassione verso te stesso. La pazienza e l’accettazione possono coesistere con il desiderio di migliorare la propria meditazione, e con il fare delle scelte.

La meditazione del discernimento è una lunga avventura, e cercare una scorciatoia può essere come tentare di afferrare il riflesso della luna.

Se i sentimenti che provocano pensieri non sono molto forti, ignorare entrambi può essere una via verso una concentrazione più profonda. Tuttavia, talvolta i sentimenti restano anche dopo che il pensiero è stato abbandonato, lasciando un silenzio carico di tensione. È importante essere sensibili all’«atmosfera» mentale, ma è facile lasciarsela sfuggire, perché resta sullo sfondo.

Poi ci sono le cose represse, che in passato abbiamo dovuto mettere da parte, dimenticando perfino la loro esistenza. Alcune di queste possono interferire con la concentrazione e rivelarsi attraverso alcune sessioni difficili. È come il magma che comincia ad apparire da rocce apparentemente solide. Se ciò che hai represso riemerge, non aver paura di chiedere aiuto a una persona qualificata.

Nei momenti in cui la mente corre a tutta velocità o i pensieri sono frammentari, il massimo che si può fare è aggrapparsi a un’ancora come il respiro o la pressione del cuscino di meditazione, ed osservare cosa accade dopo.

Ripetere “pensiero, pensiero” è un modo stupido di sostituire il pensiero ordinario con il rumorio continuo di frasi elementari (vedi nota 3). D’altra parte, se l’attenzione insiste nell’andare verso l’immaginazione, può essere utile focalizzarsi sulle sensazioni corporee (“vedanâ”) o dare un nome all’emozione.

Ciò può prevenire una spirale di sensazioni che provocano pensieri che portano ad altre sensazioni e così via. Dare un nome può aiutare a identificare, e talvolta può eliminare la rimozione. Probabilmente, scoprirai che non è possibile concentrarsi sui pensieri e i sentimenti nello stesso momento. Ma il loro rapido alternarsi può dare l’impressione che siano simultanei.

Lo scrittore Iris Murdoch ha detto: “Ci difendiamo con le descrizioni e addomestichiamo il mondo con le generalizzazioni” (vedi nota 4). Il pensiero (che si tratti di intellettualizzazione o di razionalizzazione) è spesso una difesa o un modo di allontanarsi da qualcosa di scomodo durante la meditazione.

Frequentemente esso è alla ricerca del piacere. Mentre medito, sorprendo la mia mente a inseguire qualche progetto intellettuale. Devo confessare che questo articolo è nato, in parte, durante tali felici vagabondaggi. Se analizzo il sentimento del piacere in quanto sentimento, vengono fuori altre cose.

Talvolta, emergono pensieri che sono la risposta a problemi pratici sui quali stavamo lavorando in precedenza. Un modo di affrontare ciò è dare il benvenuto a queste idee utili, ricordandoci però che ci sarà un momento al di fuori della meditazione per lavorarci ulteriormente.

Naturalmente, senza il pensiero non esisterebbero né la civiltà né l’arte. Questo vale sia per il pensiero che resta legato a fatti concreti (“vitakka-vicâra”) sia per quello cosiddetto “volante” (“papañca”). È una questione di giusta messa a fuoco di ciò che si ha sotto mano.

Faccio parte di quelle persone che talvolta sente la voce di un commentatore descrivere dolcemente cosa sta succedendo in meditazione. Questo è un “io”, ha il mio tono di voce. Se ne va, o diventa molto intermittente, quando la concentrazione è più profonda. Mi chiedo se questo sia semplicemente un modo di ricordare i meccanismi e identificare gli eventi, o un tentativo sottile di giudicare e controllare la meditazione. Ultimamente, non ci faccio molta attenzione (vedi nota 5).

Osservazione e indagine

L’osservazione senza scelta, momento dopo momento, è la tecnica giusta quando la scimmia ci trascina sul sentiero della fantasia e dei programmi? Spesso può essere utile lasciare correre i pensieri per un po’, fermandosi solo a ricordare quei temi, episodi e stati d’animo che ti riesce di memorizzare.

