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Georg Feuerstein, praticante spirituale e autore di più di venti libri, che ci ha lasciato nel 2012, descrive un’inaspettata esperienza spirituale della Madre Divina e il suo importante incontro con la famosa santa indiana Madre Meera. Scritta con grande franchezza da uno dei principali interpreti contemporanei del pensiero spirituale, questa descrizione vivida e affascinante delle sue esperienze (e il tentativo filosofico di ricavarne un senso) fornisce un contesto alla nostra ricerca sulla natura del sacro femminile e sul significato delle Madri Divine.

“Se Dio non esistesse – disse Voltaire – bisognerebbe inventarlo”. Da qualche altra parte, completò l’affermazione dicendo: “Se Dio ci ha fatto a Sua immagine, dobbiamo certamente restituirgli il favore”. Ciò ricorda l’intuizione espressa da alcuni antichi scettici greci, secondo cui è sospetto il fatto che gli dei siano così simili a noi.

Chiaramente, c’è della verità in questa affermazione, come sa chiunque mastichi un po’ di religione comparata. Tuttavia, essa non trasmette affatto l’intera verità. Il materialismo vorrebbe farci credere che la società o l’economia formino, se non addirittura predeterminino, la nostra concezione dell’assoluto. Secondo il dogma materialista, la metafisica non è il prodotto di realizzazioni spirituali, intuizioni mistiche ed elevate considerazioni intellettuali, ma di fattori terreni come la fame, la ricchezza o il mal di denti.

Sembrerebbe che la verità si trovi da qualche parte tra i due estremi del riduzionismo materialista e della spiritualità riduzionista. Alla luce di ciò, come dovremmo considerare l’antica tradizione della divinità del principio femminile (cioè della Dea o della Madre)?

Per gli psicologi, la Divinità femminile è un potente archetipo insito nell’inconscio collettivo, anche se non c’è unanimità su come questa fondamentale immagine sia nata e sia stata poi trasmessa attraverso le ere e le culture.

Per l’intellettuale medio, profondamente imbevuto dell’etos umanista contemporaneo, non si sta parlando di metafisica o di metapsicologia, ma di un fraintendimento, o di un’illusione, trasmessa da una generazione di credenti all’altra. Per i teologi della “morte di Dio”, la Dea è una proiezione, così come lo era il Dio patriarcale del deismo. Questa sbrigativa svalutazione è apertamente contestata da chi considera il divino femminile non un concetto astratto, ma una realtà vivente; ovvero, da quei tanti che contattano la Madre Divina nelle loro preghiere, che trovano in Lei sollievo, e perfino che si uniscono a Lei in mistica intesa.

Fino a pochi anni fa, mi limitavo a sfiorare questo argomento filosofico; scrivevo sul principio cosmico femminile in termini puramente astratti, a livello di una costruzione metafisica plausibile come tante altre. In quanto ex luterano (di formazione religiosa molto tiepida) non avevo mai conosciuto la dottrina mariana che ha un ruolo così importante nel cattolicesimo. Il mio incontro intellettuale con il divino femminile rimase confinato alla dottrina induista di Shiva-Shakti. In essa, Shakti è il polo femminile della realtà divina, mentre Shiva rappresenta l’aspetto maschile dello stesso essere supremo; quest’ultimo si manifesta in forma di dei (deva) e dee (devi) particolari, ovvero di versioni inferiori della Realtà onnicomprensiva.

Mi interessava poco il fatto che questa dottrina metafisica degli aspetti polari del Divino avesse i suoi riti concreti e la sua controparte esperienziale nella vita religiosa di milioni di pii indù. La sublime metafisica del non dualismo, o Advaita Vedanta, grazie alla quale la filosofia indù è famosa in Occidente, è prerogativa esclusiva di pundit eruditi, mentre la pratica religiosa, in India, si basa ampiamente sull’adorazione della Dea.

Impegnato come ero nella ricerca di una pratica contemplativa non dualistica, la dimensione della Divinità polarizzata rimase per me un enigma. Poi, un giorno, come risultato naturale del mio lavoro interiore, mi sono ritrovato disponibile a considerare la possibilità esperienziale della Dea. Improvvisamente, le nude ossa teologiche della mia considerazione furono avvolte dalla carne dell’immediatezza: mi imbattei nella sacra presenza come in una forza materna; essa mi sosteneva, mi nutriva, mi proteggeva e mi rianimava come, sul piano umano, solo l’amore di madre può fare. Dalle mie guance sgorgarono lacrime di gratitudine e riconoscenza. Sapevo che qualcosa di molto importante era successo nel mio viaggio contemplativo.

