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Boehme.jpgJacob Boehme, il grande mistico tedesco, è noto per la sua oscurità. Qual è il modo migliore per avvicinarsi alla sua opera? Farne l’esperienza, avere la stessa mentalità con cui egli ha ricevuto la sua mistica illuminazione.

Per comprendere la splendida e complessa cosmologia di Jacob Boehme, c’è, penso, un segreto di somma importanza: avere la stessa mentalità con cui egli ha ricevuto la sua mistica illuminazione.

Fu in profonda quiete contemplativa che questo calzolaio tedesco, fissando lo scintillio di un piatto di peltro al sole, venne improvvisamente travolto da una visione unificativa che “in un quarto d’ora mi fece vedere e sapere più cose di quante ne avrei imparate in molti anni di università” (vedi nota 1). Passarono dodici anni prima che egli riuscisse a esprimere in parole questa rivelazione cosmica. Ciononostante, queste parole sono – per citare E. E. Cummings – “grosse e contorte, di quando troppo dici, / tenere a bada dovessero lo spirito indifese” (vedi nota 2).

Avvicinarsi agli insegnamenti di Boehme con una mentalità filosofica è semplicemente inutile. Il suo pensiero si muove per salti; in molti punti si contraddice, perché cerca di far esprimere ai concetti le verità afferrate intuitivamente, in un attimo di grande e superiore intuizione.

Boehme è uno dei geni nascosti del misticismo cristiano. Praticamente, non viene letto in alcun seminario cattolico o protestante, e persino i più importanti teologi contemporanei fanno fatica a pronunciare il suo nome (una persona di mia conoscenza lo chiamava Jacob Boheme, come ne La Boheme; in passato, il suo nome veniva talvolta storpiato in “Behmen”). La sua opera è tenuta in vita soprattutto grazie all’interesse continuo della tradizione ermetica cristiana, e a un gruppuscolo di devoti che va da Angelus Silesius, nel diciassettesimo secolo, fino a Evelyn Underhill, nel ventesimo. Continue Reading »

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Georg Feuerstein, praticante spirituale e autore di più di venti libri, che ci ha lasciato nel 2012, descrive un’inaspettata esperienza spirituale della Madre Divina e il suo importante incontro con la famosa santa indiana Madre Meera. Scritta con grande franchezza da uno dei principali interpreti contemporanei del pensiero spirituale, questa descrizione vivida e affascinante delle sue esperienze (e il tentativo filosofico di ricavarne un senso) fornisce un contesto alla nostra ricerca sulla natura del sacro femminile e sul significato delle Madri Divine.

“Se Dio non esistesse – disse Voltaire – bisognerebbe inventarlo”. Da qualche altra parte, completò l’affermazione dicendo: “Se Dio ci ha fatto a Sua immagine, dobbiamo certamente restituirgli il favore”. Ciò ricorda l’intuizione espressa da alcuni antichi scettici greci, secondo cui è sospetto il fatto che gli dei siano così simili a noi.

Chiaramente, c’è della verità in questa affermazione, come sa chiunque mastichi un po’ di religione comparata. Tuttavia, essa non trasmette affatto l’intera verità. Il materialismo vorrebbe farci credere che la società o l’economia formino, se non addirittura predeterminino, la nostra concezione dell’assoluto. Secondo il dogma materialista, la metafisica non è il prodotto di realizzazioni spirituali, intuizioni mistiche ed elevate considerazioni intellettuali, ma di fattori terreni come la fame, la ricchezza o il mal di denti.

Sembrerebbe che la verità si trovi da qualche parte tra i due estremi del riduzionismo materialista e della spiritualità riduzionista. Alla luce di ciò, come dovremmo considerare l’antica tradizione della divinità del principio femminile (cioè della Dea o della Madre)?

Per gli psicologi, la Divinità femminile è un potente archetipo insito nell’inconscio collettivo, anche se non c’è unanimità su come questa fondamentale immagine sia nata e sia stata poi trasmessa attraverso le ere e le culture. Continue Reading »

Bert e Sophie HellingerUna conversazione con Bert Hellinger – anticipata da un’introduzione sull’evolversi delle costellazioni familiari, che lui stesso ha sviluppato. Bert Hellinger ha offerto a febbraio e marzo scorso due seminari speciali in Italia, a Bolzano e a Milano. L’intento? Quello di passare il nuovo orizzonte dell’approccio costellatorio a tutti coloro che hanno mente e cuore aperti per intendere e, magari, offrono a loro volta un servizio nel campo della sistemica familiare.

