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L’ego, così come è stato definito da Jung, è il complesso centrale della consapevolezza. Quando sentiamo la parola complesso, siamo portati a pensare a qualcosa di patologico, mentre in realtà un complesso non è altro che un grappolo di energia affettivamente carico.

Amy Edelstein: Cos’è l’ego, secondo Jung?

James Hollis: L’ego, così come è stato definito da Jung, è il complesso centrale della consapevolezza. Quando sentiamo la parola complesso, siamo portati a pensare a qualcosa di patologico, mentre in realtà un complesso non è altro che un grappolo di energia affettivamente carico.

Il complesso dell’ego comincia a formarsi quando ci stacchiamo dall’altro primario, che in genere è nostra madre; cioè, quando ci stacchiamo dal seno. E se da un lato questa separazione è necessaria per la formazione dell’individuo, dall’altro è molto dolorosa, perché rappresenta la perdita di quella primitiva esperienza di unità e sensazione di appartenenza.

Jung considerava essenziale per la consapevolezza la formazione dell’ego. La consapevolezza implica la divisione tra soggetto e oggetto: per diventare conscio, devo conoscere ciò che non sono. Ho bisogno di percepire ciò che è là come opposto a ciò che è qui. Inoltre, egli vedeva l’ego come un elemento necessario dell’intenzionalità, della concentrazione e della risolutezza. In che modo io e te siamo riusciti a combinare un incontro per parlare dello stesso argomento? Grazie alla “risolutezza dell’ego”, un elemento che ha fatto sì che questa conversazione accadesse.

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12andus-adv-for-innernetL’astrologia è un’affascinante sistema simbolico e analogico che si trova all’intersezione tra scienza, arte e scienze umane. Non è una scienza esatta, come d’altronde non le sono la meteorologia, l’economia, la genetica o la psicologia. Tuttavia, cacciata dalle università durante l’illuminismo, l’astrologia è ritornata da alcuni anni nel mondo accademico anglosassone.

Vorrei iniziare il mio articolo affermando che l’astrologia non è un “credo”. Non ha senso credere all’astrologia, così come dopotutto non ha senso credere a un bel niente. Non ha senso credere in quanto l’astrologia a differenza dei dogmi di una religione, può essere osservata e se ne può fare esperienza. Non è un sistema di credenze quale lo è una religione.

Curiosamente, i detrattori dell’astrologia utilizzano gli stessi metodi che affermano di combattere: preconcetti che non sono basati sull’esperienza, quando la sua storia millenaria e le decine di migliaia di libri scritti sull’astrologia meriterebbero perlomeno un certo sforzo di indagine. A volte i detrattori contestano affermazioni che nessun astrologo si sognerebbe mai di dire, come ad esempio che la personalità è basata sul segno zodiacale, oppure che gli oroscopi popolarizzati dalle riviste hanno validità, o che vi sono segni compatibili con altri, o ancora che l’astrologia determina il destino delle persone.

Il segno zodiacale è uno tra i numerosi elementi di un quadro natale, quindi è un po’ come affermare che un essere umano è il suo braccio. Gli oroscopi basati sui segni sono stati creati come forma di intrattenimento per quotidiani e riviste e non hanno alcun senso per l’astrologo.

Infine, l’astrologia non determina il destino delle persone. Più che di accadimenti esteriori, l’astrologia sussurra al nostro interno, attiva o inibisce la variegata gamma di qualità e archetipi interiori che si trovano all’interno di ogni essere umano. Queste qualità ci porteranno sincronicamente ad attirare eventi compatibili nel mondo esterno. L’astrologia agisce come un enzima, facilitando la trasformazione di elementi già esistenti. Potremmo vederla come l’epigenetica. Continue Reading »





guarigione-cop-mIl seguente testo è tratto da “Viaggio di guarigione, il potenziale curativo delle terapia psichedelica” di Claudio Naranjo, con prefazione di Stanislav Grof, pubblicato da Edizioni Spazio Interiore www.spaziointeriore.com , per gentile concessione.

Da sempre sappiamo di un nesso tra stati alterati di coscienza e cambiamenti di personalità. Gli sciamani di molte zone provocano stati di trance per guarire; i mistici spesso vivono esperienze “visionarie” durante la loro “conversione”; i pazienti nelle fasi più avanzate della psicoanalisi a volte hanno allucinazioni o mostrano altri sintomi psicotici temporanei.