Questa esperienza mi lasciò felice e perplesso. Fino a quel momento, nelle mie meditazioni e preghiere avevo sempre sperimentato la presenza sacra attraverso un velo di qualità maschili; per esempio, l’imponenza, l’imparzialità, la lontananza e la severità.

In giovane età, e dopo molte riflessioni filosofiche, avevo radicalmente eliminato dal mio bagaglio di credenze ereditarie l’idea del Dio-Creatore che i miei genitori avevano cercato di instillarmi. Tuttavia, in retrospettiva, sembra che non riuscii a sradicare completamente dalla mia psiche questa potentissima immagine archetipa del Divino come del maschio supremo. Anche se mi ero battuto in età molto precoce per arrivare a una versione non-dualista della metafisica, la mia esperienza dell’Assoluto conteneva tracce evidenti di quell’incrollabile Dio-Creatore da cui pensavo di essermi liberato.

Si pose la domanda: la mia esperienza del sacro come una forza maschile era stata puramente un costrutto, o quella presenza era stata in se stessa qualitativamente diversa da quella presentatasi in modo materno? Se fosse stata esclusivamente un costrutto della mia mente, probabilmente la presenza materna veniva dalla stessa, inaffidabile fonte. Dopo una ricerca intensa e sincera, conclusi che ambedue le esperienze del sacro si riferivano a qualcosa di reale in sé, ma che vi si era sovrapposto il mio atteggiamento intellettuale ed emotivo.

Poiché ero un non-dualista convinto, dovevo ammettere che il sacro – o la Realtà – nella sua condizione assoluta non avrebbe potuto essere né maschile né femminile. Ma questa non era di certo la mia esperienza. In genere, nei miei incontri con il sacro, ho sperimentato una predominanza di qualità che avrebbero potuto essere descritte come tendenti verso il maschile o il femminile.

Tuttavia questo non mi disturba, in quanto non comporta una contraddizione irriducibile. Infatti, non condivido il non-dualismo radicale caratteristico, per esempio, dell’Advaita Vedanta di Shankara. Quando mi chiedono di esprimere il mio credo filosofico, mi sento più vicino al non-dualismo condizionato insegnato da Ramanuja, il grande rivale di Shankara, vissuto molti secoli dopo quest’ultimo. Come il neoplatonismo, la metafisica di Ramanuja non considera il mondo un’illusione, ma una manifestazione di grado inferiore della Realtà assoluta.

Così, arrivai a pensare che la mia esperienza della presenza sacra come una forza materna avesse un referente oggettivo che si poteva definire “Dea” o “Madre”, ma che allo stesso tempo veniva colorata da certe predisposizioni all’interno della mia psiche.

Cos’è quella Madre? All’epoca del mio primo incontro meditativo con la presenza materna, ero molto assorto nei problemi ecologici che assediavano il nostro pianeta e la famiglia umana. Ero esasperato dalla gravità della devastazione provocata dall’uso irresponsabile della scienza e della tecnologia moderne, oltre che dalla sbalorditiva mancanza di saggezza dei leader politici mondiali. Ricordo vividamente che le mie sofferenze per tutto ciò erano arrivate al punto che, per un certo periodo, le mie meditazioni si erano trasformate in dolorosi (sebbene, retrospettivamente, necessari) stati catartici nei quali ero emotivamente in contatto con il nostro ambiente devastato.

In precedenza, prima di sedermi in meditazione, cercavo sempre di soffocare qualsiasi tumulto emotivo; durante la meditazione, poi, avrei cercato di stabilire e mantenere la concentrazione su un equilibrio mentale cristallino. Adesso, invece, permettevo ai sentimenti di seguire il loro corso, mentre io restavo sullo sfondo, testimone discreto di questo tumulto interiore. Avvertivo un legame profondo con la Terra e le sue innumerevoli creature, e sentivo di essere in contatto con il cosmo vivente nella sua interezza. Fu allora che accadde l’apertura.

Improvvisamente il sacro invase la mia coscienza, nella forma di una sconfinata presenza femminile. Sentii una calda corrente di gioia sopraggiungere dall’infinito e sommergere il mio essere; sapevo con certezza che l’universo era buono e giusto, e che non dovevo preoccuparmi eccessivamente del triste stato del nostro pianeta e delle specie viventi. In quel momento mi sentii amato, accettato, accolto, nutrito e guarito.