Bert ha coniato un nuovo nome: le costellazioni mediali, condotte dall’Altrove, di cui siamo mezzi, mediatori. Mi auguro che il mio racconto e le sue parole possano far giungere un eco della profondità e forza delle nuove costellazioni familiari, anch’esse, a loro volta, in continuo movimento

I grandi movimenti sono meno efficaci dei piccoli movimenti. I piccoli movimenti sono meno efficaci dell’immobilità. L’immobilità è il movimento eterno” Wang Xiang Zhai

Come iniziare bene qualcosa a cui ci si appresta? Con un grazie.

Ringrazio le domande ricevute e quelle poste, l’esperienza, la pratica fatta quale partecipante, rappresentante e, a sorpresa, “costellata”. In realtà ogni domanda, ogni frase dall’altrove, ogni movimento dei rappresentanti nella costellazione, è per tutti i presenti, compreso chi – afferrato per mano e condotto – conduce. Tutti sono chiamati a esporsi, raccolti, all’effetto di ciò che si rivela. E tutti ne sono toccati, in un modo o nell’altro. Continue Reading »

Il riflesso di James Hillman e l’immaginale
copertinahillmanDi fronte al riflesso del volto del vecchio mi vengono pensieri sul valore delle immagini, pensieri sull’immaginale e sul luogo dove mi trovo. Ho, infatti, la netta sensazione che dentro e fuori di me siano due dimensioni distinte ma non separate, proprio come i bei ricordi che possiedo del padre della psicologia immaginale e il volto che vedo nel ghiaccio: come gli uni fossero l’immagine speculare dell’altro.

Ognuno di noi esiste non come oggetto materiale ma come immagine. Siamo immagini complesse date dalla vocazione della nostra anima che ha preceduto la nostra nascita e da tutti i sogni, le missioni e le voci dei nostri avi. Siamo immagini, non immaginazioni, ma immagini potenti che sono echi di immagini originarie o primordiali che appartengono al tempo delle origini e si sono prodotte in un luogo leggendario: l’Olimpo, il Monte Meru, il Monte Popa, la dimora degli dei.

Potremmo dire che le nostre vite sono il ricordo, l’eco di quelle immagini primordiali. Tali immagini dell’origine possono essere definite eidola, ovvero, idoli.

Noi possiamo solo fare nel tempo ciò che gli Dei fanno nell’eternità. (James Hillman, La Vana Fuga dagli Dei, Milano, 1991, Adelphi, p. 98.)

L’immaginale è la dimora degli dei. L’immaginale é una dimensione che non ha collocazione né di tempo né di spazio, se prendi la rosa dei venti come punto di riferimento puoi dire che l’immaginale è il punto al centro delle quattro direzioni dello spazio. Continue Reading »

Il plasticismo evolutivo
Il plasticismo Plasticismo Evolutivo  insetto-fogliaevolutivo è una teoria neo-evoluzionistica che ipotizza che l’evoluzione delle specie viventi sia psichicamente orientata, nel senso che sarebbe dovuta a una presunta azione mutagena della psiche dei viventi sulle cellule germinali.

Essa parte da alcune osservazioni naturalistiche sugli organismi mimetici e sulla convergenza evolutiva e giunge a formulare una serie di ipotesi sui meccanismi di induzione evolutiva che coinvolgono la fisica quantistica, la neurobiologia vegetale e l’ipnologia, e che si spingono fino a sfiorare alcune concezioni olistiche del creato.

La teoria del plasticismo evolutivo, pur ammettendo l’evidenza dei processi evolutivi e l’azione della selezione naturale, non accetta l’ipotesi che la causa prima dell’evoluzione sia una mutazione casuale del DNA, poiché suppone che tale molecola sia il risultato e non la causa dell’evoluzione.

In particolare, questa ipotesi di studio, suppone che ci sia una stretta relazione tra i fenomeni rapidomimetici, il criptomimetismo e l’evoluzione di tutte le specie viventi.

È noto che alcuni animali, come le seppie e i polpi, definiti rapidomimetici, siano in grado di adeguare istantaneamente i colori del loro corpo all’ambiente nel quale vivono con lo scopo di sfuggire a possibili predatori o per risultare invisibili alle loro prede. Tale comportamento pare essere più volontario che istintivo ma, in entrambi i casi, provoca una variazione temporanea dell’aspetto del corpo degli animali.