L’uso deliberato di stati di alterazione della coscienza nel processo terapeutico ricade nell’ambito dell’ipnoterapia e dell’uso di sostanze psicotrope. Di recente poi è aumentato l’interesse per la nozione di “disintegrazione positiva” (Dabrowski) e per il valore dell’esperienza psicotica, quando ben integrata, essendo l’uso delle sostanze il metodo che ha più vasta applicabilità.

Le prime sostanze ampiamente usate a scopo terapeutico sono state i barbiturici e le anfetamine. Un barbiturico somministrato per via endovenosa, usato per la prima volta da Laignel-Lavastine (1924) per “rivelare l’inconscio”, in seguito è diventato la base di metodi come la narcoanalisi (proposta da J.S. Horsley nel 1936), la narcosintesi (Grinker) e altri. Continue Reading »





dalai lama e acceleratore.jpgFin dai suoi inizi il buddismo ha elaborato raffinati metodi di meditazione per sondare la natura della mente, usando la mente stessa come strumento d’indagine. Da mille anni i risultati di queste ricerche vengono analizzati nelle università buddiste con metodi di studio rigorosi. Nel convegno “Mind and Life” si è creato un incontro fra la tradizione buddista di studio della mente e le discipline occidentali della psicologia, scienza cognitiva, neuroscienza e medicina.

L’importanza dell’incontro col buddismo per la scienza moderna

Ci sono crescenti indicazioni che il buddismo possa esercitare un’influenza importante e produttiva sulla scienza moderna primariamente a due livelli: (i) la ricerca dettagliata relativa allo studio della mente, e (ii) l’impatto epistemologico sui fondamenti della scienza, particolarmente della fisica.

Ricerca

Le scienze della vita si sono sviluppate enormemente nel corso degli ultimi cinquant’anni. Un ramo fondamentale di esse è lo studio della mente, della funzione cognitiva, degli affetti e dei fenomeni mentali correlati, in cui le scienze del cervello (o neuroscienze) svolgono un ruolo centrale. Un’insolita confluenza di discipline puntano i loro microscopi sulla natura della conoscenza, delle emozioni e dell’azione. Queste discipline includono le neuroscienze, la genetica molecolare, la psicologia sperimentale, l’intelligenza artificiale e la linguistica.

Da questa ibridazione sono emersi vari significativi sforzi interdisciplinari, comprendenti scienza cognitiva, neuroscienza e neuroscienza affettiva. Queste nuove scienze interdisciplinari hanno rapidamente abbracciato lo studio della mente come oggetto scientifico e hanno consentito alla scienza moderna di accostarsi a questa impresa con un rigore e una precisione senza precedenti. Continue Reading »





mandala buddhakapala.jpgMentre gli insegnamenti buddisti sulla sofferenza e la natura del sé si diffondono sempre più in occidente, gli psicoterapeuti hanno cominciato a scoprire le possibilità spirituali insite nel loro lavoro.

Alla prima conferenza di New York sul buddismo e la psicoterapia, alla fine degli anni ’80, il dialogo tra le due discipline si dimostrò più difficile del previsto. Erano presenti molti terapisti e dovevano parlare diversi insegnanti buddisti, ma parecchi di questi ultimi non erano particolarmente interessati al punto di vista psicodinamico, né avevano di esso una conoscenza approfondita.

I buddisti volevano parlare del buddismo, i terapisti intendevano discutere delle emozioni: non era molto chiaro quale terreno in comune avrebbe potuto esserci tra le due discipline.

Dopo il discorso di apertura, il disagio crebbe sempre più finché, dopo un giorno e mezzo, una donna esasperata si alzò dalla sedia e rivolse una frase al lama tibetano che aveva appena terminato il suo intervento. «Non mi interessa quanti maestri zen possano stare in piedi su una capocchia di spillo», cominciò, con una frustrazione evidente a tutti. Ci fu qualche applauso e l’attenzione crebbe in tutta la sala. «Voglio sentire parlare di cagare, pisciare e di fare sesso.»