Grazie a quell’esperienza scoprii un aspetto del divino che caratterizzava dai tempi antichi la vita religiosa e spirituale. Tuttavia, tale aspetto era stato cancellato dalla nostra cultura materialistica, la cui mentalità patriarcale era in perenne lotta con il femminile, nelle sue manifestazioni umane e divine. Chiaramente, la realtà sacra comprende molte sfere e dimensioni che sono state esplorate dai maggiori “psiconauti” delle tradizioni spirituali mondiali.

Più o meno un anno dopo, nel 1992, ebbi un incontro più immediato e diretto con il sacro nella forma di una presenza femminile. Esso s’incise nella mia anima come un’incrollabile certezza di essere permanentemente nel grembo di una Realtà più elevata. Questa volta l’esperienza non fu meditativa, o almeno non fu soltanto tale, in quanto si verificò grazie all’antico e rispettato principio del contagio spirituale. Più precisamente, accadde alla presenza di un essere umano che (per usare un linguaggio tradizionale) si può definire una santa, sebbene lei sembri molto di più. Si trattava della donna indiana conosciuta semplicemente come Meera, o “Madre” Meera.

Dal 1983, ella vive nel sonnolento paese tedesco di Thalheim, a nord di Francoforte. Coloro che vogliono avere la sua darshana (lett. “visione”) devono essere pronti ad affrontare una specie di pellegrinaggio. Nel mio caso, ciò comportò un viaggio in macchina, lunghe ore di attesa in due febbrili aeroporti internazionali, un volo lunghissimo su un aereo affollato e chiassoso, un viaggio in treno misericordiosamente breve, un tassì verso un albergo locale e, infine, trenta minuti di passeggiata attraverso i campi sotto una pioggia torrenziale.

Man mano che mi avvicinavo al paese, avevo la sensazione di stare attraversando uno specchio per entrare in un mondo diverso. Tale sensazione s’intensificò quando misi piede nella casa di Meera, avvolta da una grande pace. Avevo sperimentato una sensazione simile vicino ad altre anime altamente evolute, ma mai in modo così travolgente.

La sala dove Meera avrebbe tenuto la darshana si stava riempiendo rapidamente. Riuscii a trovare un posto a poche file da dove lei si sarebbe seduta. Mi guardai intorno per un po’, studiando i volti delle persone che entravano nella sala. Quante storie e karma diversi erano rappresentati! Calcolai che c’erano molti più di cento visitatori.

Poi, l’atmosfera serena mi spinse verso la mia interiorità e mi ritrovai a meditare senza curarmi dei movimenti e dei bisbigli intorno a me. Quasi non mi accorsi dell’ingresso di Meera che, puntualmente alle 7:00 di sera, arrivò e si sedette sulla sua sedia.

Non potei fare a meno di restare sorpreso dalla sua piccola statura. Nonostante ciò, lei emanava un’aura di grande autorità, che sembrava palpabile come la pace che riempiva la sala. Le persone si erano alzate e la salutavano alla maniera indù con le palme delle mani unite di fronte al petto. Entrando, ella teneva lo sguardo fisso sul pavimento di fronte a sé, in un gesto di sincera umiltà e concentrazione. Durante tutta la sessione (che durò più di tre ore), Meera non si guardò mai intorno, ma si concentrò esclusivamente sulla persona che si alzava e le si avvicinava per riceverne la benedizione. Tutti i suoi movimenti avevano un ritmo fluido che osservavo affascinato.

La maggior parte del tempo, comunque, mi ritrovai naturalmente assorbito in uno stato di meditazione. Poi, venne il mio turno di ricevere la benedizione. Non c’era una sequenza formale di atti, ma ognuno poteva avvicinarsi alla sua sedia quando si sentiva interiormente spinto a farlo. E io provai tale spinta interiore come una chiamata chiara e irresistibile.

Mi inginocchiai di fronte a lei e, con una naturalezza che mi sorprese, posai la testa sulle sue ginocchia. Quindi, sentii le sue mani sulla testa e mi aprii alla sua benedizione. Non ci furono trasmissioni di energia (la shakti-pata), fuochi d’artificio interiori o sensazioni straordinarie; tutto fu incredibilmente semplice. Avvertii il passaggio veloce, nella mia mente conscia, di una presenza che scendeva in profondità nel mio essere, dove non potevo seguirla. Sentivo chiaramente, però, di essere benedetto oltre tutte le mie ragionevoli aspettative.