Ebbene, il plasticismo evolutivo ritiene che il fattore scatenante di questo adattamento temporaneo sia lo stesso che ha consentito ad altri animali di assumere stabilmente una forma mimetica. In particolare, la teoria fa riferimento al mimetismo criptico dei fasmidi (Phyllium giganteum, Phyllium bioculatum, Phyllium pulchrifolium. Phyllium philippinicus, Phyllium jacobsoni, Phyllium ericoriai, ecc.): anche, in questo caso, analogamente a quanto descritto a proposito dei sepiidi (seppie), l’adattamento sarebbe causato da una volontà dell’individuo, con la sostanziale differenza che, in quest’ultimo caso, esso si fisserebbe direttamente nel DNA delle cellule germinali.

Si tratta, come si vede, di una concezione di tipo neo-lamarckista, ma basata su un’ipotesi di induzione di natura psichica e non somatica. Continue Reading »

Psilocybe.jpgPer molte persone, l’LSD, i funghi e altre sostanze psichedeliche hanno aperto, in una certa misura, le porte della saggezza. Quelle persone hanno cominciato a capire che la loro limitata consapevolezza era solo un livello. I precetti buddisti affermano di non usare sostanze intossicanti, tuttavia molti insegnanti buddisti occidentali hanno usato le sostanze psichedeliche, all’inizio della loro pratica spirituale. In questa intervista, Jack Kornfield parla della via psichedelica in relazione alla ricerca spirituale.

Domini di consapevolezza: intervista a Jack Kornfield

Jack Kornfield, autore di A Path With Heart, insegna Vipassana nello Spirit Rock Center di Woodacre, in California. Questa intervista è stata fatta a San Anselmo in California da Robert Forte, studioso di buddismo e di storia e psicologia delle religioni, riveduta per la rivista “Tricycle” e concessa a Innernet per la pubblicazione in lingua italiana.

Robert Forte: Esiste un punto di vista buddista sulle sostanze psichedeliche?

Jack Kornfield: No. Le sostanze psichedeliche sono citate raramente, se mai sono citate, nella tradizione buddista, e di solito nei precetti sono considerate in blocco sotto il nome di “intossicanti”. Nella tradizione zen, vajrayana e theravada se ne fa scarsa menzione, né esiste un punto di vista tradizionale sul loro uso. È importante comprendere questo. Le nostre idee in proposito vengono dalla riflessione dei maestri e insegnanti buddisti sulle esperienze contemporanee.

Nel buddismo theravada, il precetto che riguarda le sostanze intossicanti è uno dei cinque fondamentali per una vita saggia: non uccidere, non rubare, non dire il falso, non avere una condotta sessuale che provochi sofferenza e, infine, non usare sostanze intossicanti fino a cadere nell’incoscienza o nello stordimento. Secondo un’altra traduzione, non bisogna usare alcuna sostanza che alteri il senso dell’attenzione. Poi, è compito dell’individuo (come per tutti i precetti) usare queste indicazioni per raggiungere una consapevolezza genuina.

Robert Forte: I precetti sono interpretati nello stesso modo in oriente e in occidente? Continue Reading »

Oltre il cranio-sacrale
mike in marylandL’evoluzione del cranio-sacrale da Wiliam Sutherland a oggi, attraverso le parole di un operatore – Silvio Mottarella – intercalate da quelle – in forma di citazione – di Mike Boxhall. Quest’ultimo è stato considerato uno dei più validi insegnanti di cranio-sacrale a livello mondiale, nelle cui mani, questa disciplina ha rivelato ampiezze che evolvono ed esulano il metodo stesso.

Hai compreso veramente una cosa solo quando sei in grado di spiegarla a tua nonna. Lo diceva il grande Albert Einstein. I casi sono due: o la nonna è troppo “svampita” oppure si è perso qualche fondamentale dettaglio. Ripartiamo daccapo.

Fine ottocento, primi del novecento. Il dott. Sutherland, un osteopata americano fa una scoperta sensazionale: le ossa del cranio si “articolano” tra di loro per tutto il corso della vita. Fino ad allora si riteneva che nei primi anni di vita le ossa della testa si calcificassero creando un contenitore rigidamente fissato. E’ una scoperta che può sembrare banale ai nostri giorni – per altro non ancora completamente accettata da tutti – ma che ha stravolto un paradigma culturale con un effetto a cascata su molti aspetti della vita.