Sull’uditorio piombò il silenzio: non era questo il modo di rivolgersi a un lama tibetano. Tuttavia, ciò che la donna voleva dire venne compreso da molti dei presenti. Gli interventi della conferenza sembravano troppo sublimi per i terapisti presenti, troppo lontani dalla realtà quotidiana dei loro casi terapeutici. Dov’era la concretezza dei vecchi, buoni istinti freudiani? Continue Reading »





buddha freud.jpgLa ricerca del non-io

Uno dei maggiori problemi dei meditatori occidentali è il fatto che la loro preparazione concettuale alla pratica della meditazione è generalmente insufficiente. Con la testa piena di idee freudiane e alle prese con problemi psicologici spesso non completamente risolti o addirittura ignorati, gli occidentali impegnati nella meditazione sono frequentemente sviati dalla propria confusione e dai propri desideri e conflitti.

Come ha detto il compianto insegnante tibetano Kalu Rimpoche: “Si dice che chi cerchi di meditare senza la comprensione concettuale di cosa stia facendo è simile a un cieco che stia cercando la strada in aperta campagna; una persona del genere può solo gironzolare senza sapere come scegliere una direzione anziché un’altra”.

Oggi esistono molti fraintendimenti comuni sul fondamentale concetto buddista di anatta, o non-io. Tanto per cominciare, molti nuovi meditatori scambiano il non-io con l’abbandono dell’ego freudiano. La nozione convenzionale secondo cui l’ego è ciò che modula le pulsioni sessuali e aggressive ha portato molti occidentali a equiparare erroneamente il non-io a una sorta di urlo primario in cui si raggiunge finalmente la libertà da tutte le costrizioni limitanti.

Il non-io è qui inteso come l’equivalente della potenza orgasmica di Wilhelm Reich, mentre l’ego viene identificato con tutto ciò che irrigidisce il corpo, offuscando la capacità di una catarsi piacevole o impedendo di sentirsi “liberi”. Questo punto di vista, diffuso negli anni sessanta, è ancora profondamente impresso nell’immaginazione popolare. Esso considera la via verso il non-io come un processo di disapprendimento, di abbandono dei ceppi della civiltà per tornare a una schiettezza infantile. Inoltre, tende a romantizzare la regressione, la psicosi e qualsiasi espressione disinibita dell’emozione. Continue Reading »





Fritjof Capra.jpgFritjof Capra afferma che una società sostenibile si può costruire solo sulle fondamenta dell’ecoalfabetizzazione e dell’ecodesign. Il compito principale negli anni a venire sarà applicare la consapevolezza ecologica e il pensiero sistemico per cambiare radicalmente le tecnologie e le istituzioni sociali.

Riflettendo sul futuro, tutti noi membri della comunità mondiale di lettori e collaboratori della rivista, siamo consapevoli che l’ambiente non è più “un problema tra i tanti”. È il contesto di ogni altra cosa: della vita, degli affari, della politica. La grande sfida del nostro tempo è creare e tenere in vita comunità sostenibili, ovvero ambienti sociali, culturali e fisici nei quali possiamo soddisfare i nostri bisogni e le nostre aspirazioni senza danneggiare le generazioni future.

Sin dalla sua introduzione nei primi anni ’80, il concetto di “sostenibilità” è stato spesso distorto, abusato e persino banalizzato da un uso esterno al contesto ecologico che gli dà il significato corretto. Ciò che è “sostenuto”, in una comunità sostenibile, non è la crescita o lo sviluppo economico, ma l’intera rete della vita da cui dipende la nostra sopravvivenza a lungo termine. Una comunità sostenibile è organizzata in modo tale che gli stili di vita, le attività economiche, le strutture fisiche e le tecnologie non ostacolano l’intrinseca capacità della natura a sostenere la vita.

Il primo passo in questa direzione deve essere, ovviamente, l’“ecoalfabetizzazione”: comprendere i principi organizzativi che gli ecosistemi hanno sviluppato per sostenere la rete della vita. L’ecoalfabetizzazione è una dote essenziale per i politici, gli uomini d’affari e i professionisti in tutti i campi. Di più, l’ecoalfabetizzazione sarà fondamentale per la sopravvivenza dell’umanità nel suo insieme, quindi costituirà la parte più importante dell’educazione a ogni livello: dalle scuole ai college, dalle Università ai corsi di specializzazione per professionisti.