All’inizio della sessione può occorrere un po’ di tempo perché i pensieri si calmino. Dopo tutto, nelle nostre attività quotidiane la mente è di solito molto attiva. La mente scimmia è sostenuta dalla nostra cultura, che enfatizza la competizione e l’azione.

Cosa tiene in attività la scimmia? Cosa la fa allontanare? Cerca cos’è che dà il via a una nube di pensieri, o torna indietro a esaminare ciò che ha portato al collasso improvviso un costrutto concettuale. Cominciare a conoscere profondamente questi meccanismi porta a comprendere l’interazione tra le emozioni e il pensiero, il modo in cui si creano l’uno dalle altre, come ho detto prima.

L’osservazione attenta di ciò che a prima vista può sembrare una farneticazione mentale senza senso può rivelare cose interessanti, da indagare più a fondo. Un’immagine o una frase nel flusso può trasformarsi in una via d’accesso a un’esperienza molto più profonda. Lasciati attirare da una di esse. È facile fare un problema troppo grosso del pensiero, diventare perfezionisti nel tentativo di eliminarlo.

La gente riferisce che il pensiero “a basso volume” può essere presente in sottofondo quando si entra in stati di assorbimento ed estasi.

Lo studio dei meccanismi non può avvenire nello stesso momento in cui stanno accadendo. Uno dei problemi principali della meditazione del discernimento è riuscire ad avere un’osservazione chiara e continua senza interferire con ciò che si sta osservando.

L’unico modo che conosco per avvicinarsi a ciò è “anupassana”, o la riflessione di ritorno. Il dr. David Kalupahana lo spiega molto bene: “…Nella descrizione della consapevolezza che possiamo leggere nel famoso discorso sui fondamenti della consapevolezza (“Satipatthâna”), ci viene chiesto di riflettere o percepire retrospettivamente (“anupassana”) il funzionamento della personalità fisica (“kaya”), dei sentimenti o sensazioni (“vedana”), del pensiero (“citta”) e delle idee (“dhamma”)…

La consapevolezza riflettiva è un fondamentale strumento di conoscenza, quando la conoscenza delle cose «così come sono» non è possibile. Si tratta di un empirismo radicale: il riconoscimento che l’esperienza non è atomica, ma un flusso il cui contenuto è invariabilmente associato al passato” (vedi nota 6).

In che modo la consapevolezza riflessiva dei pensieri e delle idee differisce dal lanciare banane alle scimmie? La differenza sta nel restare vicini alle attività del cuore/mente senza perdersi nelle teorie o nelle speculazioni. Il Buddha ha detto che il suo insegnamento “… è per chi apprezza e si diletta del «nippañca»”, il pensiero libero dalle complicazioni (vedi nota 7).

Per esempio, la quarta sezione del “Satipatthâna Sutta” propone un’indagine de “i sette fattori dell’illuminazione” (“bojjhanga”). Se penso all’«equanimità» (uno dei sette) come a un concetto, mi sono bloccato. D’altra parte, se riesco a riconoscerla e seguirla come un’attività, accadono cose positive.

Mettere in dubbio la logica o la giustezza di una convinzione – per quanto corrispondente ai fatti – può essere parte della meditazione, così come io la concepisco, sebbene alcune scuole di meditazione lo neghino.

È possibile scoprire di stare portando molti pesi inutili. Un amico, meditatore zen da molto tempo, mi ha scritto recentemente: “Quando per un momento interrompo il flusso di quello che definirei un pensiero, cercando di seguirlo fino alla fonte, il risultato è spesso assurdo e mi metto a ridere!”.

La pratica di lasciar correre i pensieri, tornando frequentemente a un punto di osservazione, un’ancora, alla fine conduce a fasi in cui si è meno identificati con i pensieri. Essi proseguono, ma tu li stai osservando tranquillamente. Imparare a contemplare i pensieri sentendosi in una tranquilla posizione di vantaggio è una vera conquista.