William Sutherland, ha percepito dei ritmi nel corpo, che chiamò maree. La marea lunga, 150 anni fa, o giù di lì, era quasi alla soglia della palpabilità. Ora, gli studenti del primo anno – o anche chi non è studente per niente – avvertono subito, in alcuni casi, quello che altri, con l’esperienza del settore, di strutture adeguate, riconoscono come la marea lunga. È sempre stato così. Il modello della risonanza morfica, che Rupert Sheldrake propone è molto chiaro, a mio avviso, su questo punto. Altri ne hanno parlato chiamandola Intelligenza Universale. Continue Reading »

sheldrake.jpgNella seconda parte dell’intervista, Rupert Sheldrake affronta la natura della scienza, la possibilità di raggiungere il vero e della connessione della scienza con la spiritualità.

Hal Blacker: Credi che esista una verità obbiettiva accertabile dalla scienza, o che magari l’intera scienza sia la proiezione di certi presupposti di base?

Rupert Sheldrake: Penso che tutta la scienza sia la proiezione di certi presupposti basilari. Cominci con un’ipotesi e la tua ipotesi ha una plausibilità che gli deriva dai tuoi presupposti. L’universo è uno specchio – in altre parole riflette quello che andiamo cercando. Se credi che la cosa più importante nell’universo sia la polarità, la puoi riscontrare dovunque – teste e piedi, il polo sud e il polo nord, le radici e le cime nelle piante. Se pensi che la cosa più importante sia la trinità, il tre, puoi trovare il tre dovunque guardi. Se ritieni che sia il quattro, trovi il quattro – i quattro punti del compasso, il quadrato, gli angoli, e così via. Incontri sempre delle persone che sostengono delle filosofie in cui il segreto della vita è questo o quello, e puoi trovare abbondanti evidenze per ognuna di queste filosofie.

L’universo, sembra, può riflettere un infinito numero di punti di vista. Nella scienza, però, il modo che ti fa decidere tra due visioni competitive passa attraverso gli esperimenti. Nella filosofia, puoi avere scuole di pensiero rivali che vanno avanti per migliaia d’anni. Ma nella scienza, la regola generale del gioco è che se hai un’ipotesi e qualcuno ne ha un’altra, puoi sempre dire: “Bene, possiamo fare un esperimento per vedere qual è la migliore”? Sei in un certo tipo di gara, e accordandoti sull’esperimento e il modo di farlo, chiedi alla natura di decidere qual è l’ipotesi migliore. àˆ come un oracolo. Sollevi una domanda sulla natura e la risposta arriva attraverso l’esperimento, L’esperimento non sempre risolve la questione. Nella scienza c’è sempre la disputa tra diversi punti di vista.

Ma, in ogni caso, puoi risolvere qualcosa. La teoria dell’evoluzione afferma che se c’erano molte forme di vita nel passato che non esistono più, dovrebbero aver lasciato un certo numero di tracce. E infatti, guardi, e ci sono tutte queste ossa d’animali estinti, seppellite negli strati della terra, e questa sembra un’evidenza sufficientemente plausibile di questo processo di sviluppo nel tempo. Quindi, credo, che si possano decidere alcune questioni sulla base dell’evidenza. Ci sono alcune questioni metafisiche, però, dove non puoi, come: “C’è uno scopo nell’evoluzione?” Questa non è quel tipo di domanda a cui si possa rispondere facilmente con l’evidenza.

Hal Blacker: Credi che avendo dei presupposti o delle credenze fondamentali – anche se non possono veramente essere dimostrate scientificamente vere o false – possano queste dar forma alla scienza o aprirla ad altri regni a cui altrimenti non si sarebbe aperta? Continue Reading »

sheldrake4.jpgIn questa intervista, Rupert Sheldrake, biologo innovativo, parla della consapevolezza del cosmo. La sua credenza nella possibilità dell’esistenza degli angeli, o d’intelligenze operanti nell’universo che sono superiori alla nostra, non è metaforica. Neanche è immersa nella bramosa fantasia che tanto pervade molta della spiritualità della New Age.