Per diventare “ecoalfabeti”, dobbiamo imparare a pensare in modo sistemico: cioè, in termini di interrelazioni, contesti e processi. Quando il pensiero sistemico viene applicato allo studio della Casa Terra (che è il significato letterale di “ecologia”), scopriamo che i principi organizzativi degli ecosistemi sono i principi fondamentali di tutti i sistemi viventi, gli schemi basilari della vita. Continue Reading »





Tikkun nsp hands-circle.jpg

“Semplicemente, non riesco a capire come si possa essere spirituali senza impegnarsi concretamente nella trasformazione del mondo”, dice rabbi Michael Lerner. Politico rivoluzionario, filantropo, guida spirituale, psicologo e direttore della rivista “Tikkun”, Michael Lerner è una delle voci che chiede con più vigore un cambiamento radicale in questo nuovo millennio.

Il suo infaticabile impegno affinché il mondo non sia più guidato dai valori dell’ego, malvagi e materialisti, ma dalla rivelazione spirituale secondo la quale siamo un tutto indivisibile, è quanto meno ispiratore. Egli è un uomo passionale che ci invita a risvegliarci contemporaneamente alla verità della nostra natura spirituale indivisa e alla nostra coscienza.

Rabbi Lerner è un idealista che cerca attivamente (ovvero non solo filosoficamente, ma anche praticamente) di trasformare questo mondo, apparentemente diretto verso il disastro. La sua inflessibile ricerca di una trasformazione globale della società e della cultura basata su valori profondamente spirituali ha contribuito in modo inestimabile alla nostra inchiesta L’illuminazione può salvare il mondo?

In gioventù, Lerner è stato profondamente influenzato da Abraham Heschel, uno dei più grandi teologi ebrei del mondo contemporaneo. Studente “radical” di filosofia a Berkeley negli anni sessanta, Lerner alla fine si accorse che i movimenti liberal e progressisti erano destinati alla sconfitta, perché non affrontavano le dimensioni etiche e spirituali dell’esperienza umana. Continue Reading »





due omini.gifDopo aver saputo che il bambino che portava in grembo aveva la sindrome di Down, Martha Beck ha imparato che quando abbiamo tutto da perdere, abbiamo anche tutto da guadagnare.

Avevo venticinque anni e stavo per laurearmi a Oxford quando mi dissero che il mio secondo figlio, che ancora portavo in grembo e che avevo già chiamato Adam, aveva la sindrome di Down. I dottori e i consulenti mi raccomandarono caldamente un aborto terapeutico, anche se ero incinta da molti mesi. Avevo solo poche ore per prendere una decisione scioccante: crescere e mantenere un bambino mentalmente ritardato, o abortire il bambino che avevo già imparato ad amare?

Mentre consideravo le possibilità che avevo davanti a me, accadde qualcosa di singolare al mio modo di vedere la vita. Gli altri pensavano che era meglio che Adam non nascesse mai, perché gli mancavano qualità che la società giudicava importanti: un bell’aspetto, la possibilità di guadagnare bene, “savoir faire” e così via.

Ma a pensarci bene, conoscevo anche molte persone “normali” che non avevano queste qualità: per esempio, me stessa. Inoltre, anche gli individui più dotati potevano perdere i loro vantaggi a causa di incidenti, di malattie o dell’invecchiamento. I pochi fortunati che avrebbero evitato tutte queste disgrazie avrebbero sempre trovato la morte ad attenderli alla fine della loro incantevole vita.

Negli intensi momenti in cui dovevo decidere per la vita o la morte, tutti i valori del “mondo reale” in cui avevo sempre creduto si dissolsero come neve al sole. Ciò che persi quel giorno non fu solo la speranza di avere un bambino perfetto, ma anche l’illusione che qualcuno possieda mai qualcosa o qualcun altro. Mi trovai faccia a faccia con la verità che non esiste nulla cui possiamo aggrapparci per sempre, e niente che possiamo essere, fare o possedere, che non perderemo. Continue Reading »





almaas5.jpgA. H. Almaas (pseudonimo di A. Hameed Ali) ha creato il Diamond Approach, un cammino spirituale che integra la psicologia contemporanea con la spiritualità.