Richiede pratica, ma una volta sperimentata, avrai la sensazione di esserti liberato da un peso. La convinzione che i pensieri siano cose, proprietà, è in genere inconscia; nessuno crederebbe davvero a una cosa del genere. Essa può essere facilmente osservata, tuttavia, quando ci scopriamo arrabbiati e sulla difensiva se i “nostri” punti di vista vengono messi alla prova. Probabilmente, nel mondo esterno occorre difendere le proprie idee, ma durante la meditazione non hai questo bisogno.

Ci sono altri modi di affrontare la mente scimmia. Qui sono inclusi quelli che ho trovato utili nella mia pratica e che ho sentito descrivere da altri meditatori, negli anni. Segui la tua intuizione su quali fare, e sii pronto a variarli secondo le circostanze. Sii pragmatico; scopri cosa puoi evitare. Allontanati da pensieri di disturbo, se la cosa ti è facile.

Questa volta la scimmia potrebbe essere solo un gibbone neonato. Oppure, può trattarsi di un gorilla. Sentimenti sotterranei – rabbia, desiderio erotico, paura, dolore, sensazioni di smarrimento, voglia di evitare le emozioni – possono essere più forti di quanto sembravano a prima vista. Alcuni pensieri avrebbero conseguenze davvero dannose se venissero messi in pratica.

La meditazione è un modo per contenerli e lavorare con essi, evitando di tradurli impulsivamente in atti concreti. L’altro lato di ciò che stai facendo esternamente durante il giorno può avere bisogno di espressione all’interno dei confini sicuri della meditazione. Qui è possibile trovare delle intuizioni per un’azione positiva, o almeno un modo per evitare problemi più grandi. Man mano che viene scoperto e indagato ciò che guida la mente scimmia, livelli più profondi di meditazione diventano automaticamente disponibili.

Note

1. La prima citazione è tratta da Mindfulness Immersed in the Body (Kâyagatâ-sati Sutta), traduzione in inglese di Tanissaro Bhikkhu. La seconda dall’inizio del Satipatthânâ Sutta.

Il verbo Pâli comunemente usato in queste frasi è “vineti”, che vuol dire rimuovere, mettere via, abbandonare. In questo contesto vuol dire creare un luogo temporaneo di quiete per la meditazione.

2. Il testo del buddismo primitivo in cui si affronta più estesamente il tema dei pensieri potenzialmente pericolosi è The Relaxation of Thoughts (Vitakkasanthâna Sutta). Qui il Buddha descrive cinque modi per abbandonare i “pensieri malvagi («pâpaka») e inutili («akusala») connessi al desiderio, l’avversione o l’illusione”. Prima andrebbero provate le tecniche moderate; se non si ottengono risultati, sono raccomandate altre tecniche, gradualmente più incisive.

(1) Volgiti ai pensieri connessi a qualcosa di utile.

(2) Esamina attentamente gli svantaggi e gli inconvenienti dei pensieri malvagi, come un amante degli ornamenti che trovasse un cadavere intorno al proprio collo.

(3) Semplicemente, non prestare attenzione a essi.

(4) Segui a ritroso il processo della loro formazione”. “«Perché sto camminando velocemente? Perché non cammino lentamente?». Quindi, egli cammina lentamente. Egli pensa: «Perché sto camminando lentamente? Perché non mi fermo?». Quindi, si ferma. Pensa: «Perché sto in piedi? Perché non mi siedo?». Quindi, si siede. Pensa: «Perché sto seduto? Perché non mi sdraio?». Quindi, si sdraia. In tal modo, abbandonando le posizioni grossolane, egli assume quella purificata.»

(5) Se i pensieri malvagi connessi al desiderio, l’avversione o l’illusione persistono, il meditatore “…con i denti stretti e la lingua premuta contro il palato… dovrebbe sconfiggere, abbattere e schiacciare la mente con la sua consapevolezza”. Quest’ultimo è un uso molto energico della consapevolezza, ma implica l’aggressione, non l’ostilità. Ricorda che il vero danno sarà mettere in atto i pensieri (i pensieri davvero malvagi) di cui stiamo parlando (traduzione in inglese di Thanissaro Bhikku).