Un incontro tra l’immaginazione e l’indagine razionale

Ho incontrato Rupert Sheldrake, pioniere nel campo della biologia, la notte in cui insieme al teologo Matthew Fox, festeggiava la pubblicazione della loro nuova raccolta di dialoghi, The Physics of Angels. Sapevo che Sheldrake non aveva avuto paura di sfidare l’ortodossia entrando in quei regni di pensiero usualmente evitati da altri scienziati. Ex membro del gruppo di ricerca della Royal Society, ex direttore di studi in biochimica e biologia della cellula presso il Clare College, all’università di Cambridge, il suo lavoro meno ortodosso non è facilmente congedabile, nemmeno da parte dei suoi pari più tradizionali. Il suo primo libro autorevole, il controverso A New Science of Life, pubblicato nel 1981, fu nominato dalla eminente testata scientifica Nature “il miglior candidato da bruciare come non se ne vedeva da anni”, ma allo stesso tempo acclamato dall’ugualmente ben rispettato New Scientist come “un’importante indagine scientifica sulla natura della biologia e della fisica”.

Da allora in poi, il suo lavoro divenne degno di nota, per l’impegno rivoluzionario nel promuovere una consapevolezza dell’intelligente e vitale qualità di ciò che spesso visioniamo come “natura bruta”, per il tentativo di sanare la separazione cartesiana tra il fisico e il mentale, e per la capacità di attraversare avventurosamente il ben vigilato confine tra il mondo della scienza e quello della spiritualità. Mi chiedevo, anche, quanto uno scienziato possa avventurarsi, prima di aver propriamente abbandonato il legittimo dominio della scienza. Angeli? Sicuramente questa vuol essere una metafora bizzarra per qualcosa di più razionale, più in linea con la modernità, più, insomma, materiale.

Parlare con Sheldrake mi ha mostrato che, in parte, mi sbagliavo. La sua credenza nella possibilità dell’esistenza degli angeli, o d’intelligenze operanti nell’universo che sono superiori alla nostra, non è metaforica. Neanche è immersa nella bramosa fantasia che tanto pervade molta della spiritualità della New Age. Piuttosto, è l’ultima esplorazione di un pensatore visionario che non ha paura di correre l’alto rischio che si manifesta entrando nel territorio dello sconosciuto.

Nella nostra conversazione Rupert Sheldrake si è rivelato non solo uno scienziato innovativo, ma anche un uomo di vasta erudizione in molti altri campi del sapere, la cui indagine scientifica e filosofica è alimentata da un appassionato interesse verso tutti gli aspetti della vita. Mentre alcune delle sue teorie possono sembrare più fantasiose che fattive, in grado di andare oltre la linea tra la scienza e la fantascienza, parlare con lui è stato un viaggio d’espansione della mente, che mi ha, qualche notte dopo, portato a guardar fisso un cielo stellato e a chiedermi, a dispetto di me stesso, se ci fosse qualcuno o qualcosa che a sua volta mi stesse fissando. E, più rilevante per la nostra indagine della relazione tra l’esplorazione scientifica e l’illuminazione, Rupert Sheldrake ha mostrato una qualità che è rara in un uomo della sua intelligenza e vastità di conoscenza – una diffusa umiltà e rispetto per ciò che non è conosciuto e per quello che l’intelletto non giungerà mai ad afferrare.

Hal Blacker: la prima domanda che voglio farti è, perché angeli? Mi sembra una cosa piuttosto strana che uno scienziato ne parli.

Rupert Sheldrake: Sono interessato alla riscoperta di un senso della vita nella natura. Lo sforzo di tutto il mio lavoro è tentare di rompere la visione meccanicistica di una natura inanimata e morta, una visione che forza l’intera comprensione della natura nella metafora della macchina. Questa metafora è molto incentrata sull’uomo. Solo l’uomo produce macchine. Così, considerando la natura in questo modo si proietta un aspetto dell’attività umana nella totalità della natura. È una visione della natura veramente limitata e alienante. Fin dall’inizio, da quando il mio libro A New Science of Life è stato pubblicato, il mio intento è stato quello di trovare una prospettiva più ampia o un paradigma per la scienza, che non sia stretto in un’inanimata e meccanicistica visione delle cose. Continue Reading »

labirinto.jpgZenson Gifford, Sensei, un prete zen consacrato, ha cominciato la pratica zazen con Phillip Kapleau Roshi nel 1970, all’età di 21 anni. Dopo aver completato l’istruzione formale nel 1979, ha continuato a tempo pieno nel Rochester Zen Center, fino a quando è partito per un lungo pellegrinaggio nel 1981. Durante il pellegrinaggio ha vissuto in Giappone per un anno e mezzo, studiando con Harada Tangen Roshi. Nel 1981 è stato nominato “Erede del Dharma” di Roshi Kapleau. Zenson Gifford Sensei è attualmente abate della sangha dello zen settentrionale, con centri a Toronto, in Canada, e Varsavia, in Polonia.