Poi Meera rimosse le mani dalla testa, mi sedetti, e per circa quindici secondi fui in grado di guardarla negli occhi. Questa era la seconda fase del suo lavoro con i visitatori. Come mi era stato detto, ora stava lavorando sulla personalità. Di nuovo, non ebbi delle chiare sensazioni durante questa operazione, ma provai un’immensa gratitudine e un grande amore nel mio cuore; tutto il mio corpo deve averle sorriso.

Mi inchinai ancora e tornai alla mia sedia. Passai le restanti due ore in profonda meditazione, alzandomi solamente quando la sala si era svuotata ed era ora di andar via.

Durante quel week-end, ebbi altre tre darshana. Ognuna fu di qualità diversa, ma sempre con quell’atmosfera di pace che aderiva alle mie ossa tanto da rimanere con me per molte ore.

Oggi, a distanza di vari anni, non ho ancora una spiegazione per ciò che accadde esattamente durante quegli incontri con Madre Meera. Quello che so, tuttavia, è che da allora la mia vita ha preso una svolta inaspettata e piacevole. Mi è stato dato ogni aiuto necessario, esteriore e interiore, per crescere ulteriormente: di ciò mi sento molto grato.

Meera non ha un insegnamento formale, né l’ho mai considerata la mia insegnante. Piuttosto, ho visto in lei, sin dall’inizio, una soglia sul Divino; ovvero, un essere il cui scopo dichiarato è manifestare la luce divina sulla terra, di portarvi le paramatma-jyoti, la luce del Sé Supremo. Non pretendo di capire il significato razionale di ciò, ma ne ho avuto una comprensione intuitiva e forse anche esperienziale.

Meera si definisce un’avatara [incarnazione del divino], ma non ha pretese di esclusività. La nostra mente di scettici occidentali fatica ad accettare che ci siano esseri che non condividono la confusione, le ossessioni, l’irreligiosità e la mancanza di scopi che abbiamo noi, ma che vivono e vibrano sempre nel Divino. Troviamo estremamente difficile accettare che possano esistere degli esseri in forma umana al servizio di un fine evolutivo più elevato.

Perché il Divino non dovrebbe comprendere anche un aspetto femminile, materno? E perché quell’aspetto non dovrebbe essere esprimersi in una forma umana accessibile? Questo è precisamente ciò che molte tradizioni spirituali insegnano da millenni. Possiamo liquidare tali insegnamenti come semplici miti ma, così facendo, dal punto di vista spirituale perderemmo molto. La mia filosofia personale su tali argomenti è sempre stata quella di restare aperto a tutte le possibilità.

La mente razionale è un magnifico strumento, ma non dovremmo assegnargli il compito di determinare a priori i confini della realtà. L’esperienza svolge questo ruolo in modo migliore. Non dobbiamo accettare ciecamente ogni dogma religioso, ma dobbiamo guardarci da quella boria intellettuale che ridimensiona ogni conoscenza tradizionale come mere superstizione e fantasia. Come l’esperienza ci mostra ripetutamente, questo universo è molto più meraviglioso di quanto la mente razionale voglia ammettere o trovi comodo. La nostra vita è troppo breve e troppo importante per fare a meno della grazia disponibile nel mondo, inclusa quella della Madre Divina.

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Georg Feuerstein. Il libro del tantra. Il sentiero dell’estasi. Neri Pozza. 2000. ISBN: 8873057438

Georg Feuerstein. Yoga: filosofia e pratica di un’ascesi. Mondadori. 2000. ISBN: 8804481269

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Mother Meera. Answers. Meeramma. ISBN: 096229733X

Martin Goodman. In Search of the Divine Mother: The Mystery of Mother Meera: Encountering a Contemporary Mystic. HarperCollins. May 1998. ASIN: 0062515098

Copyright originale “What is Enlightenment” magazine www.wie.org
Traduzione di Nityama Masetti. Revisione di Gagan Daniele Pietrini.
Copyright per la traduzione italiana: Innernet.

One Response to “Meera e la madre divina”

  1. tommaso barolo ha detto:

    Ciao meera sono un bambino e così non posso vederti ma io e mia mamma ti vogliamo un sacco di bene mia mamma ti ha vista.
    un bacio ciao meera

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