Nato in Kuwait nel 1944 e cresciuto in una tradizionale famiglia musulmana, Almaas si è trasferito negli Stati Uniti nel 1963 per studiare Fisica all’Università di Berkeley. Arrivato sul punto di laurearsi, ha abbandonato gli studi perché riteneva che la scienza non offrisse risposte alle domande profonde della vita. Ciononostante, egli conserva un ricordo positivo della sua educazione scientifica, perché grazie a essa la sua mente è diventata “precisa e sperimentale”.

Continuando le sue ricerche nel campo della psicologia, Almaas ha scoperto alla fine il valore di quella che chiama “essenza”, la natura intrinseca dell’essere umano, opposta all’«ego» e alla “personalità”, il complesso delle caratteristiche acquisite attraverso l’esperienza e l’educazione. Questa dinamica è forse la caratteristica principale del Diamond Approach. Almaas insegna dal 1976 e ha creato centri nella San Francisco Bay Area e in Colorado, dove oggi operano circa sessanta, settanta insegnanti. È autore di molti libri, presentati in bibliografia alla fine dell’articolo.

Desideravo intervistare Almaas soprattutto per due ragioni. In primo luogo, per l’accento da lui posto sulla dinamica tra l’«essenza» e la “personalità”, che è un elemento centrale di molti insegnamenti spirituali, i quali sottolineano tutti la necessità di distinguere il proprio essere innato dai propri condizionamenti. Inoltre, perché ho la sensazione che l’epoca presente richieda, in particolar modo, una nuova sintesi degli insegnamenti tradizionali, e il lavoro di Almaas offre un’interessante riformulazione dei concetti della psicologia profonda, del sufismo, del lavoro di Gurdjieff, del buddismo e di altre scuole.

Ho intervistato Almaas nella sua spaziosa e nuovissima casa (l’impresario stava ancora lavorando al giardino) sulle colline di Berkeley, in California. Mi ha fatto l’impressione di una persona tranquilla e concreta, dalla centratura stabile e la mente penetrante. Poiché ho avuto problemi con il registratore, è stato necessario rifare buona parte dell’intervista. A tale inconveniente, Almaas ha reagito con calma e pazienza.

Richard Smoley: Forse potresti cominciare parlandoci del Diamond Approach.

A. H. Almaas: Il Diamond Approach è un insegnamento spirituale, una tecnica per entrare in contatto con la nostra natura spirituale e portarla nella nostra vita. È un lavoro spirituale, nel senso che ha a che fare con quella parte della nostra natura che è al di là del tempo, dei prodotti della vita presente, dei pensieri, le convinzioni, le idee e i concetti su noi stessi e il mondo. Quindi, ha a che fare con il riconoscimento diretto, o la gnosi della nostra consapevolezza, del nostro essere. Quando sono me stesso liberamente e semplicemente, senza cercare di cambiarmi o di essere qualcuno, ma restando semplicemente ciò che sono, chiamiamo tutto questo il riconoscimento della natura autentica. Grazie a questa natura spirituale, la nostra vita diventa autentica. Continue Reading »





allen ginsberg.jpgL’ospitalità, la generosità verso gli altri poeti e l’infaticabile impegno sociale di Allen Ginsberg raccontati da qualcuno che li ha visti da vicino.

Hum! Hum! Hum! Servitù. Servitù medievale. Quando cominciai a lavorare per Allen, certamente non consideravo la mia occupazione una forma di servitù. Venni assunto per sostituire temporaneamente il suo segretario. Ma col tempo compresi che, in un certo senso, stavo lavorando per un personaggio molto più grande del corpo che lo conteneva.

Conoscevo Allen già da prima, perché eravamo vicini di casa. A quel tempo egli viveva al 437, East 12th Street, vicino Avenue A. Lo conoscevo abbastanza bene grazie alle associazioni degli inquilini; lui e Peter erano ottimi organizzatori su questo tema. Per la proprietaria dell’edificio, che viveva nel palazzo, mostravano un’enorme compassione. D’inverno non c’era né riscaldamento né acqua calda nel condominio. Facevamo riunioni nel mio appartamento, che era direttamente sopra quello della proprietaria. La gente faceva la proprie richieste pestando i piedi sul pavimento. E Peter e Allen dicevano: “No, no, dovete avere compassione, dovete capire”.