Cos’è un koan? Questa stessa domanda è un koan, perché un koan non può ricevere una risposta o essere compreso dall’intelletto. Il commento di Mumonkan, “Invano lo descrivi, senza profitto lo ritrai”, è applicabile al koan. Tuttavia, la gente continua a chiedere: “Cos’è un koan?”. È un’espressione diretta della nostra mente autentica e quindi un mezzo per risvegliarsi? Oppure, come ha detto qualcuno, è una forma dualistica di pratica, un gioco zen? Cominciamo a osservare alcuni degli aspetti essenziali del koan, e diamo una risposta a qualcuna delle critiche rivolte a questa pratica.

Un koan è, letteralmente, la trascrizione di un “caso pubblico” avvenuto nel passato; oppure, come ha detto un maestro zen, “il luogo dove si trova la verità”. Generalmente parlando, i koan sono tratti da dialoghi autentici tra maestri zen e studenti, o tra praticanti avanzati, oppure dai sutra o da antichi detti. La maggior parte delle volte, i koan sono di natura paradossale e non possono venire compresi dall’intelletto. Quindi, un koan può venire inteso solo grazie all’esperienza diretta della mente autentica, da cui è nato.

I detti e i dialoghi che si trasformarono in koan sono raccolti in vari testi, come il Mumonkan e la Raccolta della roccia blu. Essi furono, e sono tuttora, utilizzati come manuali per l’istruzione zen. I koan possono essere divisi fondamentalmente in due categorie: quella “primaria” o koan “del risveglio”, e quella dei koan “successivi”. Esempi di koan “del risveglio” potrebbero essere: “Mu”, “Chi sono io?”, “Cos’è la mente?” e “Qual è il suono di una mano sola?”.

Il ruolo del koan “del risveglio” è dare uno scossone, o irrompere nella consapevolezza dualistica e concettuale, basata su un falso senso dell’io-ego. In tal modo, la mente si apre alla verità fondamentale dell’universo, senza inizio né fine; ovvero, ci si risveglia alla propria natura suprema. I koan “successivi” vengono utilizzati per perfezionare la propria comprensione spirituale, per liberarsi dai persistenti legami dell’illusione e integrare il risveglio nella propria vita quotidiana. Continue Reading »

test fumetto.gifSe vuoi essere incluso nell’elenco degli illuminati, devi superare il self-test dell’illuminazione. Se cerchi di imbrogliare, imbrogli solo te stesso. Se non raggiungi il pieno punteggio, torna a casa e continua a meditare.

Per favore rispondi onestamente alle seguenti domande prima di mandare il tuo satsang web site a Otoons. Ti verrà chiesto di avere superato il test prima di essere ammesso alla pagina dell’illuminazione. Se cerchi di imbrogliare, imbrogli solo te stesso.

1. Quando ti addormenti, non ti addormenti mai completamente. C’è una parte di te che non dorme mai. Se è così, segna un punto. Se quando ti addormenti ti addormenti completamente e la tua coscienza scompare finché non ti svegli o sogni, segna zero.

2. Esci per strada. Se vedi soltanto persone addormentate, che si muovono meccanicamente e sognano camminando, e questo ti succede sempre, segna un punto. Se vedi solo persone normali che si occupano degli affari loro, segna zero.

3. Segui il movimento del tuo respiro per due ore (cosa ne dici di un minuto?). Se l’hai fatto senza sforzo, senza perdere un solo respiro, segna un punto. Probabilmente sei illuminato. Se non lo sei, sei sul punto di diventarlo, perciò non disperare. Se hai perso di vista il respiro anche solo per un secondo, segna zero.

4. Esci per strada e cammina per un chilometro, restando consapevole di ogni passo. Se l’hai fatto senza sforzo, senza perdere un solo passo, per oltre un chilometro (cosa ne dici di venti metri?), segna un punto. Se hai mancato anche solo un passo, segna zero. Continue Reading »

vimala thakar5.jpgCosa ha a che fare l’illuminazione con la crisi del pianeta e dell’umanità? Vimala Thakar è una maestra spirituale di indubbia saggezza e nello stesso tempo un’attivista apppassionata verso l’impegno e la responsabilità sociale. Una sintesi di J. Krishnamurti e del Mahatma Gandhi, da cui è stata profondamente influenzata.