Il Satipatthânâ Sutta, la nostra principale guida alla meditazione della consapevolezza, elenca cinque ostacoli al cammino: desiderio sessuale, odio, sonnolenza o apatia, inquietudine e rimorso, dubbio. Alcuni di questi sembrano molto simili ai pensieri e sentimenti che secondo il Relaxation of Thought Sutta andrebbero affrontati con la forza, se necessario, ma qui non vengono definiti malvagi.

Una differenza di gradazione può trasformarsi in una differenza di genere. Nel Satipatthânâ Sutta il meditatore arriva a conoscere come nasce il sentimento (e il pensiero correlato), e come avviene il suo abbandono.

3. Ci sono molti dubbi sul fatto che nei primi testi buddisti sulla meditazione venga mai consigliata la notazione continua, ovvero il dare nomi a tutto ciò che accade durante la meditazione. Un commentario, scritto molti secoli dopo i testi più antichi, sembra la fonte di questa credenza.

4. Iris Murdoch, The Black Prince, edizione Penguin Paperback, 1975, p. 82.

5. Un discussione molto utile e originale sugli attaccamenti nella meditazione si trova in Jason Stiff, Unlearning Meditation, pp. 20-24. Il commentatore è incluso nel capitolo Attaccamento alle istruzioni.

6. David J. Kalupahana, A History of Buddhist Philosophy. Continuities and Discontinuities, p. 108f. A pagina 208 egli afferma che la teoria dei momenti era molto in voga nelle scuole buddiste successive, ma che non si trova nei Discorsi e nemmeno nei primi commenti.

Il Dr. Kalupahana è professore di filosofia all’Università delle Hawaii; quando questo libro fu scritto, egli aveva già compiuto studi e ricerche sul pensiero buddista da più di 30 anni. È autore anche di The Principles of Buddhist Psychology, Nagarjuna: The Philosophy of the Middle Way, Ethics in Early Buddhism. Consiglio i suoi libri a chiunque sia interessato a uno studio serio della filosofia e psicologia buddiste dei primi tempi.

7. Ñânanada Bhikku, Concept and Reality in Early Buddhist Thought, p. 2. Traduzione in inglese di Thanissaro Bhikku.

Bibliografia

Kalupahana, Divid J., A History of Buddhist Philosophy. Continuities and Discontinuities, University of Hawaii Press, Honolulu, 1992.

Kâyagatâ-sati Sutta, Mindfulness Immersed in the Body, Majjhima Nikaya 119 Translated by Thanissaro Bhikkhu. Disponibile presso “Access to Insight”.

Ñânananda Bhikkhu, Concept and Reality in Early Buddhist Thought, Buddhist Publication Society, P. O. Box 61, Kandy, Sri Lanka.

Per ragioni di spazio, non ho potuto discutere molte delle affermazioni contenute in Niente cibo alle scimmie. Il libro di Ñânananda esamina gli insegnamenti buddisti primitivi sul pensiero e i concetti, citando abbondantemente le fonti originali. È uno studio prezioso per chiunque voglia studiare l’argomento.

Satipatthâna Sutta, nella traduzione inglese di Jason Stiff. L’edizione stampata è in preparazione. È possibile ordinarla presso movementinmind@meditationproject.com

Si tratta di una traduzione interpretativa, più accessibile di quelle tradizionali, più fedeli alla lettera dell’originale.

Siff, Jason, Unlearning Meditation, Movement in Mind Multimedia, 2001. Reperibile presso: movementinmind@meditationproject.com

Vitakkasanthâna Sutta, The Relaxation of Thoughts, Mâjjhima Nikaya 20.

Due traduzioni in inglese sono reperibili in www.accesstoinsight.org

La prima è di Soma Thera e include il commento di Buddhaghosa, l’altra di Thanissaro Bhikku.

Copyright originale: Gordon Smith.
www.meditationproject.org
Traduzione di Gagan Daniele Pietrini.

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