Allen aveva un’idea del lavoro che era un incubo per gli altri, ma che funzionava. Ecco perché Ted Berrigain chiamava Allen “Il presidente della poesia”. Negli anni ’60, egli era il guru e il profeta della poesia, sapete. Ma Ted aveva ragione: Allen avrebbe dovuto fare il presidente, perché sarebbe riuscito a dare lavoro a tutti gli abitanti di questo Paese.

Era molto contento del fatto che potevo mantenere una famiglia lavorando per lui. In realtà, egli considerava importantissimo il fatto che i poeti avessero un lavoro. Il suo ufficio era praticamente un lavoro a domicilio. Questa idea l’aveva presa dall’India agli inizi degli anni ‘60. Continue Reading »





escher. rind.jpg

In genere, la meditazione viene considerata un mezzo finalizzato a un obiettivo. Per questo è facile pensare che ci sia una progressione lineare dall’ignoranza all’illuminazione, e che tutto ciò che un meditatore deve fare per raggiungere l’obiettivo è seguire le istruzioni. Tale concezione ha provocato un grande fraintendimento per tutto quello che riguarda lo sviluppo naturale del processo meditativo.

Un processo meditativo naturale, secondo la mia opinione, è composto di tre fasi successive: eliminazione, coltivazione e sviluppo. Esse possono comparire in qualsiasi momento, a qualsiasi grado di intensità. Attraverso lo sviluppo di facoltà meditative, la mente diventa più capace di utilizzare queste attività interiori progressive quando compaiono.

Eliminazione e coltivazione

Per cominciare, lo scopo della meditazione non è “eliminare” direttamente delle qualità negative. Piuttosto, la direzione è verso una “coltivazione” della consapevolezza, grazie alla quale diventa possibile la vera eliminazione di stati mentali negativi e conflittuali. Continue Reading »





amma.jpgAmy Edelstein: Cos’è la shradda? La fede nella possibilità di trascendere l’ego in questa vita?

Mata Amritanandamayi: La shradda è qualcosa di più che la fede. È fiducia e amore. Sia la fiducia sia l’amore sono necessari per trascendere l’ego: la fiducia nell’esistenza di una realtà più elevata, l’amore per quella realtà e l’intensa aspirazione a realizzarla.

Amy Edelstein: Qual è il modo migliore di coltivare la discriminazione davanti a tutte le tentazioni dell’ego?

Mata Amritanandamayi: Così come un bambino cresce e abbandona l’orsacchiotto e gli altri giocattoli, un ricercatore autentico raggiunge la capacità di discriminare tra l’eterno e il non-eterno quando la sua comprensione cresce ed egli progredisce sul cammino. Il potere della discriminazione nasce in noi quando abbiamo una comprensione e maturità sufficienti. Quando impariamo a valutare adeguatamente le esperienze della vita, automaticamente cominciamo a usare la nostra intelligenza discriminante. Quella che avviene è una fioritura interiore, come un germoglio che si schiude. È parte di un processo lento ma costante. Dietro ogni esperienza che la vita ti porta – sia negativa sia positiva – c’è un messaggio divino. Vai oltre la superficie e riceverai il messaggio. Niente viene dall’esterno; tutto è dentro di te. L’intero universo è al tuo interno.

Lungo il cammino ci saranno molte tentazioni e sfide. Solo una persona dotata di esperienza può aiutarti. Il cammino verso moksha è molto sottile, ed è facile che un ricercatore spirituale cada vittima dell’illusione. Continue Reading »





amma.jpgUna donna piccola e dalla carnagione scura, avvolta in un sari bianco, sorride radiosamente mentre cammina con difficoltà in mezzo ai suoi devoti, le cui mani la sfiorano e l’accarezzano come piume. Il suo viso è tranquillo, forte e totalmente all’erta, così come è stato nelle ultime cinque ore, senza mai cambiare. Il suo corpo esausto, invece, riesce a malapena a restare in piedi; sembra addirittura che potrebbe crollare per sfinimento prima di raggiungere la macchina che l’attende. La spalla destra del suo sari è annerita dal sudore e dalle lacrime delle centinaia di guance che vi hanno trovato soccorso.