L’illuminazione e la crisi mondiale: introduzione di Susan Bridle

La maestra spirituale Vimala Thakar, è nota in Europa e negli Stati Uniti come una grande e indipendente insegnante del risveglio spirituale. Di fatto, noi di “What is Enlightenment” riteniamo che sia forse la donna più illuminata esistente oggi al mondo. Ma quello che probabilmente molti non sanno è che Thakar è anche un’attivista sociale profondamente impegnata. Influenzata dagli insegnamenti sia di J. Krishnamurti sia del Mahatma Gandhi, Thakar personifica l’essenza della consapevolezza illuminata e della responsabilità sociale.

Le due correnti del risveglio individuale e dell’impegno sociale, di solito divergenti, si uniscono indissolubilmente nell’inarrestabile torrente della sua vita. E in entrambe le sfere, in modo non dissimile dai suoi mentori, Thakar è una grande rivoluzionaria. La sua vita e i suoi insegnamenti ardono del fuoco della rivoluzione interiore dello spirito, che secondo lei è l’unico, autentico fondamento di una rivoluzione della società.

Nata in una famiglia brahmina di classe media nell’India centrale, la passione di Thakar per la vita spirituale è cominciata presto. “La consapevolezza di «qualcosa al di là» si fece strada in me all’età di cinque anni”, scrive, raccontando come scappò di casa per andare nella foresta in cerca di Dio, implorandolo di rivelarsi.

Suo padre, un fiero seguace del libero pensiero, incoraggiò i suoi interessi spirituali e l’aiutò a visitare gli ashram, a studiare le scritture e a sperimentare le pratiche spirituali. Continuò la sua sincera ricerca spirituale per tutta l’adolescenza, arrivando a fare un ritiro prolungato in una caverna, all’età di diciannove anni. Le sue molte e insolite esperienze di questi primi anni hanno l’aura epica delle leggende del Mahabharata. Da giovane si unì al Movimento per il dono della terra di Vinoba Bhave, il successore spirituale di Gandhi, del quale cercò di realizzare la missione e l’ideale di un nuovo ordine sociale.

Lavorando a stretto contatto con Vinoba, considerato a sua volta un santo, Thakar ha assorbito la passione gandhiana per quella che descrive come “la trasformazione radicale della struttura della società umana e la rivoluzione radicale della mente dell’uomo”. L’impegno di Thakar nel Movimento per il dono della terra (il cui fine era ottenere la terra dai ricchi per distribuirla ai contadini poveri) è stato instancabile: per otto anni, ella ha percorso in lungo e in largo l’India, visitando ogni villaggio.

Nel 1960, Thakar fu invitata da un amico a seguire una serie di discorsi che un insegnante spirituale stava dando a Varanasi. L’insegnante era il leggendario J. Krishnamurti, il quale si accorse immediatamente della ragazza che ascoltava con insolita attenzione dal fondo della sala, e le offrì un incontro. Le loro conversazioni private sconvolsero profondamente Thakar, catapultandola in un profondo silenzio. “Qualcosa dentro di me si era liberato, e non poteva più tollerare alcun limite”, ha scritto. “L’invasione di una nuova consapevolezza, irresistibile e incontrollabile… Ha spazzato via ogni cosa”. Continue Reading »

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Torni a casa dall’ultimo seminario di sesso tantrico, sperando che la tua frustrazione sessuale sia finita. Fai di tutto per liberare qualche ora nella tua giornata piena di impegni. Allestisci altari ornati con simboli maschili e femminili. Bandisci dalla tua camera da letto tutto ciò che non trasudi sacralità. Ti metti alla caccia delle candele, della musica e dell’incenso giusti. Come tocco finale, non trascuri coperte e cuscini morbidi.

Esausta ma determinata, ti abbigli come una dea. Entri nel tuo nuovo Tempio dell’Amore, piena di speranze e paure. Usi le tecniche tantriche appena imparate per fissare con gli occhi immobili, praticare riti, sciogliere paure e invitare benedizioni per la tua sacra sessione sessuale. Chiudendo gli occhi, mediti per trascendere gli schemi vecchi e frustranti.

Hai creato l’ambiente per il sesso divino.

Ma aspetta! Puoi davvero fare del sesso qualcosa di sacro?