Dal mattino presto, Mata Amritanandamayi ha letteralmente stretto al petto un migliaio di persone, senza fare una pausa nemmeno per mangiare o sorseggiare un po’ d’acqua. Ha ascoltato i loro problemi e le loro più profonde aspirazioni spirituali, ha sparso petali di fiori sulle teste, ha premuto dolci “prasad” (offerte consacrate) nelle loro mani, ha benedetto la loro foto, i “mala” (collane di preghiera) e i bambini. Uno dopo l’altro, ogni supplicante ha ricevuto lo stesso, indiviso amore cosmico da Ammachi, la Madre Santa.

Giovani e anziani, sposati e non sposati, uomini e donne, ricchi, poveri, belli, storpi, diffidenti, pazzi e sinceri: tutti sono benvenuti, senza eccezioni. E quando lei abbraccia ognuno, intonando a voce bassa: “Ma, Ma, Ma” nel suo orecchio, la trasmissione di compassione è una corrente continua che non si affievolisce mai. Inoltre, il suo volto luminoso non registra la minima traccia di preferenza o paura per le persone che le si inginocchiano davanti.

Dicono che Ammachi sia un’«avatar», un’incarnazione del Divino sulla Terra. Dicono che il suo ego sia stato completamente distrutto, che tutte le tracce di un’identificazione con un io distinto siano state cancellate. Dicono che quando guarda gli altri, vede un solo Sé in tutti.

Cosa possiamo imparare sull’ego da una persona che, si dice, lo ha trasceso? Ma se i suoi occhi vedono solo Dio, esiste l’ego per lei? Qual è il messaggio di questa “mahatma” (grande anima) ai veri ricercatori della “moksha” (liberazione) a proposito della grande e fondamentale battaglia della vita spirituale? In che modo il suo amore apparentemente infinito si manifesta quando incontra il nemico dei suoi discepoli, l’ego? Continue Reading »





vimala thakar5.jpg

Ritratto di una saggia contemporanea

“Sono una persona semplice, un essere umano che ha amato la vita, considerandola divina. Sono stata innamorata della vita, pazzamente innamorata della divinità della vita umana!”

La sua voce è profonda e sicura di sé, vibrante di una passione soffusa. Pronuncia chiaramente e senza esitazione ogni parola, dando l’impressione di una persona che affronta la vita a testa alta, senza cercare scuse e in modo totalmente presente. I suoi occhi sono dolci e senza paura. Siede sul bordo della sedia, attenta e china verso di noi, vestita con un sari bianco, fresco e pulito.

Perfettamente immobile, dotata di un’innegabile potere, in un attimo diventa gentile e premurosa nel servirci il the. Questa è il nostro primo incontro con Vimala Thakar, la nota figura spirituale che ha viaggiato il mondo insegnando per più di trenta anni. Ho atteso con impazienza questo momento, l’opportunità di parlare e intervistare questa donna insolita. Una volta la sentii parlare a Londra, venti anni fa, e le sue parole lasciarono in me un’impressione duratura. È stato il ricordo della sua integrità e intelligenza che recentemente mi ha fatto decidere di rincontrarla. È la sola persona, per quanto ne sappia, alla quale J.Krishnamurti, il grande rivoluzionario spirituale, abbia mai chiesto di andare a insegnare.

Insieme al mio vecchio amico Shanti Adams, sono venuto a cercare Vimala Thakar qui sul Monte Abu, una stazione collinare nel remoto angolo meridionale dello stato desertico Indiano del Rajasthan, dove trascorre i mesi invernali. La casa, che le è stata donata, è tranquilla e immersa nelle enormi formazioni rocciose che intercalano il paesaggio. Vimala ci incontra puntualmente alle 9.30 del mattino in un piccolo studio accanto all’atrio della casa, e le rammento l’intervista proposta. Mi sento mancare il cuore quando ci dice di essere più che felice di dialogare con noi, ma che non desidera essere pubblicata e fotografata. «Sono socialmente morta», aggiunge. Continue Reading »





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