Forse queste sessioni di sesso tantrico programmate fino all’ultimo dettaglio non sono altro che notti di puro, selvaggio divertimento, di eccitazione erotica nella testa e nel corpo. Ma l’esaltazione di quelle notti non è durata, e negli anni successivi probabilmente hai visto l’eccitazione sessuale trasformarsi inesorabilmente in noia, disinteresse o persino disgusto, portandoti a dire un forte «No» al sesso. Continue Reading »

medusa.jpgLa libertà di essere se stessi passa attraverso il riconoscimento dei giudizi interiori, il mostro chiamato Medusa, superego, il critico interiore o “il cane che abbaia”, che usa la colpa, la vergogna, lo sminuirsi e il giudicarsi. Anche i ricercatori di vecchia data necessitano di portare consapevolezza al superego, che come i serpenti della testa di Medusa, una volta tagliati tendono a ricrescere.

Se anche tu sei uno di quelli con questa folle passione di essere te stesso e sei stato morso dalla curiosità e ti trovi quindi a farti domande qua e là e, soprattutto, se ti domandi cose come: ”Chi sono io?, Che ci faccio qui?, Cos’è l’amore?”, sta attento perché dovrai fare i conti con Medusa prima di essere ammesso al prossimo livello.

Lei è il mostro del giudizio e del pregiudizio che sbarra la strada alla possibilità di fare l’esperienza diretta di se stessi e della realtà. Usa strumenti come il senso di colpa, la vergogna, le opinioni, i criteri di comportamento ed altro ancora. Mi ricordo che avevo 12 o 13 anni quando per la prima volta mi accorsi della presenza del mostro dentro di me. Stavo camminando nelle strade di Venezia quando sentii qualcosa di simile ad un muro che mi circondava: un muro che creava una barriera invisibile tra me e gli altri ed una bufera dentro i suoi confini.

Molti anni dopo capii che quel muro era uno dei sintomi della presenza di Medusa. Molti anni dopo avevo raccolto sufficiente comprensione e capacità per essere in grado di riconoscere la presenza del giudice interiore, i suoi attacchi, le sue strategie, le sue funzioni e soprattutto il dolore e la separazione che crea.

Com’è che questo mostro, anche chiamato superego, il critico interiore o il cane che abbaia, mantiene il controllo? Continue Reading »

adyashanti.jpgCrediamo davvero di poterci risvegliare? Oggi, uno dei più famosi insegnanti buddisti di San Francisco non è un lama tibetano o un maestro zen tradizionale, ma un americano laico e anticonformista chiamato Adyashanti, intervistato da Stephan Bodian. I suoi discorsi pubblici (che egli chiama “satsang”, secondo la tradizione advaita o nonduale dell’India) attirano centinaia di ricercatori, buddisti e non buddisti.

In un satsang cui ho recentemente partecipato, in una chiesa vicino Lake Merrit, al centro di Oakland, Adyashanti sedeva su una grande poltrona a un’estremità della sala, circondato dai seguaci. Dopo un periodo di silenzio e un discorso sul dharma in cui ha parlato della “futilità di cercare ciò che già siamo”, ha invitato il pubblico a porgli degli domande.

Qualcuno ha chiesto di parlare del valore di una pratica regolare di meditazione, e Adyashanti ha risposto: “Ogni volta che non manipoli la tua esperienza, stai meditando. Non appena mediti perché pensi di doverlo fare, stai di nuovo controllando l’esperienza, e privi la tua meditazione di ogni valore”.

Più di una volta egli ha invitato gli studenti a entrare in contatto diretto, nel momento, con la verità manifesta della loro natura intrinseca; per usare le sue parole, con colui che “in ogni momento sta guardando attraverso i tuoi occhi”. L’intensità e l’intimità di questi incontri mi hanno fatto pensare a una sorta di pubblico “dokusan”, il dialogo personale tra maestro e discepolo nello zen tradizionale.

Anche se in questi giorni Adyashanti parla raramente dello zen o del buddismo, egli ha studiato e meditato per più di dodici anni sotto la guida di Arvis Justi, un’insegnante laica della scuola del maestro zen Taizan Maezumi, il fondatore dello Zen Center di Los Angeles. All’età di diciannove anni, Steve Gray (come allora si chiamava Adyashanti) abbandonò la passione giovanile per il ciclismo e il sacco a pelo per mettersi alla ricerca dell’illuminazione. Cominciò a frequentare gli incontri settimanali nella casa di Justi, i ritiri di sette giorni con Jakusho Kwong Roshi (un discepolo di Shunryi Suzuki Roshi) e a passare tre o quattro ore al giorno in una capanna per la meditazione che aveva costruito nel cortile della casa dei genitori. Continue Reading »

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